Sardegna

Se la Sardegna prendesse esempio dalla Dinamo Sassari

Considero lo sport una delle migliori scuole di democrazia. Perché ci mette davanti ai nostri limiti, ci spinge a migliorarci e ci obbliga a cercare l’aiuto degli altri per superarli. Perché premia il merito e punisce chi imbroglia (a differenza di ciò che accade in altre situazioni, nessuno arriva ai massimi livelli solo perché raccomandato). Perché coniuga disciplina e talento (e il talento da solo non basta a vincere, senza il sacrificio quotidiano ogni capacità individuale non conta). Perché nello sport tutti hanno un loro ruolo e chiunque può contribuire perché un risultato sia raggiunto. Nello sport per vincere c’è veramente bisogno di tutti, dal grande atleta all’ultimo dei tifosi. Ecco perché per me lo sport è soprattutto una scuola di democrazia. Io amo lo sport.

Fra tutti gli sport, il basket è lo sport più democratico di tutti. Perché un grande campione non fa una squadra e perché alla fine vincono sempre i migliori. Oggi i migliori sono stati i ragazzi della Dinamo Sassari.

I valori che li hanno portati al successo della loro prima Coppa Italia sono quelli che vorremmo vedere trionfare anche nella nostra isola: merito, determinazione, capacità di reagire alle avversità e di cooperazione, spirito di sacrificio, coraggio. Se la società sarda chiedesse alla propria classe dirigente di affrontare le sfide che ha di fronte con gli stessi valori con cui la Dinamo scende in campo in Italia e in Europa, guarderemmo al futuro con maggiore fiducia.

Oggi la Dinamo è un esempio per la Sardegna, un motivo di orgoglio e anche di speranza. Perché dimostra che con la determinazione, l’organizzazione e la lungimiranza alla fine i risultati arrivano. La società del presidente Sardara sta tracciando un percorso, sta fissando un modello: sarebbe stupido non prenderlo ad esempio.

Eppoi c’è un’altra questione di non poco conto: i successi della Dinamo stanno unendo la Sardegna. Lo dissi già quasi due anni fa  (“Cagliari-Sassari, fine di una rivalità?”) ma ancora una volta è bene rimarcare con quanto calore, affetto e rispetto anche a Cagliari si segua e si tifi la squadra orgoglio di Sassari. E’ un fatto che merita di essere segnalato quale cambiamento epocale nella mentalità di chi vive nel capoluogo, ma è anche un enorme merito della dirigenza sassarese quello di avere aperto a tutti le porte del Palaserradimigni e di avere fatto della “casa” della dinamo la casa di tutti gli sportivi sardi.

Con i campanilismi non si va molto lontano, la nostra isola non se li può più permettere. E il miracolo della Dinamo è anche quello di aver fatto gioire i cagliaritani per un successo “made in Sassari”. W i cugini Diener, W la famiglia Sacchetti, w il presidente Sardara, w Caleb e Marquis Green, w Vanuzzo e Devecchi, w tutti. E sempre a fora li pindacci!

Post scriptum
Se volete avvicinarvi al “mondo Dinamo” non potete non seguire questo blog: dinamo1960.blogspot.it 

 

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3 Comments

  1. Paolo Melis says:

    Ca semus prus de unu giogu

  2. antonello says:

    Sono d’accordo Vito. Bisogna riconoscere a Stefano Sardare di essere il Leader o il Manager di questo successo.
    Bisognerebbe farne oggetto di studio. Per me, che sono un abituale frequentatore di piazze d’Italia e ho seguito il percorso sin dal principio, il segreto sta nell’aver chiamato a partecipare al PROGETTO DINAMO tutta la comunità sassarese e di averlo attualmente esteso a tutta la Sardegna.
    Quindi bravo Stefano Sardara e tutti gli altri.

  3. Dal mio allenatore ho imparato le stesse cose.
    Mi diceva: “i tuoi limiti non possono essere il tuo limite” “tu li devi raggiungere, li superi, e poi raggiungi il successivo”. Se hai sbagliato a chiamare il fuorigioco e l’attaccante di ha dato venti metri, tu lo raggiungi e gli togli la palla.
    A sedici/diciassette anni ero arrivato a correre i 100 piani in 11 secondi e mezzo. Se ne era accorto il prof di ginnastica al liceo e mi aveva fatto fare qualche gara.
    Ho una medaglia appesa qui affianco che mi ricorda sempre il mio allenatore.
    Era un grande allenatore. E poi diceva che sono un cinghiale con la cravatta. Mai nessuno mi ha descritto meglio.

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