Politica / Sardegna

Autonomismo, trasversalismo, servilismo: i tre -ismi che condannano la Sardegna (e la cultura sta peggio della politica)

Cagliari (foto Olliera)

Oggi non ho potuto partecipare a Tramatza all’incontro “Un’alternativa per la Sardegna, tra nazione e società”. Questo è il testo che ho inviato agli organizzatori e che risponde alle domande che erano state poste ai relatori.

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Quale tasso di resistenza e di impegno residua ancora nella società sarda?
Ho compreso il senso della domanda, ma lo vorrei ribaltare.

Perché in realtà in Sardegna c’è sì un alto tasso di resistenza, ma al cambiamento, e un forte impegno perché questo cambiamento non si compia mai. Questo perché? Perché da noi è presente uno schieramento conservatore straordinariamente forte e straordinariamente trasversale, che vede concordi sulle grandi questioni che riguardano il nostro futuro i sindacati insieme al centrodestra, i partiti del centrosinistra insieme alla Confindustria.

Al di là delle differenze nominali, questa identità di posizioni è un dato di fatto, senza la cui comprensione non si può capire la situazione di stallo nella quale ci troviamo.

C’è anche poi chiaramente chi lavora per il cambiamento, ma non trova spazio nella dimensione politica e soprattutto istituzionale.

Questo perché? Per un altro gioco distorsivo che condanna la politica in Sardegna ad essere soprattutto il luogo delle rendite di posizione. Non uno spazio aperto dove trovare chi ha idee, chi ha intraprendenza, chi ha fatto qualcosa nella società, ma solo dove cooptare chi ha compiuto un atto di sottomissione. Un luogo ristretto, dove dominano le affiliazioni di varia natura, i familismi, gli asservimenti più o meno dichiarati, la fedeltà al segretario italiano o capo corrente locale come elemento necessario per ogni carriera che si rispetti. 

È sempre stato così? Forse. Ma ora è peggio. Perché la gente non va più a votare e questo non è un caso ma un grande risultato di chi non vuole il cambiamento. Oggi la politica è volutamente respingente. Meno gente va a votare, più è facile orientare il consenso verso le proprie rendite di posizione.

Poi ci sono i grandi fallimenti, che hanno lasciato ferite profonde e allontanato le persone dall’impegno politico.

Nel centrosinistra c’è stato il fallimento della giunta Soru, nella misura in cui quella sconfitta elettorale non è mai stata analizzata, impedendo in questo modo anche di riconoscere i meriti che quella stagione ha avuto.

A sinistra c’è stato il fallimento dell’esperienza cagliaritana di Massimo Zedda. Serviva una stagione di coinvolgimento delle forze vive della società cittadina: non c’è stata. Anche a sinistra si è giocato ad autoconservare il potere. E i risultati elettorali che sono seguiti, al comune e alla Regione, ne sono stati l’evidente rappresentazione. E cambiare per l’ennesima volta il nome al partito non servirà.

Poi ci sono i molteplici fallimenti nel campo nel quale io mi riconosco, che è quello dell’autodeterminazione. Anche in questo caso, fallimenti elettorali amplificati dalla mancata volontà di fare chiarezza sui motivi della sconfitta. 

Alcune domande: perché ha perso Michela Murgia? Perché dopo le regionali ha abbandonato il campo? Perché il progetto di Autodeterminatzione, presentatosi alle politiche del 2018, non è andato avanti?

Stesso ragionamento valga per i Cinque Stelle. Una compagine parlamentare di straordinaria forza, che nulla ha prodotto in termini di cambiamento profondo.

Bisogna capire cosa è successo. Perché se manca l’analisi, la proposta è monca.

Quindi il tasso di resistenza e di impegno che residua ancora nella società sarda è per forza basso. Anche perché è difficile oggi far emergere le novità. Ovunque, parlano sempre gli stessi. Non emergono figure su cui puntare. Non emergono buone pratiche. Quindi è difficile creare una nuova classe dirigente.

Però la Sardegna è cambiata. Fuori da soliti giri, c’è una realtà nuova di persone che fanno e producono e che merita di essere sostenuta.

Come? Senza la generosità e la capacità di chi oggi nei partiti, in tutti i partiti, ha ruoli di potere di selezionare una nuova classe dirigente sulla base delle competenze e non della fedeltà, questa crisi non si sblocca e non può che peggiorare. 
Detto questo

Come costruire un programma credibile e non elettorale, un repertorio di soluzioni e non di slogan?
Intanto serve l’analisi di ciò che è stato fatto. Di cosa ha funzionato e cosa no. 

Serve un approccio culturale al tema della politica (sul tema della cultura in Sardegna tornerò più avanti): non bastano le alchimie partitiche per uscire dalla crisi. Serve discutere pubblicamente di ciò che è stato e di cosa è oggi la politica, come stiamo facendo oggi: serve la discussione pubblica.

La politica ha abdicato al suo ruolo culturale. Si occupa solo di potere. O meglio, ammanta di nobili intenzioni la necessità di rispondere alle sue poco nobili esigenze. Oltre l’autoconservazione non va.

Quindi, il dibattito è il metodo. Ma il merito?

A tenere unito questo straordinario schieramento conservatore che da tempo governa la Sardegna è l’idea di Autonomismo.

Ma l’Autonomia è morta. Non è fallita: è proprio superata. È cambiata la realtà, è cambiata la società. Quel patto sociale, quei partiti, quegli intellettuali dell’Autonomia non ci sono più. Chi oggi in Sardegna parla di progetto autonomistico e lo ripropone, è fuori dalla realtà

Se la politica, anche quella animata dalle migliori intenzioni, non smette di proporre soluzioni sorpassate, la Sardegna non uscirà mai dalla crisi in cui è finita.

Basta parlare di autonomia, proporla come soluzione. Non lo è.

Qual è la soluzione? Parliamone. Ma di sicuro non l’Autonomia. Che, ripeto, non è fallita: è proprio superata.

C’è un grande lavoro da fare, di analisi, di elaborazione, di proposte. Quando vogliamo cominciare? L’Autonomia cristallizza tutto. Mummifica tutto. È il pensiero dell’autoconservazione. Ma noi abbiamo un futuro da immaginare.
E allora

Come far divenire il progetto/pensiero sulla nazione sarda un pensiero pienamente legittimo, condiviso e riconosciuto dalle istituzioni europee ed italiane?
Il problema non sono loro, il problema siamo noi: la nostra capacità di credere nella nazione sarda. Se non ci crediamo noi per primi e non agiamo questa convinzione, che cosa possiamo attenderci dall’Europa e tantomeno dall’Italia?

La battaglia è culturale e va combattuta seriamente.

Ecco perché è necessario contrastare questa giunta e la presidenza Solinas, oltre che per tutti i motivi che sappiamo e che vediamo: perché il partito sardo sta diffondendo un’idea macchiettistica della sardità.

Giocando sulla debolezza di un sistema culturale che si vende per due viaggi a Dubai, spicca la pochezza di una politica spregiudicata che usa i nuraghi, Grazia Deledda, i giganti di Mont’e Prama, la lingua sarda (di fatto dimenticata), per battaglie retoriche di nessun respiro ma con tanti soldi da distribuire in piccole clientele, con mal celate manie di protagonismo, tutto seguendo la logica delle pro loco delle quali ho un grande rispetto, ma che mal si addice ad un progetto più ampio come quello che la Sardegna dovrebbe avere quando si parla di cultura.

C’è una zona grigia di sostegno a questa giunta e a questo presidente e che passa attraverso la cultura. Perché se sta male la politica in Sardegna, sta peggio la cultura. Una produzione letteraria sproporzionata, mediamente di scarsissimo valore, che non produce senso ma solo una enorme sequenza di atti di narcisismo. Decine e decine di festival, ovunque. Centinaia e centinaia di appuntamenti che non rispettano alcuna programmazione complessiva, che non passano ad alcun vaglio critico.

Che senso ha tutto questo oggi? A cosa serve questo abnorme consumo culturale? Se non rispondiamo alla domanda “Quale cultura per la Sardegna?”, molto difficilmente potremo rispondere alla domanda “Quale politica per la Sardegna”.

Ma la cultura tace. Non solo in Sardegna, sia chiaro. Ma in Sardegna è venuto il momento di provare a riprendere a fare critica culturale. Seriamente.

Come arrivare alle alleanze con altri partiti?
Se si condivide lo stesso orizzonte, fare alleanze è semplice. 

Il primo orizzonte è banale. Si è d’accordo sul fatto che ciò che questa giunta sta facendo non rappresenta in alcun modo una prospettiva per la Sardegna? Siamo d’accordo sul fatto che il presidente Solinas ha un modo di gestire il potere che non ci appartiene e da cui prendiamo le distanze? Siamo altro da tutto ciò?

Così si arriva alle alleanze. Intanto dichiarandosi realmente alternativi, in questo caso al sistema Solinas. Mentre è evidente che il maggiore partito del centrosinistra all’alleanza col Psd’az sta pensando e lavorando, neanche tanto sotterraneamente. Lo dico agli amici del Pd che dopo interverranno: ma secondo voi realmente il Psdaz e Solinas possono diventare dall’oggi al domani vostri alleati dopo essere stati protagonisti di questa drammatica stagione politica?

Poi si costruisce la proposta. Sulla nazione sarda? No, non credo: perché quello è un punto di arrivo non di partenza.

Ma su un nuovo modello di sviluppo, quello sì. Concretamente. Un modello di sviluppo capace di fare della Sardegna un luogo di produzione di ricchezza, di solidarietà, di inclusione, di rispetto dell’ambiente vero e non simulato. Con una unica vera grande emergenza: la dispersione scolastica e la scarsa formazione dei nostri giovani.

Inoltre, la Sardegna non è il laboratorio politico dell’Italia, cari amici della sinistra. Questa è una formula ambigua. Anche questo è un portato malato dell’autonomismo. L’Italia vada per la sua strada. Non bisogna essere indipendentisti per capire che le logiche che regolano la politica italiana non hanno niente a che fare con noi. 

Infine,

Come attrarre il voto dei liberal che hanno votato a destra?
Questa secondo me è l’ultima delle nostre preoccupazioni. A parte che c’è una quantità impressionante di elettorato disperso e da recuperare, noi sappiamo anche che c’è una quota dell’elettorato che si sposta e di volta in volta sceglie liberamente la proposta che più gli sembra convincente.

Dobbiamo restare fedeli alle nostre idee. Chi ha votato a destra deciderà cosa fare. Ora ognuno faccia la sua parte meglio che può.

Non è facile, siamo demotivati, portiamo i segni di tante battaglie perse, siamo isolati. Ed è forse questo il primo passo da fare. Spezzare l’isolamento tra di noi. Dialogare pubblicamente.

Ma soprattutto, se si è all’opposizione, si faccia opposizione. Realmente. Senza ipocrisie. Ognuno nel proprio ambito. Nella cultura come nelle istituzioni.

Questo è il primo passo, senza il quale c’è solo ipocrisia e ambiguità.

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4 Comments

  1. Alberto says:

    Bravo Vito, condivido ogni parola! che fare?

  2. Ugo+Azzena says:

    È certo che per governare ci vogliono i numeri. Ma la strada per attirare il voto dei delusi dalla politica, come me, dovrebbe essere quella di far uscire la Sardegna dalla malasanità, dall’isolamento nei collegamenti sia al di fuori che all’interno dell’Isola, dalla disoccupazione, dal fallimento della pubblica istruzione di ogni ordine e grado e dal conseguente rifiorire delle teorie antiscientifiche più fantasiose, dal considerare l’ambiente come una occasione per mettere in opera nuovo cemento, dagli eterni candidati che pensano solo a quali interessi dovranno difendere per salvaguardare il proprio futuro. E allora come si può pensare di condividere proficuamente queste idee con un PD che non mi sembra abbia mai pensato di valutare criticamente il disastroso risultato elettorale che ha concluso l’esperienza della giunta Pigliaru? Con un partito che, attraverso il suo segretario nazionale, dichiara di non capire i motivi per i quali viene dichiarato uno sciopero nazionale contro una riforma fiscale a tutto vantaggio di chi ha di più? Oppure che non trova niente da ridire sulle comparsate del medesimo segretario al festival nazionale dei neofascisti? Ma veramente si pensa di poter condividere qualcosa di costruttivo con chi fa accordi con i sardisti pur di governare Carbonia? Che dentro il PD ci siano persone oneste non lo metto in dubbio, ma mi domando cosa aspettino ad andarsene. E non credo proprio che potrei prendere in considerazione di tornare a votare per una coalizione che avesse al suo interno quello che ormai è un partito sempre più vuoto di valori e sempre più disponibile a inseguire l’elettorato di destra.

  3. Marco Cannas says:

    Naramidha su ki ‘ollis, deu de ki apu biu su kiat fatu sa giunta Pigliaru, de sa sanidadi a su Parcu Geo Minerariu e atras porcadas, no ndu su creu nimancu candu nanta sa bedidadi! Deu no bollu a biri matzamurrus intru’e kini iat a bolli ki s’autonomismu andessiri paris cun s’indipendentismu! No eus a bolli fai ke su dicciu: o est babbu o cerdu’e pala! Teneus in pejis unu progtu ki si narat Autodeterminatzioni, bisongiat a dhoji trabballai e pregontai a calinunu ca o si andat unius o su giogu de su seratzu accabbat ca si segat!

  4. Ospitone says:

    Grande…se solo ti ascoltassero Vito

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