Politica / Sardegna

Il centrosinistra è mor-to! Ora serve un’alleanza sovranista e un nuovo partito dei sardi che guidi il cambiamento

È bastata una battuta del segretario regionale del Pd Silvio Lai per smontare la volontà di Renato Soru di sfiancare con le sue intemperanze il partito: “Primarie a luglio” ha affermato Lai. Ma è stata, purtroppo solo una battuta. Perché è evidente che non ci sono i tempi né le condizioni né la chiarezza politica per arrivare a questo appuntamento con le idee precise riguardo lo schieramento con il quale il cosiddetto “centrosinistra” si dovrebbe presentare alle elezioni regionali dell’anno prossimo (anno prossimo se tutto va bene, perché Cappellacci potrebbe portarci alle urne a ottobre e i segnali ci sono tutti).

La proposta di Lai è stata subito impallinata da Sel e dai Rossomori, mentre è sostanzialmente piaciuta all’Italia dei Valori, le tre sigle che, insieme a quelle che si riconoscevano nella sinistra (Comunisti Italiani e La Sinistra), fecero da damigelle d’onore al Pd in occasione della terrificante sconfitta elettorale del 2009, quella in cui Soru perse contro Cappellacci (pregasi di rivedere i risultati di quattro anni fa e confrontarli con il quadro politico attuale per tornare con i piedi per terra).

Dunque entro quindici giorni il cosiddetto “centrosinistra sardo” dovrebbe incontrarsi per decidere modi e tempi delle sue primarie. Ma il centrosinistra chi è? Dov’è? Dopo la nascita del governo Letta, Sel ha ancora intenzione di allearsi con il Pd? E la sinistra, a pezzi dopo l’esperienza Igroia, a cosa sta pensando? E soprattutto, siamo sicuri che oggi dividere il campo politico in centrodestra e centrosinistra basti a delimitare un perimetro ideologico capace di dare strumenti efficaci contro la crisi sarda?

No, è evidente che non basta. Perché la crisi sarda si affronta solo con una classe dirigente e politica capace di esercitare al massimo i poteri autonomistici che discendono dallo Statuto, se non di superarli decisamente in una stagione nuova contrassegnata dal sovranismo: in pratica, è necessario rafforzare la nostra specialità e agirla compiutamente.

Per entrare in questa nuova fase servono innanzitutto politici le cui fortune non possono dipendere dall’appartenenza o meno ad una corrente di potere romana ma la cui carriera è frutto solo della loro competenza e del loro radicamento nella società: basta con i baroni e i feudatari. Per questo il Pd deve diventare un Pd sardo, autonomo da Roma (così come ad esempio è accaduto in Friuli). È difficile che avvenga in tempi rapidi, ma se vuole vincere realmente le elezioni il Pd locale non ha alternative (detto per inciso: agganciarsi al treno nazionale e candidare per questo una persona pur molto valida come Francesco Sanna non ha molto senso e non porta molto lontano).

Poi c’è anche l’enorme ostacolo rappresentato dalla sinistra sarda, che di sardo non ha nulla e che ha sempre subordinato la fedeltà ai leader e alle logiche nazionali alle problematiche isolane. Per fortuna qualcosa sta cambiando (venerdì ci sarà a Cagliari un’assemblea in cui una parte di Rifondazione manderà a qual paese l’organizzazione nazionale) ma certamente restano moltissime resistenze su temi centrali come quello della lingua e della cultura sarda, da sempre avversati (fin dai tempi del Pci) dai nostri “compagni”. E senza lingua e senza cultura sarda non c’è sovranità.

Il futuro della Sardegna passa dunque attraverso un nuovo rapporto con lo Stato: è su questo discrimine che si dovrebbe innanzitutto formare uno schieramento che volesse contrapporsi a quelli guidati da Grillo e da Berlusconi.

Parlare di centrosinistra dunque non ha più molto senso: servirebbe invece una alleanza sovranista tra partiti che vedono nel l’estendersi dei poteri concessici dallo Statuto di autonomia del 1948 la strada maestra per condurre la Sardegna fuori dalla crisi. In nome della solidarietà, dei diritti, del lavoro, del sostegno alle fasce più deboli della popolazione. Non certo del liberismo o delle basi militari.

Commentando il mio post “Il Pd e Sel come il Barone di Munchausen. Perché serve un nuovo partito per salvare il centrosinistra sardo”, il sociologo Alessandro Mongili dice: “Il tuo è un programma un po’ velleitario, perché non indica chi sarebbero coloro che si potrebbero far carico di questo processo di costruzione di un “partito dei sardi”, e quali garanzie darebbero di non provenire dal ceto politico che si è compromesso con operazioni politiche molto “antisarde”.

La risposta alla prima domanda è molto semplice: si fa carico di un programma sovranista chi vuole farsi carico di un programma sovranista: e poi ci si conta. La seconda invece è più complessa ed anche più insidiosa. Per questo la prendo alla lontana.

Dopo l’irruzione di Grillo nella scena politica tutto è cambiato. Alle ultime elezioni i partiti tradizionali si sono salvati in corner, ma difficilmente avranno un’altra possibilità; e questo non perché Grillo sia destinato ad accrescere i suoi consensi ma semplicemente perché la gente (e soprattutto quella giovane) si è stancata di partiti così.

Il panorama è dunque mutato drasticamente e utilizzare le categorie con le quali finora abbiamo ragionato non ha molto senso.

Davanti ad un mutamento di scenario così radicale e davanti alla consapevolezza che serve una svolta sovranista, cosa significa la frase “quali garanzie darebbero di non provenire dal ceto politico che si è compromesso con operazioni politiche molto “antisarde”? Tutti gli esponenti del Pd o di Sel o dell’Italia dei Valori hanno invece sempre fatto invece gli interessi della Sardegna? Quante operazioni antisarde sono state portate avanti dal Pd in questi anni? O volete che vi tiri fuori l’appoggio dato dai parlamentari sardi alla creazione di una pista tattica a Perdasdefogu?

Nessuno è innocente. Ciò non vuol dire ovviamente che tutti sono colpevoli o colpevoli allo stesso modo: vuol dire solo che con il gioco dei veti non si va molto lontano e soprattutto si perdono le elezioni. Ma facciamo esempi concreti.

Qualcuno afferma che lo schieramento di centrosinistra in campo alle prossime elezioni dovrebbe essere composto solo e solamente da partiti e politici che stavano con il centrosinistra anche nel 2009. Bene.

Nel 2009 Roberto Capelli fu eletto nelle liste dell’Udc, partito presente nello schieramento di centrodestra che sosteneva il presidente Cappellacci. Nel corso della legislatura poi ha rotto prima con Cappellacci e poi con l’Udc, fino a passare all’opposizione. Capelli alle ultime elezioni politiche si è candidato con il Centro Democratico di Tabacci ed è diventato deputato. Del centrosinistra.

Che facciamo se Capelli alle prossime regionali decide di fare una lista a sostegno del defunto centrosinistra? Lo mandiamo via? Rifiutiamo i voti di un deputato eletto in Sardegna con i voti del centrosinistra?

E se pezzi dei Riformatori, dei sardisti o dell’Udc decidono di condividere un programma di rottura e di rinnovamento, che si fa? Sappiamo bene chi, pur transitando dopo alterne vicende nel centrodestra di Cappellacci, ne ha preso le distanze in maniera netta. Vogliamo chiudergli la porta? E chi si prende questa responsabilità? Federico Palomba, ancora incredibilmente a capo di un partito travolto dagli scandali? Il centrosinistra è mor-to! Serve qualcosa di nuovo capace di allargare l’alleanza, non di restringerla.

È questo il grande, gigantesco equivoco nel quale partiti come Sel, Idv, e Rossomori stanno cadendo: pensare che tutti i voti in uscita dal centrodestra e dal Pd andranno a loro. No, non sarà così. La gente non andrà a votare queste formazioni più di quanto non abbia fatto finora, neanche davanti allo sfascio di Cappellacci: preferiranno astenersi o votare Grillo.

Per questo senza un nuovo partito in grado di mettere assieme in maniera laica e con l’obiettivo del sovranismo i voti in uscita dal Pd, quelli provenienti dal mondo moderato, dal mondo indipendentista non isterico, dalla sinistra stanca delle solite nomenclature e consapevole della propria debolezza, il fu centrosinistra le prossime elezioni regionali non le vincerà mai. Mai.

Non serve un nuovo partito della sinistra sarda (non esistono voti di sinistra in libera uscita, i partiti di sinistra che ci sono bastano ed avanzano a catalizzare tutto il consenso che c’è, se poi vogliono cambiare il loro programma in chiave sovranista e identitaria tanto meglio). Serve invece un partito sovranista e riformista, capace come fu Progetto Sardegna di mettere assieme tante anime. Nel 2004 nella formazione di Soru si trovarono cattolici democratici, esponenti provenienti dal Pci, perfino dai socialisti. E nessuno ebbe niente da ridire. E anche per questo si vinsero le elezioni.

Il problema è che a sinistra mica tutti vogliono vincere le prossime elezioni regionali! No, si accontentano di molto meno. Questo giochino della purezza e dei veti infatti spesso viene utilizzato dai partiti piccoli o medio-piccoli che non hanno più la forza di sfidare in campo aperto le altre forze politiche, e che invece vogliono semplicemente salvaguardare le posizioni di potere, cioè mandare in consiglio regionale o in parlamento i propri capibastone.

Certo, qualche precauzione per evitare clamorosi casi di trasformismo bisognerà pur prenderla, è evidente. Ma con i veti non si va da nessuna parte e si rischia di ritrovarsi come in quei film di Tarantino in cui tutti puntano la pistola a tutti e si rimane fermi, immobili (il mio amico Arthemalle mi ha detto che si chiama “stallo alla messicana”).

Decidano le damigelle del Pd (ma anche i capi del Partito Democratico) e gli indipendentisti raziocinanti se mettersi in gioco per vincere le elezioni ed evitare che la Sardegna vada nelle mani di Grillo o Berlusconi, o se chiudersi in un recinto, brandire il tema della purezza e mandare in Consiglio regionale i soliti noti, i soliti giovani-vecchi. I soliti perdenti. All’opposizione, ovviamente. Perché molti dirigenti del centrosinistra sardo preferiscono perderle le elezioni a patto però di mantenere le loro posizioni di potere, individuali o di clan.

 

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11 Comments

  1. giorgio says:

    se il lodo arbitrale venisse confermato, soru sarebbe o potrebbe diventare incompatibile con la candidatura alla regione. infatti servirebbe l’accertametno della corte dei conti per vedere se deve pagare qualcosa. molti lo sanno e infatti la corsa alle regionali è aperta.

  2. indeciso says:

    Come ha votato Maninchedda sulla vicenda dei tagli al Lirico ?
    leggendo i giornali non l’ho capito: pare che abbia vagamente discusso, ma poi, alla prova del voto, non è chiaro.

    mi pare rilevante, se intendessimo discutere di un sardismo che si affranca dal pdl, no?

  3. Cari Vito e Giovanni, cari Tutti,
    che occorra riprendersi al volo dall’inerzia di tanta parte politica è tristemente chiaro a tutti. Tuttavia non può non essere tenuto nel debito conto il fattore umano, fra quelli che possono intralciare/osteggiare qualsiasi iniziativa programmatica/politica.
    Parto dalle prime considerazioni che sono emerse negli organi di stampa a seguito dell’annuncio di Lai di voler “velocizzare” il percorso delle primarie: un partito della possibile coalizione si affretta ad annunciare che “valuta favorevolmente la proposta proveniente dalla direzione del Partito Democratico di accelerare le procedure per la scelta del candidato del centrosinistra sardo alla presidenza della Regione”, ma avvisa (che sa tanto di minaccia) “che gli alleati devono essere gli stessi che dal 2004 siedono al tavolo del centrosinistra” (Cit. F. P. – Sardegna Quotidiano).
    Ora, una simile dichiarazione presuppone una chiusura aprioristica sulle persone così come sulle forze politiche che costoro rappresentano, che prescinde da programmi, idee o punti programmatici come quelli individuati prima da Giovanni.
    Cosa presuppone un’affermazione come quella che ho riportato sopra? A mio avviso il timore di veder scalzate vecchie posizioni di potere (nell’accezione più meschina del termine) che si sono trascinate stancamente per lungo tempo. Non solo, la chiusura all’apporto di nuove idee diviene primo “punto del programma”.
    Capisco e in parte condivido le perplessità che Giovanni ha espresso nell'”aprire anche ad altri movimenti che stanno, organicamente, nel CD di Cappellacci” e che potrebbero essere superate, forse, solo con la somma di due fattori, uno programmatico e l’altro temporale evitando così il rischio di divenire ennesima scialuppa di salvataggio per chi ritiene di poter affondare.
    Per chi come me, ha da sempre considerato i partiti come meri contenitori di idee, ovvero di strumenti attraverso i quali quelle idee potevano trasformarsi in azioni concrete, non dispiace l’idea di un confronto aperto e franco sui possibili scenari e sul da farsi.

  4. Al.Mongili says:

    Caro Vito,
    io credo che invece il modello “Progetto Sardegna” faccia acqua da tutte le parti, soprattutto anta-anni dopo. La sfida della politica contemporanea è proprio abbandonare l’idea di costituire un gruppetto di “illuminati” con il loro programmone e guidare le masse. Fra chi si attiva in politica e gli “esperti” c’è oggi un cortocircuito, e non solo in Italia, o in Sardegna. Niente che non punti alla gestione di questo cortocircuito mi sembra poter aver successo sul piano organizzativo. Per quanto riguarda il programmone, invece, vedo agitarsi, “ke musca amakiada” come ho scritto su Sardinia Post, un sacco di gente in cerca di riposizionamento. Ma sono persone SCONFITTE! I loro progetti, da Tagliagambe a Paci, è riassunto dal tuo titolo “GUIDARE IL CAMBIAMENTO”, cioè accettare il paradigma della modernizzazione, ma gestirlo da ESPERTI. E’ una politica che è fallita, perché al fondo elitaria, tecnocratica, riformista dall’alto, e perché non contiene nessuna idea di cambiamento sociale, ma solo di razionalizzazione. Con una certa attenzione al proprio ruolo in questa nuova fase di “governo illuminato”. Ma basta con il fighettismo, dai, dopo Zedda volete ancora proseguire su questa strada?
    E Dio solo sa invece quanto la Sardegna abbia bisogno di apertura sociale, di superamento dei privilegi, di abbandonare il dirigismo, di esaltazione della diversità (a iniziare dalla propria), di costume democratico, di difesa dei propri interessi.
    Noi abbiamo il dovere di essere creativi, non di riscaldare minestre. Il mondo cambia velocemente, e tutto può essere diverso.
    Per cui personalmente non aderisco proprio a un bel nulla di questi makioris, e non capisco perché la gente che si impegna non capisca che è il caso di essere generosi, di non voler sempre mettere il cappello… su nulla.

    • C. Paulis says:

      “Noi abbiamo il dovere di essere creativi”. Questo è il concetto chiave. Coltivare la pianta della creatività, che può crescere solo in un terreno ben fertilizzato, e non imporre il tradizionale principio aristotelico dell’autorità. Lo dice tale fonte autorevole quindi io devo accettare il verdetto e stare zitta, e se fiato sono guai.
      L’adesione alle norme deve essere ragionata e motivata. L’autorevolezza è tutt’altra cosa, e il rispetto e la stima (e il voto) si guadagnano.
      Invece ovunque si avverte solo un clima soffocante di repressione del dissenso. Altro che creatività rinascimentale… Spero che almeno questo nuovo papa, che presto arriverà a Cagliari, si riveli davvero un punto di riferimento per chi ha perso la fede, non nel bene assoluto, ma negli uomini, nel senso dell’ecclesia, ovvero della comunità. Perché, come diceva Machiavelli, il ruolo della religione ha un grande peso in politica e nel mantenimento dell’ordine sociale.

      Quindi, ricollegandomi alla risposta del sociologo Alessandro Mongili, anche io sono molto scettica. Se si vuole davvero il bene della Sardegna e dell’Italia, inserite in un contesto europeo e internazionale da protagoniste, il problema di fondo è superare una sostanziale arretratezza statale e culturale: lo dice anche l’illuminato Fabrizio Barca, no?

      Intanto, per partire bene, occorrerebbe creare una piattaforma semplice semplice e regole semplici semplici. Infatti, come già sottolineato altrove, la semplicità può essere anche una virtù, mentre le complicazioni dei regolamenti spesso nascondono cavilli legali fatti ad arte per prendersi gioco della giustizia e delle persone comuni (e sappiamo bene come funziona in Italia) in modo tale da evitare il rischio del trasformismo, della “minestra riscaldata”, del “tutto deve cambiare affinché niente cambi”.

      Comunque, Vito, sono d’accordo: il centrosinistra è morto. Tuttavia dubito che si superino velocemente le logiche feudali nostrane.
      Quindi che si fa?

  5. Caro Vito, se ci si applica seriamente, credo di sì. Lanciamo una iniziativa aperta da qui a ottobre su almeno 10 punti e stendiamo un documento programmatico su ognuno di questi. Poi vediamo chi ci sta e chi può meglio rappresentarle in chiave elettorale.

  6. Io penso che ci sia bisogno di Novadores 🙂

    http://novadores.net/node/62

  7. gengis kanu says:

    basta che nell’inclusione non ci ritroviamo con l’ennesimo gruppo informe composto da Oppi, Giacomo Sanna, Mariolino Floris e qualche Pdino mediocre …

  8. Caro Vito, io la prima domanda che mi faccio e ti faccio è: c’è qualcuno che VERAMENTE vuole ed è in grado di cambiare la Sardegna? Ma veramente il centrosinistra vuole vincere?
    Nel 2004 Soru è piombato dal cielo, spazzando via destra ma soprattutto sinistra.
    Ovvero…la sinistra, vivacchiando prima sotto la sua ombra poi vivendo nel suo ricordo o rimanendo tramortita dai suoi schiaffoni, ha perso 10 anni, 10 anni di nulla!!!
    Ora la sinistra sarda non ha nomi, non ha idee, non ha figure da seguire, non ha ideali e non può neanche più inseguire il berslusconismo.
    Ma avete partecipato ultimamente a qualche riunione del PD? O a una di SEL? Per non parlare dei Rossomori o dell’IDV. Una pena incredibile!!!
    E con questo centrosinistra possiamo anche solo pensare di vincere?
    Dove sono le idee giovani? Dove sono le idee innovative?
    Il centrosinistra è morto perchè non sa più pensare, non sa più comunicare, non sa stare nelle tv ma neanche sul web.
    Caro Vito…ho un brutto presentimento!
    Però, dobbiamo lottare e magari buttare anche qualcuno a mare….

  9. Sostanzialmente condivisibile ciò che dici, Vito, in linea teorica. Con qualche piccolo “accorgimento”. Hai citato il caso Capelli per sostenere che si possa (o debba) aprire anche ad altri movimenti che stanno, organicamente, nel CD di Cappellacci.
    Ma non è così,
    Capelli ha fatto un percorso politico lungo (e pure coraggioso) nell’andare all’opposizione dei suoi ex compagni di cordata e si è persino candidato contro di loro alle ultime politiche. Ben vengano persone così.
    Ma chi gestisce il potere in Sardegna oggi (nei partiti, nelle istituzione o negli enti), può essere inserito in liste della futuribile sinistra/non sinistra sarda ? per me no.

    Questa è la prima condizione, minima.

    La seconda è ben più complessa e riguarda il “progetto Sardegna” di un partito “nuovo” (ma anche di una coalizione di CS “vecchio” conio).

    Butto qui le prime cose che mi vengono in testa (nulla di esaustivo, per carità):
    – carbone e industria pesante del Sulcis
    – aree industriali di Ottana e Portotorres
    – futuro a Sarroch
    – trivellazioni ad Arborea
    – galsi
    – enti intermedi (province, abbiamo visto la barzelletta post referendum)
    – fiscalità
    – continuità territoriale
    – piccoli aeroporti (hai notato che per la 2a o 3a volta la regione si ricompra un aeroporto fallimentare in Ogliastra ?)
    – legge urbanistica

    vogliamo scommettere che se mettiamo assieme una dozzina di nuovi (o vecchi) politici (o aspiranti tali) di un possibile partito sovranista o autonomista finiscono per scannarsi su tutte quante le questioni ?

    C’è la volontà di sedersi assieme e discutere, con competenza ed autonomia (anche dal proprio paesello o città) e scrivere un programma chiaro e senza ambiguità su questo ed altri punti nodali dell’isola ?

    • Caro Giovanni, parto dall’ultimo punto: la volontà di fare le cose. Io penso che se davanti ad una situazione così drammatica manca la volontà di incontrarsi e di discutere, allora è meglio lasciar stare ed emigrare. Sul serio però.
      Detto questo, tu elenchi una serie di punti nodali e sei sicuro che sui di essi un partito sovranista o autonomista non troverebbe alcun accordo, anzi si scannerebbe. Perché invece nel cosiddetto centrosinistra attuale non è forse già così? Sì, è già così.
      Io penso invece che una alleanza sovranista gli accordi su temi così dirimenti li troverebbe con maggiore facilità. Perché non avrebbe la pressione di dover in qualche modo giustificare le posizioni nazionali di partiti ormai inesistenti. Poi è chiaro che tutto è difficile. Ma stare fermi non si può, il centrosinistra rischia seriamente di perdere le elezioni regionali e questo penso sia chiaro a tutti. Quindi che si fa?

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