Politica / Sardegna

Perché Soru siamo noi (e lui è solo Mister Funtanazza). Una risposta al clan e alle vedove inconsolabili

Cagliari, necropoli di Tuvixeddu

Se in Sardegna volete tappare la bocca a qualcuno che esprime giudizi critici e un po’ scomodi, buttatela sul personale: dite che è un invidioso e un rancoroso. Se le sue argomentazioni politiche sono taglienti, derubricatele a giudizi personali. Se insiste, mettete in giro la voce che vi ha chiesto qualcosa (potere, sesso, soldi) e, non avutala,  ora si sta vendicando. E se anche lo sciagurato si è esposto coraggiosamente alla luce del sole, firmandosi con nome e cognome e assumendosi ogni responsabilità di ciò che afferma (cosa rara in Sardegna), evocate il venticello della calunnia. Fatelo passare per un cospiratore, per uno che trama nell’ombra. Non vi riuscirà difficile farlo: perché questa è un’isola dove a dire pubblicamente le cose che si pensano si rischia molto.

La pubblicazione del mio post  “Renato Soru, The Great Pretender” ha suscitato la reazione di Umberto Cocco (giornalista ed ex addetto stampa della Regione ai tempi di Soru presidente) e della figlia Camilla, che su Facebook mi ha tolto anche l’onore della citazione. La damnatio memoriae è in effetti una strategia utilizzata da tutti i politici per far dimenticare ai posteri i nomi di chi aveva provato a mettere in discussione il loro potere. Ma io invece vi invito a leggerlo il post della Soru (così come ho condiviso su Facebook quello di Umberto e qui vi ripropongo, “Caro Vito, il Piano Paesaggistico della giunta Soru è più forte degli stessi interessi privati di Renato Soru”), perché non ho paura del confronto e sfido tutti in campo aperto.

In questa risposta mi sarebbe piaciuto anteporre le questioni politiche a quelle personali, perché mi sembrano più interessanti, ma questo è un classico caso in cui il privato diventa pubblico. E quindi scusate se adesso parlo di me.

A Camilla Soru consiglio di non avventurarsi in ricostruzioni che dimostrano solo la sua assoluta incompetenza in materia di processi penali, facendo passare un teste marginale (quale io sono stato nel caso Saatchi & Saatchi) per un grande accusatore, quasi che volontariamente mi fossi presentato al cospetto dei giudici per inguaiare l’augusto padre. L’amore filiale lo perdono, l’ignoranza no. Anche perché da una consigliera comunale del Pd nel capoluogo sardo (diventata tale potendo contare solo ed esclusivamente sulle proprie forze, sia chiaro) sarebbe auspicabile, oltre che un maggior equilibrio, anche un maggiore livello di preparazione.

Così come la inviterei a raccontarla tutta la storia di Funtanazza, compreso il tentativo che la sua famiglia fece nel 2016 di ricorrere contro il ppr (ecco un articolo che rinfresca la memoria ai disattenti) o il progetto sciagurato (per fortuna sventato) di trasformare in villette fronte mare le cubature che l’Illuminato Imprenditore aveva deciso di sottrarre allo stabile dell’ex colonia di Funtanazza. E la solenne promessa di regalare la costa di Scivu alla Conservatoria delle Coste cara Camilla, a che punto è? Facciamo finta di non averla sentita?

Sono particolari agghiaccianti che, mi rendo conto, incrinano il santino dell’Olivetti sardo. Ma io ai santini non ci credo. 

Umberto Cocco mi accusa sostanzialmente di far parte (con argomentazioni risibili) di quella corrente di dissidenti che a Soru si contrappose subdolamente già durante anni del suo governo. Come questo io lo abbia fatto nella funzione, dal 2004 al 2006, di addetto stampa dell’assessora regionale alla Sanità Nerina Dirindin, sinceramente mi sfugge. Forse perché non nascondevo le critiche per una gestione della comunicazione presidenziale che ritenevo a volte sbagliata e per scelte che alla lunga rischiavano di rivelarsi controproducenti? O perché, a differenza di ciò che faceva il presidente che la stampa l’ha sempre disprezzata, ho fatto sì che l’assessora parlasse con tutti, rispondesse a tutti, non si chiudesse nel suo fortino di via Roma e sfidasse i giornali ostili sul loro terreno?

Se mi si accusa di avere sabotato il progetto Soru solo perché, a differenza di tanti che hanno lavorato con lui e per lui, non sono stato uno yes man, allora questa accusa non solo la accetto ma la rivendico con orgoglio. Non siamo in tanti a poterlo fare, caro Umberto.

Cocco evoca poi l’ombra nera di Paolo Maninchedda (una specie di Darth Vader per i soriani a tutte le latitudini e di tutte le epoche), di cui io sono orgogliosamente amico. È un onore essere associato a lui, ma è evidentemente una forzatura unirci in un unico progetto di dissidenza interna, essendoci noi mossi su piani e ruoli sempre molto diversi e talvolta anche molto distanti, prima durante e dopo gli anni di Soru. Perché allora far credere che sia esistita una linea cospirativa interna che in realtà non c’è mai stata? Semplice: perché fa comodo e allontana tutti dalla necessità di svolgere una analisi seria sul Soru e sul suo governo. E rafforza l’idea mitica di un presidente e della sua esperienza politica.

La realtà è che in quegli anni chi la pensava diversamente diventava, banalmente un nemico. E non è un caso che Cocco, lucidamente, associ l’esperienza di Soru a quella di Grillo e dei 5 Stelle, che sotto questo aspetto mostrano molte analogie riguardo l’insofferenza verso il dissenso interno. Però io che con il Movimento ho lavorato a lungo (con gli stessi compiti che ho avuto negli anni di Soru), vi posso dire che mai dai grillini sono stato messo in un angolo o sotto accusa per le mie idee diverse o dissonanti. Mai. Cosa sta succedendo per avere criticato il mitico presidente lo state vedendo tutti.

Il privato in questi casi diventa pubblico, e quindi mi scuso se ora devo indugiare su particolari della mia vita professionale che in altre situazioni non avrebbero interessato a nessuno ma che ora assumono chiaramente un altro rilievo. Sono accusato di portare rancore verso Renato Soru. E per quale motivo, cara Camilla? I fatti ti smentiscono platealmente.

Sono in pochi a poter dire di aver interrotto volontariamente un rapporto di lavoro con lui o le sue aziende: e l’ho fatto per ben tre volte. La prima, interrompendo nel 2000 il mio rapporto da Cococo con la redazione di Tiscali Notizie; la seconda nel novembre del 2003, salutando educatamente il candidato ad appena due mesi dall’inizio della sua prima campagna per le regionali perché non ne condividevo l’approccio con i giornali e scendendo da un carro su cui tutti tentavano disperatamente di salire (e neanche risalendoci, quando venivo chiamato un giorno sì e l’altro pure per tornare a far parte del gruppo); la terza, lasciando dopo due anni il posto di addetto stampa dell’assessorato alla Sanità, senza alcuna polemica ma solo per andare a dirigere nel 2006 la rinascente Radio Press.

Ora che ci penso ce ne fu anche una quarta di situazione in cui dissi di no a Mister Funtanazza, il quale evidentemente, nonostante tutto, ancora mi stimava come giornalista: quando rinunciai alla vicedirezione del quotidiano Sardegna 24 (ho ritrovato perfino il contratto, datato 12 maggio 2011, che andava solo firmato: ma rimase in bianco), comunicando il mio no direttamente a Carlo Scano e al papà di Camilla in persona, incontrati al bar dell’Exma a Cagliari in un caldo pomeriggio primaverile. 

Un caso curioso caro Umberto, per uno che, come hai scritto tu, negli anni precedenti aveva “fatto di Soru un bersaglio fisso e sin ossessivo, per anni ogni santo giorno”. Ma se Soru mi voleva vicedirettore del suo giornale (ops, del suo amico), forse non la pensava così. La trasmissione a cui ti riferisci era Buongiorno Cagliari, e non mi sembra che gli altri politici siano stati trattati meglio del nostro (e migliaia e migliaia di ascoltatori sono pronti a testimoniarlo).

Quindi, dov’è il rancore? Dov’è la rabbia? Forse c’è solo in chi ha fastidio nel vedere una narrazione messa in dubbio proprio alla luce del sole e non alimentata dai soliti pettegolezzi che fanno comodo a chi vuole difendere la propria rendita di posizione. La Sardegna sta in questo penoso stato di arretratezza anche per via di una opinione pubblica inconsistente, con i giornali fortemente condizionati dalla politica e un dibattuto pubblico ridotto ai minimi termini. In Sardegna alla presa di posizione pubblica si preferisce la chiacchiera o il disconoscimento dell’interlocutore in nome di argomenti ad personam. Chi si espone, rischia. Quello tra la stampa e la politica è da noi un conflitto simulato. Chi rifiuta questa convenzione e prova a fare sul serio, rischia. Perfino di passare paradossalmente per “calunniatore”, quale io sarei per Camilla Soru.

Al potere piacciono i pettegolezzi. Io, invece, scrivo e mi firmo. E non sono un giornalista turibolare: l’incenso lo agitavo da bambino quando ero chierichetto di padre Morittu nella chiesa di San Mauro a Cagliari. Nessun politico da me avrà mai lo stesso trattamento che si riserva a Nostro Signore.

***

Avrei voluto evitare di raccontare tutto ciò e mi auguro che non vi siate già stufati di questo articolo perché quello che ho da dire ora è molto più importante di ciò che ho detto finora.

Io ringrazio Umberto Cocco per il post che ha scritto, con un linguaggio lontano dagli isterismi del clan Soru e con uno sforzo di elaborazione che apprezzo. Anche perché mi consente di tornare sul punto nodale del senso politico di quella esperienza che ho provato a sintetizzare nel mio intervento.

Io considero Soru un personaggio storico. E come tale cerco di valutarlo, prendendo in considerazione l’intera sua biografia e non soltanto alcune parti. Ecco perché non sono d’accordo con Umberto Cocco quando afferma “Capisci perché non me ne importa niente di Funtanazza, in relazione a tutto questo?”. Perché proprio molte scelte adottate da Soru dopo la sua esperienza presidenziale ci aiutano a capire meglio ex post cosa non ha funzionato di quegli anni di governo.

Il caso Funtanazza, con le sue contraddizioni mai realmente esplorate dalla stampa sarda (ora finalmente l’Unione Sarda si sta svegliando), dice molto di Soru e di quegli anni, altroché. Così come spiega tanto il caso Unità; oppure quello legato alla società Shardna; e ancora, dicono tanto le vicissitudini giudiziarie (conclusesi con una piena assoluzione ma di cui si fatica a trovare traccia nella rete, come se dovesse calare il silenzio su quel pezzo di storia) e che ci riportano all’errore capitale di avere affidato il governo della cosa pubblica ad un imprenditore (errore fatale per le sorti del centrosinistra in Sardegna); spiega tanto anche l’assurdo appoggio dato da Soru al referendum costituzionale renziano del 2016, con le stupidaggini dette dal nostro sul rischio fascismo ormai superato.

Perché nascondere questi dati di realtà? Perché recitare ancora la parte delle vedove inconsolabili che vivono in un mondo parallelo? Almeno chi non ha Soru come cognome dovrebbe fare uno sforzo maggiore di obiettività. 

La politica non è archeologia, ma la costruzione di un futuro possibile. E allora la valutazione dell’esperienza Soru non può prescindere dalla sua eredità. Cosa resta oggi di quella straordinaria stagione dove il meglio della società sarda si era messa a disposizione di un progetto? Una nuova classe dirigente? No. Uno schieramento progressista forte? No. Nuovi protagonismi politici che Soru ha contribuito a fare crescere e maturare? No: tranne rare eccezioni, furono quasi tutti pescati dal clan o dalle terze fila dei partiti del centrosinistra. 

Quindi, cosa resta realmente di quella esperienza? Poco. Molto poco. Anche per effetto di una lettura distorta di quegli anni, tutta incentrata su una visione autocentrica e autoriferita. Il mito Soru, appunto.

E infatti “Il piano paesaggistico era tutto merito suo” scrive Cocco. Ebbene, non sono d’accordo con questa affermazione. Ma proprio per nulla. E il motivo è semplice: perché Soru a mio avviso è stato soprattutto il terminale virtuoso di uno sforzo collettivo che è rimasto a lungo sottotraccia nella società sarda. Uno sforzo portato avanti da minoranze che hanno combattuto duramente per avere dignità politica e della cui elaborazione Soru si è intelligentemente e meritoriamente giovato quando con coraggio ha abbracciato cause che poi si sono rivelate vincenti, anche dal punto di vista del consenso.

La battaglia contro il cemento lungo le coste non nasce con Soru ma parte almeno negli anni 90, con la candidatura alla presidenza alla Regione di Federico Palomba, in una campagna elettorale che mise al centro proprio quel tema.

E che dire della lotta alle servitù miliari? Anche lì, Soru non inventò nulla ma si fece lui con coraggio portatore di una visione tenuta troppo a lungo marginale.

Soru ha messo del suo, e tanto, collocando la Sardegna in un contesto internazionale e dando respiro a tematiche che erano rimaste come ingabbiate dentro piccole cerchie. Ci ha fatto capire che eravamo cosmopoliti e non provinciali. Questo è stato il suo capolavoro, il suo grande merito e forse la sua vera eredità. Ma quelli che oggi passano per suoi successi solitari, erano successi di tanti. E già che ci siamo, per spiegarlo ricorro ancora ad un esempio che richiama la mia biografia personale. 

La giunta Soru ha fatto la battaglia per Tuvixeddu. Cocco direbbe anche in questo caso che la salvezza della necropoli è stata “tutto merito suo”? Forse lo direbbe. Ma sarebbe un errore.

Io nel 1995 contribuii a costituire con l’associazione Ipogeo di cui facevo parte ed altre sigle del mondo culturale e dell’ambientalismo, il Comitato per Tuvixeddu. Raccogliemmo settemila firme che io stesso consegnai all’allora ministro dei Beni culturali Paolucci. Avevo 25 anni. E penso, senza tema di smentita, che allora Renato Soru Tuvixeddu non sapesse manco dove fosse. Perché allora lui, mi sembra, costruiva supermercati.

Ecco cosa intendo quando affermo che Soru eravamo noi. E lo siamo ancora nel momento in cui combattiamo quelle battaglie che non abbiamo mai abbandonato. Ma Renato Soru oggi dov’è? Cos’è diventato? Da Mister Tiscali a Mister Funtanazza. Sta pensando alla Costa D’Oro. E con una figlia in consiglio comunale a Cagliari.

Visto quello che è stato e che poteva essere, un po’ pochino direi.

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23 Comments

  1. A leggere le cronache sembra che oramai anche il ppr almeno nelle parti sostanziali e qualificanti stia per diventare un lontano ricordo, per cui finalmente la sconfitta di Soru sarà definitiva… Che bravi che siamo, liberi e non servi, e soprattutto equilibrati

  2. “…Soru siamo noi..”
    “Pius pagu puru pius pagu puru…” direbbe mio nonno. Infatti abbiamo votato Cappellacci, Pigliaru ( la grande vittima di Soru!) e Solinas.
    A Renato Soru abbiamo fatto le pulci come a nessun altro ma intanto non abbiamo trovato nessuno che porti alta la nostra bandiera.
    Io ricordo Renato Soru a Capoterra e a Villagrande, a Mamoiada e a Ottana…a spronarci e toglierci dal torpore.
    Non ho capacità di fare una disamina politica articolata di quella stagione, né di passare ai raggi x il carattere di Renato Soru, certo è che rimane per me “Il Presidente”, quello dallo sguardo lungo, quello che sapeva indicarmi un percorso possibile.
    “Possiamo diventare la Regione più istruita d’Europa…” ….vengono le vertigini…
    E, come dice Cocco, chi se ne frega di Funtanazza!

    • Grazia Pintore says:

      Madda,condivido in toto il suo pensiero,anche se c’è quel piccolo neo che era diventato renziano.

  3. Carlo Lai says:

    P.S.
    Nel mio commento ho inserito un virgolettato che non si vede nel testo pubblicato.Quando facevo riferimento alla sua affermazione, intendevo quel passaggio in cui lei dice di prendere in considerazione l’intera biografia di Renato Soru e non soltanto alcune parti.

  4. Carlo Lai says:

    Caro Vito Biolchini,
    solitamente leggo i suoi articoli con interesse perché riconosco e apprezzo la sua capacità di ragionamento e di comunicazione, due qualità che, insieme, ritengo rare a trovarsi. A maggior ragione, partendo da questo pre-concetto nei suoi confronti, credo che lei non si meriti la sentenza su Soru. Dico subito che io Soru non l’ho mai votato e non lo voterei mai così, magari, nel mondo semplice di alcuni suoi estimatori non sarò collocato tra i leccaculo.

    Mi fa specie, però, che anche lei, in un certo modo, si presti agli stessi stereotipi che giustamente contesta quando si riferisce alla diffusa abitudine di controbattere i giudizi critici altrui stigmatizzandoli come opinioni mosse dall’invidia.

    Trovo però un luogo comune anche l’idea di un neonato Bellerofonte (mi permetta la provocazione) che combatte contro il Leviatano che è in grado, con il suo potere, di attivare la strategia della damnatio memoriae. Visione, questa, che ho difficoltà a condividere, non foss’altro perché Soru, più che un Leviatano, in certi momenti mi sembra la Croce Rossa.

    Ritornando alla succitata sentenza, mi rapporto al tema da persona che, quando si tratta di materie umanistiche, non crede nei bilanci perché li ritiene ontologicamente di parte, e pure semplicistici se trattano argomenti di cronaca.

    E anche ammettendo e non concedendo che si possa utilizzare, come lei dice di voler fare di fronte alla figura di Soru, un approccio storiografico, l’oggettività dell’analisi capitola di fronte alla inesistenza della storia che, come lei sa, si può concepire solo come interpretazione dei fatti.

    E poco importa che lei fondi la sua valutazione <> . Ciò non le impedisce di fare, come è normale che sia, la stessa operazione di Umberto Cocco, e cioè di utilizzare pesi e misure diverse nel leggere gli eventi.

    A questo punto da cittadino semplice che ha vissuto la stagione politica di Soru come una pietra nello stagno immobile della politica sarda, bilancio per bilancio, se proprio deve scegliere, ritengo “meno squilibrato” e più condivisibile l’intervento di Umberto Cocco.

    Con stima,
    Carlo

  5. Per rinfrescare la memoria, le motivazioni della Cassazione nel caso Saatchi & Saatchi. Imbarazzanti anche per chi è stato assolto.
    https://www.lanuovasardegna.it/cagliari/cronaca/2014/03/12/news/caso-saatchi-in-cassazione-soru-assolto-1.8837093

  6. mi ha fatto piacere leggerti perchè cerchi di fare giustizia di certe convinzioni e teorie santificatorie che aleggiano sul nostro ex presidente, già depositario di aneliti e speranze almeno in parte delusi, almeno quanto grande era la fiducia che in lui si riponeva.
    ti fa onore rivendicare con orgoglio l’amicizia con Maninchedda in un momento in cui è molto facile e comodo invece insultarlo e dargli contro senza cognizione, semplicemente “a ogu”, proprio come diceva Soru.
    come il tuo amico M., ti stai probabilmente accorgendo che non essere uno “yes man” costa fatica, e non solo, sia nei confronti del potere che del popolo bue.

  7. Come sempre Vito i tuoi articoli lasciano il segno, è giornalismo vero, non se ne vede molto in giro. Però permettimi qualche osservazione. Se siamo ancora qui a parlare di quella straordinaria stagione politica dopo 10 anni significa che tutti noi avevamo grandi, forse troppo grandi attese da quella classe dirigente. A mio modesto parere il cambiamento in quegli anni si percepiva, a differenza delle stagioni successive di Cappellacci, Pigliaru e Solinas di cui tra qualche anno non parlerà più nessuno. Riguardo al punto dell’autoritarismo e degli Yes man è vero, probabilmente era così, ma ci rendiamo conto di cosa voglia dire “governare”? E governare i Sardi per giunta, per cui trovare un accordo è sempre complicatissimo. Quindi la critica per l’operato di un politico ci sta sempre e ci deve essere perché siamo tutti esseri umani e commettiamo errori ma va comunque calata nel contesto in cui si trova. Purtroppo non siamo l’Uruguay illuminato di Mujica anche se mi piacerebbe tanto. Siamo una terra spopolata in cui le migliori menti vanno via. Chiudo con la questione Funtanazza. È vero che proprio lui se la poteva evitare questa situazione, però è anche vero che il PPR è nato non solo per tutelare le coste ma anche per creare una cornice di regole entro la quale fare un turismo sostenibile. Quindi per me, riqualificare l’esistente, diminuendo le cubature, arretrando le cubature rispetto alla costa, diminuendo l’impatto visivo della struttura può solo migliorare la situazione esistente. In alternativa che fare? Demolire tutto e basta? Ok, ma chi paga? Il comune di Arbus? La regione stessa? Non la vedo una strada percorribile, intanto il rudere è ancora lì e non è un bello spettacolo.

  8. Giorgio says:

    ”’dicono tanto le vicissitudini giudiziarie (conclusesi con una piena assoluzione ma di cui si fatica a trovare traccia nella rete, come se dovesse calare il silenzio su quel pezzo di storia)”.
    Rappresentare una piena assoluzione come un elemento negativo è una delle cose che alimentano il dubbio che c’è accanimento nei suoi confronti, come l’elenco delle cose meritorie che portano la sua firma presentate come cose che portano solo formalmente la sua firma.

  9. Mha… mi sembri un po troppo severo, mi piacerebbe leggere un articolo sulle cose, belle, che è riuscito a fare nel breve periodo in cui è stato in politica.

  10. Pingback: Is òminis lìberus. E is atrus Redazionali -

  11. Un po’ pochino? Pochissimo direi. Quel pochissimo che se ben collocato nella politica, può decidere della tua, della mia e delle vite di molti. Quel pericoloso pochissimo che ama raccontarsi delle balle con quel malcelato disprezzo e cocente invidia per chi nella vita come te, non ha bisogno dell’aiuto di papà per trovare una collocazione nel mondo e non possiede un esercito di domestici leccaculo, terrorizzati dal perdere posizioni o addirittura il lavoro se non accorrono a comando.
    Continua così Vito, io sono molto fiera di te. A noi di essere invitati a corte ad adorare i politici o i potenti che non stimiamo non ce ne sbatte una beata minchia.
    Le passeggiate al Poetto al tramonto, col cuor leggero, la coscienza e la lingua pulite sono impagabili al confronto.

  12. Francu says:

    Interessante la riflessione sulle critiche. Oggi se ne fai una vieni subito tacciato di invidioso o hater. Facendo così si castra il dibattito e chi le riceve pensa di essere una povera vittima. Soru, che ho votato, è stato vittima di yes men e leccaculisti. I commenti al post della figlia sono dello stesso tenore. Una corte di servi della peggior specie. Su funtanazza non so nulla, ma certo uno che fa dell’ambientalismo una bandiera non avrebbe dovuto imbarcarsi in una avventura simile. Non è opportuno e quantomeno incoerente. La venda o la regali.
    A proposito di critiche. Come cazzo fai a essere amico di un poltronista di tale razza quale Maninchedda? ‘Gioca bene a basket,?

    • Mah, perché non lo ritengo un poltronista ma un intellettuale che si è assunto l’onere di governare. Lo conosco da quando dirigeva Volo e quasi senza conoscermi mi pubblicò pezzi che nessun altro giornale avrebbe accettato. Non ho approvato tutte le scelte che ha fatto, ma gli riconosco capacità di analisi e un coraggio non comune.

  13. Grazia Pintore says:

    Vivendo lontano dalla mia terra da tanti anni,scriverò più a sensazione che per i fatti.Ho molto stimato Soru anche quando molti sardi mi dicevano che sbagliavo,una volta gli scrissi una lettera di ammirazione e lui,gentilmente mi rispose,poi quando lui passò dalla parte di Renzi ,la mia ammirazione finì.Leggendo il suo bellissimo e coraggioso articolo,ora,ho finalmente capito,perchè molti amici sardi criticavano l’ammirazione che avevo per Soru.La ringrazio di questo articolo,comunque ,con tutti i suoi limiti,lo preferisco a Solinas,sarà che sono allergica alla Lega di Salvini.

  14. Antonello Gregorini says:

    Articolo ricco di argomenti. Complesso, sul quale dire “sono d’accordo su tutto” avrebbe poco senso.
    Non penso che tu debba perdere tempo a “difenderti” e rivangare decenni di storia per le affermazioni provenienti da persone di non alto profilo.
    La difesa dell’uomo Soru, della sua figura onnicomprensiva, dei suoi interessi, per molti, significa difesa di quell’esperienza, di loro stessi, delle loro ingiustificate carriere, compresi anche tutti gli errori e i danni che essa ha provocato.
    Giusto per segnare la presenza, a titolo d’esempio, sono convinto che la calata di Renato Soru a Cagliari, con il suo patologico protagonismo, fu devastante per le sorti della città e rallentò buoni processi che erano in corso.
    Per esempio il Campus, trasferito in quell’area marginale dove oggi lo si sta realizzando, pagata una cifra assurda, a seguito di una sconveniente transazione richiesta direttamente dal presidente della Regione;
    per esempio Tuvixeddu, dove il risentimento verso Cualbu lo portò al blocco di ogni trattativa, del quale oggi vediamo i risultati.
    per esempio, ancora, Sant’Elia. Dove a un forte presenzialismo personale non seguì alcuna realizzazione concreta.
    Ma a ben guardare gli esempi sono tanti anche sul portato regionale.
    L’accordo devastante sulla sanità, ancora per esempio.
    Detto ciò voglio anche, però, dire, che la ristrutturazione urbanistica di Funtanazza a me pare sia una buona cosa per quel territorio, e che dovrebbe essere istruita e analizzata prescindendo dalla personalità e la storia di chi ne richiede l’approvazione.
    Un abbraccio

  15. Antonio Pitzalis says:

    Dire che il PPR sia nato grazie all’impegno sottotraccia di uomini e donne, credo sia un giudizio storico un tantino generoso. Non che tali figure non siano esistite, né che il loro ruolo sia stato marginale nel rappresentare storicamente l’anima ambientalista della sinistra sarda. Tuttavia il merito di Soru è stato, a mio avviso, essere riuscito a cristallizzare all’interno dell’impianto normativo del PPR, anni e anni di lotte ambientaliste, parole, idee, proposte, il più delle volte mortificate proprio dall’assenza di un quadro normativo di riferimento e destinate a restare nel campo delle lotte antagoniste portate avanti da fasce sempre più minoritarie della popolazione sarda.
    Senza Soru non credo si sarebbe mai giunti a definire un tale sistema di tutela del territorio costiero di cui ancora oggi la Sardegna ne gode i benefici.
    Nessuna figura alternativa a Soru, in quel momento storico, avrebbe avuto la sua stessa determinazione. Sarebbe stato il solito governo di sinistra che non riesce a far seguire alle intenzioni le conseguenti azioni..

  16. Sicuramente più stimato di quanto lei possa immaginare, signor Biolchini, per questo articolo. Purtroppo in tanti, tantissimi, non si dichiarano apertamente per via di quel sottile ricatto cui sono sottomessi nel gioco di potere manipolatorio, costruito ad hoc, più sulle apparenze che sull’autenticità dell’essere (l’ombra è direttamente proporzionale).
    Le assicuro che sono in tanti a conoscere, i sardi son più arguti di quanto si voglia far credere sui social. Ma tant’è, c’è chi basa i propri successi su like e cuoricini: marketing spicciolo, che infelicità. Le fondamenta di quell’impero sono la paura e la competizione, non certo l’amore.
    V’è ancora tanto da fare…
    E che il signor Olivetti non venga citato invano, la prego, rabbrividisco.
    Un cordiale saluto e un augurio di buon lavoro.

  17. Liliana says:

    Ineccepibile…

  18. sardozen2014 says:

    Grazie Vito

  19. Ospitone says:

    Un onore leggerti Vito.

  20. Tonio Talloru says:

    per quanto io spesso (ma non certamente sempre, anzi…) distante dalle tue azioni e posizioni, qui dimostri una dignità che pochi hanno. Hai la stima di parecchi che certo non immagini, malgrado il passato

  21. Bravo Vito. Concordo su tutto. E se mi chiami ti racconto in privato cose che, come si diceva un tempo per un altro tema, avresti voluto sapere ma nessuno ti ha mai detto.

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