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#sardegna2035, finalmente dismesse le aree industriali di Porto Torres, Ottana, Sarroch e Portovesme. Un sogno? No, un progetto politico

Sarroch

 Sarroch vista da Google Maps

C’è qualcuno che in buona fede può dirsi sorpreso dalle notizie che emergono dall’inchiesta che ha portato agli arresti due dirigenti della centrale E.On di Fiumesanto? Direi proprio di no.

Tutto quello che dobbiamo sapere sull’inquinamento a Porto Torres lo sappiamo dal 2003, da quando Irs portò i giornalisti a Minciaredda e denunciò davanti alla presenza delle telecamere l’esistenza di una discarica abusiva di rifiuti tossici.

L’industria pesante inquina, lo sappiamo. Ma solo in Sardegna l’inquinamento è strutturale, cioè è elemento fondamentale e imprescindibile del processo produttivo. I poli chimici e petrolchimici sardi restano in piedi solamente se hanno la possibilità di devastare il territorio in maniera continua e impunita. Per fortuna adesso qualcosa sta cambiando. Ma che l’intervento della magistratura sia quantomeno tardivo (come ha scritto bene in una nota “A manca pro s’indipendentzia”) è sotto gli occhi di tutti.

Ormai la situazione è talmente degenerata che neanche si pone più il dilemma “lavoro o salute?”. Perché rispetto agli anni d’oro a Porto Torres, Ottana e Portoscuso non ci lavora praticamente più nessuno. Dunque ciò che ci resta sono fabbriche obsolete, con sempre meno lavoratori impiegati, fortemente inquinanti, relitti di un modello di sviluppo (quello voluto dal Piano di Rinascita negli anni ‘60) ormai sorpassato, finito, esaurito.

Eppure a difesa di questo modello sono schierati quasi tutti i poteri che contano. Gli industriali e la destra, ovviamente. Ma anche i sindacati, che quando si parla di modello di sviluppo (come ha scritto bene Salvatore Cubeddu) sono una forza reazionaria, e senza dubbio la sinistra. Ho letto l’interrogazione del senatore di Sel Luciano Uras, politico intelligente e capace, che si è limitato a chiedere al ministro Galletti di “appurare la gravità e di ridurre i rischi di inquinamento a Porto Torres”…

Neanche davanti a questo sfacelo, alla dimostrazione evidente che questo modello di sviluppo ha esaurito le sue potenzialità e che ora non può che fare danni, la politica sarda sa dire parole oneste, capaci di tracciare una prospettiva seria.

Il presidente Pigliaru può agitarsi quanto vuole ma, come ha scritto bene Pierluigi Marotto nel suo post “I nodi che il centrosinistra sardo non sa o non vuole sciogliere”, se non affronta alcune questioni di fondo (e quello di un nuovo modello di sviluppo è tra questi) la sua azione politica continuerà ad oscillare la mediocrità e l’ordinaria amministrazione. Pigliaru deve stare dentro la storia della Sardegna (sì, la storia), quello deve essere il suo orizzonte: altrimenti fallirà il suo mandato senza neanche capire il perché.

La soluzione è davanti gli occhi di tutti: basta industria pesante in Sardegna. Basta. Quelli presenti nell’isola sono tutti stabilimenti che ormai prendono al territorio più di quanto danno, il loro ciclo produttivo è finito esaurito. Se ne gestisca dunque in maniera intelligente la dismissione. Quanto tempo servirà? Dieci, anni, vent’anni? Bene: per evitare ogni polemica prendiamocela comoda e annunciamo solennemente che nella Sardegna del 2035 gli stabilimenti petrolchimici di Ottana, Porto Torres e Sarroch, insieme a quelli fortemente inquinanti del polo di Portovesme, saranno chiuse, definitivamente dismessi, e le aree da essi occupate già bonificate o in corso di bonifica.

Diamoci vent’anni di tempo per gestire la transizione: non sono pochi, ma non sono neanche tantissimi. Ma porci un obiettivo del genere sarebbe l’unico modo per difenderci, da subito e concretamente, dal rischio di diventare un’isola pattumiera, perché i rifiuti chiamano altri rifiuti.

Nel 2035 non ci sarà più nessuna industria petrolchimica o fortemente inquinante in Sardegna: questo dovrebbe dire la politica sarda se volesse veramente dare una svolta, preso atto in maniera inequivocabile di ciò che avviene nei nostri territori. In attesa che chi di dovere si pronunci, perché non iniziamo a dirlo noi? #sardegna2035

 

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7 Comments

  1. Luciano says:

    Un commento articolato e anche una risposta per l’articolo di Sandro Roggio su tiscali notizie
    http://notizie.tiscali.it/regioni/sardegna/articoli/15/04/20/eon-intervista-intervento-roggio.html
    Diventa difficile intervenire su una discussione condizionata da episodi gravi come quelli riguardanti la centrale E.On di Fiume Santo, o il disastro ambientale che interessa l’intero polo industriale di Porto Torres o quello riguardante l’intero territorio del sulcis-iglesiente oppure di Macchiareddu, Sarroch, Ottana e via dicendo.
    Vogliamo dire che fu quel periodo in cui si insediavano quelle industrie un periodo di totale pazzia collettiva? di mancanza di progettualità, di pianificazione, di programmazione dell’intera Sardegna?
    Tutto si può dire; recentemente ho sentito vecchi politici, che hanno contribuito a determinare quelle scelte, che si ora le vedevano in modo diverso, che forse bisognava ragionarci su, ma allora dicono, era l’unica soluzione all’arretratezza della Sardegna.
    Possiamo anche dire che gli antichi romani andavano a scegliersi i posti più belli della Sardegna per i loro insediamenti, Turris Libissonis, Nora, Tharros etc. ma anche loro non venivano a fare beneficenza e comunque prima di loro altri hanno goduto di quei posti dal paesaggio incomparabile.
    Posso dire senza paura di essere smentito, che almeno quel periodo di industrializzazione era supportato da idee chiare, si indicavano obbiettivi precisi, strategie condivise per raggiungerli, che ricordi io è stata una delle poche volte che si è fatto una seria e condivisa pianificazione industriale e territoriale; o mi sbaglio?.
    In quel periodo qualunque scelta industriale, qualunque pianificazione territoriale era supportata da scelte politiche chiare, forse discutibili, forse opinabili ma supportate da analisi e scelte condivise. Allora si discuteva, si contestava, ma si entrava nel merito delle questioni, si creavano le occasioni di informazione, di dibattito; purtroppo oggi tutto questo non c’è più, ma non perché non si senta l’esigenza, ma perché quelle poche occasioni di dibattito sono riservate a quelli che la pensano nello stesso modo.
    Gl’industriali, come tutti gl’imprenditori di altri settori, agricoltura, artigianato, turismo sono stati e vengono incentivati per intraprendere le loro attività; forse bisogna chiedersi perché il sistema non ha funzionato e ancora non funziona, forse bisogna ricercare i motivi del fallimento non tanto nell’intrapresa quanto nella gestione del sistema, nella corruzione del sistema per cui si pagava la bustarella al politico per avere il finanziamento, si pagava la bustarella ai funzionario per rilasciare le autorizzazioni o che avrebbero dovuto controllare che tutto fosse fatto a regola d’arte, e anche quando si viene scoperti che non tutto è stato fatto a regola d’arte c’è sempre una bustarella che mette a tacere tutto; a maggior ragione se sono industrie di stato che devono foraggiare partiti, governi che, siccome cambiano spesso, bisogna riprendere il giro ogni volta.
    Diciamolo con chiarezza che è venuto meno il ruolo di chi doveva controllare che tutto si svolgesse nel rispetto piani dei programmi e delle leggi; è venuto meno il ruolo di chi avrebbe dovuto tutelare il territorio e l’ambiente; è venuto meno il ruolo di chi avrebbe dovuto difendere gli operai non solo dal punto di vista dell’occupazione ma soprattutto dal punto di vista della salute; sono venute meno al loro compito di controllo e tutela le principali istituzioni dello stato.
    Siamo innocenti e al primo posto nella classifica dell’abusivismo? Non solo, se andiamo a vedere i piani urbanistici dei nostri paesi , anche quando sono aggiornati, prevedono volumetrie per minimo il quadruplo della popolazione residente, tra l’altro in costante decremento, tanto che per molti si ipotizza l’abbandono nel giro di pochi anni; centri storici abbandonati e periferie prive dei servizi essenziali; a chi dare la colpa di questo scempio? io un’idea ce l’avrei, a parte la megalomania di alcuni sindaci (prima o poi bisognerà controllare il patrimonio personale a inizio e a fine mandato), c’è anche l’esuberanza (diciamo così) di molti colleghi pianificatori.
    Nel 1983, ho ricordato in un breve intervento in un convegno del FAI, in una pausa di lavoro con Professor Angelo Aru, si stava lavorando al Piano di Sviluppo Socio-Economico e Piano Urbanistico della Comunità Montana Marghine-Planargia, (mi pare tra i pochi esempi di pianificazione territoriale conclusi e solo in minima parte attuati) mi regalò una bottiglia di un ottimo vermentino, prodotto delle vigne di famiglia, dicendomi che era l’ultima annata di produzione, in quanto quelle vigne dovevano essere estirpate perché inquinate da metalli pesanti e diossine; quelle vigne si trovavano nel Sulcis-Iglesiente; ancora oggi ogni tanto si legge di ordinanze del sindaco di Portoscuso che vieta la produzione di ortaggi, o la raccolta del latte perché inquinato .
    Cosa fare, allora?
    Semplice, non facciamo nulla. In quanto “i programmi per l’eolico, termodinamico e, tanto per creare confusione, chimica verde, stanno in quel solco distruttivo”. Questi progetti sono finalmente avversati dalle popolazioni che ne temono la presenza e li contrastano. I disastri ambientali scuotono e fanno pensare. Una nuova “coscienza di luogo” ci potrebbe aiutare, invece, a progettare un futuro diverso”.
    Nel frattempo lasciamo che quelle popolazioni che vivono in quelle aree inquinate continuino a morire di cancro a decine ogni anno, e ad ammalarsi a centinaia di varie forme di tumore; visto che produciamo più energia di quella che ci necessita, perché cambiare continuiamo a produrla bruciando carbone o olio combustibile, anche perché se produciamo energia pulita dopo arriva la mafia a fare affari, come succede per gli appalti per le strade, per i porti per il Mose, l’Expo2015 eccetera, non bisogna fare nulla, non bisogna dare occasioni alla mafia di arricchirsi; chissà perché io sono convinto che la mafia si blocca non evitando di fare le opere necessarie al territorio, ma attuando le leggi di contrasto previste dalle leggi .
    Ma ora caro Sandro, toglimi una curiosità: ma un idea di sviluppo per questa martoriata Sardegna ce la vuoi dare?

  2. Pietro says:

    Qui non si tratta nemmeno di avere un modello di sviluppo, magari. Siamo sempre alle solite commistioni. Noi pensiamo allo sviluppo e intanto lo schema si ripete tutti i giorni: a quanto pare nelle aree ExFas di Elmas le bonifiche saranno parziali, pagate dalla regione e condizionate all’apertura di un nuovo centro commerciale nell’hinterland di Cagliari, come se fosse un regalo. Hanno voglia a presentare interrogazioni i consiglieri di opposizione. Tutto tace.

  3. Analisi lucida e condivisibile, per troppo tempo la stampa ( libera) alcune associazioni pacifiste-ambientaliste e la magistratura si sono concentrate nel cercare a tutti costi l’inquinamento da uranio impoverito nei poligoni mettendo a “gogna” i Militari “inquinatori” per fortuna gli studi effettuati finora hanno dimostrato che non vi è inquinamento…giusto una precisazione i Militari non godono ancora di tutti i diritti costituzionali ..per esempio l’articolo 18 (
    I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale……..) mentre all’interno delle aziende che hanno inquinato….. i Sindacati erano ben presenti….non vorrei che alla fine le ex Servitù Militari siano tra pochi luoghi non inquinati che fanno gola ……soprattutto a stessi in-prenditori che hanno inquinato i siti industriali con la complicità di sindacati ….politici e dirigenti…e forse anche gli stessi lavoratori…..

  4. Si, Dottor Biolchini, ma se il piano Sulcis e le sparate di Cherchi sul metanolo e sulla ripresa della produzione di allumina continuano a disorientare la povera gente che cosa si può fare? Il Cherchi è ancora personaggio che decide, questo è il punto. Un mio amico ha comprato una piccola azienda che produce mele in Val di Non, un ettaro di frutteto in produzione quota 600 mila euro, ha capito? 600 mila euro a ettaro. Comunque le do una chicca: per quale motivo la Portovesme Srl 10-15 anni fa scaricava autoarticolati con materiali pericolosi dalle 2 alle 5 del mattino (di nascosto) arruolando personale pagato per 3 ore di lavoro il valore di una doppia giornata? Perchè qualcuno, quando ha capito, ha detto di no alla chiamata? Io vidi delle foto scattate col telefonino ma non avvisai le autorità, mi avrebbero detto lasci stare. La gente sta cambiando e sta capendo che con la salute non si scherza. Non è l’ora di sapere che cosa scaricavano alla Portovesme Srl? A Paringianu in molti lo sanno.

  5. antonio says:

    Con tutto lo schifo che ci tocca sopportare in questa terra disgraziata e dimenticata da Dio – e non parlo solo dell’inquinamento – francamente nel 2035 spero di essere già sotto terra.

  6. Alessio says:

    Caro Vito,
    il tuo pensiero è illuminato e carico di speranza.
    Indubbiamente questo processo deve partire dalla volontà
    politica, ma si arena sicuramente se esso non è in qualche modo supportato
    dal basso. Dal lavoratore, dall’operaio, ovvero dall’ultimo ingranaggio di queste industrie che
    lordano e consumano inutilmente il nostro territorio.
    Se essi continuano a difendere con il paraocchi questo sistema
    lavorativo controproducente per tutti, che avvelena in primis
    il loro corpo, ammazzando anche i loro figli e tutto un territorio,
    non abbiamo la minima speranza.
    Una filiera perversa che uccide per un tozzo di pane.
    Anche perché non vedo spinte politiche (per loro è un bacino di voti), ne tanto meno sindacali (colluse tra politica e industriali), a favore di una nuova prospettiva di sano sviluppo della nostra terra. Un 2.0 della pianificazione lavorativa di una regione ferma alla sporcizia (non al profitto) della rivoluzione industriale.
    L’esempio lo abbiamo già avuto con le barricate a Cagliari dei lavoratori
    della Portovesme, con tanto di prole al seguito (i figli della crisi), gli stessi
    che mangiano e respirano il veleno prodotto nelle industrie dove lavorano i padri e dove magari sognano di lavorare in futuro. Il loro motto:”Ripartire dall’Industria e Dagli Operai”.
    Con queste premesse dove possiamo andare?
    Troppa fame e molta ignoranza per una #sardegna2035. Purtroppo.

    • Massimo says:

      Condivido l’analisi caro Vito, ma la situazione è addirittura molto peggio di quello che sei riuscito a rappresentare. I tristemente famosi, (ahinoi) piani di rinascita, hanno creato un disastro che neanche dieci, cento, mille generazioni riusciranno a cancellare. Hanno arricchito chi già era ricco. Hanno illuso, portato via dalle campagne e poi abbandonato a se stessi migliaia di sardi e rispettive famiglie. Hanno interrotto la trasmissione padre-figlio di millenarie tradizioni locali. Hanno inquinato irrimediabilmente le nostre terre. Hanno svuotato le casse pubbliche. Hanno creato una classe dirigente politica e sindacale collusa col potere e di bassissima levatura morale…. cos’altro aggiungere… Oggi ci vorrebbe una nuova classe di politici veri che abbia il coraggio di dire che il sogno si è infranto. È fallito, come tutte le loro fabbriche. Dobbiamo tornare nelle campagne a lavorare la terra, allevare gli animali, riscoprire e rilanciare le nostre antiche e sane tradizioni. Dedicarci alla nostra storia e archeologia, preservare la nostra natura bella quanto selvaggia e far conoscere a tutti i nostri lati positivi x arricchirci in tutti i sensi ma, sopratutto, in senso civico e consapevolezza. Migliaia di anni fa un popolo antico abitava questa terra ed esportava in tutto il mondo allora conosciuto il proprio marchio… Se esistesse davvero la macchina del tempo…

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