Giornalismo

Guerra e informazione: ma chi critica il cattivo giornalismo sa anche riconoscere quello buono?

Ucraina 2022

A leggere Facebook (ma anche a sentire molti illustri commentatori e politici) si ha come l’impressione che la responsabilità della guerra si stia repentinamente spostando da coloro che la guerra hanno deciso di farla (Putin) a coloro che la guerra si sforzano di raccontarla. La colpa più grave di ciò che sta avvenendo, insomma, pare ora essere dell’informazione e del giornalismo in generale: accusati di essere troppo di parte, troppo appiattiti su versioni ufficiali, troppo emotivi. Troppo tutto.

Come se fosse il racconto dei giornalisti a costruire la realtà (nello specifico, la guerra) e non già la realtà ad imporsi per quella che è. 

Lo so, è un argomento spinoso e profondo. Ho anche letto la lettera aperta di dieci firme del giornalismo italiano che invitano i loro colleghi a fare “analisi profonde”. E so anche che nel racconto giornalistico di queste settimane non mancano distorsioni, esagerazioni, strumentalizzazioni, fischi per fiaschi, perfino nefandezze. 

Ma, posto che criticare la stampa è già un segno evidente di salute di un sistema democratico, vorrei suggerire a chi ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui un piccolo gioco che ho sempre proposto ai giovani delle superiori o dell’università con i quali negli anni ho avuto modo di lavorare all’interno di laboratori di giornalismo o di scrittura.

Il gioco è questo: per ogni cattivo esempio di giornalismo che individuate (facendo nomi e cognomi e non stando nel vago come i dieci illustri colleghi), per cortesia portatemene anche uno buono.

Non vi è piaciuto l’articolo di Tizio sulla guerra? Indicatemi un articolo che invece vi ha convinto.

Pensate che Caio dica bugie? Indicatemi invece chi secondo voi si sforza di cercare la verità.

Sempronio in questo articolo riporta versioni di comodo non verificate? Indicatemi invece chi verifica le fonti e che fa buona informazione.

È un gioco che ha un duplice scopo. 

Il primo: capire se siamo sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda e se abbiamo la stessa idea di informazione. Perché il giornalismo è soprattutto metodo, di cui vanno condivise le regole (altrimenti chiamiamo con lo stesso nome cose profondamente diverse).

Il secondo: non cedere al qualunquismo e renderci conto che forse non tutto il nostro scalcagnato giornalismo, seppur in questi tempi terribili, è da buttare. 

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5 Comments

  1. Bustianu Cumpostu says:

    Su problema beru est chi si leghent sos articulos cun disonestade pregressa e cun analisi e novas isetadas pro cunfirmare unu meledu già fatu. Onore a sos giornalistas chi sunt in su fronte pro nos testimoniare s’orrore de una gherra e sa criminalidade de chie l’at cherfida.

  2. Francesco Utzeri says:

    Egregio Biolchini,
    Il gioco da lei proposto è bello, ma purtroppo impraticabile. In Italia infatti, gli esempi di cattivo giornalismo sono troppi e troppo falsi da non essere neppure degni d’essere citati e ricompresi nella categoria. Ribaltando la sua proposta io proporrei di elencarli in due categorie ben definite: i veri professionisti e gli imbonitori televisivi ( ma non solo ).

  3. Franco Melis says:

    Giornalismo buono : il Post, tra tutti il vicedirettore Francesco Costa. Giornalismo cattivo quanto ne vuoi dai più truculenti conduttori di talk show Giletti, Vespa, Fazio a Sansonetti.

  4. pietro giorgio Pinna says:

    Nel caso italiano questo tuo proposito diventa impraticabile, se non indicando un solo esempio positivo ogni dieci/venti negativi. I mezzi di produzione dell’intero sistema informativo sono nelle mani di una Rai lottizzata dai partiti, di Sua Emittenza leader di Forza Italia, di Cairo ex manager della berlusconiana Publitalia, di petrolieri, affaristi, finanzieri senza soldi, proprietari di cliniche private, costruttori, fabbricanti di auto e armi. Editori veri pochi. Mi ricordi il nome di qualche direttore che si sia dimesso in continuità di gestione aziendale? Non ci si può fidare di chi all’interno delle redazioni non contesta assetti dei media precostituiti per scopi diversi dal giornalismo: informazione spettacolo, terrorismo psicologico, venti di share, manipolazioni e propaganda. Solo gli inviati al fronte e pochi commentatori indipendenti si salvano in un contesto segnato da troppe condizioni pregiudiziali che sono la negazione dell’ABC delle regole professionali.

  5. Gianni Cossu says:

    Mi tengo stretta Francesca Mannocchi, vi lascio Giletti e Vespa.

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