Politica / Sardegna

La Sardegna è debole perché le sue organizzazioni sono deboli. E i sovranisti? Il mistero Rossomori

Cagliari, via Roma, 7 novembre 2012 (photo Olliera)

Fioccano i ricorsi: è giusto che sia così. La legge elettorale che ha determinato il risultato delle ultime consultazioni sarde ha limiti evidenti e ora sarà il Tar a entrare nel merito. L’elemento più lampante a mio avviso è la non rispettata ripartizione territoriale dei seggi, con alcune province che si trovano misteriosamente meno rappresentanti di quelli previsti. Poi c’è chiaramente la questione di genere, con la solita acrobatica interpretazione sul numero delle donne in lista. Gli sbarramenti al 5 e al 10 per cento sono chiaramente contestabili, più (a mio avviso) del premio di maggioranza concesso ai vincitori.

Ovviamente anche questo elemento può essere messo in discussione, sapendo però che qualunque ragionamento sui limiti della legge elettorale non deve farci dimenticare il dato sostanziale scaturito dalle urne: Pigliaru ha preso più volti degli altri candidati alla presidenza. Dunque Pigliaru ha vinto.

La bassa affluenza alle urne lo delegittima? Per onestà intellettuale bisognerebbe quantomeno ricordare che alle consultazioni non si è presentato il Movimento Cinque Stelle, il partito più votato in Sardegna alle politiche di un anno fa: se i grillini avessero avuto candidato e lista, la percentuale dei votanti sarebbe salita come minimo del 10 per cento.

Andrea Pubusa ama la provocazione e il paradosso e afferma che Pigliaru è un presidente di fatto delegittimato perché rappresenta solo il 18 per cento dei sardi. Sarà anche vero, ma allora con questa logica quanti sardi rappresenta Michela Murgia che tutti noi ci auguriamo che per via dei ricorsi entri in consiglio? Il quattro per cento? Non è poco, certamente. Ma se facciamo le debite proporzioni per tutti dovremmo giungere alla conclusione che non è la scarsa rappresentatività il vulnus di questo consiglio, quanto la debolezza intrinseca di tutti i soggetti politici e i corpi sociali sardi. I partiti ormai non rappresentano più nessuno e dei sindacati meglio non parlarne: questo è il guaio.

L’emorragia di voti e di iscritti di tutte le organizzazioni appare inarrestabile e i soggetti in campo sono chiamati ad unire le proprie forze per evitare che la situazione degeneri ulteriormente, proprio in un momento in cui i nodi della situazione sarda stanno venendo tutti al pettine.

Di sicuro è molto probabile che, pur senza arrivare all’annullamento del voto dello scorso febbraio, alcuni dei ricorsi (se accettati) potrebbero dunque mutare considerevolmente la composizione del consiglio. Ergo, Pigliaru rischia di avere un orizzonte temporale molto limitato per portare a casa i risultati che ritiene più importati: al massimo un anno e mezzo. Oltre, potrebbe non avere più in consiglio agibile.

Il presidente dunque deve adattare la sua strategia di governo, sapendo che ha davanti diciotto mesi, non sessanta. E in lasso di tempo così ristretto di cose non se ne fanno tante: Pigliaru potrà solo sfidare lo Stato sulle entrate e su alcune grandi partite, poi affrontare le immancabili emergenze.

Ha il presidente una giunta adatta ad una legislatura divisa in due, con una prima parte più agevole ma non semplice (e comunque nella quale non si può perdere tempo con inutili apprendistati) ed una seconda se possibile ancora più tormentata? Secondo me no: anzi, se fra un paio di mesi dovesse iniziare a circolare la parolina magica (“rimpasto”) non ci sarebbe niente da stupirsi.

La legislatura comunque la sua piega la sta già prendendo. La battaglia con lo Stato per le entrate non è iniziata nel verso giusto (ancora tavoli tecnici…), il dibattito sul Titolo V ha mostrato un Consiglio regionale ancora legato ad una idea di autonomia ormai sorpassata dalla storia e non più riproponibile. Come se non bastasse, le forze contrarie all’assemblea costituente (sulla quale i sardi si sono espressi con un referendum che ora non può essere ignorato) stanno venendo allo scoperto: sabato l’assessore regionale alle Riforme Gianmario Demuro, ieri il consigliere di Sel e futuro presidente della commissione Autonomia, Francesco Agus.

Sulle entrate Pigliaru vuole veramente andare allo scontro con lo Stato o avrà un atteggiamento da sindacalista (mi devono 100 ma se mi danno 50 subito mi accontento?). E se vuole lo scontro, quali saranno le sue armi? Perché non utilizzare proprio l’assemblea costituente come spazio di elaborazione di strategie e come strumento di pressione nei confronto dello Stato?

Il buon Pubusa chiama in causa sempre i sovranisti e fa bene perché devono essere loro la parte innovativa di questa maggioranza (anche se non bisogna mai dimenticare i rapporti di forza: altrimenti si arriva all’assurdità di dare più responsabilità a questi 5 consiglieri che non ai restanti 31 della maggioranza, o oppure ritenere che i buoni stanno fuori dal Consiglio, penalizzati da una legge iniqua, e i cattivi tutti dentro l’aula di via Roma: non è così).

Anche i sovranisti sono ad un bivio: cosa vogliono ottenere da questa esperienza di governo? I temi forti li conosciamo tutti: Agenzia sarda delle entrate, servitù militari, bilinguismo, assemblea costituente, nuovo modello di sviluppo. Cinque questioni su cui il presidente è stato nelle sue dichiarazioni programmatiche reticente se non omissivo. Quindi che si fa?

Inoltre lo slancio unitario che aveva caratterizzato il post elezioni sembra già essersi attenuato: dal gruppo unico in consiglio all’ultimo momento si è sfilato Gavino Sale. Ma questo è niente davanti alle contraddizioni dei Rossomori. Le dimissioni del segretario nazionale Tore Melis subito dopo la presentazione della giunta sono state derubricate a normale amministrazione, liquidate senza neanche un minimo di riflessione pubblica.

E a rendere ancora più sconcertante la situazione si segnala la dichiarazione della neo assessora all’Agricoltura elisabetta Falchi, che sabato a Nuoro, in un incontro organizzato dal partito, ha affermato platealmente “di non essere dei Rossomori”. Perché il partito l’abbia indicata in giunta diventa dunque un mistero.

La situazione è confusa, non c’è che dire. Ma chi vuole essere alternativo e innovativo all’interno di questa situazione politica evidentemente provvisoria deve mirare in alto. Le forze sovraniste, indipendentiste e di sinistra devono cercare un percorso comune: non c’è alternativa. Anzi, sì che c’è: è la solita pletora di mini partitini con mini leader. Ma non è quello che serve alla Sardegna.

 

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14 Comments

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  2. Rossomorto says:

    I Rossomori non sono altro che un comitato elettorale. Nessuna capacità di lasciare tracce nell’attività di governo. Dieci anni alla provincia di Cagliari e 5 in CONSIGLIO senza risultati evidenti se non aumentare la clientela e l’elettorato. E poi il caso Zuncheddu, il caso Melis, il caso Falchi, In attesa del caso Zedda, che non mancherà. Auguri.

  3. Alberto Pintus says:

    per esempio:

    LA DOMANDA CHE LA SINISTRA SARDA NON VUOLE

    È lì che attende una risposta da decenni, ma la Sinistra non la dà.
    La domanda è: perché in Scozia, in Catalogna, in Germania, in Belgio, la Sinistra accoglie il tema della nuova sovranità, della nuova Europa, in una parola, dell’emancipazione dalla geopolitica europea dalle rigidità dell’Ottocento, e qui in Sardegna, invece, è tanto ottocentesca da apparire romantica?
    Perché si tappa gli occhi di fronte alla slealtà di Stato, fa finta di non vedere la slealtà fiscale, fa finta di non vedere uno Stato che non paga 153 milioni di assegni di mobilità e quando trova una Regione che li anticipa, come la Regione Sardegna, la costringe a contare queste anticipazioni dentro il Patto di Stabilità? Perché la Sinistra fa finta di non vedere che all’alluvione hanno risposto i sardi, non lo Stato?
    A queste domande io non so rispondere politicamente, sono tentato di farlo sul piano della dipendenza psicologica e dell’inerzia culturale.
    Ma il tema resta lì: o Sel, come noi auspichiamo, o parti rilevanti del Pd, come sembrava che potesse succedere non molto tempo fa, decidono con noi di fare in Sardegna ciò che in Catalogna è stato fatto con Esquerra Republicana, o tutta la politica sarda si infiacchisce. Bisogna produrre un evento politico nuovo e grande, che segni la differenza con l’eredità del dopoguerra. L’attuale sistema politico è debole e stantio, ma non per colpa altrui, per inerzia nostra.

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  5. Alberto Pintus says:

    be, noi non pretendiamo di avere la vocazione a fare tutto da soli e infatti uno dei nostri richiami frequenti è proprio di fare insieme le cose che sono importanti per l’azione di governo. E’ sempre più evidente che questo non basta, perchè c’è chi ancora ha paura di perdere i propri punti a favore della collettività: cioè se io non metto la mia bandiera su quella data cosa non sarò certo sempre io a “favorire” un altro. Per questo mi chiedo se la stampa invece non dovesse favorire questo “mettere insieme” la stampa nel senso di giornalismo e in questo caso anche tu con il tuo blog. Chiedete, insistete anche voi, non siate ambigui, pretendete vere azioni di governo sovrano che poi questa ambiguità si rende complice dell’immobilismo che stiamo vedendo. Noi ci stiamo provando, dateci una mano almeno voi.

  6. Alberto Pintus says:

    Un minimo accenno al Partito dei Sardi, qualunque fosse, mi sarebbe piaciuto leggerlo … mica per altro: abbiamo un assessore che, credo stia lavorando bene, un partito che per bocca e penna del suo segretario scrive e parla e sollecita Costituente, Titolo V, Agenzia delle Entrate … gli altri a cui accenni … bo!?

    • Il Partito dei Sardi sta tendendo botta, oggettivamente. Dichiarazioni condivisibili, azione di governo seria. Ma qui non si tratta di fare bene da soli ma di fare bene tutti assieme.

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