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Dalla fine del Teatro dell’Arco un monito per la Giunta Zedda: la politica dei bandi per gli spazi culturali rischia di provocare un disastro!

La battaglia per salvare il Teatro dell’Arco dunque è definitivamente persa. Il teatrino di via Portoscalas a Cagliari diventerà qualcos’altro, probabilmente uno dei soliti locali della zona. Così ha voluto l’Agenzia del Demanio, così ha voluto il Comune di Cagliari che in tutti questi anni non ha fatto nulla per il Crogiuolo, la compagnia fondata nel 1982 da Mario Faticoni. Meno cultura, più birre alla spina dunque.

Scrivo anche per fatto personale. Ho iniziato a lavorare al Teatro dell’Arco nel 1991, avevo 21 anni. Grazie a Mario, all’Arco ho debuttato come autore nel 1993, in via Portoscalas ho conosciuto tanti attori e artisti straordinari, o giovani di belle speranze che poi hanno fatto carriere importanti. Date uno sguardo alla teatrografia e più in generale, al sito de Il Crogiuolo e resterete sorpresi.

Ho vissuto il travaglio del nostro primo sfratto (mi sembra fosse il 1992), quando i Gesuiti (che ci subaffittavano lo spazio) decisero che la sala doveva diventare un deposito di medicinali da mandare in Africa. Ci mobilitammo, organizzai una raccolta di firme, e alla fine l’intervento dell’allora sindaco Roberto Dal Cortivo salvò il teatro.

Poi un giorno ci dicono che ce ne dobbiamo andare perché devono iniziare i lavori di recupero dello stabile. Il demanio (proprietario dello spazio) voleva utilizzare i soldi del lotto per regalare alla città uno teatro rinnovato. Figuratevi la nostra gioia! Saremmo tornati in un teatro vero dopo pochi anni! Non lo sapevamo, ma la via crucis era solo all’inizio.

Proprio sotto la platea emergono dei resti della città romana: il progetto viene modificato, si allungano i tempi e i soldi non bastano più. Però il primo lotto è finito e il teatro già si delinea, anche con una piccola fossa scenica per assecondare la nuova vocazione musicale del Crogiuolo.

Poi succede una cosa incresciosa: la Soprindentenza ai Beni Culturali si mette di traverso. Io e Mario Faticoni otteniamo un incontro con Gabriele Tola. Il quale, con atteggiamento sprezzante e maleducato ci dice che non capisce come mai lo spazio è stato recuperato per ospitare un teatro, che fosse stato per lui ne avrebbe fatto degli uffici e un deposito. Gli facciamo notare che lo spazio è sempre stato un teatro, e sapete cosa ci risponde? Che a lui non risultava! Spettacoli dal 1982 e al dottor Tola non risultava, lui faceva finta di non vedere la rassegna stampa e di non capire! E comunque “arrivederci e grazie”. Con tanta, tanta scortesia.

Poi ci fu la farsa degli affitti non riconosciuti. La compagnia pagava un tot al mese ai Gesuiti, ma questo il Demanio non l’ha mai voluto riconoscere e ha chiesto anzi al Crogiuolo degli inesistenti “arretrati”! Una follia.

Poi ci fu i tentativo di far passare alla Regione la proprietà del bene. Anni di battaglie legali, finite nel nulla. E poi ci fu il silenzio della Giunta Floris, che si è sempre disinteressata del caso (ma l’assessore Pellegrini aveva altro a cui pensare, lo sappiamo tutti).

Facciamola breve. Sotto trovate la ricostruzione degli eventi fatta dalla compagnia. Io aggiungo una cosa: questa vicenda deve essere di monito per la nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Zedda e dall’assessore alla Cultura Puggioni.

I bandi per l’assegnazione degli spazi culturali (così come questa amministrazione li sta immaginando) non risolveranno nessun problema, anzi rischiano di aggravarli tutti. Perché, come spiega Faticoni, nessuna associazione culturale dispone delle risorse che può avere un imprenditore. Il Comune deve fare una scelta politica e innanzitutto assegnare gli spazi ai gruppi e alle compagnie che ritiene più meritevoli, più importanti e con maggiori prospettive di crescita. In cambio ovviamente di adeguate garanzie e dando l’opportunità anche alle nuove realtà di emergere (perché bisogna anche evitare che a vincere siano sempre e solo i più forti economicamente).

Ma la politica dei bandi è del tutto sbagliata se non è supportata da una valutazione politica e culturale che la accompagni. Le regole, in sé, non regolano nulla. E alla fine vincono sempre i ristoratori. La Giunta Zedda rischia di replicare il fallimento della Giunta Floris, che fece i bandi e poi insabbiò tutto quando si rese conto che la cultura non c’entrava più nulla e che gli spazi culturali si sarebbero trasformati i pizzerie e locali alla moda.

Questo non esclude che qualche spazio debba essere messo a bando, non c’è dubbio. Ma perché, ad esempio, fare una gara per la Vetreria? Lo spazio di Pirri è dei Cada Die, che lo hanno recuperato trent’anni fa! Le regole senza politica sono solo un alibi per chi non sa fare politica. L’alternativa è chiara, e l’ha espressa, con grande chiarezza, Gianluca Floris nel suo blog, avanza cinque proposte low cost per dare risposte immediate agli operatori culturali cittadini.

Insomma, il destino del Teatro dell’Arco forse era già segnato da anni. Ma questa sconfitta ci insegna qualcosa e non tenerne conto sarebbe l’ennesimo errore.

 ***

“Non avendo partecipato al bandi di gara dell’Agenzia del Demanio statale di Cagliari, Il crogiuolo chiude l’esperienza del Teatro dell’Arco di via Portoscalas e diffida il vincitore della gara ad usare la relativa denominazione protetta da un marchio depositato.


Il bando di gara prevedeva l’assegnazione del bene soltanto per sei anni rinnovabili e poneva a carico del vincitore, oltre al canone, il costo del completamento dei lavori di ristrutturazione intrapresi nel 2003 dalla Soprintendenza ai beni culturali, interrotti tre anni dopo, lavori il cui costo veniva calcolato approssimativamente intorno a i 150-200.000 euro.
Il crogiuolo perviene alla rinuncia a partecipare, oltre che per motivi economici, reduce com’è dall’aver subito in questi anni sostanziosi tagli al contributi regionale, anche per motivi di politica culturale.

La vicenda trentennale del Teatro dell’Arco ha messo in livida evidenza il coagulo di vizi che frenano la nascita e lo sviluppo della creatività artistica e culturale nella provincia italiana.


Nel 1996, il mancato rinnovo ai Gesuiti della concessione scaduta aveva spinto, ad esempio, il Crogiuolo a sollecitare il passaggio del bene alla Regione e la concessione esclusiva teatrale; due anni di vana lotta contro insipienze burocratiche assortite; si ripiegò su uno stanco rinnovo.

Lo spirito d’intrapresa individuale di Mario Faticoni e quello aziendale de Il crogiuolo, volto a fare di uno sconosciuto localino parrocchiale, il cui solo cambiamento d’uso ipotizzato fu quello di deposito di indumenti da inviare in Africa, un teatro professionale inserito nelle agende del miglior teatro italiano, sono stati osteggiati pervicacemente e in modo continuo dalla dirigenza del Demanio.

L’ostracismo arrivò nel 2003 a intimare il pagamento di 22.000 euro di uso abusivo del locale per gli ultimi cinque anni, pur essendo a conoscenza che per i quindici anni precedenti il crogiuolo aveva pagato sostanziosi affitti ai concessionari Padri Gesuiti, con i quali vigevano regolari contratti, di cui evidentemente non era stata data notizia al Demanio proprietario. Cifra rivalutata nel frattempo a 27.000 e pagata come condizione per partecipare alla gara.

Fallitrono i tentativi per suggerire al Demanio dapprima una novazione di contratto ( Il crogiuolo figurava come la parte culturale dell’azione dei Padri Gesuiti), poi l’introduzione nel bando di requisiti professionali che si riferissero alla destinazione teatrale e alla precedente esperienza di direzione gestione di teatri, mentre emergeva e poi si affermava il suo contrario, il nulla, mascherato dal riferimento-lapsus alla denominazione Teatro dell’Arco. Il che apriva la porta ad un uso qualunque. Infatti ha vinto un ristoratore. Cui va peraltro il nostro rispetto.


Lo storico teatro di Stampace, identità pregiata del quartiere, presenza mitica della cultura cittadina, in virtù della quale è conosciuto più da quelli che non vi sono mai entrati che da quelli che lo hanno frequentato, è chiuso dunque da dieci anni. Vi si sono formati o vi hanno fatto le prime prove registi, attori, musicisti, costumisti, giornalisti operanti oggi brillantemente altrove; vi si è prodotto teatro musica, cinema, ospitato l’eccellenza del teatro italiano di ricerca e giovani gruppi sardi emergenti.

All’Arco sono avvenute prime nazionali di Harold Pinter e Natalia Ginzburg, presente alla prima di Dialogo, ha tenuto una conferenza Josef Svoboda, mentre i suoi bozzetti trionfavano alla cittadella dei musei, una mostra apparsa in Italia solo a Cagliari e Torino. All’Arco ha cominciato il suo magistero artistico Rino Sudano ed è andato in scena il capolavoro poetico di Giovanni Dettori. All’Arco il sodalizio Petilli Faticoni ha condotto al successo per una serie di esauriti Aspettando Godot. Il teatro dell’Arco è il teatro di Tiziana Dattena, Carla Chiarelli, Vito Biolchini, Bruno Venturi, Rita Atzeri; di Enzo Moscato, Danio Manfredini, Marco Parodi, Francesco Origo….


Il teatro dell’Arco è il teatro di Mario Faticoni, “il grande orchestratore, il deus ex machina, l’eroe peregrinante per le vie contorte e troppo spesso disselciate del teatro”.

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18 Comments

  1. Pingback: Altro che donne incinta! L’attacco di Zedda ai lavoratori del Lirico è solo l’ennesima dimostrazione che per la cultura a Cagliari non c’è proprio nessuna speranza… « vitobiolchini

  2. Pingback: Cultura a Cagliari, la crisi del Lirico lo dimostra: non è tempo né di bandi né di piani, ma di scelte politiche rapide e responsabili. Ma il sindaco Zedda lo ha capito? « vitobiolchini

  3. ZunkBuster says:

    Biolchini, forse ha un altro motivo per cui incazzarsi. Legga cosa dichiara Enrica Puggioni a “Casteddu On Line” al riguardo:
    “Quando scompare un teatro storico è una grossa perdità per la città e per tutti. Ho seguito la vicenda e sappiamo che si tratta di locali di proprietà demaniale che sono stati messi in gara con un bando pubblico . A quanto mi risulta la compagnia di Mario Faticoni ha rinunciato a partecipare all’asta perché lo ha considerato troppo esoso. Non possiamo interferire sull’attività e sulle scelte di altre amministrazioni.
    Non mi sembra una risposta all’altezza del ruolo di un assessore alla Cultura. E’ vero che il Comune quanto a competenze sui destini dell’area non poteva farci niente, ma cara assessore Puggioni, potevi essere un po’ meno diplomatichina e abbozzare almeno una reazione, una critica? Sensibile come un semaforo. Mi chiedo cosa ne pensi Massimo Zedda che conosce il mondo del teatro.
    Il link all’intervista:
    http://www.castedduonline.it/cronaca/enrica-puggioni-doppia-ipotesi-per-salvare-il-santelia/11098

  4. Efisio Loni says:

    Non credo sia giusto ogni volta che il padrone del blog muova una critica a questo o a quel potente di turno cercare secondi fini o cercare di delegittimarlo con chissà quali dietrologie. Vito Biolchini, che purtroppo non ho il piacere di conoscere, ha dimostrato più volte indipendenza, serietà e professionalità. Sa, credo, per esperienza, se non ho letto male anche certe ultime vicende, qual è il prezzo amaro della libertà professionale. Crea spazi di libertà e di confronto e qui anche gratis. Da spazio a noi chiacchieroni del web. Di che cosa dovremmo accusarlo? Di che cosa lamentarci? Grazie Biolchini, continui così. Anche meglio. Anche quando non sarò d’accordo con lei. La coerenza alla fine paga. Ci creda.

  5. Stefano reloaded says:

    Avviso per gli operatori culturali e di spettacolo:
    http://www.comune.cagliari.it/portale/it/newsview.page;jsessionid=6AE0E4F91C64940E6438B75B7C0A42D2?contentId=NWS28562

    Astenersi i non realmente interessati.

  6. Efisio Loni says:

    Ricordo una splendida interpretazione di Faticoni delle poesie di Cesare Pavese, un Pavese incazzoso, contrariamente a ciò che si poteva prevedere…Incredibile e bello. Ma stiamo parlando di preistoria 1983 o 84…

  7. Antonello Gregorini says:

    Vito,
    continuo a pensare che la cultura avresti dovuto chiederla per te. So che queste mie tirate non ti piacciono e forse possono causare difficoltà, tuttavia, ribadisco, le responsabilità bisogna prenderle in prima persona. Hai delle idee sulle politiche culturali che io e altri hanno avuto modo di condividere, hai contribuito significativamente alla vittoria di Zedda.
    Massimo, dai l’assessorato alla cultura a Vito! Dove diamine lo trovi un altro con la sua intraprendenza, l’acume e la conoscenza dei problemi della città?

    • O Antonello, ma secondo te? A parte che io non chiedo niente a nessuno, quello che scrivi è proprio fantascienza. Non voglio fare politica, non mi sento adatto, le mie responsabilità me le voglio prendere in ambito giornalistico. Sempre che qualcuno me le voglia dare, ovviamente… 🙂
      Poi, è vero che queste tue tirate possono mettermi in difficoltà, perché qualcuno può pensare che dietro le mie parole ci siano dei secondi fini.

      • Antonello Gregorini says:

        Cosa c’é di più bello che far qualcosa di buono per la propria comunità. Per te che sei cattolico, “il più alto esempio di carità cristiana” (mi pare Paolo VI, citazione a memoria, possibile qualche lieve differenza)

      • Eh lo so, ma anche fare i giornalisti può servire a qualcosa. Almeno “io credo” (citazione campagna elettorale metà anni ’80).

      • ZunkBuster says:

        Per la precisione, in quell’occasione qualcuno si beccò il soprannome Pantofola. In occasione di un incontro ravvicinato con gli attacchini del PCI 🙂

  8. Gianluca Floris says:

    Noi tutti pensavamo che, appena conclusi lavori e pratiche burocratiche, Mario Faticoni sarebbe ritornato al teatrino di via Portoscalas dove tanti anni fa stavamo in fila prima di entrare facendoci sfiorare dalle macchine che arrivavano da viale Fra Ignazio. A parte le esperienze scolastiche, il Teatro dell’Arco è stato il primo Teatro dove sono stato a sentire la prosa, a vedere uno spettacolo di teatro. La sua attività ha segnato la mia formazione sia culturale che artistica perché, alla fine, sono finito anche io sul palcoscenico a fare il mio mestiere.
    Adesso il Teatro dell’Arco chiude e è una sconfitta: una sconfitta per tutti noi che saremo impoveriti dalla mancanza di un luogo così pieno di significati, una sconfitta per la cultura nella nostra città, una sconfitta per tutti i cittadini che non avranno più la possibilità di frequentare quel piccolo spazio così carico di vita e di parole, una sconfitta per le amministrazioni locali tutte.
    È una sconfitta per tutti. Tranne che per il Maestro Mario Faticoni. Lui ha insegnato a tanti a stare su un palcoscenico e la sua piccola vittoria l’ha avuta coi fatti.
    Certo è che anche io avrei voluto, come Attilio e come altri, che da parte dell’amministrazione della città ci fosse stata una levata di scudi per difendere almeno un principio, una identità, a difendere il ruolo che l’arte e la cultura dovrebbero avere nei confronti dei cittadini tutti. Un teatro è un simbolo e il Teatro dell’Arco lo è due volte.
    Il fatto poi che i teatri non portino soldi alla comunità, se volessimo parlare solo di materia da amministratori di condominio appunto, è assolutamente falso e nei prossimi tempi ci sarà modo e luogo di spiegarlo provandolo con uno studio apposito (visto che non bastano quelli che da anni già ci sono).
    Nell’attesa però ci impoveriamo con la perdita del Teatro dell’Arco.
    Mi sarebbe piaciuta un po’ di resistenza, di presenza.
    Ma non è mai troppo tardi.

  9. Efisio Loni says:

    I bandi arrivano solo dopo le scelte discrezionali della giunta e, inoltre sono d’accordo, la più perfetta delle selezioni pubbliche non sostituisce mai una buona iniziativa politica. Se l’unico messaggio pubblico che trapela sono i concorsi di idee e i bandi pubblici, qualche problema c’è. Ripeto, secondo me c’è un problema tra la struttura comunale e la politica che in questo momento soccombe.

  10. studentslaw says:

    Reblogged this on Su Seddoresu.

  11. Attilio says:

    Vito sono d’accordo.

    la cultura non “venderebbe” e quindi sarebbe un ramo secco, mentre una bella birreria lo farebbe e quindi in un libero mercato è giusto che la seconda prevalga sulla prima. E una sinistra “illuminata e di mercato” quale quella della nostra Giunta non si deve mettere in mezzo. Non deve adottare atteggiamenti vetero protezionistici. E’ questo grosso modo il concetto, no? Sto andando bene?

    Ma siamo sicuri che le cose stiano davvero così?
    Siamo sicuri che – non per astratte concezioni della cultura “alta” – ma per il MERCATO, le cose stiano così?

    Il fatto è che quello che non viene percepito è che una attività non è un’isola a sé stante che vale di per sé e basta. Ci sono attività che PARASSITIZZANO un luogo e altre che ne accrescono il valore e questo a prescindere da quello che quella attività, DI PER SE’, propone, vende, sbiglietta.

    Facciamo qualche esempio?

    Un locale a luci rosse per quanto legalissimo e in regola con le norme allontana molte persone. Non sto ad argomentare perché ci sono dati che lo dimostrano. Una conseguenza di questo è che quindi in molte città si preferisce accorpare in un unico luogo questo genere di locali. I Red Light district. Mentre nessun governo cittadino si sognerebbe di imporre la stessa cosa a nessun altro genere di attività.

    Ed è altrettanto risaputo che le botteghe artigiane (ci sono i numeri che lo dicono) ACCRESCONO il valore di un luogo.
    Che cosa vuol dire in soldi che alcune attività accrescono e altre fanno diminuire il valore di un luogo.
    Molte cose.
    Il valore degli immobili. Il prezzo degli affitti. I prezzi dei negozi, dei bar, dei ristoranti. Ci sono attività che fanno crescere tutto questo, altre che lo fanno descrescere. Altre che sono irrilevanti.

    Ecco, non voglio certo dire che il locale che sorgerà al posto del Teatro dell’Arco sarà un locale che dequalifiquerà il luogo. Ci mancherebbe. Però vorrei far notare che ANCHE SE SI STA PARLANDO SOLO DI SOLDI E NON DI CULTURA (ed è tutto da dimostrare che non sia bene parlare di cultura, ma è un altro argomento) il governo di una città deve fare dei ragionamenti un po’ più alti del “quello mi dà 1000 euro di affitto e quell’altro me ne dà 2000”, altrimenti (lo posso dire?) a che cosa serve il governo di una città?

    Io vorrei che nel governo della mia città ci fosse più POLITICA, cioè scelte vere e coraggiose. Altrimenti se è solo un problema di contabilità, tanto vale farci governare da un comitato di buoni amministratori di condominio.

    Ciao Vito. Grazie.

  12. ZunkBuster says:

    Egregio Biolchini, forse il problema è che un tempo c’era un ben diverso apprezzamento dell’importanza della cultura, compresa quella del teatro ultimamente devastata dalla chiusura di innumerevoli spazi, soprattutto da parte della sinistra cittadina (ma non esclusa qualche sensibilità di area DC). Negli anni ’80 il PCI veniva spesso accusato di essere lontano dalla realtà perché era ancora poco addentro alle logiche dell’economia di mercato, ma in compenso dedicava risorse intellettuali, organizzative e tematiche davvero imponenti al settore cultura, animato da personalità di primissimo piano, compreso, pur non essendo un intellettuale organico, l’allora segretario cittadino, poi segretario federale Carlo Salis. Ricordo la sua battaglia sul problema dello spazio dell’Orto Botanico per le “Lucide” (a proposito, c’è stato qualche sviluppo o strascico?) e già allora ebbi a ricordare come Lucido Sottile fosse una compagnia che avesse molto impatto sulla sinistra cittadina, un loro spettacolo era considerato assai più imperdibile di una noiosa lezione di economia o di diritto. Insomma c’era la percezione netta che, magari commettendo qualche sbaglio, “Il Partito” (ma non solo il PCI, già allora anche se eravamo divisi sentivamo che con qualche lungimirante esponente giovanile della DC qualcosa in comune c’era) mettesse la cultura, se non al primo posto, in un posto di assoluto onore. Lo stesso Mario Faticoni era un punto di riferimento importante. Oggi, l’ordine dei fattori sembra essere bruscamente cambiato, e non ne farei una colpa al mio amico Massimo Zedda (poveretto, arrazz’e amigu che l’ho mazzolato senza pietà su Tuvixeddu, e a ragion veduta abbastanza ingiustamente), o all’assessore Puggioni, che forse è abituata ancora alla Germania dove c’è ben altra etica e ben altra serietà in tutte le questioni. Anche Massimo, purtroppo, si è politicamente fatto le ossa in un clima politico già profondamente cambiato, prima di entrare in SEL in quei DS che avevano già abbondantemente messo in secondo piano cose importanti come la vicinanza ai quartieri popolari (che infatti votavano in massa per Delogu e Floris) e l’attenzione alla cultura. Il Sindaco non è un intellettuale organico vecchio stile, forse avrà bisogno di fermarsi un po’, mettere il sedere sulla sedia, consultare consiglieri competenti, riflettere. Certamente, ci vuole ascolto, anche e soprattutto a chi “sa le cose” dall’interno come lei o Gianluca Floris (anche a prescindere dalla questione Lirico su cui per fortuna stanno arrivando i soldi della Regione); spero che la buriana su Tuvixeddu, al netto di quelle che, accanto alle perplessità in buona fede di chi faticava e forse fatica tuttora a comprendere la situazione, sono state anche emerite strumentalizzazioni, abbia insegnato qualcosa al Sindaco.

  13. sottoscrivo, aggiungerei solo che eviterei di dare in affidamento strutture a chi già ne gestisce una e che preferirei le gestioni condivise da parte di più gruppi teatrali (cooperative o associazioni culturali che siano).

  14. Di Legno says:

    Sono sicuro che l’amministrazione di Cagliari adotterà le proposte low cost di Gianluca Floris.

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