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Informazione in Sardegna, che fare? Contro la crisi servono analisi serie e non inutili passerelle

Cose che capitano

Il presidente del Consiglio regionale Michele Pais, incontrando nei giorni scorsi la nuova presidente e i componenti del Corecom (auguri di buon lavoro a tutti) ha annunciato che nel 2020 si celebrerà la prima Conferenza regionale dell’Informazione.

Buona notizia ma… di cosa si parlerà, esattamente?

O meglio, sulla base di quali dati certi la discussione dovrebbe partire e svilupparsi?

Sappiamo forse esattamente da chi è composto il variegato mondo dell’informazione oggi nell’isola? Qualcuno ha analizzato la situazione occupazionale, ha elaborato cifre, comparato fatturati? Sappiamo quanti sono gli operatori, dove lavorano, con quali contratti?

E il web, come incide? Quanti sono i posti di lavoro? E il fatturato? E le radio? E le tv? E il mercato pubblicitario com’è ripartito?

Se qualcuno dispone di questi dati, o finora li ha accuratamente nascosti oppure mi devo essere perso qualcosa perché l’unico lavoro del genere che io conosco risale nientemeno che a dodici anni fa ed era una analisi commissionata dal Corerat alla Fondazione Rosselli dal titolo “Il sistema dei media locali in Sardegna – primo rapporto 2008” (dategli uno sguardo, si capisce molto della situazione di oggi).

Ora, se si vuole fare un ragionamento serio sullo stato dell’informazione in Sardegna (che è a mio avviso, drammatico e in costante peggioramento) bisognerebbe partire dai dati, senza i quali il rischio è quello di continuare allegramente a mettere la testa sotto la sabbia e fare finta di nulla, come spesso accade agli editori e agli operatori dell’informazione.

Una nuova ricerca commissionata dal Corecom sarebbe dunque a questo punto più che opportuna per avere una base concreta alla quale ancorare politiche pubbliche di sostegno al comparto, che altrimenti sarebbero solo un mero palliativo in attesa della morte del paziente (“Venga a visita”. Già morto, come direbbero a Sassari).

Anche perché gli unici dati certi di cui disponiamo gettano una luce nefasta su tutto il settore e sono quelli che certificano la drammatica crisi dei nostri quotidiani.

Un mio amico qualche mese fa ha preso i dati ufficiali di vendita degli ultimi dieci anni dell’Unione Sarda e della Nuova Sardegna e li ha proiettati nei prossimi dieci. Certo, Excel non è la Bibbia ma alla vista di questi dati qualche campanello d’allarme dovrebbe suonare nella testa di tutti i sardi.

Continuando di questo passo, l’Unione Sarda (che nell’agosto del 2009 vendeva in edicola 75.026 copie e che nello scorso agosto ne vendeva appena 34.885) nel 2029 potrebbe crollare a 16 mila copie. Idem la Nuova, che secondo queste previsioni arriverebbe a sole 12 mila copie vendute in edicola ogni giorno!

Si dirà che la crisi dei quotidiani è nazionale, ed è vero. Ma questo non cambia di una virgola la questione: fate tutti gli scongiuri che volete, ma con questi dati l’ipotesi di chiusura nel medio periodo dei nostri due quotidiani non è per niente campata per aria. E sarebbe un disastro.

Ecco perché a mio avviso la Conferenza regionale dell’Informazione dovrebbe essere preceduta, oltre che da una nuova ricerca sul sistema dei media locali, anche da una serie di incontri territoriali organizzati dall’Ordine dei Giornalisti e dall’Associazione della Stampa Sarda (il nostro sindacato) per provare a condividere una piattaforma da portare all’attenzione della Regione.

Editori, giornalisti e politici devono guardarsi negli occhi e dirsi quelle scomode verità oggi solamente sussurrate. Perché la crisi delle imprese editoriali anche in Sardegna è drammatica, al punto che molti la considerano addirittura irreversibile. 

Morale della favola: se la Regione vuole fare le cose sul serio, innanzitutto si metta a studiare. Il tempo delle passerelle è finito.

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