A differenza di qualcun altro che neanche mi saluta più, l’amica Maria Antonietta Mongiu mi vuole veramente bene, e infatti, in un pezzo dal titolo “Tagli o aumento di risorse alla cultura?”, non esita a mettermi in difficoltà rispondendo al mio articolo uscito su Sardegna Quotidiano (ma anche in questo blog) nel quale accusavo la Giunta Soru di avere fatto tagli feroci alla cultura.
La Mongiu (che è stata assessore regionale alla Pubblica Istruzione e allo Spettacolo nell’ultimo anno e mezzo di quell’esperienza soriana) risponde nel merito sui tre casi che avevo citato: l’attacco all’Associazione Editori Sardi, alla Cineteca Sarda, e all’Issra (l’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia).
Erano tre esempi abbastanza eclatanti di una modalità impropria imperante in quegli anni. E dopo aver letto le risposte dell’amica Maria Antonietta, sono ancora più convinto della pertinenza delle situazioni che ho citato.
Io ho l’impressione che l’ex assessore non dica tutta la verità su quelle tre vicende. E nello sforzo di sintesi ci può anche stare, per carità. Ma è chiaro che non possiamo andare avanti a dire cose diverse, annoiando i lettori in una contrapposizione che non troverebbe mai un punto di arrivo.
E quindi che si fa? Saltiamo alcuni passaggi. La Mongiu mi accusa di aver fatto “sbrigative esemplificazioni che reiterano luoghi comuni e topiche”. Ma, a differenza del sottoscritto, lei è parte in causa. Allora, per capire se le mie sono state appunto “sbrigative esemplificazioni che reiterano luoghi comuni e topiche”, vogliamo chiedere agli amici dell’Aes e della Cineteca Sarda di esporre la vostra versione dei fatti? Com’è andata realmente la vostra vicenda? Diteci, che siamo tutt’orecchie. Così, giusto per capire se le mie affermazioni erano ben sintetizzate o oppure no.
Sia chiaro: a me non interessa sentirmi dare ragione. Il dibattito sulle politiche culturali di Soru va avanti da tempo. A me interessa capire se i tre esempi che ho fatto erano campati per aria o no, se erano “sbrigative esemplificazioni che reiterano luoghi comuni e topiche”. E questo solo le persone chiamate in causa ce lo possono dire.
Ma la Mongiu mi fa anche una domanda, ed io prima di rispondere, la estendo agli operatori culturali e di spettacolo: “Caro Vito, preferisci l’oggi?”.
Risposta: no, cara Maria Antonietta, non preferisco l’oggi. Ma molto semplicemente perché tra lo “ieri” e l’ “oggi” non trovo alcuna sostanziale differenza. Nella cultura e nello spettacolo non è cambiato molto e, anzi, quelli di Soru sono stati anni di occasioni perse. Le leggi di settore approvate con grande squillo di trombe non servono a nulla.
Avrai letto Maria Antonietta, l’intervista a Gianfranco Cabiddu su Sardegna 24 di qualche giorno fa, in cui il regista dice quello che pensano tutti: la legge sul cinema è inapplicabile. E lo stesso valga per quella dello spettacolo.
Ed è ingeneroso dare la colpa agli operatori, perché gli operatori devono fare il loro mestiere e non sentirsi accusati se le leggi fatte dai politici non funzionano.
Ma ripeto, la tua domanda facciamola agli operatori culturali e di spettacolo: “Preferite l’oggi o era meglio ieri?”. E aggiungo: nel settore della cultura e dello spettacolo, qual è stata l’eredita positiva lasciata dalla Giunta Soru?
Ma il punto non è solo questo. Perché le domanda che ora pongo a tutti voi è la seguente: si può criticare l’operato della Giunta Soru senza essere accusati di intelligenza con nemico? Si può semplicemente dire che quell’esperienza ha avuto tanti limiti senza doversi essere accusati di “scorrettezza” perché magari non si è detto nulla della Sardegna Digital Library che “l’attuale giunta la sta degradando a cinegiornale della propaganda personale”?
Posto che questo blog e l’archivio di Radio Press è pieno di mie dichiarazioni contro la Giunta Cappellacci, io penso che questo della Mongiu sia un modo logicamente sbagliato di argomentare. Chi l’ha detto che prima di poter criticare la Giunta Soru dobbiamo fare altrettanto con quella Cappellacci? Così ragionano i politici e i militanti, non i giornalisti (secondo me).
Quelle di Soru e Cappellacci sono due esperienze diverse, divise da un voto democraticamente espresso. Solo gli storici potranno un giorno, se vorranno, analizzare i documenti e trovare delle cause e degli effetti. Ma io non sono uno storico, sono un giornalista ed analizzo i fatti del presente per quello che sono. E non devo giustificarmi in nessun modo se ritengo che, nello specifico della politica culturale, la Giunta Soru abbia sbagliato in qualche occasione.
La Mongiu in realtà non vuole che io faccia “l’analisi dei fatti” ma mi chiede di celebrare “processo alle buone intenzioni” che animarono quell’esperienza politica. Con ovviamente, una scontata assoluzione finale.
Ma a me non interessa sentirmi dire “L’operazione è riuscita ma il paziente è morto”: a me interessa sapere se il paziente è vivo o morto. Punto e basta.
Le mie dunque non sono state “sbrigative esemplificazioni che reiterano luoghi comuni e topiche!”. Se vorranno intervenire, penso che saranno proprio gli operatori culturali che ho tirato in ballo a dimostrarlo. Aldo Borghesi dell’Issra lo ha già fatto a margine del pezzo che ha scatenato il dibattito. Ed è a lui e agli altri che la Mongiu dovrà, se vorrà rispondere. Non a me.
Poi, che piaccia o no, i sardi sull’esperienza politica di Soru si sono già espressi. Certo che poi cadere dalla padella alla brace è una delle perversioni preferite della democrazia… E io, almeno di questo, colpa non ne ho.
ci dimentichiamo che l’era mongiu ha completamente smantellato il settore della ricerca, restauro e scavi archeologici in sardegna? Al grido di “si è scavato troppo” si è voluto smantellare completamente un settore che aveva una ricaduta occupazionale immediata. Vogliamo ricordare la paradossale vicenda delle cooperative della ex legge 4 coinvolte in interminabili riqualificazioni e corsi formativi, che non hanno sostanzialmetne cambiato la situzione. L’unica esigenza sembrava quella di accentrare tutto il patrimonio archeologico a Cagliari,nel betile, in barba ai comuni che per anni avevano investito nella valorizzazione dei siti del loro territorio.
Gian Giacomo Ortu, fondatore dell’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia (e storico ai più alti livelli di qualità in Sardegna) interviene sulla liquidazione dell’ISSRA, in un’intervista a “Sardegna quotidiano”:
http://www.walterfalgio.it/articolo.php?i=57
La risposta dell’ex assessore alla Cultura ai rilievi che sono stati mossi alle sue spiegazioni diciamo poco convincenti, invece, la stiamo aspettando da più di un mese.
Con L’AES la politica della Mongiu è stata impeccabile, ineccepibile, inappuntabile, irreprensibile, perfetta, a regola d’arte, incensurabile, esecrabile, azzimata, esatta, raffinata, inattaccabile. Tutte le voci sono esatte salvo una, provate a indovinare.
Con L’AES la politica della Mongiu è stata impeccabile.
…più o meno come quella di Erostrato col Tempio di Artemide ad Efeso.
http://it.wikipedia.org/wiki/Erostrato
hic sunt leones… Ma dove sono i titolari di gruppi, associazioni e compagnie cantanti tagliate e ritagliate da quella o questa giunta?
Caro Cicci, siamo qua tagliati e ritagliati……cercando di annodare i fili alle marionette, sfibrati e marciti, occorrerebbero fili nuovi forti tenaci e impeciati per farle muovere, danzare, parlare e con fatica tentiamo di animarle…..ma sono lente…… perché gli animatori sono stanchi dispiaciuti e anche disperati…….
Entrare in questo dibattito è doveroso, e soprattutto è importante ricordare alcune cose fondamentali che sono state dette, fatte e promesse nel corso di questa storia, perché la memoria è importante per evitare di commettere sempre gli stessi errori.
Non possiamo dimenticare la domanda che guidò la campagna elettorale: “che cosa può fare l’Arte per la Sardegna?” a cui tutti abbiamo risposto con entusiasmo e mettendoci in gioco personalmente.
Non possiamo dimenticare la promessa che sembrava assumere un ruolo di importanza capitale nel dialogo tra noi e le Istituzioni in questione: “non farete più anticamera” a significare che le nostre richieste sarebbero state trattate come esigenze di tutti e non come miserevoli richieste private.
Non possiamo dimenticare, e questo più di ogni altra cosa ci è impresso nella memoria, quanto abbiamo creduto e sperato che fosse vero.
E, come epilogo, non possiamo dimenticare quanto invece è successo nei fatti: il taglio generale al settore dove abbiamo visto però salvati i soliti nomi, una legge sullo spettacolo poco democratica, dove ancora una volta si premiano numeri numeri numeri a discapito del merito. Eppure siamo convinti tutt’oggi che non stessimo chiedendo niente di cui non avevamo diritto, e sarebbe opportuno dire anche il dovere, di chiedere, visto che parlavamo non in funzione del nostro bene, ma in funzione del bene della Comunità, nei confronti della quale abbiamo un dovere di qualità, trasparenza e gestione di fondi pubblici pertinente e coscienzioso.
Avevamo bisogno di interlocutori seri che venissero a vedere cosa facciamo, cosa vuol dire vivere di teatro in Sardegna,e poi riuscissero a trovare soluzioni serie democratiche di proporzione, invece siamo stati trattati come dei miserabili e non come delle risorse.
E siccome nulla di questo è stato fatto, la situazione a distanza di 7 anni è esattamente la stessa se non peggiore. Ci troviamo a lavorare senza una legge dedicata che ci guidi e tuteli, a lavorare con risorse su cui non abbiamo la garanzia reale di poter contare, ricorrendo a prestiti bancari pur di dare continuità alle nostre programmazioni. Continuità da cui non si può prescindere se vogliamo concepire il progetto culturale come un organismo vivo che si sviluppa nel corso del tempo con artisti e spettatori, e non come un singolo evento lanciato nel mucchio.
Per quanto riguarda poi il Teatro per bambini e famiglie nello specifico, riteniamo sia di importanza straordinaria dal punto di vista culturale e sociale, ma a quanto pare non gode della visibilità necessaria per rendersi interessante anche agli occhi delle istituzioni politiche, di qualsiasi appartenenza siano.
La domanda a questo punto è: al di là delle valutazioni e necessità strategiche, la giunta Soru aveva un progetto culturale che potesse definirsi tale per lo Spettacolo in Sardegna?
Forse ho trovato una matassa di filo nuovo per le marionette, cercherò di riannodare i fili…
Questa vicenda dimostra cosa potrebbe succedere se avvenisse quello che un tale di Sanluri ha in mente. La replica di un film già visto, oltre che noiosa sarebbe molto controproducente. Anche se ho paura che lo scarico de L’Unità, a quanto si dice, a favore di Sardegna 24, serva proprio a questo.
Sono d’accordo con chi ha scritto che quell’esperienza è stata bocciata dai cittadini. Alla fine quella Giunta è stata criticata da quasi tutti i settori con cui ha avuto a che fare. La formazione, la gestione dei beni culturali, le esperienze culturali che ha citato Biolchini. In un primo momento, ha funzionato il meccanismo del capro espiatorio. Quelli non lavorano, gli altri rubano, ci sono posizioni di privilegio. Nè più nè meno come si sono mossi i Brunetta e i Sacconi. Una volta i giudici, un’altra gli insegnanti, sempre gli stranieri. Per un periodo funziona, quando non ci si accorge che si sostituisce un mondo immaginario alla realtà. Quando alla fine si fanno i conti sui risultati e la somma nonostante la propaganda non è positiva. Quando ci si accorge che non è possibile fare di tutta l’erba è un fascio e che la narrazione fatta da un leader non coglie l’immensa diversità e complessità delle situazioni. Non è un caso che la vicenda soriana si sia conclusa con un fortissimo antiitalianismo diffuso, con un rifiuto dei corpi istituzionali democratici (consiglio e corte costituzionale, oltre alle province e ai comuni) con un indipendetismo un po’ becero. Facile alla fine attribuire le colpe di tutto agli altri. Poi si perdono 100 mila voti in 5 anni, e la colpa anche qui è del voto disgiunto (cosa poi rimasta indimostrata in tutti gli studi elettorali).
Purtroppo la vicendanon è stata metabolizzata. Non me ne stupisco ogni cesarismo populista è incapace di autocritiche e di analizzare quello che succede. Spazza via i corpi intermedi, che in teoria sono quelli della riflessione, in mezzo tra governabilità e rappresentanza. Questo non ha permesso di creare un ricambio vero, ha bloccato tutto ai soru e ai controsoru, non ha permesso di salvare le tante cose positive che Consiglio (sì c’era anche il Consiglio in quei 5 anni) e Giunta avevano fatto.
Mi auguro che prossimamente ci sia la voglia di andare oltre. Superare i Soru e i Cabras, e provare a pensare un’alternativa concreta, partecipata e democratica.
A me l’idea che si possa fare politica alla mera insegna del taglio indiscriminato agli “sprechi” pare fortemente demagogica e da macelleria sociale, non a caso il signore sicuramente di destra che si firma Alessandro Sabatini mosta di apprezzare la politica soriana e mongiana sulla cultura da un’ottica di puro egoismo. Ha scritto bene Vito Biolchini di “demagogia alla Stella e Rizzo”, o direi meglio alla Fatto Quotidiano e Sardegna Democratica. Specie se il tutto viene attuato facendo di tutta l’erba un fascio. Per il resto sono d’accordo, il PD non può andare avanti con queste diatribe tra Soru “unico leader”, Cabras leader popolare nel partito ma meno nell’elettorato, Silvio Lai che non riesce manco morto ad essere un leader. Si deve pensare all’elaborazione di percorsi e progetti politici seri, che siano quello suggerito da Graziano Milia od altri, e costruire il “leader”, se proprio ne è necessario uno, partendo dalle progettualità che deve attuare. Ricordiamoci che Massimo Zedda, non conosciutissimo prima dalle grandi folle cagliaritane, non ha ottenuto i risultati che ha ottenuto solo perché giovane, carino e sostenuto da tanti giovani entusiasti, ma anche sulla base di una visione programmatica e progettuale molto chiara; quello che è mancato al PD che ha un gruppo dirigente onesto ma forse non sufficientemente autorevole a impedire che ogni tanto si percepiscano “note stonate”.
Secondo me Zunk l’analisi sulla proposta programmatica di Zedda, coincide più con le speranze con la realtà. Se uno si va a leggere il programma di Ora Tocca a noi trova 3 mezze righe molto deboli su ogni tema. Non è stato fatto prima un lavoro di approfondimento e di partecipazione prima. Visione progettuale era debole, o da costruire (decidi tu quale delle 2) e si sta già scontrando con i primi ostacoli. La costruzione della Giunta, la riduzione degli assessorati senza una base di riflessione certa, hanno reso le prime decisioni molto fragili. Si parla già di Giunta da cambiare e non è passato neanche un mese.
Anche lì purtroppo torniamo ai meccanismi del cesarismo/populismo, che producono soluzioni ben poco condivise.
Si ok Giulio in parte potresti avere anche ragione, la formazione della giunta e l’attribuzione delle deleghe potevano andare meglio e magari con un rapporto più sereno tra PD e SEL, ma per quanto tu possa considerarlo deboluccio alla base della candidatura Zedda c’è stato un progetto, anche se forse finora se ne sono visti gli accenni ed esso appare in larga misura in costruzione. Meglio che niente comunque, e in ogni caso quello che volevo dire è che se non c’è una base programmatica condivisa e forte abbiamo voglia a puntare tutto sugli “uomini della provvidenza” con tutte le loro possibili involuzioni; lo stiamo vedendo non tanto con Soru che fa la sfinge, quanto coi cosiddetti “soriani” che spesso, al cospetto del fatto che il popolo “non li capisce”; cadono in analisi che se non si conoscesse il retroterra politico-culturale da cui provengono parrebbero addirittura reazionarie e di destra. Su Massimo Zedda mi auguro che certe incertezze siano dovute soprattutto all’inesperienza, in fondo mai nella storia di Cagliari una persona così giovane e proveniente da una storia puramente di sinistra (senza prendere “taxi” come in passato magari quello dei Riformatori) assume una responsabilità tanto pesante, può capitare di dover rimodulare modo di comunicare, decisioni e anche “consigliori”.
Sulla giunta penso che un paio di componenti vadano restituiti ai loro mestieri essendo inutili se non dannosi, e un altro paio vadano quanto meno spostati di delega essendo del tutto fuori contesto … non è così campato per aria che lo stesso Zedda senta già la necessità di cambiare.
Credo che per molti versi la pensiamo allo stesso modo.
Sulla candidatura di Zedda ci vedo molto “uomo della provvidenza”, e non è un caso che sia stato Soru uno dei suoi appoggi. Sull’inesperienza non sono d’accordo. Uno che è in politica da 20 anni, che ha fatto 5 anni di Consiglio comunale, e 3 di di Regionale, che ha avuto ruoli importanti nel principale partito politico della sinistra sarda (i DS e prima i PDS e la loro organizzazione giovanile) non è inesperto. Ha 35 anni, solo in Italia è un giovane.
La Giunta se l’è scelta da solo, se siamo già allo scaricabarile siamo “a posto”. Ti devo dire che ho vissuto il tentativo di scegliere il presidente del cons. com. come l’ennesima invasione dell’uomo solo al comando, e una rottura di ogni seria divisione tra esecutivo e legislativo, come tante ce ne sono state in questi tristi anni.
Progetto? Improvvisato un mese prima delle primarie, costruito da nessuno (Sel in Sardegna e in Italia è un’entità vaga). Nessun tavolo programmatico, d’altronde con le primarie, decide sempre e solo l’eletto. Guarda Pisapia, non credo che i comitati si aspettassero Tabacci!
E’ ora che quando analizziamo un’esperienza non ci fermiamo all’ “uomo”. Andiamo oltre, e vediamo che meccanismi e ideologie l’hanno costruito. Capiremmo meglio cosa ci aspetta. Se hai un account FB, possiamo spostare il dibattito in un “ring” più consono. Saluto
Gesù che scandalo, addirittura un’antiitalianismo diffuso e un indipendentismo un po’ becero… che scandalo signora mia, non ci sono sos tzeraccos di una volta. Non c’è nemmeno bisogno di essere indipendentisti per giudicare ridicole e inefficienti la gran parte delle istituzioni italiane, basta farsi un viaggetto in qualche paese civile e vedere come funzionano le cose.
Questo non toglie che Soru abbia commesso numerosi errori, ma sono cose che capitano a chi prova a fare qualcosa e non a galleggiare. Il problema è che, a sentirlo parlare, ha imparato poco da quegli errori.
C’è chi rimpiange che non ci abbiano venduto all’Inghilterra…
Io continuo a rimpiangere Garibaldi, che si difese l’italianità della Sardegna. Ad ognuno il suo.
Sinceramente sos tzeraccos non cosa abbiano a che fare con il mio intervento. Credo che dovremmo abbandonare il lamentismo querulo, che troppe posizioni contraddistingue. Difendo la Repubblica dei partigiani e della Costituente. La trovo molto più avanti di tanti indipendentisti che guardano alla Sardegna nuragica.
Si, nei suoi sogni guardano alla Sardegna nuragica. Comunque noto che Lei difende cose vecchie di almeno 60 anni e passa, se non quelle di 150 anni fa. Nel frattempo il mondo al di fuori dell’Italia si è evoluto, per fortuna, con buona pace dei suoi rimpianti. Io il lamentismo querulo lo vedo in quelli che continuano a guardare all’Italia come fonte di salvezza e come unico riferimento.
Veramente vedo noi cittadini come fonte di salvezza dell’Italia, a prescindere che si sia napoletani, milanesi o cagliaritani.
O marsigliesi o javanesi o marziani, a questo punto :-))
Ha fatto benissimo Soru a tagliare la cultura. I soldi pubblici servono alle cose essenziali. Chi ama il teatro e il cinema se lo paghi lui, che le tasse le pago per ben altro.
Bravo, aggiungerei inoltre che la cultura non si mangia, come ha detto Tremonti, per cui se siete poveri non provate neanche a pretendere di poter avere cinema, teatro, libri, spettacoli, concerti, perchè non ve lo meritate.
I soldi pubblici servono al massimo a curarvi (ma anche su questo ci sarebbe da discutere) e a darvi una finta istruzione (che poi non serve a niente, perchè tanto al potere ci andiamo sempre e solo noi ricchi).
Se volete poter assistere ad eventi culturali, la prossima volta nascete ricchi!
I soldi pubblici servono alle esigenze pubbliche.
Anche la cultura è una esigenza collettiva e quindi pubblica -cose come identità collettiva, diritto di espressione e critica, coesione sociale-. Non solo la memoria culturale o il patrimonio artistico -musei etc.- ma anche la produzione di cultura viva -Teatro e cinema epittura e scultura etc.etc.-.
L’Italia è identificata infatti non dal suo triste presente ma tutta il suo retaggio storico/artistico, che costituisce il suo valore aggiunto più prezioso.
Ne è testimonianza il fatto che tutti prima o poi siamo passati in una Via Verdi o Puccini, studiato in qualche Scuola superiore Pirandello, che anche i nomi delle persone sono spesso quelli delle opere liriche o della letteratura.
Non dico che un discorso simile a quello di Alessandro non abbia nessun fondamento, solo che è un discorso perfettamente liberista, da estrema destra americana -anche negli USA ci sono infatti finanziamenti pubblici per le attività culturali ed artistiche, e il Tea Party li contesta-
Solo che allora la sola Istituzione culturale -perché è anche quello- lautamente finanziata da e con le nostre tasse sarebbe la Chiesa.
La prossima volta che sento parlare o vedo scrivere “immateriale” sparo nel mucchio, al centro, a destra o a sinistra che sia. Mezzogiorno di fuoco.
Povera la cultura….
Io però comincio ad essere veramente indignato per i commenti su Sardegna Democratica che insultano non solo il tenutario di questo blog facendo dietrologia sul perché abbia osato criticare Sua Maestà Maria Antonietta Mongiu (e indirettamente s’Imperadori Renato), ma anche tutti noi che commentiamo, trattandoci alla stregua di “collaboratori” cammellati.
Io non conosco Vito Biolchini. Abbiamo diversi amici in comune, soprattutto nel PD, ma non lo conosco personalmente. Sono approdato a questo blog per averlo scoperto per puro caso tramite Google, e l’ho trovato una bella palestra di confronto che rendeva possibile offrire contributi liberi. Ogni tanto Biolchini mi ha censurato qualche commento ma non ne ho mai fatto un dramma: evidentemente quanto scrivevo andava oltre le regole del diritto di critica cristallizzate dalla Cassazione, e a volte capita anche a chi ne sa di diritto di farlo. Sono stato un soriano accanito, ai limiti del fanatismo, ma come è ben noto i fanatici sono anche quelli meno informati (come certi “cattolici” che non conoscono i Vangeli), e leggendo e informandosi chi ha la presunzione di considerarsi uno spirito libero qualcosa impara. Forse, constatando quali metodi e metri di giudizio usano i commentatori di Sardegna Democratica (ovviamente loro sono tutti spiriti liberi, siamo noi quelli “cammellati” …) ci ho trovato qualche ragione in più per non andare più dietro a questa gente. Dicevano che Soru era cambiato, purtroppo non era vero niente: la forma mentis dei suoi, a parte qualcuno di maggior levatura politica e intellettuale come Massimo Dadea, resta quella di criminalizzare il dissenso, di difendere a spada tratta contro ogni evidenza tutte le attività e le iniziative della passata amministrazione (magari giustificando puntualmente il riscontro elettorale negativo col fatto che gli elettori “non hanno capito”, o sono legati a vecchi sistemi clientelari, o magari che Antonello Cabras ha fatto campagna per Cappellacci), e abbiamo ormai compreso ampiamente che lo strombazzato endorsement a Massimo Zedda serviva a rinverdire l’immagine di Soru, non certo a trainare Zedda, che si è ampiamente trainato da solo (magari il PD, come sostiene qualcuno, non si sarà impegnato oltremisura, ma non ho notizie ne prove di qualcuno che abbia fatto il “fuoco amico” contro Zedda) … e per quel poco che so, lo scatto di reni di Zedda al secondo turno, specie in zone come Is Mirrionis, Sant’Elia e Pirri, è dovuto casomai allo spontaneo automobilitarsi di personaggi indipendenti, più o meno di area PD o SEL ma da tempo lontani dalla politica attiva, che non volevano far perdere alla città, e magari a sé stessi per realizzare qualche sogno di gioventù, questa straordinaria opportunità.
Mi spiace, ma Soru c’entra davvero poco o niente. E lasciatevelo dire, cari “soriani”: i metodi a cui fate ricorso, anche nell’azione in Consiglio regionale, sono il miglior viatico per la sopravvivenza del centrodestra e di Cappellacci …. un po’ di umiltà mannaggia, e finiamola con questa storia che chiunque avanzi una critica è un nemico, magari parte del solito complotto di massoni, alieni e l’immancabile Cabras, o un prezzolato. RISPETTO please!
Da dromedario quale sono e fui concordo su tutta la linea. Certi commenti sono incommentabili, e questo è il mio commento.
Ecco, appunto, utilizzi modi più urbani
Chi?
Concordo anch’io in tutto. Anche sulla parte del PD. Io Biolchini lo conosco perchè seguo la trasmissione che tiene la mattina con Elio Arthemalle, Buon giorno Cagliari, di cui sono uno dei “fauni portatori di sarfatta” (il buon Claudio “Pingu” Biolchini mi accoglie sempre con l’inno sovietico), per il resto ci accomuna esclusivamente l’iscrizione all’associazione partigiana ANPI. A volte sono d’accordo con lui, altre volte no, ma è una voce libera e se sbaglia, lo fa per conto suo e non per conto terzi. E questo, per la stampa nazionale e isolana, è già moltissimo.
Certo, è molto più comodo bloccare i commenti, come Sardegna Democratica sta facendo da due giorni, forse perchè anche in una sede così ovattata iniziano ad arrivare critiche in misura superiore ai peana dei supporter e in genere alla (bassa) soglia fisiologicamente accettata. Quindi è molto più comodo censurarle: sono democratico, decido io! Qui il dibattito continua, perchè evidentemente la materia c’è, con buona pace di tutti coloro che pur di difendere i loro beniamini/e politici/he si inventano difese di interessi particolari che scarsamente sussistono di fronte ai fatti (sai i capitali che si tiran su occupandosi di editoria, cinema o storia!…).
Comunque, rispetto a certi melensissimi e ipocritissimi commenti di parte “democratica”, arrivo a preferire le uscite francamente reazionarie di chi invita gli amanti di teatro e spettacolo a pagarsi da soli le loro passioni. Spero che tanto burbere dichiarazioni valgano anche per altri campi di interesse (calcio e sport spettacolo in genere, televisioni, grandi eventi) che denari pubblici ne pappano molto di più; o forse le tasse spese per costruire stadi da centinaia di migliaia di posti, o portare soubrette a cantare nel Largo la sera del 31 dicembre, sono spese per qualche Santa Causa?…
Ci sarebbe ancora da dire che qui ben poco si sta parlando di “spettacolo” (nn mi pare che l’Associazione Editori Sardi e l’ISSRA si occupassero di cose del genere) e che la “cultura” è un’altra cosa e di ben altra valenza, ma vale la pena di doverle pure spiegare, queste cose? Quando poi non le capisce neanche chi è chiamato a governare la cultura in Regione (e non solo… vogliamo parlare delle politiche culturali di alcuni grandi Comuni sardi ?) e tra l’altro, di suo, non fa nemmeno il sensale di bestiame, o l’avvocato di provincia…
Toh guarda caso mi hanno censurato un commento dove insinuavo la preoccupazione che da quelle parti si stesse adoperando il “metodo Boffo” nei confronti di Vito Biolchini … una bella differenza rispetto a questo blog dove vengono pubblicate anche le critiche più feroci o più insistenti, come quelle quasi ad personam di Mauro Peppino “Succiabrebei”, e quasi quasi perfino gli insulti al tenutario del blog. Mi pare che Sardegna Democratica abbia molto da imparare in fatto di democrazia, non solo da Vito Biolchini, ma anche da Rosarossa dove pure le critiche feroci contro Antonello Cabras (che, per quanto il sito sia essenzialmente pluralista, è comunque nel comitato di redazione assieme a Spissu e al riformista ex DS Vannino Chiti) trovano spazio.
Caro Zunk. Anche in questo sito si censura. Parlo per esperienza personale. Anche Vito avrà i suoi criteri e le sue motivazioni.
Certo. I post violenti e volgari sulla Mongiu, ad esempio, non li ho pubblicati.
Il mio non era violento, al limite ironico/sarcastico. Comunque è ovvio che essere censurati fa parte del gioco. Mi piace il fatto che si tenti di fare il punto sull’operato della giunta soru e su quello dei suoi assessori.
A me è sempre stato pubblicato quasi tutto, le sole eccezioni mi pare riguardassero post dove sparlavo di alcuni giornalisti, e comprendo che un tenutario di blog che è al contempo giornalista debba fare i conti con la deontologia professionale in questi casi (magari a me che non sono giornalista non me ne poteva fregà de meno, lui forse si sarebbe esposto a figure alla AntonDiavolo Liori). E poi un altro post dietrologico forse non abbastanza accurato da essere a prova di querela. Se pensassi che qui ci sia censura, tranquillo che me ne sarei andato da tempo …
Forse è il termine censura ad essere un po’ forte.
Gli effetti della politica culturale della giunta Soru sono ben visibili, ancora oggi: mortificanti, avvilenti e inefficaci. Chi siede negli uffici di qualunque assessorato non può dimenticarsi che deve operare per IL BENE COMUNE. Il risultato di quegli anni, per carità buono per certi versi ma pessimo per altri, è ben sintetizzato anche in questo blog. Cosa è rimasto, quale eredità, oggi possiamo raccogliere: alzi la mano chi può dirsi, tra gli operatori culturali, soddisfatto del quinquennio oggetto di questa discussione. A distanza di tempo, ormai quasi tre anni, mi sarei aspettato una analisi con un puntino di autocritica, anche e sopratutto, di chi era preposto a fare politica culturale, e non a decidere cosa fare con tono discriminatorio e teso semmai a valorizzare solamente le cosiddette o presunte “eccellenze” della cultura (parola, questa, tra le più orribili in circolazione).
Il politico deve tracciare una linea guida, non deve intervenire con sue personali scelte “illuminate” alle quali, non si capisce bene perché, gli operatori dovrebbero ubbidire ciecamente.
Se ben ricordo poco prima delle ultime elezioni regionali, ci si incontrò, tra i diversi operatori della scena culturale cittadina, per discutere quale progetto culturale presentare al futuro assessore alla cultura, e quali errori si sarebbero dovuti assolutamente evitare, a cominciare da una gestione, come quella che avevamo appena vissuto, calata dall’alto senza utilizzare la preziosa esperienza di chi opera da anni o decenni nel vasto e complesso settore della cultura. L’esperienza dell’assessorato Mongiu ci trovava, pur nella diversità di ruoli, tutti concordi nel manifestare un grande malessere, dovuto, prima ancora che ai tagli spesso indiscriminati, ad un atteggiamento generalizzato di spocchia e di diffidenza nei confronti di tutti indiscriminatamente, escluso pochissimi “privilegiati”.
A proposito di Editoria: la legge assistenzale per l’editoria sarda, la n. 35, risalente agli anni ’50, è stata superata egregiamente dalla legge n. 22 del 1998. Ebbene, tale legge è stata svuotata del suo significato vero che è ancora legittimo: sostegno alle imprese editoriali e quindi alla crescita culturale della Sardegna, non mero assistenzialismo.
Più nello specifico, in merito alle affermazioni della Mongiu su questo blog, mi preme sottolineare che la giacenza di migliaia di volumi nei magazzini della Regione rappresenta per gli editori non certo un obiettivo auspicato, ma più volte denunciato: il risultato di una grave inefficienza della regione stessa, che in tal modo non ha perseguito le finalità della legge 22: la Regione acquista dei volumi, per distribuirli poi in tutti i luoghi deputati alla istruzione e alla diffusione della cultura.
Per ciò che riguarda le fiere, il contributo della regione alla partecipazione è stato sempre parziale, ed inoltre i libri presenti nelle varie iniziative, al contrario di quanto affermato dall’assessore Mongiu, non “sono stati pubblicati a spese della regione” se non in casi limitatissimi.
Gent. Giovv, non ho la pretesa di parlare a nome degli altri operatori e non sono un tuttologo. C’è un tempo per tutto: c’è un tempo per raccontare e mettere in gioco la propria esperienza e c’è un tempo per i progetti di ampio respiro, per esercitare lo sguardo su orizzonti più ampi. Lei ha ragione: il blog non è la realtà, ma non mi è mai passato in mente di considerarlo tale e non credevo con il mio intervento di far passare tale convinzione. Io credo peraltro che in ogni parola, anche quando questa racconta il momento più intimo e personale, quello che sfugge al valore collettivo, comunitario… ebbene anche in questi casi è possibile cogliere dei segnali, dei momenti che spingono la nostra lettura su contesti più ampi. E’ vero: io ho raccontato episodi, momenti di una storia che è anche personale, che è la mia esperienza di operatore. Ma in questa storia c’è qualcosa di più: io parlavo anche di un modello, di un modo di sentire e avvertire la portata democratica, civile, di un’esperienza parziale, che è poi il modello di formazione della Umanitaria in Sardegna. E’ parte della nostra consapevolezza pensare al nostro lavoro quotidiano e parziale come a un lavoro che lascia tracce e segna la vita di decine, centinaia, migliaia di persone che sono compagni di strada per un verso e cooperanti della contemporaneità, pezzi di una storia più complessa e ampia. Lei ha ragione nel porre la questione, ma non dimentichiamo per questo che il nostro essere dentro la storia muove sempre dal nostro esserci in questa parte di storia che siamo. Sulla iniziativa di Paolo Fresu non so che dirle: se fossi stato coinvolto avrei partecipato e avrei fatto volentieri la mia parte. Probabilmente l’iniziativa di Paolo fresu, che stimo e apprezzo, non era partita con il piede giusto e non sono stati fatti i passi necessari. Quello che ho imparato in questi miei trent’anni di lavoro culturale e che ogni tentativo di costruire un fronte comune comporta un lavoro faticoso che si costruisce con il tempo e con la fatica, però fuori dalle logiche dei gruppi precostituiti. E’ un lavoro difficile, ma vale sempre la pensa di tentare, anche quando siamo convinti che non produca i risultati sperati. Era accaduto così anche per il coordinamento degli operatori del cinema. La Cineteca sarda aveva generato il punto di partenza, il coordinamento si è poi costituito e ha proceduto autonomamente rispetto alle singole componenti, dopo anni di lavoro sono stati creati i presupposti perché le forze politiche in Regione facessero maturare quegli sforzi, grazie anche anche alla preziosa attività di Giovanna Cerina. Peccato che le logiche della “cattiva” politica (gli interessi di parte e l’incapacità di guardare al di là del proprio naso di tanti protagonisti) abbiano preso il sopravvento e la legge che ne è venuta fuori sia un esempio magistrale di sciatteria legislativa, di inconsistenza culturale e di impraticabilità burocratica. Ne valeva la pena? A vedere i risultati verrebbe da dire di no, ma se penso al lavoro di collaborazione, di confronto prezioso tra operatori, che è comunque anche quello un risultato conseguito, io direi che ne valeva la pena.
Volevo solo raccontare un inciso, un breve aneddoto per far capire quanto siano importanti i luoghi della cultura (per dirla con un’espressione oggi di moda…), soprattutto al di là di mere necessità di bilanci… Era il 2005 e grazie all’amico Walter, noi giornalisti precari iniziammo a riunirci nelle stanze dell’Issra (Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia), in via Lanusei a Cagliari. Arrivavamo alla spicciolata (mi ricordo, oltre a Walter e a Vito, Bruno, Francesca, Fabrizio, Michele e altri), spesso nel tardo pomeriggio, “apparecchiavamo” con le sedie e iniziavamo a discutere delle tante storture del nostro mestiere, soprattutto delle allucinanti condizioni di lavoro che i collaboratori erano (e sono…) costretti a subire per vedersi pubblicare un pezzo da 10 euro (lordi) che poi riempie tv, agenzie, web e quotidiani sardi. Tra proposte e speranze, tra utopie e la dura realtà, tra “sciollori” e furtive letture dei titoli della biblioteca dell’Issra, proprio di fronte alla scrivania di Lussu nacque il Comitato precari che riuscì anche a far eleggere un proprio consigliere nell’Ordine dei giornalisti della Sardegna. Bei tempi, quelli. Ti ricordi, Vito?
Daniele, con una certa apprensione or ti chiedo: che fine ha fatto il tavolo di Lussu?
Sarà stato fagocitato dalla burockrazia o giace immobile nella sua solenne imponenza all’interno delle accoglienti stanze di via Logudoro?
Mi scuso con i lettori del blog e con Vito se non ho risposto subito, ma ho passato tutto i tempo di ieri e oggi al bancomat per succhiare, in conto Umanitaria, dalle casse della Regione. Ma che tristezza leggere l’intervento della ex Mongiu. Che tristezza! Perché ha proprio ragione Mario Argiolas: la tristezza nasce dal constatare che qualche anno di scolastica presenza nelle stanze dei bottoni non hanno fatto formazione e non hanno fatto crescere in cultura politica. La reticenza è il risvolto di una medaglia che sulla faccia principale ci mostra molte macerie. Ho sempre sostenuto che l’azione della giunta Soru, e soprattutto del suo “megafono assessoriano”, nel campo delle politiche culturali, sia stato devastante. Questa convizione è confermata da quanto ho letto su Sardegna Democratica. L’intervento editoriale di Vito Biolchini, nella sua estrema sintesi dice le cose come stanno e soprattutto scrive quello che molti pensano. E Aldo Borghesi mette al centro un punto cruciale. Io penso che la incapacità di ascoltare, di confrontarsi con i soggetti che hanno mantenuto alto il livello qualitativo dell’offerta culturale in Sardegna, sia stato il segno distintivo dell’azione della giunta Soru. In quegli anni ho cercato di incontrare il presidente per spiegargli cos’è l’Umanitaria in Sardegna, come ci muoviamo e come operiamo noi operatori sardi. Mi sembrava giusto ascoltare anche gli operatori della Cineteca, visto che si discuteva del suo destino. Non ci sono mai riuscito. E lui probabilmente era soddisfatto delle informazioni che altri, i suoi fattorini, gli recapitavano. Sono stato invece una volta convocato in Giunta, dove ho subito un interrogatorio – la parola è questa – che sembrava uno scherzo, ma che nei modi mi ricordava i commissariati di alcuni film polizieschi: quando ho cercato di articolare una risposta più lunga alla domanda avanzata dal presidente, mi è stato chiesto e imposto di rispondere solo alle domande che mi venivano fatte e di non aggiungere altro. Le domande erano: quanti lavorano in Cineteca? Quali sono i loro nomi? Dove si trova la Cineteca? Sono tutte domande dal grande profilo politico (a cui l’assessore forse non era stata in grado di rispondere), ma che creavano il clima giusto per la domanda cruciale: quanti soldi vi diamo? A questo punto… Apriti cielo! Quando ho risposto la cifra “da capogiro” – 200mila euro all’anno – Soru ha reagito con una smorfia che simulava un finto sobbalzo sulla sedia per la sberla data da una cifra addirittura a 5 zeri. Mi sono chiesto: ma dove sono capitato? La riunione di Giunta mi sembrava una classe di scuola elementare, con gli scolari tutti zitti e obbedienti. Solo Soru parlava: nessuno ha interrotto il maestro, fosse anche per dire: ma sentiamo se Zanda ha altro da dire, se vuole articolare la risposta! Niente. E poi la Mongiu ha il coraggio di scrivere che siamo succedanei a Milano! Non sa di cosa parla e soprattuto non conosce le regole del confronto democratico! Non sa di cosa parla nemmeno quando cita Fabio Masala. Perché se è vero come è vero che l’ha conosciuto, certamente da lui non ha imparato niente. Soprattutto non ha imparato una cosa: Fabio ascoltava e quanto l’altro parlava aveva il massimo rispetto, perché nel frattempo non era impegnato a pensare altre cose da “declamare” e a bearsi delle parole che aveva appena pronunciato. L’ex assessore Mongiu non sa di cosa sta parlando quando dice sostanzialmente che gli operatori dell’Umanitaria di Cagliari sono “proni” a Milano! Non sa di cosa sta parlando perché non sa leggere la realtà e non vede con i propri occhi, ma con occhi altrui. Perché a lei, come a Soru, piacciono solo gli yesmen. Che l’Umanitaria di Cagliari non sia succedanea della Sede di Milano lo dimostrano i fatti: le nostre relazioni, le nostre attività, il nostro lavoro, i nostri bilanci sono sotto gli occhi di tutti. Capisco che la Mongiu non avesse tempo per leggere le relazioni, ma era chiaro allora che la posizione della giunta Soru – e quindi del suo megafono – era ideologica, votata a un programma fantasioso che non poggiava sull’esistente, ma solo sul trionfo dell’uso discrezionale del potere e quindi dei soldi pubblici. Chiedetevi perché la legge sul cinema non ha mai funzionato. Perché nonostante la legge qualche regista ha ricevuto dei soldi e altri no. Per colpa degli operatori? NO! Semplicemente perché chi l’ha scritta era incapace di elaborare una legge vera e soprattutto era ossessionato dalla voglia di mettere paletti, di trasformare in corsa ad ostacoli qualunque richiesta di finanziamento, qualunque proposta culturale che non fosse prodotta dalla loro testa. Per esempio: mentre la legge sul cinema non riusciva a finanziare nemmeno un cortometraggio, noi (sempre con soldi della Regione, ma senza violare l’inaccessibilità delal legge) con due concorsi ne abbiamo fatto realizzare dodici. Ma certo: questo per loro non conta. Noi nel frattempo, oltre a far realizzare film, abbiamo continuato a lavorare ad alcuni restauri. Con altri soldi della Regione, sembra accusare la Mongiu. Non sarà che con quella cifra stratosferica di 200mila euro dovevamo anche restaurare film? Cerchiamo di essere chiari, una volta per tutte, come lo sono stato la sera che alla Sala Cosseddu è stato organizzato un incontro in cui l’arroganza della Mongiu ha fatto sfoggio di sé. Il Centro di Cagliari ha avuto quell’anno un finanziamento di 200mila euro a fronte di uscite fisse (costi di gestione) di circa 230mila euro. Questo significa che la Regione, che finanziava i Centri, non garantiva nemmeno la nostra sopravvivenza. Non sto dicendo: la nostra attività. Parlo della sussistenza. In quell’incontro avevo chiesto all’assessore di tenere conto almeno di questo: sarebbero bastati 30mila euro in più per quell’anno (ne erano stati spesi più di 500mila per organizzare quattro giorni di Festarch) affinché io non fossi costretto a sbattermi un intero anno per arrivare al pareggio del bilancio. Invece dopo due mesi l’assessore ci confermò il finanziamento di 200mila, segno evidente che ci volevano strangolare. Quello che la Mongiu non sa perché quando gliel’ho detto lei stava pensando a quello che mi doveva dire dopo, è che quando io non sono riuscito a pareggiare il bilancio è stata l’Umanitaria di Milano a mettere di suo per pareggiare. Non solo: dimentica (o meglio non vuole sapere, perché lei non legge le relazioni) che l’Umanitaria ha messo soldi suoi in alcuni restauri. E non sa che la Regione non ha sempre pagato completamente alcuni restauri (i costi di restauro dei due corti di De Seta sono stati condivisi con la Cineteca di Bologna). Queste cose non le sanno perché sono ignoranti e non hanno la testa per farle. Quando abbiamo restaurato “L’ultimo pugno di terra”, il giorno dopo la proiezione al Cineworld, volevano bruciarlo per sempre inserendolo nella Digital Library. Noi glielo abbiamo impedito, abbiamo impedito questo scellerata concezione della cultura audiovisiva che avrebbe fatto rivoltare anche Fiorenzo Serra. A proposito: su questa grande turlupinatura della Digital Library (che in sé è auspicabile, ma data a mani che sanno valorizzare il mezzo) ci sarebbe da scrivere. Per tornare a noi: quando abbiamo detto alla Regione che il film di Fiorenzo Serra era giusto farlo vedere in tutta la Sardegna nella sua bellezza cinematografica e poi, successivamente, inserirlo nella Digital Library, l’assessore e il presidente, che invece di svolgere un ruolo politico culturale era impegnati a fare gli operatori culturali, se la sono legata al dito. Allora le minacce sono state più esplicite. Non giri di parole e/o messaggi ambigui e/o avvertimenti. No: papale papale “vi chiudiamo il rubinetto” (sono loro ad aver la concezione del bancomat). Così è nata la petizione per non far chiudere la Cineteca Sarda, è sono stati chiamati a sostenerci migliaia di persone, amici e vicini, che avevano capito tutto. E tra questi c’erano De Seta, Lizzani, Gregoretti, Maselli, Guerra, Calopresti e altri. Ci siamo impegnati affinché non si chiudesse una storia, che non è solo un magazzino, come il megafono assessoriano scrive offendendo Fabio Masala per primo e tutti quelli che hanno lavorato e creduto in questo lavoro; per non chiudere un modo di essere presenti nel territorio e nella formazione culturale dei sardi (che è partecipazione, coinvolgimento, discussione, crescita) che è ancora valido oggi. Ed è ancor più valido oggi che ci sono strumenti complessi come la Digital Library che se non sei capace di gestirli ti ritrovi a distruggere una cultura audiovisiva. Con grande dispiacere della Mongiu: l’Umanitaria è oggi ancora un modello di crescita e di formazione per i sardi. Per capirlo deve smetterla di guardarsi allo specchio e provare ad ascoltare chi frequenta il nostro Centro, conoscere il nostro lavoro e vedere la soffisfazione delle migliaia di persone che seguono il nostro lavoro. La Cineteca Sarda di Cagliari è capace di conservare i film nel migliore dei modi consentiti a chi non ha cellari e soprattutto a chi gode di un finanziamento stellare di 200mila euro. Ricordiamo a tutti: in Italia i cellari per la conservazione delle pellicole ci sono solo a Roma, presso la Cineteca nazionale, e da pochi anni anche a Gemona, grazie ad un grosso investimento di Illy (che fortunatamente non era circondato da consulenti ignoranti). Le altre cineteche italiane non hanno cellari. Ma anche questo discorso è veramente impostato male. Vale la pena di ricordare che da vent’anni chiediamo alla Regione (presidenti, assessori e funzionari di turno e no) di assegnarci uno spazio alternativo, che soprattutto non ci costringesse a spendere soldi pubblici per un affitto che ci tagliava le gambe. Detto, ripetuto, gridato, scritto, sottolineato, ma inutilmente. La Giunta Soru non è stata da meno in questa indifferenza. Soru aveva un progetto di cineteca non pensato nella sua complessa articolazione perché non conosceva l’esistente. Non solo: il presidente invitato più volte a vedere lo spazio in cui noi stavamo e il nostro modo di lavorare non è mai venuto a trovarci. Pertanto, belle parole: Centro di Restauro (restauratori sardi? E dove sono? I restauratori devono essere soprattutto bravi, poi se sono sardi bene), Centro di documentazione, Laboratori, Rassegne, sale. E chi non è d’accordo? Ma sappiamo veramente cosa vuol dire fare tutto questo e quanti soldi sono necessari? Sono tanti. Ma non è questo che veramente conta: quello che conta è una politica culturale che sappia valorizzare le risorse che già ci sono, che sappia puntare sulle sue competenze e sappia far crescere questo mondo cinematografico in grande fermento da tanti anni. Forse io non sarò il migliore dei direttori dell’Umanitaria, ma non mi aspetto che su questo pontifichi né Soru né la Mongiu, che nel loro progetto hanno fallito e gli elettori li hanno giustamente mandati a casa. Mi aspetto che me lo dicano i risultati che riusciamo a conseguire, quelli che sono davanti agli occhi di tutti. Il lavoro straordinario che stiamo facendo adesso (con i progetti di Archivio del Cinema di famiglia, i concorsi, i restauri in cantiere, il Babel film Festival, ecc.), si muove in questa direzione. E con buona pace del megafono assessoriano: i progetti li decidiamo noi sardi, noi operatori, cercando sempre una sponda nella Regione (che però è sempre rimasta inerte davanti alle richieste di programmazione congiunta), senza nessuna – nessuna – ingerenza di altri (semmai abbiamo avuto ingerenze personalistiche dai politici che volevano fare gli operatori culturali e confondevano i due ruoli). E ancora più disdicevole: tutto il finanziamento regionale viene speso in Sardegna per i progetti della Società Umanitaria – Cineteca Sarda. Per il futuro mi auguro che la fondazione “Cineteca regionale sarda” ancora in cantiere si faccia (lo statuto attende ancora il passaggio in giunta). Lo si farà con “noi” sardi e non “nonostante” noi sardi. Perché in questo senso si è mossa, sbagliando su tutta la linea, la precedente amministrazione. Meglio ieri o meglio oggi? Se questa amministrazione riuscirà a mettere ordine in questo settore, a raggiungere gli obiettivi per ora solo accennati in legge e a far funzionare l’assessorato nella direzione di un coinvolgimento dei sardi, su questo non ho dubbi: meglio oggi. Noi della Società Umanitaria e della Cineteca sarda lavoriamo meglio oggi perché l’attuale amministrazione ci sta mettendo nelle condizioni di lavorare e di progettare meglio rispetto alla precedente. Ma sull’operato di un’amministrazione bisogna vedere anche tutto il resto. Noi siamo solo una piccola parte della nostra storia.
Una delle norme elementari di un dialogo consiste nel fatto che uno parla e l’altro ascolta, poi chi parlava tace, così l’altro parla e l’altro, quello che parlava, ascolta. Sennò non è un dialogo.
E questo elementare modo di comunicare tra esseri della stessa specie – lo fanno anche molti insetti – è fondamentale per la sopravvivenza della stessa specie.
Lei ha ragione, signor Zanda, e si è ripreso tutto in una volta lo spazio che le hanno preso e che i blog – per questo sono interessanti – concedono con facilità.
Però ho un obiezione.
Quando Paolo Fresu, dotato anche lui di un Ego sviluppato, ha tentato di riunire i cosiddetti operatori della cultura è stato un fallimento.
Sì, Soru è stato un maleducato, l’assessore pure, ma gli “operatori” hanno continuato a parlare solo di sé. Esattamente come lei ha fatto ora. I ballerini hanno parlato del ballo come centro dell’universo, i treatranti di teatro come motore del mondo ecc. ecc.
In questo modo possono mutare gli assessori, ma gli “operatori” restano deboli e, scusi il termine, schiavi.
Una cosa sono i blog, un’altra la realtà. Convincersi che la realtà è in queste pagine è un errore pericoloso.
Chiedo perdono, ma non riesco a tacere.
Ho letto i commenti sul blog di Sardegna democratica. Molto simpatico uno che, sottolineando di essere un contribuente facoltoso -oltre il 50% di tasse sui suoi onesti guadagni- sa di tutto, e sprezza i professorini -praticamente degli scrocconi- degli inutili Istituti che producono cultura in Sardegna.
Se questa è la “borghesia illuminata” che sostiene gli argomenti della fu-assessore siamo a cavallo. Davvero meglio quella ottenebrata.
Leggo anche l’intervento di Zanda e mi chiedo davvero: ma come si sono permessi, e come si permettono di difendere questo modo di procedere?
Le componenti del mondo della cultura agiscono – come qualunque altro attore della Società – attraverso episodi economici. Si ha un bel distinguere struttura da sovrastruttura; nei fatti – soprattutto in un Paese come il nostro – economia e cultura si intrecciano, sia che si tratti di scuola, che di territorio, che di beni culturali. Materiale e immateriale sono un allegro tuttuno, e neanche facile da decifrare.
Nel caso della cultura, come in quello della sanità, o quello della giustizia, etc. etc., emergono frequentemente alcuni fattori diseconomici: bisogna impiegare risorse per un vecchio o – visto che non bastano mai – mollarlo al suo destino e investire sul futuro di un giovane? bisogna celebrare un processo che sappiamo già finire nel niente, o concentrarsi su reati più “pesanti” rendendoli effettivamente perseguibili? conviene vincolare anche i paracarri, o bisogna scegliere cose da tutelare veramente, anche in modo attivo?
A questo punto, scattano gli imperativi categorici: non si tratta di giurisdizione, ma di giustizia, chiunque ha diritto alla propria salute, su quel paracarro si è seduto Garibaldi.
Benissimo: tanti scarrafoni, tante mamme.
Non vorrei mai dover dire la mia su una domanda del tipo: “salvo la madre o il bambino?”; certo però, questa domanda ci viene spesso posta, ma facciamo finta di non sentirla. Ogni volta che si parla di “Enti inutili”, possiamo facilmente pensare che qualcuno li abbia considerati – un tempo – utili. Come i busti del Duce, di Stalin e di Mao.
Ogni volta che vedo qualche soldo speso per salvare cose che altrimenti andrebbero distrutte, mi si apre il cuore. Vorrei poter conservare tutto: sono fatto così, non posso farci niente. Mia moglie mi deve buttare le cose di nascosto, per non farmi soffrire. E’ l’eutanasia della memoria. Eppure – lo so – il mio atteggiamento non è razionale. Perchè è emotivo.
Ecco, quando sulla cultura si deve fare un bilancio, anche economico, bisogna dare un capitolo alle emozioni. E a quello che consente che alcune emozioni siano ancora partecipabili, magari attraverso un giornale ingiallito o una pellicola restaurata.
Niente di quei documenti fisici è eterno: tutto si corrompe, e torna nel nulla, come noi; ma quelle nostre cose – come noi – sono segnate da quel dito che sfiorando la polvere, ha trasformato tutto in emozioni e memoria. Un’altra vita?
vito, lasciando da parte le tue sacrosante osservazioni su alcune brutture nell’approccio alle politiche culturali della precedente giunta, io ti ringrazio perchè i commenti sul sito di Sardegna democratica sono esilaranti. Voglio dare l’esame di biolchimica!
O Banana a quando una striscia sull’Istituto Biolchimico Sardo? Ahahahahah … la realtà di Sardegna Democratica supera la satira …
L’intervento di Aldo, in questo interessante confronto, dimostra ancora una volta che la cultura pesa, e, come le parole scritte, sta lì a testimoniare ciò che non può essere negato. E all’elenco già cospicuo di eventi dell’Issra da lui citato, mi piace ricordare il convegno sul Sessantotto organizzato con due lire da un gruppo di ragazzi amici dell’Istituto (eravamo davvero giovani nel 1998). La Menzogna della razza, con un cartellone di iniziative che durava un mese (era il 1996), le innumerevoli giornate della Memoria e i dibattiti con personaggi del calibro di Carlo Ginsburg, Enzo Collotti, Stefano Levi della Torre, Pupa Garribba… Al di là delle accuse di autoreferenzialità (doctum doces, è vero, ma nel silenzio assoluto un ronzio diventa frana…), qui si apre un dibattito onesto e senza censura (ho ringraziato personalmente, e ora pubblicamente, l’amico Vito, per aver sollevato questo coperchio). A questo punto mi interessa rimarcare (dopo il post di ieri) il tentativo da parte dall’ex assessore Mongiu di rappresentare uno scenario, a mio avviso, piuttosto parziale. Sui soldi non spesi e sul dipendente part-time ha già detto Aldo. Premesso che nulla di personale mi porta a esprimere giudizi sull’operato dell’ex assessore, manifesto invece le mie perplessità in relazione a queste parole del suo intervento: “Vero è che negli ultimi due anni sono fiorite associazioni e fondazioni rientrate nuovamente nella Legge Finanziaria, alla faccia dell’art. 20 della LR14. Prevale su connotu con associazioni, istituti, fondazioni in capo a questo o quell’assessore o gruppo o consigliere regionale. Nessuno ha voluto adottare quell’Istituto”. Spiace molto leggere una simile dichiarazione. L’Issra per definizione si è sempre proposto come istituzione autonoma e indipendente (come ho già detto) e in virtù di questo non ha mai voluto accettare vincoli, onori ed oneri di “appartenenza”. Come si evince dalle parole della professoressa Mongiu, invece, una concausa negativa della fine dell’Issra sarebbe legata anche alla mancanza di padrini politici. Se riconosciamo che l’adozione a distanza da parte di un consigliere regionale può cambiare le regole del gioco, non parliamo più di cultura e il tutto suona anche come una provocazione. E aggiungo: dato che la politica spesso si ammanta del “tutto è puro per i puri”, allora mi devono spiegare perché molti consiglieri che hanno votato la LR 14 oggi, in dispregio della stessa norma, sponsorizzano questa o quella associazione? In proposito, chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Mi permetto di aggiungere che la pratica di riservare trattamenti privilegiati ad enti istituti e associazioni “adottate”, cui la Regione si è attenuta zitta zitta anche ai tempi del giacobinismo moralizzatore caro a certa tifoseria politica, la si potrebbe definire molto democristiana; se questo non suonasse ingiustamente offensivo nei confronti di una pratica di governo che aveva almeno due pregi: capacità di ascoltare tutti, salva poi la possibilità di dire no (ben altra cosa rispetto alla adamantina intangibilità di certe amministrazioni cosiddette di centrosinistra, non solo quella di Soru); correttezza istituzionale (per esempio, convocazione dei soggetti interessati prima di assumere una decisione; e torniamo al tema dell’ascolto…): tutte cose ben lontane, in Regione e altrove, dalla prassi di governo di quanti si sentono portatori di verità e in quanto tali svincolati dal dovere di confrontarsi con chicchessia. Sia chiaro che utilizzo la qualifica di “democristiano” in senso tutt’altro che elogiativo.
Ed aspetto sempre una risposta, nel merito e nei numeri…
Caro Vito, guarda che non è solo Maria Assessorietta Mongiu che ti vuole bene. Ti voglio bene anche io, nonostante quel duello sull’Anfiteatro da smontare. I tuoi tre esempi calzano a pennello eppure a scalpello. Calza anche il fatto che l’ultima giunta culturale regionale di sinistra sia stata un’occasione persa, a più riprese, sulla questione culturale sarda. Una questione insulare e molto spesso provinciale e arenata in certe secche immobilizzanti. Aggiungo un esempio compresivo di “esipodio”. Quando la Ex Manifattura passò al demanio regionale e cittadino, io Arteologo medesimo con Ornella D’Agostino e Carovana e con altri gruppi di azione contemporanea, proponemmo all’ala culturale della giunta di allestire un’azione dimostrativa e artistica tra le mura di quella Manifattura. Le porte rimasero chiuse. No interplay. No interaction. Quelle stesse porte si aprirono in pompa magna per accogliere a braccia e a mura aperte il Fest Arch. Confesso che rimanemmo tutti con due o tre palmi di naso e non solo. L’energia contemporaneizzante dei gruppi di ricerca resta imbottigliata come neuroni in formalina da esporre in qualche nuovo e inutile museo. Nessuna linea guida e partecipata dal basso per incentivare e sostenere il lavoro sulla contemporaneità che molti operatori si trovano a praticare come se lavorassero in miniera, tirando avanti la carretta come al tempo dei salinieri nelle cave di sale. Qui, da una parte o dall’altra, nessuno è disposto a riconoscere un errore o uno sbaglio di prospettiva. Troppa grazia. Eppure dalla condivisione degli errori si aprirebbero nuovi spazi di immaginazione e di elaborazione. Delle presenti leggi sul cinema e sullo spettacolo, a pagine ingrandite in 6×3 farei una pubblica affissione stradale. Una forma di street art. Del resto l’Italia si espone al mondo internazionale dell’arte con il “furriatroxiu o muntronaxiu” del padigilione Italia vomitato da Sgarbi alla biennale di Venezia. Siamo così, dolcemente complicate, sempre più emozionate. Anche la fondazione Gramsci, per tornare nell’isola che ci comprende, subì una certa dose di tagli ai suoi piccoli benefici pubblici. In tutto questo, tocca considerare che tanti operatori e movimentatori culturali, si trovano costretti a tirare la cinghia giorno dopo giorno e a tirarla tanto che perfino l’ombelico non si trova più. Grazie, caro Vito, per aver svitato un bullone che era blindato e ossidato dalla ruggine del tempo. Tutto è contemporaneo: dalla Venere di Perfugas, microlitica Dea Madre con bambino, al Leviatano di Anish Kapoor, macchina uterina polimaterica. Però, non la chimare “La Mongiu”, mica siamo al liceo. Chiamala M.A.M. Tuo Ugo
Grazie Cicci, ma ho fatto il Siotto. E “la Mongiu” resta sempre “la Mongiu”! 🙂
A Marieclaire che scrive
“Ed è vero che quando la Mongiu decise che i soldi normalmente spesi dall’Assessorato per ACQUISTARE i libri degli editori sardi da mettere a dormire nei magazzini, dovessero, invece, andare alle scuole perché comprassero quei libri in libreria (cosa normalissima, peraltro) bé, apriti cielo! l’Aes proprio non la voleva mandare giù!”
devo dire che quella che racconta è una leggenda metropolitana. Infatti è stata proprio l’AES, per evitare che i fondi per l’editoria venissero dirottati verso altri capitoli e vista la cronica incapacità della Regione a distribuire i libri a scuole e biblioteche, a proporre pubblicamente, in una conferenza stampa del luglio 2005 e con un documento consegnato alla Commissione editoria e informazione del Consiglio Regionale, di dare alle scuole la possibilità di acquistare le produzioni dell’editoria regionale per arrichire o costituire le biblioteche scolastiche. La norma fu approvata qualche tempo dopo quando assessore alla pubblica istruzione era Carlo Mannoni (21 novembre 2006- 20 luglio 2007). E’ vero che quando si trattò di attuare la norma era assessore M. A. Mongiu ma quello che fece si può riassumere in due punti: non riconoscere l’accordo tra editori, librai e distributori per una corretta attuazione della norma (delegando tutto al mercato) e inserire un codicillo per estendere gli acquisti ai libri degli scrittori sardi pubblicalti da Einaudi, Laterza, Frassinelli, Bompiani e via dicendo.
Qua si parla delle associazioni, dei teatri, dei festival, ma non della Pubblica Istruzione. E qua, obiettivamente, le cose e le dimensioni dei problemi affrontati sono sostanzialmente differenti e differente è anche il giudizio.
La Mongiu ha tentato di smantellare il tessuto di associazioni democratiche e antifasciste costruite in Sardegna dal dopoguerra a Soru.
Ha fatto quello che neanche la destra ha mai osato fare.
Ho partecipato ad un dibattito sul cinema pochi giorni fa. E L’umanitaria sembra ritenere che si stia meglio oggi.
Il parere dei lavoratori della cultura. Il parere dei regionali. Il parere degli imprenditori. Il parere dei lavoratori della sanità. Il parere dei lavoratori della formazione professionale.
Ai tempi di Stalin in effetti non si chiedeva il parere di nessuno. Ed era più facile governare in nome dell’Ideale.
Mongiu si pensa predestinata a fare ancora l’assessore alla cultura e alla pubblica istruzione della Regione di una prossima giunta Soru.
Ma non ha ancora imparato nulla dall’esperienza vissuta. Forse perché ha già superato da molto l’età in cui si impara..
Il suo sogno è ancora un incubo per decine di migliaia di sardi.
Scusi, signor Rossi, chi sarebbero i lavoratori della regione, i lavoratori della formazione professionale e quelli della cultura? Me ne indichi almeno uno, per cortesia. Avrà difficoltà perché lei ha utilizzato avventatamente il termine “lavoratore”. Se citerà qualche nome si tratterà, è certo, della solita lodevole eccezione.
Su un ritorno della Mongiu non è il caso di soffermarsi, nessuno, ma proprio nessuno, intende ripetere l’esperienza trascendentale di averla, si fa per dire, come interlocutrice.
Scusi, Signor Enrico, ma davvero siamo ancora alla storiella che “lavoratore alla Regione, macandummaiii…” e piacevolezze simili? Addirittura tra i “non lavoratori” lei piazza anche i lavoratori della cultura, e i lavoratori della formazione professionale, Così, all’ingrosso, tutti un mazzo di “non lavoratori” e quindi forse o probabilmente di scrocconi. Ma scherza? Sa di che parla?
Lei crede, se crede di essere un lavoratore, di lavorare solo lei?
Quanto alla formazione professionale, di cui mi dichiaro per chiarezza un deciso antipatizzante, salvo il merito “Soriano” di avere “scoperchiato il cesso” -passatemi l’espressione- le pare che comunque si possa procedere in un modo che ha gettato sulla strada centinaia di persone, ha privato di tutela e contatto con qualsivoglia tipo di istituzione educativa anche “sui generis” migliaia di ragazzi che non studiano, non lavorano e nemmeno cercano più impiego, i cosiddetti NEET?
La formazione professionale con limiti e storture anche scandalose forniva comunque -e in certi casi non disprezzabilmente- un servizio essenziale a possibili politiche di sviluppo e anche di assistenza. Tutto falciato indiscriminatamente. Le pare sensato?
Per ulteriore chiarezza: non lavoro in nessuno dei settori oggetto della discussione e neppure faccio parte a nessun titolo degli Istituti di cui, conoscendone l’attività da cittadino e da occasionale fruitore, mi sono permesso di scrivere -ISSRA e Umanitaria-.
Certo che qualcuno che suda e fatica c’è anche tra gli operatori culturali, quelli della formazione professionale e quelli della regione. Io lavoro solo un po’, ma in certi periodi ho fatto più di un lavoro.
Meno male, qualcuno che suda e fatica c’è, lei lo concede.
Bontà sua!
E caso mai – poi mi taccio – questa discussione/lamento dovrebbe riguardare non la propria singola esperienza ma l’argomento ben più rilevante e, questo sì, di comune interesse, sull’entità dei fondi da erogare che sono drammaticamente esigui.
Ma la quantità di denaro da destinare alle attività culturali è così scarsa – si tratta di spiccioli nel bilancio regionale – che occorrerebbe da una parte una forte volontà politica di base per renderli più congrui e corposi e dall’altra una forte rappresentatività.
E’ un concetto elementare questo della rappresentatività. Però immaginare una “voce unica” che dialoghi con la politica è fantascienza. La categoria degli “operatori culturali” continuerà ad andare in ordine sparso e ogni singolo andrà con la borsa piena dei propri titoli a chiedere fondi per sé. Andrà in solitario e magari dirà che il suo concorrente, per carità, non se ne vuole parlare male, è però un irrimediabile fesso, ignorante e autoreferenziale. Così, chiusi nel proprio piccolo mondo continueranno ad essere proni davanti a uno spocchioso e distratto assessore di turno.
Questo accade.
Cara Giovy,
come sai, è praticamente impossibile prescindere dalla propria esperienza, perché è grazie all’esperienza che puoi verificare l’affidabilità degli interlocutori.
La Mongiu non è stata un buon assessore alla cultura e non perchè fosse una castigamatti, ma perché incapace di valutare idee non sue.
Quando è circolata la voce di una sua possibile candidatura ad assessore a Cagliari, non c’è stato operatore culturale o artista che non si sia fatto sentire per segnalare il suo disappunto. Qualcosa vorrà dire o no? Rispetto all’esiguità dei fondi, finché non sarà chiaro che la cultura – soprattutto per noi italiani e sardi – è “l’acciaio del 2000” per dirla con Vendola, risorse non ce ne saranno mai. Perché siamo tutti d’accordo nel ritenere una stupidaggine la frase di Tremonti sulla commestibilità della Divina Commedia, ma siamo altrettanto sicuri che questo è un retropensiero che ronza nella testa di molti decisori politici.
Ma si può essere efficaci nell’amministrare il poco come nell’amministrare il molto. La Giunta Soru, che su altre cose si è mostrata più avanti di qualsiasi altra avessimo mai avuto, rispetto alla cultura ha evidenziato tutti i limiti della visione imprenditoriale del suo Presidente (con la Mongiuche non ha certo mitigato gli eccessi).
Caro Soviet, sono d’accordo. Ma questo non toglie che il problema non è l’Assessore che ti trovi di fronte quanto la condizione di debolezza nella quale tu ti poni andando a “contrattare” in solitario cose che ti riguardano in prima persona. Chi “contratta” non deve rappresentare se stesso. Non immagino la cultura sindacalizzata, questo no. Però è innegabile il danno che deriva dalla disunione di una categoria, quella degli “operatori culturali”, che non è mai stata capace di utilizzare una voce unica almeno per discutere una piattaforma comune e ricevere una complessiva maggiore attenzione dalla politica. In un certo senso l’obiettivo di chi “lavora con materia culturale” dovrebbe essere quello di divenire talmente indispensabile da condurre la politica dove vuole. In questo è consistito il sostanziale fallimento dell’asfissiato e lamentoso “mondo culturale” isolano.
Per carità, per carità. Si dice quello che si ritiene di dover dire, i medici parlano di sanità e fanno la loro parte, i giudici di amministrazione della giustizia ecc. ecc. Può anche accadere che un medico sia un buon ministro della sanità, ma non è mai accaduto, però.
Sorvolando sul fatto che gli urbanisti non sono ingegneri (nel senso dell’attività progettuale) ma si occupano d’altro che di costruire e sono, appunto, urbanisti e quindi titolati, quando lo sono, a fare i piani regolatori che non possono essere affidati a chi costruisce, sorvolando su questo particolare, dico semplicemente che se si vuole parlare di amministrazione della cultura non ci si rivolge solo agli operatori i quali, come si vede da questo blog, vomitano tutto il loro personale veleno e discutono solo di sé, concentrati sul proprio ombelico che il mondo ignora. E infatti questo dibattito sembra una riunione di condominio nella quale ognuno racconta dei propri millesimi. Certo che ognuno dice quello che vuole, ci mancherebbe. Ma così viene a galla una discussione miserabile. Questa è la mia impressione. La Mongiu e Soru sono passati.
Sono convinto, a maggior ragione dopo qull’esperienza, che l’estrema frammentazione delle istanze provenienti dal cosiddetto mondo della cultura, l’autocertificazione dei meriti, e varie altre caratteristiche, costituiscano un problema di rappresentanza presso le istituzioni e che questo problema sia al momento insuperabile.
Ciascuno per sé, non si va lontani.
Cordiali saluti al democratico.
Francamente, non so che cosa faccia Giovy per vivere; certo, tale attività non deve avvicinarsi troppo a quella dell’ingegnere, o dell’architetto, o dell’urbanista; se così non fosse, probabilmente saprebbe che eccellenti urbanisti erano (e sono, per nostra fortuna) ottimi progettisti.
Senza voler evocare figure di assoluta caratura storica, come Leonardo Ricci, già Preside di Architettura a Firenze, prima professore ordinario di Composizione Architettonica e poi di Urbanistica, autore di diversi piani ma anche del Padiglione Italiano a Montreal, del palazzo di Giustizia di Savona e – purtroppo postumo – di quello di Firenze, basterebbe parlare dei nostri (lo dico con orgoglio) Enrico Corti, eccellente docente di Composizione, ma anche ben noto urbanista, o di Vanni Maciocco, insigne urbanista quanto ben noto progettista, oltre che Preside di Architettura ad Alghero.
La realtà è un’altra, purtroppo: è che molti dei cosiddetti professionisti, anche grazie alla progressiva dismissione del ruolo calmieratore delle tariffe e del “rapporto fiduciario”, hanno finito per assumere un ruolo di manovalanza bruta basata su fattori prseudoeconomici, perfettamente indifferenti alla qualità. La qualità dei professionisti, purtroppo, non si pesa in euro, o in offerte al ribasso: avete voluto la concorrenza? eccola.
Quanto a chi “costruisce”: se si tengono tali soggetti (imprese, cooperative, lavoratori del settore) lontano dal “cantiere delle decisioni”, affidando tutto al classico “cane dell’ortolano” (quello che non mangia e non lascia mangiare), siamo veramente sicuri che quello che viene fuori sia dotato di un minimo di buonsenso e di praticabilità?
Controlliamo gli interessi, piuttosto, evitando di fare – come le guardie rosse di Mao – i tuttologi nel nome della politica, mentre altri sguazzano nella nutella: trasparenza quindi, spesso evocata ma quasi mai reale.
L’ex assessore Mongiu nel post citato su “Sardegna democratica” scrive sull’Issra quanto segue:
[L’ISSRA] “Aveva un dipendente part time, attività ridotte al minimo, soldi non spesi”.
Non credo che avere un dipendente part time sia una colpa per nessuna associazione, tanto meno tale da lasciarla del tutto priva di risorse. L’ex assessore NON scrive (ma lo sa?) che l’Issra aveva due docenti in comando dal MIUR, uno nella sede di Cagliari ed uno nella sede di Cagliari, e che il controvalore in moneta del loro lavoro eccedeva nettamente l’importo del finanziamento regionale, assicurato NON da “un capitolo della Legge finanziaria”, ma da una legge regionale nata dalla volontà di politici da quattro soldi del calibro di un Umberto Cardia e un Nino Carrus. Il mancato finanziamento da parte della Regione ha fatto perdere uno di quei comandi, con quale perdita economica l’ex assessore valuti da sè.
Questo per quanto riguarda il valore economico. Per quanto riguarda quello effettivo (di valore “sociale”, come si dice), di uno dei comandati non parlo perchè dovrei parlare di me stesso: l’altro (l’altra) è stato per anni e anni membro della Commissione Formazione dell’INSMLI, ovvero di un organismo tecnico ristretto formato dai principali esperti in didattica della Storia espressi da TUTTI gli Istituti Storici della Resistenza, che sono la principale agenzia operante nel paese in materia di insegnamento della Storia contemporanea. Talmente importante da non essere stata spazzata via, attraverso l’azzeramento dei comandi, nemmeno dalla forte volontà espressa dalla Moratti prima e dalla Gelmini poi. Oltre questo, studiosa di Lussu con una vastissima esperienza scientifica e divulgativa, tanto che oggi sta licenziando alle stampe un ponderoso volume dell’Opera Omnia: persona che come comandata dell’ISSRA ha compiuto CENTINAIA di interventi nelle scuole, anche su temi pochissimo frequentati altrove, come l,’uso didattico degli archivi scolastici. Valeva senz’altro la pena, per tutti questi motivi, di metterla in condizione di non poter più operare.
La parte successiva invece tocca direttamente il mio personale lavoro, ovvero un pezzo non piccolo della mia personale dignità. E siccome le parole sono pietre, io sfido pubblicamente l’ex assessore Mongiu a dimostrare la fondatezza delle affermazioni secondo cui l’ISSRA nel corso della sua trentennale attività, e in particolare negli anni immediatamente precedenti il 2007 abbia svolto “attività ridotte al minimo” o abbia portato a rendiconto “soldi non spesi”. Recuperi quei programmi, quei rendiconti e quei bilanci che, pur potendoli cercare senza sforzo negli archivi del suo assessorato, ha fatto ripetutamente produrre ai dirigenti dell’ISSRA, come fossero disonesti trivellatori del pubblico denaro: e dimostri coi numeri.
Da parte mia posso dire che le iniziative che abbiamo portato a rendiconto PER LA SOLA SEDE DI SASSARI si quantificano in questi termini:
anno 2003: 35 iniziative;
anno 2004: 45 iniziative;
anno 2005: 55 iniziative;
anno 2006: 50 iniziative.
Tutte, come è ovvio, debitamente indicate nelle relazioni annuali presentate dalla presidenza dell’Istituto all’Assessorato regionale alla PI. Un’iniziativa pubblica alla settimana nel solo Nord Sardegna è poco ? E stiamo parlando delle SOLE INIZIATIVE PUBBLICHE, senza contare quindi l’attività di studio, le pubblicazioni, l’attività informativa (una newsletter settimanale di cui nel 2002-2004 sono usciti 47 numeri e della cui qualità potrebbe testimoniare l’allora direttore del portale web “Godotnews”, che rispondeva al nome di Vito Biolchini, che ad essa dedicò un’intervista specifica: 3 febbraio 2003), le consulenze minute a scuole, enti, associazioni (potrei citare un ringraziamento pubblico espresso dai partiti del Comitato 25 aprile di Sassari: “La Nuova Sardegna”, 27 aprile 2003). Si possono quantificare nell’ordine delle (parecchie) migliaia gli studenti del Nord Sardegna che in occasione di iniziative organizzate dall’ISSRA o in collaborazione con esso hanno ascoltato testimoni della Shoah della statura di un Piero Terracina e di un Nedo Fiano; hanno sentito raccontare le foibe e l’esodo giuliano da Marisa Brugna, Gianni Oliva, Raoul Pupo; hanno ascoltato lezioni di contemporaneisti quali Fabio Levi, Nicola Tranfaglia, Luigi Ganapini.
Ho preso parte dal 2002 a oggi a tutte le riunioni del direttivo ISSRA in cui si è discusso di bilanci, preventivi e consuntivi.IN NESSUNA OCCASIONE ho sentito parlare di avanzi e fondi non spesi. Posso dire per diretta conoscenza che tutti noi dell’ISSRA abbiamo lavorato spesso senza rimborsi spese (dal tempo della giunta Soru in avanti sono diventati sogni….). Ma può darsi che all’ex assessore risulti una realtà diversa: produca i documenti.
Ho infine l’impressione generale che l’ex assessore parli dell’ISSRA senza conoscerne bene la realtà: ed azzardo questa ipotesi perchè nell’unica occasione in cui ci ho potuto parlare, nei pochi secondi di attenzione che mi ha concesso mentre una sua funzionaria o attachée ripeteva come un disco rotto o un canino abbaiante “L’assessore ha fretta, l’assessore non ha tempo…”, ho fatto molta fatica a farle capire di cosa si trattasse (l’occasione è stata il convegno organizzato dalla Regione su Francesco Cocco Ortu: Cagliari, Salone Nanni Loy, 27 febbraio 2008; devo citare anche l’ora?); dapprima l’ex assessore ha confuso l’Issra con l’Unione Partigiani Sardi (anch’essa riconosciuta da una legge regionale, ma tutt’altra cosa), poi alla fine ha concluso “Ah sì, l’Istituto di….”: più o meno allo stesso modo in cui oggi lo liquida come “creatura di Gian Giacomo Ortu”.
Al quale Ortu so bene di non togliere nulla quanto a merito nell’avere costruito e difeso strenuamente l’istituto e la sua autonomia (anche rifiutandosi di adattarlo al letto di Procuste previsto dalla legge 14, tema del quale però non ho proprio tempo di parlare), se dico che l’ISSRA è stato per molti versi (soprattutto positivi) quel che Ortu ha voluto che fosse, ma che definirlo sua “creatura” significa non aver capito proprio nulla di cosa è un Istituto Storico della Resistenza (quello sardo e gli altri 60 sparsi per l’Italia) ed è al tempo stesso un’espressione che mostra più di qualsiasi altra quale sia il reale grado di rispetto che l’ex assessore nutre nei confronti dell’Istituto, al di là dei rincrescimenti coccodrilleschi, assai facili di fronte alla constatazione del disastro combinato.
(A proposito: l’ISSRA è stato fondato nel 1977 da un certa Joyce Lussu Salvadori… quanto all’essere creature, e di chi).
Ripeto all’ex assessore quel che ho scritto nel commento all’editoriale di Biolchini, cioè che devo darle una pessima notizia: malgrado la sua fattiva opera (quod non fecerunt barbari…), la Sardegna non perderà la sua rappresentanza tra gli Istituti Storici della Resistenza. E lo dico con la fierezza di chi ha operato per questo scopo, malgrado i disastri compiuti dai presunti razionalizzatori e moralizzatori della spesa pubblica: l’ISSRA non ha un soldo di finanziamento regionale dal 2007, ma di iniziative per l’anno scolastico 2010-2011 ne ho portato a rendiconto 50 tonde; e non ho ancora finito, perchè a fine agosto mi aspetta un convegno su un partigiano di un paese del Barigadu. Mi spiace per chi ha fatto di tutto per mettermi e metterci in condizione di chiudere tutto; ed anche per la tifoseria che continua a difenderne a spada tratta e contro ogni evidenza un operato che ha senz’altro aspetti positivi (non sono così sciocco da non ammettere, anzitutto da studioso, la validità di uno strumento come Sardegna Digital Library), ma che per quanto riguarda l’eutanasia perpetrata a freddo di un Istituto di cultura come l’ISSRA (assai più “attivo” che “glorioso”) non ho timore di dire che rappresenta una delle pagine più tristi della politica culturale in Sardegna da Bogino in avanti.
Io ho parlato molto, anche perchè molto c’era da dire: e da dire non a vuoto. Ma ora non è più tempo di chiacchiere, è tempo di numeri. C’est à vous, ex assessore, La aspetto.
Come volevasi dimostrare. Mi paiono dati e circostanze inoppugnabili.
Il caso ISSRA svela l’approssimazione e la base esile su cui certe scelte sono state compiute. E anche un atteggiamento di sufficienza rispetto a Istituti e organizzazioni di cui -cosa già grave- non si conosce e peggio ancora non si è voluta riconoscere l’effettiva realtà e produzione. E davvero sarebbe opportuno sapere perché. dato che ignorare la materia e le realtà presenti e farsene una idea sommaria, e decidere sulla base di questa è un modo di procedere assolutamente inadeguato e inefficiente.
Il decisionismo può dare alla testa, quando non ci si accosta alla materia di cui si tratta con il rispetto e le cautele dovute. Niente più o meno che dovute. Non accessorie, non discrezionali.
@ Succiabrebei
continua così , che fai andare altri nodi al pettine!
Un parere sull’amministrazione della cultura non si chiede agli operatori culturali. Ne viene fuori una schifezza, gentile Vito. Ovvio. Una schifezza nella quale l’obiettività va in pappa. Come chiedere ai medici come si amministra la sanità o agli ingegneri come si fa il piano regolatore di una città. Sempre schifezze.
E di cattiva qualità la domanda e oltretutto non la deve porre chi dichiara un conflitto di interessi. E’ una scusa non richiesta.
Ma in generale questa discussione nasce e cresce male. E’ una raccolta indifferenziata di pareri, ognuno per conto proprio e all’inseguimento di un filo differente.
Ci deve essere molta gente di cultura appostata in questo blog. Meno male che non ho i titoli.
O, magari, come chiedere ai magistrati come si amministra la magistratura…
Però, come si diceva un tempo: “sutor…” con quel che ne segue; se poi la guerra è cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali, figuriamoci se la politica si possa affidare ai politici.
E, così, siamo nelle mani dei dilettanti. Per di più, come se non bastasse, di professione.
Dilettanti, intendo.
Quindi sulla cultura non ci dobbiamo esporre noi che di cultura viviamo da anni, che sappiamo cosa vuol dire fare intervento culturale e sociale, che sappiamo come si stilano i cartelloni, che conosciamo le problematiche tecniche, che da decenni abbiamo fatto dell’essere operatori sociali e culturali la nostra professione e che veniamo chiamati a svolgerla in tutto il mondo. Io che passo otto mesi l’anno in giro per il mondo a fare spettacoli di ogni tipo, a fare interventi culturali e formativi nelle scuole e nelle carceri non posso esprimere il mio parere perché “è una schifezza”? Quindi, cara Giovy, sulle politiche urbanistiche non devono dire la loro gli urbanisti e sulla gestione delle aziende sanitarie non devono dire la loro i medici? Quindi ti va bene il nostro governo nazionale dove nemmeno gli insegnanti possono dire la loro sulla scuola che va a remengo. Mi spiace ma non staremo zitti, anche se ti arrecheremo schifo e fastidio. Non smetteremo mai di dar vita a dibattiti e discussioni. Quella che tu chiami “raccolta indifferenziata di pareri” noi la chiamiamo democrazia.
ti quoto in tutto..
Leggendo i commenti all’articolo della Mongiu su Sardegna Democratica non riesco a trattenere le risate. Scoprono una nuova scienza, la “biolchimica”. Dicono anche di temere più del buon Biolchini imprecisati soggetti “mandati in avanscoperta su Rosarossa”. Infatti, chi critica Soru è per forza “mandato” da qualcuno, mentre chi (sempre su Rosarossa) fornisce contributi costruttivi come “Marcialis ponirì a una parti” o “Cugusi segarì is mustazzus e bairindi cun Fantola” sono tutti spiriti liberi. 😀
e gi ses pagu innamorau de Marcialis e Cugusi! che si parli di giornali, di tagli alla spesa pubblica o di rampazzo ce li devi mettere dentro sempre per incensarli e tutelarli dagli strali dei nemici “soriani”…a bocirura, o ZunkBuster!
‘mo Cugusi è pure presidente di una commissione, lassaddus traballai in paxi!
Ascù o su mangoni (dato il tuo nick), Marcialis quando era il caso l’ho criticato non poco con tutto il PD, di Cugusi ho sempre detto che secondo me non era opportuno che facesse l’assessore … innamorau una cibudda, guarda che a me piacciono le donne 🙂
Però, scusate, a me pare che la Mongiu abbia risposto ad una critica ben circostanziata di Vito ed è legittimo che lo faccia. Difendere ciò che si è fatto, con i dati, mi sembra abbastanza normale. Non mi pare poi una difesa a oltranza di tutta la politica culturale della Giunta Soru, ma un’analisi punto per punto dei tre casi che Vito cita nel suo pezzo. Politicamente si può essere o no in accordo con i presupposti da cui si partiva e sui risultati delle politiche svolte, tuttavia ciò che la Mongiu scrive non è sicuramente una falsità. E’ vero, purtroppo,quanto scrive sull’ISSRA e sui requisiti posti dalla legge che l’istituto non possedeva (e qui piuttosto si potrebbe entrare nel merito della opportunità o meno di requisiti formali e burocratici per decretare la sopravvivenza di un istituto culturale) e sulle mediazioni tentate, ed era una questione tecnica, per intendersi roba di competenza degli uffici non dell’assessore. Ed è vero che quando la Mongiu decise che i soldi normalmente spesi dall’Assessorato per ACQUISTARE i libri degli editori sardi da mettere a dormire nei magazzini, dovessero, invece, andare alle scuole perché comprassero quei libri in libreria (cosa normalissima, peraltro) bé, apriti cielo! l’Aes proprio non la voleva mandare giù! E perché? sembrava un atto di lesa maestà, ma quei soldi erano e sono soldi pubblici e quella, caro Argiolas, era proprio un’iniziativa per incrementare il bene comune e non solo il settore degli editori! Bisognerebbe anche distinguere tra l’operato della giunta e quello del consiglio, e in effetti le leggi di settore hanno dei limiti evidenti a tutti. E’ chiaro, però, che gli operatori hanno una loro legittima opinione su tutto quanto è stato fatto o non fatto in quegli anni, e questa è un’opinione politica che si è espressa nel voto. Ribadisco, però, che sulle specifiche questioni citate da Vito nel primo intervento, la Mongiu interviene nel merito con un punto di vista più oggettivo che propagandistico, ed è legittimo che lo faccia. Saluti e abbasso la censura (ma questa è più o meno un’altra storia)!
“Non c’è dubbio, si stava peggio prima”. Questo, secondo me, pensa la maggior parte degli operatori culturali, e sapete perché? Perché, con tutto il rispetto dovuto a una studiosa come la professoressa Mongiu, fare l’assessore è anche ascoltare e non rifilare continuamente lezioni. Cosa che la maggior parte degli operatori soffriva sulla propria pelle. Poi, è chiaro, santi non ce ne sono, neanche gli operatori lo sono.
Sui risultati: al netto dei tagli (ci son pochi soldi, è innegabile) oggi il problema sono soprattutto i tempi di erogazione dei contributi assegnati. Scandalosi. Ma non è che gli anni della giunta Soru fosse molto diverso, anzi… più o meno la stessa cosa. Basta ricordare i tempi di approvazione delle varie finanziarie regionali in quegli anni.
Ho letto l’intervento dell’ex assessore Mongiu. Non ho condiviso praticamente nulla. Ho notato però un passaggio che a me ha procurato personalmente un enorme fastidio.
Lo riporto di seguito:
“L’Umanitaria fu un benemerito ente morale a cui di deve molto anche nella Sardegna del secondo dopoguerra. In tanti hanno imparato dall’Umanitaria impegno militante e pratiche di partecipazione. Cosa sarebbe la cultura sarda senza la figura di Fabio Masala? Avendolo conosciuto quando ho incontrato il responsabile dell’Umanitaria –oggi soggetto giuridico di diritto privato- poco questi aveva a che fare con quella tradizione. Fu irriducibile a qualsiasi accordo. Mercanteggiava. Oggi l’Umanitaria della Sardegna è succedanea a Milano. Fintamente autocefala ed autonoma. Nelle altre parti dell’Italia le corrispettive sono state regionalizzate.”
La mia personale reazione di fastidio è probabilmente viziata dal fatto di avere qualche conoscenza di fatti e persone, però:
Il non citato responsabile dell’Umanitaria aveva l’obbligo di piacere a lei? Ha l’assessorato o l’assessore pro-tempore un diritto discrezionale di scelta rispetto agli interlocutori con cui trattare -o anche “mercanteggiare”, secondo il lessico non certo elogiativo usato dalla Signora Mongiu-?
Sarebbe quindi stato diverso l’atteggiamento e il risultato della “trattativa”, se a dirigere l’Umanitaria non ci fosse stata una persona DELEGATA DAGLI ORGANISMI STATUTARI, come nel caso in esame, che per sventura non ha risposto alle aspettative della Professoressa Mongiu? Sarebbe stato diverso l’esito del “mercato” se a trattare ma magari una altra persona di suo gradimento o scelta, magari designata alla bisogna dagli stessi organismi per maggiore “compatibilità” con la linea o con le preferenze dell’Assessore pro-tempore?
Spetta all’Assessore un giudizio e un paragone tra i predecessori e i continuatori (scelti regolarmente dagli organismi statutari, ribadisco) e un relativo ingeneroso giudizio sulla continuità o compatibilità di questi con le “tradizioni”?
Ma soprattutto, è sulla base dei personali giudizi di un Assessore pro-tempore che si deve indirizzare il sostegno che la Regione assicura IN NOME DI TUTTI I SARDI alle Istituzioni Culturali, già “benemeriti enti morali”?
E’ un modo corretto di procedere?
Tralascio il capitolo sull’ISSRA che -se possibile- mi irrita ancora di più.
Penso che Aldo Borghesi e Walter Falgio abbiano già chiarito di cosa si tratta. Altro che pinnicche statutarie!
Non usi, Neo Anderthal, le maiuscole per gridare. Non fa parte della buona educazione.
Saluti, Giovy
Gentile Giovy,
Uso, in maniera misurata da me medesimo, quello che mi pare e piace, anche senza il suo consenso.
Le sue considerazioni sulla buona educazione le tenga per sé, grazie.
Saluti, Neo.
p.s. le maiuscole sostituiscono il neretto o le sottolineature, noiose da maneggiare con i sistemi html.
In effetti questo è un blog, non una chat, e l’uso delle maiuscole nel senso che gli dà Neo e chiarissimo dal contesto. Non si capisce, gentile Giovy, l’esigenza di una replica di questo tipo…anche perché lei si distingue per interventi sempre acuti e pertinenti.
Credo che compito dei giornalisti sia riferire dei fatti, eventualmente con l’esposizione di un giudizio dal proprio punto di vista (sarà anche un francesismo, ma lo preferisco al tragico “angolo di visuale”).
Ciò banalmente detto, è chiaro che chiunque abbia gestito la cosa pubblica (io stesso, Maria Antonietta, Renato Soru, Camillo Benso Conte di Cavour etc.) deve porre in conto la possibilità o di aver fatto male, o che altri possano pensare ciò, esternandolo.
Centu concas, centu berritas (o berrittas, per fare centouno).
Ciò che non mi sembra corretto, è il pensare che l’altro (l’Altro), chiunque egli (Egli) sia, abbia sempre torto; o il tentare di far pensare ciò.
In questo, ogni tanto, i giornalisti usano il proprio potere (quello che deriva dall’avere facilmente l’ultima parola) in modo poco leale; slealtà non tanto nei confronti dell’altro, quanto nei confronti della verità, rispetto alla quale hanno maggiori responsabilità deontologiche. Ciò ammesso che questa verità esista, ovviamente; ma ancora di più se non dovesse esistere, cosa che automaticamente accrediterebbe quella dell’altro come la verità vera, o come una delle verità possibili.
Qualche volta – ma non sempre, per fortuna – si pensa che avere l’ultima parola sia segno di grandezza; in realtà – talvolta – è successo che, mentre tu continui a strepitare, l’altro – o gli altri, che è peggio – ti hanno già scappato a quel paese, e non ti ascoltano nemmeno.
Si potrebbe chiedere a Silvano Tagliagambe della vicenda UniSofia. Oppure semplicemente dire: quelle associazioni non meritavano di essere finanziate.
Ragionare se fosse meglio prima oppure oggi è scorretto: è come se uno che insulta costantemente la compagna si giustificasse dicendo: quello con cui stavi prima ti picchiava…detta così appare il ragionamento del cazzo che è.
Per quanto riguarda Mario Peppino, fattene una ragione, sarà il karma oppure è l’ex fidanzato di Tiziana… 🙂
…oppure quello a cui Tiziana ha detto no. Tutta invidia (o indivia, come dice mio nipotino).
🙂
Sarete pure amici, ma trovo oltremodo fastidioso e poco rigurdoso nei confronti della tua professionalità, il tono confidenziale e questo ossessivo tirarti per la giacchetta, che ti riservano in tanti, peraltro…
Un giornalista scrive un pezzo che contesti, tu ex assessore, vuoi intervenire? Ribatti nel merito, stop! E inceve no: Caro vito, ti scrivo. Ti voglio bene, ma ti tiro un po’ per le orecchie, cioè il fatto è che dovresti soppesare meglio le tue valutazioni… e ti suggerisco pure a chi invece dovresti fare le pulci.. Insomma, stai con noi oppure no???
Ti si accusa di sbrigative esemplificazioni che reitererebbero luoghi comuni, ma non si bada al fatto che il club dei vecchi assessori, nei consueti interventi autocelebrativi e autoassolutori, fa uso e abuso dell’esemplificazione nel raccontare l’epopea del buon governo Soru.
Mi spiace che per alcuni la negazione del lutto – la sconfitta è solo frutto di inganno e mistificazione mediatica – non abbia ancora ceduto il passo all’ elaborazione.
Rispondo alla sollecitazione di Vito Biolchini in quanto ho vissuto da presidente dell’AES gli anni dei tagli della Giunta Soru. Ho letto l’articolo di M. A. Mongiu nel blog di Sardegna Democratico e l’ho trovato reticente comunque rivelatore di una azione politica confusa, condizionata da un furore “etico” incomprensibile. Intanto oggi non stiamo meglio non solo perchè al governo c’è la Giunta Cappellacci ma anche perchè stiamo ancora pagando i guasti di una azione distruttiva e cieca che ha lasciato solo macerie. Il difetto maggiore è la carenza di cultura politica. Dall’articolo della Mongiu si capisce che si è voluto intervenire sulle “eccellenze” e sulle realtà affini politicamente al gruppo dirigente al potere in quel momento. Infatti prendendo a pretesto lo spreco di soldi per la partecipazione alla fiera del libro di Torino, i magazzini pieni di libri giacenti dalla notte dei tempi (forse dai primi acquisti del primo presidente della Regione sardegna, Luigi Crespellani, anno 1949), la fame di successo internazionale di alcuni scrittori emergenti, si è di fatto svuotata una legge regionale di sostegno (La L. R. n. 22 del 1998) considerata avanzatissima dai maggiori esperti del settore in Italia (Giuliano Vigini in primis) e copiata da molte altre regioni d’Italia, per fare che cosa? per affidare lo stand della Regione Sardegna alla Fiera del libro di Torino a librai e agenti letterari (quando tutti sanno che a Torino ci vanno ed espongono gli editori), per spostare fondi destinati all’editoria ad altri soggetti, per creare comitati al solo scopo di aggirare una legge regionale in vigore, per ditruggere e radere al suolo una realtà in crescita come la Mostra del Libro di Macomer dove i protagonisti da anni erano proprio le scuole e le specifiche iniziative di promozione della letture tra le nuove generazioni (questo ben prima che la Mongiu fosse nominata assessore). Le buone intenzioni, che non nego, avendo anche collaborato per qualche tempo con la Mongiu, non sono sufficenti se non c’è la consapevolezza che fare politica significa agire per il bene comune, per tutta la società e non solo a favore delle eccellenze. Ha scritto bene Antonietta Mazzette (http://www.cuec.eu/index.php/2011/07/gli-esempi-virtuosi-da-seguire-per-un-futuro-migliore/#more-1658) a proposito di Sardegna delle eccellenze “Tutti rinviano ad una Sardegna ricca di risorse umane, capacità di rischio e professionalità. Ma sono per l’appunto eccezioni che contrastano con la situazione economica generale dell’Isola, che in questi ultimi anni vede crescere povertà e disoccupazione, abbandono scolastico ed emigrazioni forzate”. La sintesi è che occorrerebbero politiche di sviluppo. Cercasi classe dirigente sarda all’altezza!
Il problema è che Biolchini non è parte “non in causa” (in italiano, non è “neutrale”), seppure abbia senso cercare di definire una categoria del genere e lo si vede (tra l’altro) dalla sua proposta.
Ciò che non (mi ) piace di questo intervento è la pretesa di chiedere un parere agli “operatori culturali”. I soldi della comunità, quelli del FUS, tanto per fare un esempio, non possono essere intesi come destinati a dare da mangiare agli “operatori culturali”, o a fare piacere a loro. Perché dovremmo chiedere a chi organizza uno spettacolo se i criteri di finanziamento vadano bene? O a un istituto che è stato chiuso se fosse utile o meno? Che facciamo, chiediamo al porceddu se ama essere messo al forno?
Da utente quale sono, o da cittadino, che sarebbe anche meglio, valuto l’offerta culturale e la gestione delle risorse in base al risultato e non in base alla soddisfazione degli operatori (di cui non esito a dire che non mi frega nulla).
Parlare come Biolchini, dà l’idea di un dibattito chiuso alla cerchia di chi “vive” di cultura (e contributi pubblici, seppure lecito, sia chiaro) mentre da cittadino sarei più contento se si domandasse a me. Era migliore la gestione della cultura di Soru o è migliore quella di Cappellacci?
Personalmente non ho dubbi, sebbene non straveda per Soru. Sarò monotono, ma dieci milioni dati a Nur-At con la giunta Soru non li ho visti. E neppure la pochezza culturale attuale (che non è solo soldi dati agli spettacoli, o all’istituto per la tutela della lumaca monaca, perdiana!).
Del resto, devo anche dire che non mi è piaciuto neppure l’intervento dell’assessora, e proprio per gli stessi motivi. Al posto suo avrei risposto proprio così: i cittadini ci hanno mandati via, hanno rischiato su un’amministrazione differente. Dicano loro se sono più soddisfatti o meno.
Cordialmente,
Ancora una volta la volontà di attaccarmi prevale su una serena comprensione di ciò che ho scritto. Non ci posso fare nulla: approvo commenti del genere solo perché sono un sincero democratico. Ma Mauro Peppino Succiabrebei, come ha fatto notare Soviet tempo fa, si sta specializzando in una sorta di interdizione continua ad personam. Peccato, perché sembra una persona intelligente. Ma contro chi vuole a tutti i costi polemizzare non ci sono ragionamenti o argomenti che tengano. Andiamo avanti.
Ma neppure per idea: io non “attacco” nessuno!! E perchè poi??
Le contesto il fatto che un giudizio sulla gestione dei fondi per la cultura (o sui tagli) possa essere affidata agli operatori (e le faccio notare che in questo caso lei è parte in causa. come l’assessora). Mi spiega che senso ha? Oppure che senso avrebbe chiedere un giudizio sereno a coloro che sono stati giubilati?
Guardi che a me Soru non è piaciuto, ma se c’è da dare un giudizio sul prima/dopo,a chi affiderebbe un giudizio, ai cittadini o al presidente dell’ISSRA (che è stato chiuso)?
Se non le piacciono i miei commenti la capisco, ma non mi dica che polemizzo a tutti i costi, per cortesia.
Un saluto.
sono perfettamente d’accordo con MPSucciabrebei..perchè chiedere agli operatori culturali? ovvio che per loro tutto ciò che propongono va bene, quand’anche non è cosi…
Infatti il giudizio su Soru lo hanno dato i cittadini, non il presidente dell’ISSRA: il 15-16 febbraio 2009. Peccato che ben pochi si siano chiesti seriamente perchè quel giudizio sia stato tanto severo: avrebbe giovato alla cultura politica della Sardegna, anzitutto.
L’Issra è stato una delle mie scuole. La scuola di tanti, aperta, senza barriere ideologiche, senza istruzioni per l’uso e controindicazioni. Mi sono avvicinato alla sede di via Lanusei nei primi anni Novanta e da allora non mi sono più allontanato, sino a far parte del consiglio direttivo. All’Issra non si spartiva nulla, si dava e si riceveva gratis, sostanzialmente cultura e valori. Attorno alla grande scrivania di Emilio Lussu abbiamo macinato e condiviso parole, progetti, sogni, in autonomia. Giustificando e argomentando le scelte (discutibili o meno) senza dover rendere conto a potentati di turno, baroni, consorterie. L’Issra, per come l’ho vissuto io, era una libera repubblica votata all’intervento culturale. Sono sempre stato convinto, e continuo a esserlo, che queste ragioni e vocazioni sono state più che sufficienti per decretarne la fine.
Devo a Walter l’emozionante e formativa esperienza di posare rispettosamente fogli e quaderni per appunti sul massiccio tavolo di Lussu, intorno al quale si discuteva e si progettava, si respirava cultura e si viveva l’impegno (non strutturato e spontaneo) per la propria Terra. Accadeva 20 anni fa e il ricordo è indelebile.
Grazie Andrea! Vent’anni fa ma anche oggi. E domani.
Come dici bene tu, Vito, il fatto che la Mongiu sia parte in causa rende la sua risposta una giustificazione ovvia, nessuno ritratteterebbe cio’ che ha fatto, soprattutto quando si tratta di ammettere che un provvedimento e’ stato sbagliato. Gia’ questo pone la discussione su in livello in cui una possibilita’ di comprensione e’ impossibile. Sicuramente la Mongiu sbaglia a dire di guardare solo cosa fa o non fa l’attuale giunta, e’ solo un modo per nascondere o non ammettere le proprie colpe. Forse Soru ha fatto delle cose giuste, ma ci sono anche quelle sbagliate e non lo sono solo perche’ non condivise, ma proprio perche’ hanno creato problemi nuovi. E in ogni caso, questo batti e ribatti di alcuni politici sinceramente sembra piu’ finalizzato al voler avere ragione a tutti i costi, guai a contestare la giunta Soru. Condivido tutto del tuo articolo.
Ho tentato di leggere l’intervento della Mongiu, sinceramente non ce l’ho fatta per il carattere fastidiosamente propagandistico e trionfalistico. A me sembra, caro Biolchini, che il tuo post (anche editoriale su Sardegna Quotidiano) a differenza di quanto siamo abituati a leggere da chi a destra, ma anche a sinistra (vedasi Pubusa, il cui furore anti Soru è un grave limite alla credibilità dei suo ragionamenti non sempre destituiti di fondamento) semplicemente demonizzava e demonizza Soru, abbia offerto un quadretto equilibrato di quelli che, con approccio che non si è peraltro limitato solo alla cultura, sono stati per un verso i meriti ma per altro verso i gravi limiti dell’azione di Soru, che su molte cose è incorso in quel difetto di “non ascolto” che gli ha alienato molto del capitale di credibilità che aveva accumulato nell’elettorato di sinistra, al di là delle tesi complottistiche su Cabras che fa votare Cappellacci.
Certi approcci purtroppo dimostrano, ovviamente mio modesto parere, che il gruppo soriano di oggi assomiglia sempre più a una setta piuttosto autoreferenziale, e se ne vedono le conseguenze anche leggendo Sardegna 24, che per molti versi sa essere un buon giornale ricco di approfondimenti, ma che, quando vedi, come nell’edizione di ieri, una prima pagina aperta da tre editoriali tre di personaggi del “cerchio magico” di Soru come Lilli Pruna, Carlo Mannoni e Mario Bruno (e il lettore si chiede che ci stanno a fare i Bellu e i Melis …), appare irrimediabilmente condizionato dalla “voce del padrone”.