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Caro Pigliaru, se non ci sono 50 mila euro per il Salone del Libro allora l’assessorato alla Cultura si può anche abolire

È successo tutto in dieci giorni: tra l’8 e il 18 aprile. Dieci giorni che devono essere stati cruciali per il presidente Pigliaru e la sua giunta. Dieci giorni in cui l’esecutivo ha maturato convinzioni definitive sullo stato delle casse regionali o, in alternativa, sulle politiche per l’editoria. Perché in dieci giorni su questo tema la giunta Pigliaru ha compiuto una vera e propria inversione ad u.

È di oggi la notizia che nella seduta di venerdì scorso, 18 aprile, la giunta Pigliaru ha rigettato la proposta di delibera avanzata dall’assessore alla Cultura Firino che, con uno stanziamento inferiore ai 50 mila euro, avrebbe consentito alle 51 case editrici riuniti nell’Aes (Associazione Editori Sardi) di essere presenti con un loro stand alla Salone del Libro di Torino, in programma dall’8 al 12 maggio prossimi.

In via del tutto eccezionale, per consentire una partecipazione in extremis, la direzione del Salone aveva perfino tenuto uno stand libero per la Sardegna, da sempre presente alla manifestazione. L’appuntamento torinese ha dei costi molto alti, insostenibili per quasi tutte le realtà editoriali isolane, che infatti in questi anni si sono sempre presentate unite sotto la sigla dell’Aes. L’assessore Firino si era detta sicurissima di riuscire a far passare in giunta la delibera: è andata diversamente.

Sull’importanza del Salone non vale neanche la pena soffermarsi, né sulla necessità per un settore in crisi come quello dell’editoria, di avere momento di confronto con altri operatori e con altri mercati.

I motivi che hanno spinto il presidente Pigliaru e la giunta a non trovare meno di 50 mila euro per gli editori sardi sono al momento sconosciuti. Qualunque ipotesi però si voglia avanzare, questa va a cozzare con una decisione, presa l’8 aprile, con la quale Pigliaru e la sua giunta hanno stanziato 500 mila euro per i festival letterari: questa è la delibera. Mezzo milione l’8 aprile, zero euro dieci giorni dopo: perché? Qual è la ratio?

In dieci giorni il presidente Pigliaru si è accorto che i soldi sono finiti e che la Regione non si può permettere neanche un modesto investimento come quello che avrebbe consentito all’Aes di essere presente a Torino? È così disastrata la situazione delle casse regionali? Allora lo si dica chiaramente. E si dichiari anche che i 500 mila euro ai festival letterari sono stati un’eccezione perché da questo momento in poi i soldi sono finiti. Per tutti.

Certo, se la Sardegna non può permettersi di andare al Salone del Libro che ne sarà allora degli investimenti ben più corposi che la Regione dovrà fare in un settore che è stato sempre dichiarato “fondamentale” come quello della cultura? Come ci si comporterà davanti a cifre ben più impegnative se si è spaventata davanti a 50 mila euro?

Comunque, se la situazione è questa, allora è bene dirsi chiaramente che l’assessorato regionale alla Cultura si può anche abolire. Se non ci sono risorse per fare investimenti minimi in settori strategici come quello dell’editoria, tanto vale risparmiare anche i soldi dati all’assessore, al suo staff, mettere tutto in mano ai funzionari e far decidere quel poco che c’è da decidere al presidente della Giunta e all’assessore al Bilancio.

Ma se così non è, quella presa venerdì scorso dalla giunta Pigliaru è stata una decisione sbagliata totalmente insensata. Stanziare mezzo milione di euro per i festival letterari e dopo appena dieci giorni negare un decimo di quelle risorse per una partecipazione al Salone dl Libro di Torino non risponde al nessuna logica.

Infine non si può non concordare con quanto detto da Michela Murgia: “Le parole dell’assessore Claudia Firino, che in buona fede aveva promesso agli operatori del settore che invece la Sardegna a Torino ci sarebbe stata, non hanno in realtà alcun valore in Giunta, perché le decisioni le prende qualcun altro”.

E andata proprio così. Poi ognuno tragga le conseguenze che crede.

 

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46 Comments

  1. Rita Podda says:

    Il rischio che si sta concretamente correndo è che ci si arrenda al fatto che non possa esistere una “buona politica” che “guidi” la società ma soltanto una che la “amministri”; e i principi del “buon amministratore” non prevedono di certo l’aspirazione verso una società ideale, quantomeno migliore e più giusta, e la condivisione di un percorso per raggiungerla. Occorrerebbe una “bussola” che certamente avrebbe ingredienti divisivi e conflittuali. I principi attuali del buon governo arrivano al massimo alla compartecipazione di quelli che hanno chiamato “stakeholder”, i portatori degli interessi che possono essere coinvolti su “quel tema specifico”. Ma gli interessi sono disaggregati e la loro disaggregazione è la chiave del mantenimento dello “status quo”, del “divide et impera”. Nessun “agente culturale” è in grado di proporre e realizzare un cambiamento, una proposta che non sia settoriale, e c’è il rischio concreto che si scambino per pratiche di rete quelle che sono invece pratiche lobbystiche. Gli operatori della produzione culturale possono detenere e detengono competenze che sono indispensabili per attivare processi di cambiamento sociale ma non è che sono il gruppo particolare detentore della “virtù”, dell’ideale del disinteresse, della subordinazione dell’io al noi, del sacrificio dell’interesse particolare al quello generale … Come tutti vivono delle contraddizioni, sono esseri fortemente condizionati (ma il paradosso è che si ritengono “i più liberi”) che però potrebbero essere capaci di riconoscere e capire i meccanismi del loro condizionamento, praticare una socio-analisi e una necessaria auto-terapia. Dico una cosa scontata,la cultura ha un ruolo fondamentale nella riproduzione del dominio dei pochi sui molti così come nel rendere possibili condizioni per una società più giusta; condotte e pratiche sono importanti. Serve che venga formulata un’idea di “interesse collettivo prevalente”, che quell’ “intellettuale collettivo” che dovrebbe essere l’Assessorato Reg.le alla Cultura abbia una dichiarata “mission”, un fine, dei valori di riferimento che intende attivare per lo sviluppo delle “capacità” delle persone, della comunità sarda e dei territori e quindi chiami le altre istituzioni, a partire dai Comuni,i servizi culturali pubblici e quelli privati, gli operatori culturali, a supportarlo nella elaborazione e realizzazione di un Piano d’Azione concreto, nella verifica dei risultati, in itinere e finali. Gli “Stati Generali della Cultura”, per me, dovrebbero rappresentare il primo atto di questo percorso, vedere l’interlocuzione di quei soggetti che ho citato; gli insegnanti e i bibliotecari dovrebbero avervi un ruolo fondamentale.
    Leggerò il libro suggerito da Argiolas, Il tradimento dei chierici, anche se la parola “tradimento” mi pare richiami una logica binaria e oppositiva da cui mi sono abituata ad andare “oltre”, perchè non la ritengo rappresentativa della complessità dell’esperienza del pensare e dell’agire umano (tradimento/lealtà, ortodossia/eresia, interesse/disinteresse, struttura/sovrastruttura …). Forse è per questo che ritengo prezioso il contributo di Bourdieu all’analisi dei meccanismi che operano nel “campo intellettuale”.

  2. Mario Argiolas says:

    “Che risposta possono dare i libri e l’editoria sarda nella costruzione di percorsi di crescita culturale e di recupero di gran parte della popolazione a un ruolo attivo nella vita sociale, economica e democratica della nostra Regione? ”
    Sulla domanda, stringente, fatta da Rita Podda nel suo post del 25 aprile, occorre soffermarsi con attenzione perchè è un interrogativo cruciale. Non dobbiamo avere la presunzione di effettuare sintesi affrettate perchè il livello di elaborazione del movimento culturale sardo è ancora insufficiente se ancora oggi, Simonetta Castia, presidente AES deve spiegare le ragioni e gli obiettivi della Legge 22 sull’editoria sarda e il ruolo di una associazione di categoria che riunisce la maggioranza degli editori sardi. Prima di questa domanda Podda si è soffermata sul ruolo degli intellettuali citando Bourdieu e richiamando l’esigenza della dimensione sociale del fare cultura in Sardegna. Io vorrei suggerire anche la rilettura di un classico “Il tradimento dei chierici” di Benda, recentemente ripubblicato con una nuova introduzione. Sicuramente c’è la imprescindibile necessità di “riconoscimenti reciproci di utilità pubblica e sociale”. Io personalmente e sono certo anche l’AES, sono disponibile a raccogliere queste sollecitazioni tanto è vero che all’ultima Mostra del libro di Macomer ho contribuito ad organizzare il Convegno-dibattito “Oltre i festival.
    Cultura, comunità, territorio: nuove idee e nuovi progetti per affrontare la crisi” con interventi di editori, librai, bibliotecari, studiosi e operatori della cultura.
    Per cercare di dare una prima risposta alla domanda posta da Rita Podda posso dire che, per esempio, l’AES ha ideato e attuato per anni il progetto “Adotta un libro sardo” con coinvolgimento delle scuole e un ruolo decisivo degli insegnanti. Il libro, scelto dai ragazzi su una rosa proposta dagli editori, letto e discusso nelle scuole e gli spunti socializzati a Macomer nell’ambito della Mostra del libro . Risultati notevoli di crescita individuale e collettiva. Perchè quel progetto si è fermato? Perchè l’allora assessore Mongiu aveva deciso di bloccare questa esperienza? Ecco restano gli interrogativi, ma restano anche competenze ed esperienze da far rivivere e rilanciare con maggiore impegno.

  3. Paolo Bozzetti says:

    Due riflessioni sul che fare per unire e ribaltare la subalternità rispetto alla politica.
    1) In relazione al percorrere il canale istituzionale (Argiolas) so che tempo fa, nei regolamenti degli Enti Locali, era presente la possibilità di formare delle Consulte (cultura, sport, volontariato e via dicendo), strumenti finalizzati a canalizzare proposte e iniziative provenienti dai diversi settori della società civile, in modo da permettere l’affermarsi di un governo del territorio “vicino” alle esigenze dei cittadini e qualificato da un forte elemento di condivisione.
    Non so se qualcosa del genere è previsto anche dall’ordinamento della Ras.
    2) La grande illusione della “progettazione integrata” (iniziata proprio durante l’Assessorato Pigliaru della Giunta Soru) era un altro percorso che portava parti della società organizzata dentro i meccanismi della programmazione regionale dei fondi comunitari. Peccato che il tutto si rivelò (a fronte di un impegno estenuante degli Enti Locali e delle rappresentanze provenienti dalla società civile) una grande truffa, capace di allontanarci sempre di più dal mondo politico.
    Con ottica rivisitata, è lo stesso meccanismo attivato da Sardegna Possibile per “costruire” il suo programma elettorale. Devo dire che, al sottoscritto, questa esperienza è sembrata una delle cose più interessanti degli ultimi anni.
    Qualsiasi strada si vorrà percorrere (istituzionale, movimentista o altro) l’elemento propedeutico ultimativo sarà la capacità di unirsi, federarsi, integrarsi e di riuscire a raccontare un sistema di mondi, a volte, anche lontani, come possono essere la letteratura e la musica, il teatro con l’editoria, la letteratura con l’architettura … .
    Capire che la ricerca culturale deve rielaborare il marketing e la comunicazione, gestire la tecnologia, senza tradire gli elementi strutturali delle nostre tradizioni e del nostro “vivere” la Sardegna.
    Capire, prima di tutto, che l’obiettivo primario non sono i finanziamenti, ma la costruzione di un soggetto propulsivo che, non solo, elabora contenuti ma, anche, ha ben chiaro come i contenuti debbano creare valore aggiunto al sistema delle attività su cui si fonda (o si rifonderà) la nostra economia.
    Sarà un percorso dove il piccolo sarà importante come il grande, al pari del creativo che, sfruttando il lavoro del ricercatore, permetterà al divulgatore e all’utilizzatore di diffondere nuove intuizioni e qualità.

  4. Mario Argiolas says:

    Ho letto gli ultimi commenti di Fadda, Bozzetti e Dejosso e ne ricavo la sensazione che non è stato inutile discutere il post di Biolchini. Bozzetti ha ben focalizzato due elementi ricorrenti: frammentazione del movimento culturale e subalternità al ceto politico. Fadda si dice convinto che chi ha a cuore la cultura può trovare più facilmente elementi di convergenza ed auspica che eventuali finanziamenti all’editoria locale siano erogati sulla base di criteri che premiano la qualità e la ricerca. Dejosso richiama l’esigenza di fare sistema tra chi opera nel territorio con passione e continuità. Come superare la frammentazione e la subalternità? a mio avviso eliminando i pregiudizi, rinunciando a dividere il movimento in buoni e cattivi, amici e nemici, condividendo progetti e obiettivi utili alla diffusione del libro e della cultura. In una parola lavorando per unire e non per dividere e rinunciando a strumentalizzare le iniziative per favorire carriere personali. Per quando riguarda il ceto politico occorre incalzarlo senza fare sconti privilegiando i rapporti istituzionali e facendo sì che chi governa non si permetta di fare figli e figliastri ma adotti norme democratiche che garantiscano a tutti, sulla base del merito e del lavoro concreto, l’accesso ai finanziamenti pubblici e al supporto istituzionale. Rendo testimonianza della volontà di Dejosso di fare sistema per il lavoro comune nel territorio e segnalo a Fadda che l’AES può rivendicare a proprio merito due cose importanti: l’abbandono della Legge 35 (finanziamenti a fondo perduto per la stampa di libri con accesso aperto a tutti tipografi compresi) a favore della Legge 22 del 1998 (riconoscimento della figura dell’editore e del progetto, acquisto libri e rimborso materie prime, promozione del libro, partecipazione alle Fiere del Libro); l’introduzione di parametri rigorosi per l’accesso ai finanziamenti a tutela della qualità e del rigore del lavoro editoriale. Su questo ultimo punto posso dire molto, e molto ho scritto, perchè me ne sono occupato in prima persona quando ero Presidente dell’AES.

  5. Mario Argiolas says:

    “Ogni giorno delle librerie indipendenti, e non, chiudono, e nessuno chiede soldi pubblici per sostenere attività imprenditoriali private che pure sono presidi fondamentali di bibliodiversità e diffusione culturale.”

    “Anno 2007: alle glorie dell’Assessorato alla Cultura c’è da aggiungere il siluramento dell’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia, benemerenza imperitura da ascriversi al duo Soru-Mongiu”

    Questi due brani, il primo di Fadda, il secondo di Aldo Borghesi, mi hanno colpito particolarmente, tra gli altri.

    E’ difficile discutere, mi riferisco a Fadda, cui riconosco una risposta pacata e argomentata, se non ci mettiamo d’accordo su alcune cose basilari. Le librerie fanno commercio, le case editrici produzione di contenuti, sono due cose assolutamente diverse. Cosa ci accomuna? La promozione della lettura e della cultura, se entrambi lo facciamo. Per il resto la Regione Sardegna, come per altro fanno tante altre Regioni in Italia che hanno una legge sull’editoria (Piemonte, Umbria, Lazio, Puglia, Sicilia), sostiene l’editoria locale in quanto produce contenuti (libri) che rispecchiano e valorizzano la cultura locale. La Regione può anche sostenere le librerie quando fanno promozione della lettura sulla base di specifici progetti. Potrebbe anche se volesse e si dotasse di apposite norme sostenere le librerie indipendenti sul versante delle spese di affitto, per evitare lo spopolamento e l’abbandono dei centri storici, sul versante dell’aggiornamento professionale, su progetti specifici dedicati al libro sardo (per esempio incentivare lo scaffale permanente riservato al libro sardo) per controbilanciare l’omologazione culturale imposta dai grandi pruppi editoriali. Insomma ci sarebbe il tanto per trovare punti di contatto e collaborazione. Basterebbe che Liberos la semettesse di fare figli e figliastri (bravi editori e cattivi editori, bravi autori e cattivi autori) e abbandonasse i pregiudizi (editori sardi che pensano solo ai soldi pubblici).

    Per quanto riguarda il brano di Borghesi si commenta da se. Rilevo solo che quella che ama chiamarsi la nuova classe dirigente, da Soru in poi, non ha ancora compreso che il nuovo che recide le radici storiche e culturali, che abbandona i valori di fondo (La Resistenza e l’Antifascismo) e che getta alle ortiche un prezioso lavoro di formazione (come quello che faceva l’ISSRA), non porta da nessuna parte, anzi promuove lì’impoverimento culturale.

    • Pier Franco Fadda says:

      La differenza non è tra editori buoni ed editori cattivi, ma tra editori e tipografi, almeno a mio avviso. Argiolas e tanti altri, anche nell’AES, fanno parte della prima schiera, e la possibilità di dialogo è sempre aperta, basterebbe non chiederci di rinunciare al codice che ci siamo dati, quello che sostiene che uno stampatore, pur essendo un professionista rispettabilissimo e importante, non sia un vero editore, e anche in questo ambito ci sono svariate sfumature che abbiamo sempre colto. Anche gli editori, per altro, a meno che non siano ricchi di famiglia, i contenuti li producono per venderli… Detto questo, conscio che comunque si tratta di una visione che appartiene solo a una parte del mondo dell’editoria italiana, Io mi auguro sempre di riuscire ad avere con Mario Argiolas una serena conversazione davanti ad un piatto di porcetto, fuori dai ruoli istituzionali, per scoprire che, come sempre in questo ambito tra persone che hanno a cuore la cultura, sono più i punti di contatto che quelli di differenziazione e che si possono avere anche visioni parzialmente differenti ma lavorare insieme per la valorizzazione di quelle convergenti. Del resto sono tanti gli incontri organizzati da Lìberos proponendo libri di autori che hanno aderito pubblicati da editori che non lo hanno fatto. Per altro, come libraio, devo anche evidenziare il fatto che i migliori alleati delle case editrici sarde siano proprio i librai indipendenti. Non ho un pregiudizio rispetto a un’editoria sarda “che usufruisca anche di finanziamenti pubblici, vorrei solo, e credo che sia una richiesta condivisibile anche dalla maggioranza degli editori, che i criteri di assegnazione di eventuali finanziamenti fossero normati in maniera tale da premiare la qualità e la ricerca.

    • Paolo Bozzetti says:

      Vorrei sbagliarmi ma dai vari interventi di Argiolas, Fadda, Podda, De josso, Il Medievista (e tanti altri, tutti interessanti e apprezzabili) l’elemento che emerge con maggiore chiarezza e forza è un dinamismo teso tra frammentazione e subalternità.
      Frammentazione tra i vari operatori della cultura (editori, librai, associazioni piccole o grandi, autori e ricercatori) e subalternità al ceto politico.
      Credo infatti siano oramai evidenti due semplici e banali concetti:
      – la nostra classe politica è diventata insensibile e sorda alle richieste e alle esigenze provenienti dal corpo sociale, rinunciando al naturale ruolo di guida e sostegno che dovrebbe avere per favorire la crescita e lo sviluppo, circoscritto (il più delle volte, con tremenda pochezza) al solo momento elettorale;
      – il nostro mondo culturale è debole nella sua frammentazione e divisione, incapace di “imporre” al mondo politico riflessioni, impegni,interventi e attenzione.
      Oltre agli elementi presenti nelle riflessioni di Pierre Bourdieu, citate dalla Podda, valgono, per capire le ragioni di tale debolezza, le derive genetiche di noi sardi sui concetti di “unione” e “sistema”.
      Dato che continuare su questa strada è un percorso senza ritorno e senza approdi felici, credo sia giunta l’ora di trovare momenti e azioni innovative, dove si abbandonano gli spunti di divisione (festival letterari vs biblioteche, librai contro editori, attori contro cantanti ..) e si pensa a mettere in contemporanea un concetto vicino agli “Stati Generali della Cultura Sarda” (dove si può occupare l’Assessorato regionale, o ci si barrica nel Museo di Garibaldi o si costruisce un ponte umano tra la 131 e l’area archeologica di Santa Cristina …) avendo cura di aver formulato, prima, un piano di intervento d’emergenza, dove sia chiaro cosa realmente si “esige” dalla politica.
      Insomma uscire da questa palude di interessi, piccoli o grandi, di parte e costruire un sistema forte e dinamico, in grado di costruire futuro e sviluppo.
      Pensate non sia possibile?

      • Gentilissimo dottor Bozzetti, buongiorno. Il suo intervento ha centrato il nocciolo del problema. Non si fa sistema, ma non capisco quanto veramente si voglia farlo e ne ignoro i motivi. Il mio parere conta, tuttavia, molto poco, perchè quella che rapiresento è solo una minuscola e sconosciuta associazione. Pensando di fare cosa utile, tuttavia, di recente io ho avviato dei contatti con l’AES, e il dottor Argiolas dovrebbe essermene testimone, proprio con l’obiettivo di proporre un sia pur modesto tentativo di fare sistema per promuovere la cultura e il libro, in particolare, partendo da un coinvolgimento diretto delle associazioni presenti e operanti nel territorio con una programmazione annuale piuttosto che con singole, costose iniziative di breve durata anche se di grande risonanza. Ma, ripeto, noi contiamo ben poco. A muoversi dovrebbero essere altre e più autorevoli realtà. Ritengo tuttavia possibile la sua proposta e auspico su di essa un’ampia convergenza.

      • Pier Franco Fadda says:

        Sarebbe la cosa più sensata…

  6. Rita Podda says:

    Queste questioni che da ormai troppo tempo attraversano il cosiddetto mondo della cultura sarda mi hanno fatto ricordare l’utilità delle riflessioni di Pierre Bourdieu nella sua opera su “Campo intellettuale, campo del potere e habitus di classe”; lui sostiene che “il problema con gli intellettuali è che – a differenza di altre figure sociali – il discorso sugli intellettuali è monopolio degli intellettuali stessi”, e ancora “il monopolio intellettuale del discorso su di sé fa sì che il prodotto del lavoro intellettuale, venga considerato come pura creazione, prodotto disinteressato di una vocazione, di una chiamata, di una missione. In breve, l’intellettuale e il suo lavoro sono considerati come chiedono di essere visti, svincolati dalla loro esistenza sociale”, una sorta di angelicità, quindi, di incorporea gratuità che molti intellettuali si assegnano. E ancora “Cos’è un intellettuale?, “Come e che interesse c’è a diventare intellettuali?, “Tra gli intellettuali tutti gli interessi sono negati, non c’è più altro che disinteresse. In realtà agiscono l’un contro l’altro”. E l’interesse non può riguardare solo il lato economico, spesso riguarda l’acquisizione e il riconoscimento di status, l’ordine simbolico, le relazioni … C’entrano queste riflessioni con la “tenzone” che si è ri-aperta? Mi chiedo, se si ha effettivo interesse ad uscire dalle logiche perverse, già vissute nel corso delle ultime gestioni della politica regionale della cultura (di centrosinistra e di centrodestra), dal dirigismo di un certo mandarinato intellettuale e dai comitati di prossimità (palesi o occulti), se non occorra urgentemente che l’autorità della buona politica (mai confondibile con il mero esercizio del potere e merce rara in Sardegna) apra un confronto pubblico sui necessari “riconoscimenti reciproci” di “utilità pubblica e sociale” di tutte le figure, i settori, che contribuiscono al dare una “dimensione sociale” al fare cultura in Sardegna. Perché occorrerebbe riconoscere che c’è una “dimensione sarda” del fare cultura e che non può essere ricondotta solo alla “questione lingua”, e che non può glissare la questione di un panorama socio-economico-culturale sardo “terremotato”, di un impoverimento anche culturale dei “più” a cui non da troppo tempo non si risponde attraverso il rafforzamento delle infrastrutture culturali territoriali permanenti (quelle che possono fare la differenza nel dare opportunità alle persone, al di là delle disparità delle condizioni di partenza, di diventare capaci di scegliere in autonomia quel che è meglio per loro, letture comprese), ma, per lo più, con percorsi e “pacchetti culturali” centrati su autoreferenzialità e bulimia culturale di ristretti gruppi, già formati a un consumo onnivoro di cultura e con scarsa propensione a spendersi anzitutto per richiamare al loro ruolo le istituzioni locali, a partire da quello di garantire accesso reale ai servizi culturali di base, universalistici, sul territorio, a chi si trova in condizioni di “rischio impoverimento” materiale, culturale, relazionale. C’è o no una questione di “welfare della cultura” in Sardegna? Che risposta possono dare i libri e l’editoria sarda nella costruzione di percorsi di crescita culturale e di recupero di gran parte della popolazione a un ruolo attivo nella vita sociale, economica e democratica della nostra Regione? Come possono le istituzioni farsi carico del fatto che c’è, ormai da diversi anni, in Italia e in Sardegna una riconosciuta CRISI sia di vendita e lettura di libri (in particolare di saggistica) sia dell’Editoria libraria, in particolare di quella piccola e media che nonostante la vivacità culturale non riesce né a creare “veri posti di lavoro” né a mantenere il livello di quelli esistenti qualche anno fa? Davvero è solo il “mercato” che può fungere da regolatore, magari secondo logiche darwiniane? Che ci siano delle “contraddizioni” nelle politiche di sostegno da parte delle istituzioni di alcuni percorsi culturali è fuori di dubbio, basta leggere quanto scritto il 12 aprile scorso nell’inserto de L’Unione Sarda, Gli studenti raccontano la Sardegna”, dalla studentessa Francesca Soru a proposito del “Paradosso culturale nel paese del festival letterario. Gavoi, biblioteca a mezzo servizio”; negli ultimi anni la biblioteca ha dovuto acquistare sempre meno libri e i giorni di apertura sono passati da 5 a 2, e mi risulta abbia anche chiuso l’unica libreria del paese. Una situazione che riguarda ormai gran parte dei paesi della Sardegna e la stessa capitale di Regione, Cagliari, che a fronte di una “eccellenza”, la biblioteca centrale MEM, vede gli abitanti dei suoi quartieri privi di biblioteche (a parte quelle di via Stoccolma e via Venezia che funzionano per 1 giorno e mezzo a settimana) e quindi privi anche di una reale progettualità culturale istituzionale che li riguardi. C’è bisogno o no di “fare ragionamenti pubblici” su quali possano essere le “priorità giuste” (e quali siano invece sbagliate, come priorità), i diversi punti di vista, e anche d’interesse, in conflitto e quale legittima mediazione politica si renda necessaria?

    • La ringrazio per questo chiarissimo, autorevole contributo. Temo, tuttavia che chi di dovere non stia seguendo questo nostro piccolo dibattito al quale mancherà quindi la sua voce. Un vero peccato.

    • Michela says:

      un intervento chiarissimo sul quale non posso che essere d’accordo. Credo che un discorso strutturato e interventi mirati e capillari portino più benefici degli slogan e della propaganda, e proprio di questo ha bisogno la Sardegna.

  7. Rita Podda says:

    Mi

  8. Il Medievista says:

    Che la giunta regionale sarebbe stata una cosa del genere, lo sapevamo tutti.
    Che si sia liberi di criticare le persone che abbiamo votato, è pacifico.
    Che chi ha cercato di convincere gli altri a NON VOTARE Pigliaru abbia tutti i diritti di lamentarsi, è anche questo fuori discussione.
    Ma. esaurite le comprensibili lamentazioni generali, cosa si può fare adesso?
    Ha certo ragione Ale Sestu sul fatto che non ci sono soldi e si fa quello che si può.
    Ma io non posso che constatare come in Sardegna si produce tantissima editoria in rapporto alle dimensioni dell’isola e alla sua popolazione ma non si legge con lo stesso rapporto.
    Inoltre, la produzione isolana è a detta di molti osservatori esterni e anche indigeni, ripetitiva, autoreferenziale e, salvo eccezioni, di scarso interesse per il pubblico extra isolano. con tale base di partenza non si può sperare più di tanto, se non tenere in piedi la baracca in tempi di vacche grasse o perlomeno in tempi in cui la crisi economica non morda come sta mordendo ora.
    Questi i dati di fatto
    Forse dovremmo semplicemente ammettere che un’isola di 1.600.000 abitanti più di tanto non può produrre e a più di tanto non può ambire e che non essere alla Fiera del Libro di Torino è solamente la punta di un iceberg di grandissime dimensioni.
    Ma forse non tutti i mali vengono per nuocere.
    Potrebbe essere l’occasione, come in altri settori della vita della Sardegna, per ri dimensionarsi. Che non vuole dire tagliare e diventare più piccoli ma, appunto dimensionare in modo diverso la produzione editoriale sarda, eliminando le produzioni stantie, ripetitive, senza mercato e puntare con più coraggio a promuovere qualcosa di diverso editorialmente.
    Se poi la Regione Sarda facesse un’altra cosa, decisamente impopolare (ma tanto ormai…), sarebbe forse meglio.
    Mi spiego. Per la mia professione io ho bisogno di biblioteche e di libri. Per gli studi che propongo nel campo della Medievistica mi trovo di fronte a questo problema:
    Di 100 libri che mi servono per le mie ricerche, in Sardegna ne trovo solamente 5, altrimenti sono letteralmente inondato da materiali sull’identità sarda, sui nuragici eroi, su Eleonora d’Arborea paladina della fierezza sarda, sull’arte sarda che è il meglio in circolazione, dei magici silenzi della nostra terra, della natura selvaggia e incontaminata, di quelle pietre che sembrano quasi parlare… suonare.
    Se invece cerco quegli studi dove realmente trovo la possibilità di collegare il ruolo dell’isola al più ampio contesto internazionale e mediterraneo (ma sul serio, però, non come si dice e però non si fa qui da noi) ecco che non trovo assolutamente niente.
    Se cerco “The Corrupting Sea” di Horden – Pourcel o altro di simile, nelle nostre biblioteche non si trova e questo solamente per fare un esempio.
    Forse, allora, la Regione potrebbe selezionare meglio i finanziamenti a pioggia che servono principalmente a non far morire le nostre case editrici, le quali, però, continuano a produrre tanto materiale che non riscuote consenso se non in piccolissime nicchie di mercato e che non concorre a risollevare le sorti dell’editoria nostrana.
    E questi soldi potrebbero essere investiti con coraggio nel finanziare i pochi progetti editoriali interessanti, che comunque ci sono anche in questa nostra disgraziata isola.
    Meno pubblicazioni, dunque, ma di maggiore qualità e con più possibilità di trovare mercato.
    Coi soldi risparmiati la Regione potrebbe fare quindi la MOSSA DECISIVA per il futuro della Sardegna: rifornire le biblioteche isolane non solo di letteratura internazionale di qualità (che in una certa misura già arriva) ma anche di monografie, saggi, riviste di spessore, che facciano un po’ da linfa nuova per l’asfittica qualità della speculazione scientifica nostrana, davvero di modesta qualità e non da oggi.
    Tutto questo senza avere la pretesa che la Biblioteca Universitaria di Cagliari diventi come l’Ecole Française de Rome (magari: lì trovo 95 libri su 100 e gli altri 5 me li acquistano nel giro di un mese) ma una piccola rivoluzione come quella suggerita un tempo dalla Madame De Stael, quello si, ne abbiamo un bisogno disperato.
    Perdonate la lunghezza e la ruvidezza, magari i toni si potranno anche aggiustare ma la sostanza credo che sia questa.

  9. Condividiamo questa breve nota, presente nella nostra pagina facebook, per cercare di informare in modo chiaro ed esaustivo la platea degli interessati, spesso anche troppo “interessati”, che figurano tra i commenti delle osservazioni di Vito Biolchini.

    È vero, le case editrici sono delle aziende, come le librerie, le cooperative teatrali, le società di servizi, e così via…

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    a replica dell’AES alle sterili e strumentali argomentazioni di Michela Murgia.
    A proposito di autoreferenzialità: come dobbiamo giudicare chi si autoincensa ponendosi a modello esemplare se, nel farlo, neanche si informa in merito ai suoi… “potenziali” (in realtà non tali) competitor?
    Per la cronaca: l’AES lo scorso anno ha rappresentato, insieme alla Regione Sardegna, 28 case editrici, ricevendo un contributo decisamente inferiore a fronte di una spesa complessiva di 28mila euro. Abbiamo assolto in questo modo ad una finalità istituzionale di un soggetto privato, che è l’AES, una associazione senza scopo di lucro che difende gli interessi delle aziende che rappresenta in un’ottica di più ampia promozione della cultura e del territorio; garantendo, nel contempo, la partecipazione della Regione Sardegna che riconosce tra le sue finalità, come recita la dicitura dell’Assessorato della P.I., BB.CC., INFORMAZIONE, SPETTACOLO E SPORT, anche la valorizzazione dell’editoria.
    Ricordiamo, sempre per la cronaca, che il comparto dell’editoria libraria locale ha ricevuto semplici incentivi nell’annualità 2013 per un importo complessivo di 100mila euro ripartiti tra 35 case editrici isolane, e che queste minime risorse sono state assegnate in virtù di una legge approvata dal Consiglio regionale con specifici criteri di valutazione e di applicazione: si è trattato, evidentemente, di un riconoscimento anche in questo caso simbolico.

    Ciò nonostante, nel nostro incontro costruttivo con l’assessore FIRINO, abbiamo posto al centro del dialogo appena instaurato comuni obiettivi generali e strutturali, citati nel nostro comunicato.
    Ci chiediamo a questo punto perché si sollevino polveroni sempre e solo contro i più deboli, distogliendo opportunamente lo sguardo da situazioni ben più rilevanti economicamente.

    La protesta dell’AES è frutto di una sana dialettica tra le parti, che non deve mai mancare, se vogliamo che l’arena politica resti tale.
    Nessuna contrapposizione con i Festival letterari. Abbiamo solo svolto delle considerazioni che servono a evidenziare la necessità di ricondurre le scelte ad uno stesso ambito e a medesimi ragionamenti. Se, come pare, tutti le voci di spesa relative ai contributi del settore SPETTACOLO, SPORT, EDITORIA E INFORMAZIONE dell’Assessorato alla Cultura della Regione Sardegna sono congelate e sospese, il problema si ripresenterà tra non molto per tutti. E allora sarà lecito chiedersi come si arriverà a modellare in modo trasparente ed equo il ruolo di sostegno attivo che la Regione Sardegna ha sinora garantito.

    Anche questa è democrazia.

  10. Michela says:

    Un articolo ridicolo che la dice lunga sull’idea che i soldi pubblici siano percepiti come banconote del monopoli. “Solo” 50mila euro, se sono inutili, sono uno spreco per una Regione già in ginocchio. Andare alla fiera del libro per far salottino mentre in Sardegna la dispersione scolastica è al 25% e la gente entra in libreria solo per chiedere dov’è il tabacchino più vicino è il più triste segnale d’allarme. Poi Michela Murgia può dir quel che vuole, credo che con i 100mila euro che Liberos ha vinto con il bando “CheFare?” al Salone del Libro avrebbe potuto andarci senza dover sempre far polemica politica, come ci stanno andando altri editori sardi evidentemente meno piagnoni e ipocriti.

    • Invece i 500mila euro destinati da Pigliaru ai festival letterari sono
      più utili?

      • Michela says:

        Io parlavo dell’inutilità di finanziare il presenzialismo di aziende private (quali sono le case editrici) con soldi pubblici. Non capisco il senso della tua domanda retorica.

      • La domanda è tutt’altro che retorica. Con una regione in ginocchio per le motivazioni che tu stessa hai indicato, tu pensi, ripeto, che non sia opportuno parlare anche dei tanti occasionali salottini proposti dai tanti costosi festival letterari, forse utili per concedere una boccata d’ossigeno agli operatori locali, ma non certo per promuovere la lettura e l’acquisto dei libri.
        Per quanto riguarda l’AES, i contributi per l’editoria sono previsti per legge. Non mi pare corretto che un ente pubblico ignori le leggi, qualunque possa esserne il motivo. Pigliaru ritiene che il vento sia cambiato e che l’AES possa partecipare ai saloni
        del libro a proprie spese ? Bene, proponga l’eliminazione di quella legge. Se, invece, intende fare risparmi proprio sulla cultura abbia il coraggio di tagliare dove si
        spende di più e male. Ma ne dubito.

      • Rita Podda says:

        “Il libro è un prodotto nel mercato ma non di mercato”. Lo disse una grande intellettuale di sinistra, Giulia Rodano, che in qualità di Assessore alla Cultura nella reg.Lazio, giunta Marrazzo, promosse, con la collaborazione dell’Ass.re alla Piccola e media impresa, la Legge Reg. a sostegno del libro e della piccola e media editoria. Ormai più o meno tutte le regioni (senza aver peraltro bisogno di richiamarsi nè all’autonomia, nè alla specialità nè ad alcun sovranismo) si sono dotate di una propria legge in materia, dato che sono loro che hanno potestà legislativa, e quindi d’intervento, e tutte prevedono peraltro il sostegno della partecipazione delle imprese editrici alle più importanti manifestazioni fieristiche nazionali e internazionali. Sarebbe utile capire da quali presupposti siano partite le leggi più datate, come quella sarda, e quale attualizzazione del problema del rapporto stretto fra piccola e media editoria libraria d’ambito regionale e democrazia culturale (e tout court) sia presente in quellepiù recenti. E serve che vengano spesi su ciò “ragionamenti politici pubblici”.

    • Pier Franco Fadda says:

      In realtà Lìberos lo scorso anno, con i soldi di “Che Fare?”, su richiesta degli stessi finianziatori, era presente a Torino con uno degli stand unanimemente riconosciuto tra i più belli e nel quale 6 editori sardi (aderenti alla rete, uno dei quali sicuramente presente, senza contributi, all’ edizione di quest’anno) hanno proposto le loro pubblicazioni, intessuto rapporti con librai e distributori e presentato i propri autori. Dalle 10 del mattino alle 19,30 ogni ora ha visto un incontro spaziando dalla narrativa ai testi sulla musica agli incontri sui beni comuni e la tutela del paesaggio, senza escludere un incontro con delle scolaresche piemontesi sul tema del bullismo a scuola. Quest’anno non ci saremo, ma se avessimo progettato di esserci, i 25.000 euro spesi per la scorsa edizione, non li avremmo chiesti alla Regione ma a sponsors privati e agli editori che sarebbero intervenuti quotandosi, esattamente come nella scorsa edizione. L’ Assessorato alla Cultura, mica è un segreto, finanzia, come per altri, il festival Entula, 62 incontri lo scorso anno tra Settembre e Novembre in 20 comuni sparsi per la Sardegna, molti di più previsti quest’anno da metà Luglio a metà Novembre, con il contributo dei comuni aderenti e sponsors privati. Ribadisco: il problema non è dare o non dare i soldi, ma come questi vengono spesi e con quali reali ricadute culturali o economiche sul territorio. Il Festival di Gavoi, sono le ricerche indipendenti a dirlo, restituisce al territorio 7 volte quanto si è speso in finanziamenti. Al territorio, non al comitato organizzatore…

      • Mario Argiolas says:

        Leggendo i post di Fadda si capisce che oramai in Sardegna oltre alla potente lobby degli editori sardi, che è più immaginaria che reale, esiste una ben più concreta lobby che vuole trasformare tutto in un festival letterario. Se volessi scendere al livello di confronto di Fadda e compagnia mi basterebbe fare una semplice domanda: ha senso che la Regione finanzi con tanti bei soldini pubblici Entula che organizza 62 incontri nei vari centri dell’Isola, in realtà i tour di diversi scrittori per lo più non sardi, e non degni di un minimo supporto e considerazione gli oltre 400 incontri che gli editori dell’AES organizzano a spese loro in tutta la Sardegna presentando libri anche di saggistica e di storia e non solo di letteratura, suscitando dibattito e crescita culturale,coinvolgendo gli operatori locali?
        Infine una considerazione: massimo rispetto per il lavoro di Liberos ma riferendoci al Salone del Libro di Torino non ha senso confrontare una rete di editori AES che producono libri e vogliono esporre il loro catalogo in Fiera con una associazione privata che produce al massimo la promozione degli autori più prossimi o ritenuti idonei da Liberos. Ripeto: con tutto il rispetto per il lavoro altrui. Ma io penso che la Regione dovrebbe prioritariamente incoraggiare gli operatori locali che producono manufatti (libri) e creano con sacrificio e duro lavoro infrastrutture culturali permanenti.

      • Buonasera dottor Argiolas. Con i soldi pubblici siamo tutti capaci di pensare e di organizzare in grande. Entula? Festival letterario diffuso o semplice ciclo di presentazioni un po’ qua è un po’ là? Più là che qua, visto e considerato che Campidano, Cagliaritano e Sulcis-Iglesiente sono marginali se non addirittura assenti. La mia associazione nel 2013 ha
        presentato un autore al mese per un totale di venti incontri e nessuno ci ha dato un euro. Quando la Regione decide di intervenire nel settore della promozione deve consentire a tutte le realtà presenti sul territorio di poter accedere ai finanziamenti in proporzione della qualità della sua proposta. Così, se proprio si volesse continuare a parlare di “festival diffuso”, solo allora il festival sarebbe veramente e capillarmente diffuso.

      • Pier Franco Fadda says:

        Io ho solo fatto una precisazione rispetto al fatto che a Torino noi i siamo effettivamente andati con i soldi di “Che Fare?” e senza contributo pubblico per la “partecipazione” (infatti, quest’anno, senza i soldi ed in silenzio, senza cercare nulla a nessuno, stand non ne faremo), come sembrava che venisse richiesto dall’intervento cui mi sono rifatto. Il rispetto per il lavoro degli altri è massimo, specialmente quando si opera nel settore della promozione culturale o dell’editoria in genere. Ognuno, ovviamente, vanta le proprie iniziative e cerca di portare acqua al proprio mulino. Del resto Entula va avanti per 5 mesi, nel resto dell’anno facciamo iniziative fuori dal Festival (Milena Agus e Luciana Castellina a Cagliari, Villanovaforru e Sorso vengono al di fuori del festival, per esempio).Massimo rispetto, ma se ci sono differenze di vedute mi pare che non sia un delitto esprimerle! Per esempio, sul discorso della vanity press ci saranno sempre infinite discussioni… Lìberos va avanti per la sua strada, condivisibile o meno da altri protagonosti della scena editoriale sarda (non ho voglia ora di elencare gli autori sardi presentati nelle nostre rassegne, ma Vanessa Roggeri, che è cagliaritana, ha aperto Entula, poi ci sono Nicolò Migheli, Fabio Forma, Andrea Atzori etc, etc. etc., e mi sembra che gli stessi Marcello Fois, Michela Agus, Michela Murgia, Francesco Abate non siano “continentali”; poi potrei dire che anche portare autori “nazionali” in piccoli centri da 2500 abitanti o meno, può essere considerato un titolo di merito, ma è questione di opinioni…). Non dico che facciamo più di altri o meglio di altri, c’è sempre da imparare, per tutti e da tutti. Se, però, la proposta di Lìberos ha avuto un minimo di successo, e oggettivamente lo sta avendo, credo che vada riconosciuto. E non mi sognerei mai di discutere i meriti storici dell’editoria sarda, solo che, a volte, sembra si parli più di finanziamenti che di progettualità, ma potrei sbagliarmi, e sicuramente mi sbaglio. Ecco, all’
        Assessore ( o se si preferisce Assessora) Firinu, chiederei quali sono le linee dentro le quali vorrà muoversi la Giunta Pigliaru rispetto ai temi della dispersione scolastica, dello spopolamento delle zone interne, della lingua sarda, delle iniziative volte ad una maggiore diffusione della lettura, ma anche del teatro o della musica, su tutto il territorio regionale, delle risorse finanziarie destinate alle biblioteche, della valorizzazione dei beni archeologici etc. etc. etc. Un piccolo inciso a chiosa: io faccio il libraio, figura importante per la diffusione della cultura quanto quella degli editori, e su questo credo non ci piova. Ogni giorno delle librerie indipendenti, e non, chiudono, e nessuno chiede soldi pubblici per sostenere attività imprenditoriali private che pure sono presidi fondamentali di bibliodiversità e diffusione culturale. Più soldi alle biblioteche, più soldi agli archeologi, più soldi alla scuola, e tutti ne trarremo vantaggio!

  11. urgekitana says:

    un tempo al TG di RAI Regione c’era una rubrica settimanale sull’editoria sarda… tre o quattro titoli presentati, adesso non vorrei sbagliare ma non l’ho più vista… ma anche quella forse era una cosa a pagamento mi chiedo… allora forse sarebbe meglio che la RAS finanziasse rubriche del genere (anche più ampie) sulle televisioni locali e Rai Regione piuttosto che pagare lo stand a Torino che magari è dispersivo.

  12. Paolo Bozzetti says:

    È proprio vero che il mondo del pallone (fggtball) ha contagiato in maniera irrimediabile molti aspetti della vita di noi italiani.
    Un blog normalmente frequentato in campagna elettorale da tanti amici responsabili e di sane radici democratiche (intese non in senso partitico) si sta già trasmutando al livello di quei presidenti di squadre di calcio capaci di licenziare l’allenatore alla seconda giornata del campionato.
    Dimissioni dell’Assessore, chiusura (o commissariamento) dell’assessorato … quando son passati due mesi dal giorno delle elezioni e ancora meno dall’insediamento della Giunta.
    Anche se fosse possibile premere il classico bottoncino per conoscere il reale stato delle disponibilità regionali e impostare immediatamente il programma operativo in grado di tradurre le scelte e le priorità dell’esecutivo … ecco, anche in questo caso, trovo che non ci siano delle grandi utilità nel contribuire a creare questo clima da “ultima spiaggia” nella politica isolana.
    Sopratutto considerando lo scenario attuale di una situazione economica spaventosa, dove “la crisi” ha azzerato l’economia di interi settori e di milioni di persone.
    Tutto questo fatto salvo, ovviamente il diritto di critica e la richiesta di una coerenza di fondo delle scelte praticate dalla Giunta.
    Insomma suggerirei, maliziosamente, che i fautori del “voto utile”, riuscissero a praticare anche un minimo di “pazienza utile”.

    • Carlo Murtas says:

      Bozzetti forse non ti rendi conto che la Destra lavora eccome quando dispone di un po di potere. Guarda la vicenda di quei poveri senegalesi al parcheggio delle Vele di Quartucciu; hanno abboccato come pesci alla provocazione del direttore del centro commerciale. Guarda i titoli e i commenti dell Unione Sarda sulla vicenda, leggiti gli esemplari interventi dei vari Crivelli e Zasso, sembrano usciti dalle pagine di un saggio di Zigmun Bauman.
      Noi invece della Sinistra lavoriamo al contrario. Non riusciamo a ritrovare la nostra missione ed a mettere a fuoco la realtà di cui farci carico.
      Ci rimane almeno l’impegno per la Cultura ? No niente, anche lì dobbiamo smottare inesorabilmente e farci dettare la linea del risparmio a tutti i costi, anzichè dell’investimento generoso e lungimirante, secondo la linea che da Soru a Zedda alla fine ci fa apparire più realisti del re.
      Ma quale “pazienza utile”, caro Bozzetti, non ho mica votato un governo regionale di Sinistra per farmi prendere per il culo !

    • Paolo Bozzetti says:

      @ Carlo Murtas
      Non credo che nel mio intervento abbia messo in dubbio la possibilità di criticare qualsiasi governo del patrio suolo.
      Quello che non trovo utile è arrivare agli estremi (dimissioni, chiusura assessorato) veicolati dal blog ad appena un mese dall’insediamento della Giunta e a fronte di una situazione lasciata dall’amico UgoTuttoSugo, che nella letteratura politica si usa riassumere nel termine evocativo dell'”avvelenamento dei pozzi”.
      Non trovo corretto questo modo di comportarsi (quasi una reazione isterica da amante tradito) perchè non serve a nessuno, sopratutto a noi sardi, che si arrivi a queste ridicole richieste, in tempi così stretti.
      A meno che non si stia per riprendere la campagna elettorale.
      Ma non voglio entrare nel Teatro dell’Assurdo dei ricorsi.
      Detto ciò, “caro Murtas”, farò due notazioni:
      -1) che tu abbia votato quello che definisci “un governo di sinistra” probabilmente è una pia illusione (il pensarlo di sinistra, intendo), mentre, da come butta la musica, ho l’impressione che sia una certezza la tua bella presa per il culo.
      Quando tra le “Dee Madri” e il “triste Bronzetto” hai scelto quest’ultimo, sembra (ma non me lo auguro, bada bene) che la scelta non sia stata così felice.
      -2) fare questa battaglia per l’AES, non mi sembra che sia una battaglia per la Cultura sarda, perché alla fine stiamo parlando di una realtà privata (stimabile, comunque, ma estremamente limitata), composta da 27 operatori iscritti (ventisette, come risulta dal loro sito aggiornato all’ottobre 2013), tra cui ci sono molte case editrici (non tutte, ma non poche) che lavorano consistentemente utilizzando fondi pubblici ed hanno limitate finestre sul mercato reale del libro (quindi mi sento autorizzato a dire che hanno abbondantemente munto la vacca pubblica, per produrre con livelli di qualità, a volte, discutibili).
      Non sono felice di questo stop al finanziamento, ma credo che, la scelta di non finanziarli, possa essere motivo di discussione, con ragioni da ambo le parti, sopratutto in un contesto sociale dove molta gente non riesce a mettere il pranzo con la cena.
      Sicuramente non credo sia uno scandalo che giustifichi le ridicole richieste del “web”.
      Hasta luego.

      • Carlo Murtas says:

        Condivido in pieno l’intervento di Biolchini che nel post ” Dio esiste oppure no ? ” ha giustamente rincarato la dose.
        Sul merito della vicenda il governo regionale oltre che incoerente rispetto agli impegni elettorali, in relazione all’entità della cifra in gioco, si è reso ridicolo.
        Sarà la continuazione della famigerata linea Soru/Mongiu con attacchi all’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia, all’Umanitaria, all’Unione Autonoma dei Partigiani ecc.?
        Lo so, loro anelavano ai Giganti di Pietra ed al Bètile, però nel frattempo hanno tentato di radere al suolo il poco che
        c’ era.
        Dobbiamo aspettarci la continuazione di questa storia in attesa del rilancio del Bètile coi Giganti di Pietra?
        Non pensi Bozzetti che con questi precedenti e questo bell’esordio forse è meglio tenere la guardia alta ?

      • Paolo Bozzetti says:

        Caro Carlo,
        nello specifico di questa vicenda, già dalla sola lettura dei commenti al post di Vito, penso risulti evidente come le ragioni di chi censura il comportamento della Giunta si equivalgono a quelle di chi può pensare che esiste qualche serio fondamento allo stop al finanziamento.
        In prospettiva più generale, l’esordio del Pigliaru1 è poco rassicurante e l’impressione più inquietante viene dal vedere come, sopratutto i rapporti con il governo centrale, si risolvano generalmente in un inconsistente balbettio dei nostri rappresentanti.
        Ma, anche in un contesto del genere (compresa la conoscenza delle attitudini passate) tenere alta l’attenzione non può significare creare un clima di totale sconforto e delusione (dove a provocazione si aggiunge provocazione) prima che siano trascorsi almeno sei mesi di governo.

  13. Aldo Borghesi says:

    Anno 2007: alle glorie dell’Assessorato alla Cultura c’è da aggiungere il siluramento dell’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia, benemerenza imperitura da ascriversi al duo Soru-Mongiu: il colore della giunta era sempre quello (gli altri saranno meno titolati, ma senz’altro anche meno supponenti e deleteri). 42.000 euro annuali risparmiati.Tre sedi chiuse, una sola delle quali sta riuscendo a mantenere operatività dopo essersi resa autonoma (naturalmente senza un soldo da Regione o Province), due archivi chiusi in uno dei quali è conservato appena appena il fondo di Emilio Lussu, due biblioteche in SBN chiuse per un patrimonio totale di oltre 20.000 volumi. Uno dei pochissimi (sei) Istituti storici della Resistenza operanti a sud di Roma.
    E, quel che più sconcerta, senza un perchè, senza che mai una spiegazione credibile sia stata data, per quanto pubblicamente richiesta. La Sardegna non produce marmo abbastanza per produrre una lapide tale da eternare tanta gloria, ma a quanto pare c’è chi è già sulla buona strada dell’emulare e superare.
    Solo che non bisognava votarli. Nè sostenerli. Questa gente dovrebbe sentirsi addosso il gelo dell’isolamento morale, oltre che elettorale (che lì, già l’aver ottenuto il consenso del 42 per cento del 52 per cento dell’elettorato farebbe arrossire ogni persona dabbene). E invece ogni volta trova volenterosi portatori d’acqua e di consenso; mai nessuno dei quali alla fine esce a dire scusateci, ci siamo resi complici di un bidone, non lo faremo più, impareremo a star fermi e zitti almeno un turno dopo topiche del genere.

  14. Pier Franco Fadda says:

    Non è solo a farlo, ma come e con chi lo fai e quale immagine della Sardegna veicoli. Siceramente? Per come si è presentato lo stand della Sardegna gli scorsi anni, meglio una pausa di riflessione. 52 editori che mettono 1000 euro o 25 che mettono 2000 a testa fanno uno stand ( e vi posso garantire che se ne fa uno strafigo con 25.000).

  15. Giorgio Piras says:

    sto proprio godendo…sto ripensando alle vostre risatine, alle battutine, al vostro inutile disprezzo…sono passati solo pochi mesi dalla campagna elettorale…godetevi il vostro super consenso…anzi, scrosaixidda!

  16. cari cittadini non restate con le mani in mano e il momento di far sentire la nostra voce!!!!!!

  17. ZEPROF says:

    Puntare sulla cultura paga…

  18. Carlo Murtas says:

    Alla faccia di quanto predicato in campagna elettorale, continuiamo a farci del male sempre in prima linea per i risparmi sulla Cultura, peraltro sempre in perfetta sintonia con le amministrazioni di Centrosinistra passate e presenti con Soru e Zedda che hanno dato la linea strategica anche per le amministrazioni future.
    Bella la proposta di tagliare i fondi allo staff dell’Assessorato alla cultura, d’altronde a che cazzo serve tenere in piedi un costoso staff con Assessore e compagnia bella se non ci sono i soldi per le politiche concrete sulla Cultura.

  19. Francesco Utzeri says:

    Non so se la decisione della giunta regionale è giusta o sbagliata, so solo che quando si negano fondi alla cultura si sbaglia in ogni caso. Il problema però, a mio avviso, è un altro. Sapere se sia veramente necessario partecipare a queste fiere e/o saloni. Per conto dell’azienda con la quale collaboravo, e senza alcun contributo pubblico, ho partecipato a diverse edizioni della BIT (per chi non lo sapesse la principale fiera del turismo in Italia) e capitava di viaggiare, talvolta anche soggiornare nello stesso albergo, con dipendenti pubblici dello stand regionale che ci ospitava durante la fiera. I discorsi che si sentivano durante la giornata vertevano principalmente sul ” come trascorrere la serata del dopo fiera; su quale ristorante scegliere e così via”. Ovviamente credo che questa non sia la generalità dei casi ma mi sono sempre chiesto, se questo aspetto, fosse veramente utile per la promozione turistica dell’Isola.
    Non è che i componenti della giunta si sono posti la mia stessa domanda ?

  20. Stefano says:

    fare delle scelte in campagna elettorale è un po diverso da quelle che si devono fare con CORAGGIO quando si amministra… è solo l’inizio purtroppo … avrà deciso il Senato accademico?

  21. Al convegno che si è tenuto al circolo Copernico, quello sull’aborto, l’assessore (mi pare alla programmazione) ha detto che il bilancio regionale ha un buco di 1,2 miliardi di euro.
    Mancano 1,2 miliardi su un bilancio di poco più di 7.

    • Anonimo says:

      E’ un classico scoprire un buco appena eletti

      • Qualunque richiesta verrà fatta la risposta sarà sempre la stessa: non ci son soldi, stiamo navigando a vista, rischiamo di non riuscire a pagare neanche gli stipendi.
        Non sto dicendo che sia falso; semplicemente la situazione è questa e andremo avanti così per parecchio tempo.

  22. Pigliaru l’aveva detto chiaramente,nella presentazione del suo programma, che avrebbe privilegiato i grandi eventi. Evidentemente per lui il Salone del Libro di Torino non è un grande evento o non è un evento che comunque possa interessare la Sardegna. Ma i Festival del libro organizzati in Sardegna servono a promuovere il libro e l’editoria sarda o servono a tutt’altro?

  23. Antonello Pabis says:

    Si, anche la FIRINO dovrebbe trarre le sue conseguenze: DIMMISSIONI SUBITO e se non cambiano marcia anche un bel VAFFANCULO

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