Giornalismo / Sardegna

Diritto all’oblio o memoria negata? Soru interviene, Tabasso (Assostampa) risponde

Renato Soru

Dal mio post “Ecco l’articolo che Renato Soru ha provato a farmi cancellare. Ma il Garante della privacy gli ha dato torto!” sono scaturiti questi due interventi, firmati dall’imprenditore ed ex presidente della Regione Renato Soru e dal presidente dell’Associazione della Stampa Sarda Celestino Tabasso. Buona lettura.

***

Caro Vito Biolchini,

permettimi una precisazione che può essere utile a te ed ai tuoi lettori.

Esiste e va protetta la libertà di stampa, di critica anche aspra, (non di diffamazione). D’altro canto, regolata anche da recenti norme europee e nazionali, esiste, ed è altrettanto meritoria di protezione, la tutela della privacy e il “diritto all’oblio”. Possiamo essere criticati, ma ciascuno di noi ha il diritto di essere descritto per quello che è realmente, non per un passato non più attuale e tantomeno per quello che non è mai stato.

Dopo aver smesso ogni incarico pubblico, ho chiesto a oltre cinquanta testate giornalistiche che provvedessero ad aggiornare le notizie diffuse sul mio conto. In particolare ho chiesto si provvedesse non per le tante critiche comunque legittime, ma per le notizie giudiziarie rivelatesi false o del tutto superate da definitive sentenze di assoluzione.

A tutte le testate, indistintamente, ho chiesto due cose in alternativa: la cancellazione degli articoli, o l’aggiornamento degli stessi e la contestuale rimozione da Google e altri motori di ricerca. In quest’ultima modalità si lascia traccia dell’articolo (dopo averlo aggiornato nel titolo e nel corpo) nell’archivio della testata , ma non sarà più visibile su Google che riporterà quindi solo articoli più attuali o comunque non rivelatisi falsi e superati .

Molte testate, compresi prestigiosi giornali nazionali, hanno provveduto autonomamente a cancellare, altre hanno provveduto ad aggiornare e rimuovere da Google.

I soli che avete ritenuto di non dover aderire alla mia richiesta siete stati Tu, l’Unione Sarda, il Blog delle stelle, (dell’Associazione Rousseau), e il Giornale.it.

Il Garante della Privacy, con comunicazione del 10 febbraio, ha ora ordinato al tuo Blog e alle altre testate quanto da me richiesto, ovvero aggiornare gli articoli (anche nel titolo) e soprattutto rimuoverli da Google . Il tutto entro il prossimo 8 marzo, a pena di ulteriori conseguenze civili e penali.

A seguito del provvedimento dell’Autorità Garante potrei ricorrere in sede civile per i danni arrecati nel periodo intercorrente tra la pubblicazione degli articoli e la data in cui verrà finalmente dato adempimento. Non lo farò, poiché non ho alcun desiderio di rivalsa e, forse diversamente da quanto tu pensi, non ho nemmeno niente contro di te.

Peace.

Renato Soru

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Caro Vito,

visto che mi nomini ne approfitto per scroccarti un passaggio sul blog e fare qualche considerazione sulla vicenda.

Innanzitutto grazie a te per aver sollevato una questione di principio – ormai è più complicato che sollevarne una di costituzionalità – a costo di qualche grattacapo e di un certo dispendio di energie. Non mi è stato di alcun peso affiancarti in questo frangente, non solo perché ho potuto contare sulla generosa e competente disponibilità dell’avvocato Giovanni Antonio Lampis (applausi, grazie) ma perché è proprio il genere di questioni di cui l’Assostampa è chiamata per statuto a occuparsi, insieme ad altre meno interessanti.

Anzi, se qualcosa mi pesa è che in questa circostanza tu sia stato l’unico giornalista sardo che ha bussato alla porta del nostro sindacato. È evidente che molti altri si sono trovati nella tua stessa situazione ma l’hanno risolta aderendo alla richiesta di rimozione (parola dall’interessante risvolto psicanalitico) e buonanotte. Non li critico e non li giudico, anzi capisco che un collega (magari autonomo, magari indebitato) non abbia voglia di stare in trincea h24.

In ogni caso ad essere banali potremmo chiuderla qua: vince la libertà di stampa, io ringrazio te e tu ringrazi me, sciambàgn e brindiamo all’incontro.

Ma sarebbe uno spreco perché questa vicenda non è banale. Al contrario.

Prima considerazione: qui non mi sembra in questione tanto il tuo diritto di cronaca quanto quello collettivo alla memoria. 

Usiamo un esempio assurdo per avvicinarci al punto. Se tu oggi scrivi “Tabasso è un sequestratore” io domani ti querelo, dopodomani vinco e la faccenda più o meno si risolve così. Metti però che un Pm abbia letto il tuo pezzo, si sia entusiasmato e sia riuscito a farmi andare a processo per sequestro (l’esercizio dell’azione penale non funziona così, lo so, ma è per capirci). Mi assolveranno, ovviamente. Ma se l’idea che io sequestri la gente è un parto della tua fantasia malvagia, il processo che mi hanno inflitto è un fatto. Brutto, sbagliato, triste. Ma è un fatto.

A che cosa ci serve la memoria di questo fatto?

Non lo so.

O meglio: non lo so oggi. Ma se domani sequestrano ME, o si scopre che i sequestri li fai tu che mi accusavi, avrà o no valenza giornalistica e storica la memoria di quel mio processo? 

Per lasciare da parte il delirio esemplificatorio sui sequestri e tornare al caso concreto si può obiettare che il tuo articolo in questione resta integro e accessibile sul tuo sito, e la deindicizzazione non lo cancella. Ma questo basta?

Ho avuto la fortuna di conoscere un uomo che in tempo di guerra si innamorò di una ragazza che viveva a un centinaio di chilometri da lui. Non c’erano auto o mezzi pubblici a disposizione e quindi si faceva la strada in bicicletta. Da allora ai giorni nostri l’anatomia umana non è cambiata, perciò un ragazzo ben allenato e ragionevolmente innamorato potrebbe farcela anche ora. Ma non lo farà: per via di un blocco culturale, non fisico. La nostra vita quotidiana è molto diversa da quella di allora, e oltre che sull’esistenza di internet e sull’abbondante disponibilità di cibo e medicinali ruota sulla libertà di movimento individuale su mezzi di trasporto a motore. Perciò se oggi un ragazzo provasse a raggiungere la sua lontanissima innamorata in bicicletta farebbe a tempo a perdere il lavoro, la posizione sociale, la fiducia dei familiari e perfino le sue amicizie sui social prima di riuscire a darle un bacio. Perciò nemmeno ci proverebbe. Anzi, nemmeno gli verrebbe in mente di poterci provare.

I motori di ricerca sono i bibliotecari della nostra esistenza, più di ieri e meno di domani, e non posso immaginare – ma penso neanche tu – di poterne fare a meno nell’esercizio della professione giornalistica o anche solo per ipotizzare una vacanza o controllare quanto costa un tostapane. Quindi il tuo pezzo non scompare se lo deindicizzi, è vero. Ma bisogna raggiungerlo in bicicletta.

Seconda e meno prolissa considerazione. A furor di logica, come diceva un poveretto che conoscevo, andrebbero deindicizzate tutte le notizie sul caso Tortora (processo assurdo, vicenda dolorosa, innocenza totale). Eppure non accade, e se accadesse sentiremmo che c’è una lesione a un nostro patrimonio di consapevolezza politica e culturale. Chiedere ai radicali per conferma.

Terza e ultima considerazione, come lunghezza un po’ a metà fra le prime due. Un sindacato, a differenza di una corporazione, dovrebbe farsi carico anche degli interessi sociali e collettivi, non solo di quelli dei propri iscritti. Il diritto all’oblio è un freno nuovo ma non illiberale alla nostra attività: esiste perché se a 18 anni mi pizzicarono con due pezzi di fumo in tasca nessuno mi possa negare un lavoro stagionale quando ne avrò 32, in virtù di una googlata sul mio nome che fa emergere cronachette vecchie come il cucco sui miei errori di gioventù. Certo, per una persona che ha o ha avuto ruoli di responsabilità pubblica questo diritto è attenuato. Però esiste. 

E mi sembra di sentire Renato Soru che obietta: ma quindi il diritto all’oblio vale solo se ti condannano? E un uomo che chiude la sua esperienza da civil servant per tornare alla sua privata attività, ma a suo tempo commise l’errore di essere innocente, per quanto ancora la dovrà pagare? Certo, all’epoca tu non lo diffamasti e oggi hai correttamente corredato l’articolo di allora con un distico che dà conto della sua intervenuta assoluzione. Come sai è una soluzione che a entrambi – a me e a te – pareva buona.

Eppure.

Eppure mi rendo conto che a me (e parlo solo di me) la pelle degli altri sembra sempre più spessa e robusta della mia, che invece è molto sensibile. E non ho remore a ricordare le vicende altrui, ma se dopo quel processo immaginario nato dalle tue calunnie immaginarie io mi sentissi chiamare sempre, o almeno ogni tanto, l’uomo-che-in-realtà-non-aveva-sequestrato-nessuno, penso che mi seccherei. Perché probabilmente a forza di negare che io sia un sequestratore, un’assonanza se non suggestiva almeno automatica fra i termini “Tabasso” e “sequestro” finirebbe per instaurarsi almeno nella mente di qualcuno. Anche perché – e ormai posso dirlo perché arrivati a questo punto del pezzo non mi stai leggendo più nemmeno tu – a volte i lettori sono distratti. Vanno di fretta. Alcuni sono sciatti più dei giornalisti. E dopo aver letto poi parlano, votano eccetera. E non c’è bisogno che un cronista ostile stia sempre a rimasticare le mie passate e dissolte imputazioni per sequestro: se ne incaricherà il web, riproponendole a chiunque si informi sul mio conto perché pensa di assumermi o di premiarmi come Cognato del Mese.

E poi, per dirne un’altra ancora, quanti pezzi dovremmo aggiornare nei nostri archivi? Tutti, probabilmente, perché su ogni essere umano e su qualunque vicenda il tramontare del tempo getta una luce diversa, che sarebbe ingiusto non restituire. Ma sarebbe un’impresa di emendamento titanica e allucinata, e a quel punto il Garante della privacy diventerebbe una specie di ministero della Verità di 1984 rivisitato da Borges. Oppure aggiorniamo solo i pezzi che riguardano chi ha abbastanza puntiglio e avvocati per pretenderlo? Non mi entusiasma.

Insomma: le tue ragioni sono anche le mie e le difendo, però come vedi sono un po’ più perplesso e pessimista di te. Le ragioni di Renato Soru sono le sue e ha forti strumenti per farle valere, ma mi interpellano perché mi costringono a interrogarmi sul mio lavoro e sui suoi effetti sulle vite delle persone. Perciò non posso archiviarle con un’alzata di spalle, e nemmeno deindicizzarle.

Ma giacché Soru chiude il suo intervento con quel pregevole “peace”, che mi pare un pegno della sua buonafede e un riconoscimento della tua, non sprechiamo la questione accontentandoci di aver tutti vinto abbastanza. Mi piacerebbe invitare entrambi a un confronto aperto e problematico in Assostampa, se il virus lo consentirà, oppure da remoto. Magari insieme a qualche giurista e con qualcuno che capisce di memoria e biblioteche. Probabilmente non troveremo un punto di incontro, però potremmo ritrovarci ad aver fatto tutti qualche passo avanti.

Parliamone, e grazie del passaggio.

Celestino Tabasso
Presidente dell’Associazione della Stampa Sarda

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6 Comments

  1. Maria Franca Campus says:

    Bello Celestino! E bravo Vito per aver sollevato e aperto la questione. Interessante

  2. Peace? Non se l’abbia a male, signor Soru, ma io, se mai avessi occasione d’incotrarLa, avrei piacere di domendaLe sa sia in grado di pronunciare il vocabilo “cixiri” e se nella Sua Azienda sia ancora in uso la pratica di riferirsi alle persone che ivi lavorano col lemma “risorse”.

  3. Franko says:

    Articolo bellissimo.
    I miei 2 grandi amori a confronto, Renato Soru per me è stato il politico sardo più lungimirante, visionario, romantico,ecc. (più i suoi errori)…
    Nel mio mondo dei Grandi Sogni vorrei che Vito Biolchini e l’ex presidente della regione e proprietario di Tiscali lavorassero (“ancora”) insieme… chissà…
    Poi nella realtà uno ha scelto di fare soldi (con tutti i benefit del ruolo) e l’altro pensa che gli uomini siano tutti uguali…

  4. Il Medievista says:

    Bello, soprattutto nella proposta finale, che permetterebbe a tutti di uscire bene da una vicenda antipatica, che c’è comunque stata e che non va deindicizzata. Almeno quella.

  5. Simona says:

    Grazie per la pacatezza del confronto. Il tema è spinoso e il bilanciamento delle posizioni difficile da trovare. Il legislatore deve trovare una soluzione e disciplinare la materia in modo più puntuale di adesso, considerato che qualcuno per danno alla sua immagine o personalità, e per non averle potute proteggere, ha deciso di togliersi la vita.

  6. Maddalena says:

    Complimenti Tabasso! E grazie a lei e a Biolchini. Nonché a Renato Soru.
    Anche a me sembra che sarà difficile trovare soluzione alla “querelle” eppure è questione che merita confronto e riflessione pubblica.
    Spero che riuscirete a organizzare tale incontro e che renderete partecipi anche i “non addetti” che, confusamente, ogni volta che usano questa diavoleria di internet , si pongono mille domande su informazione, indicizzazione, manipolazione, diritti e democrazia..

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