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“Gianfranco Pintore, la lingua sarda e le altre battaglie dimenticate degli indipendentisti degli anni ‘70”. Un ricordo di Giuseppe Corongiu

Il giornalista e scrittore Gianfranco Pintore è scomparso la settimana scorsa. I giornali hanno dato la notizia, ma niente di più. Pintore però è stato un protagonista importante del movimento che si batteva per la lingua sarda e ha avuto un ruolo in quella stagione politica particolare che vide la nascita (tra gli anni ’70 e gli ’80) del cosiddetto “neosardismo”. Ringrazio Giuseppe Corongiu per avermi offerto questo ricordo di Pintore, che spazia dalle considerazioni sulla lingua sarda ai motivi dell’ostracismo subìto da molti intellettuali isolani, fino all’eredità di valori ed esperienze rimastaci da quelle lotte ma spesso disconosciuta dai protagonisti dell’indipendentismo odierno.

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Non posso sinceramente dire di essere stato un amico di Gianfranco Pintore. Né forse di averlo conosciuto a fondo, nell’intimo. Compagno, militante e collega di battaglia, sì. Suo lettore e ammiratore come scrittore anche. Ma per definire con precisione la sua figura umana e culturale, forse altri sapranno fare meglio di me. Pur avendo un obiettivo politico comune come l’affermazione (o la sopravvivenza) della lingua e della nazione sarda, l’età, la formazione, i gusti, le diversità di giudizio, il carattere, le opzioni differenti spesso ci hanno visto su posizioni contrarie. Anche distanti. Non è mai mancata però la solidarietà di fondo sul traguardo comune del nazionalitarismo e del cammino verso l’autodeterminazione del popolo sardo. Non è mai mancata la consapevolezza di essere, in modi diversi, autori dello stesso processo e dello stesso destino.

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Gianfranco Pintore era, ed è, a mio giudizio il migliore, o uno dei migliori scrittori sardi contemporanei della nostra minoranza linguistica nazionale. Per migliore intendo quello che, dal punto di vista politico, ha meglio interpretato in letteratura l’aspirazione dei sardi a essere popolo e nazione. La sua scelta per la lingua è sempre stata limpida, radicale, coerente.

Non era di lingua madre sarda. Si è autoimposto a oltre trent’anni di reimparare la lingua della Sardegna, perché ha capito di essere stato defraudato di una risorsa vitale. E c’è riuscito talmente bene da rivitalizzare lui stesso la nostra letteratura. Un esempio da seguire per tutti i giovani che sono stati privati della lingua.

In particolare, aveva “scioccato” il mondo culturale isolano con “Su zogu”, romanzo fantascientifico pubblicato alla fine degli Anni Ottanta. “Il gioco” raccontato dall’autore non era altro che la “caccia al sardo” ambientata in una Sardegna schiacciata verso le zone interne da una dominazione tecnologico coloniale che negava storia e lingua dell’isola. Con la sua scrittura ha dato l’esempio a tutti di come si poteva rimodellare un codice ridotto in dialetti municipali e semifolcloristici, in una lingua che aspira a rifondare una letteratura nazionale.

Negli ultimi dieci anni arriva la trilogia “Nurai”, “Morte de unu Presidente” e “Sa losa de Osana” fatta da thriller avvincenti in cui si muove il suo alter ego Nurai, un giornalista di buona età, pacioso ma determinato, lento ma perspicace, affascinato dal sigaro, dal buon vino e dalle donne.

È qui che Pintore ha dato il meglio di se stesso, perché ha scritto in una lingua sarda “normale”, tre gialli “normali” su argomenti “normali” di una Sardegna normale. Almeno da un punto di vista letterario, intendiamoci. Niente banditi romantici, niente pastori arcaici, niente avvocati nuoresi, niente squartamenti di uomini, niente esotico, niente primitivo, niente miti esoterici. Niente di quei luoghi comuni e stereotipi sulla sardità che tanto fanno vendere alcuni libri sardi in Italia.

Piuttosto, il “discorso” letterario di Giuanne Frantziscu sembra basato molto sulla denuncia delle mistificazioni del potere, sulla mancanza di conoscenza, sull’organizzazione del sapere (falso e di comodo) come strumento di dominio. E di come il buon giornalismo e la cultura diffusa smascherano questi meccanismi.

Quello che è certo è che senza Pintore la nostra letteratura in lingua sarda sarebbe rimasta più ancorata ai cliché che piacerebbero tanto agli accademici conformisti dell’italofilia dominante: storie del villaggio, poesie per curare la depressione del poeta, pecore, nuraghi, artigianato, ricordi dell’infanzia e quant’altro. Temi buoni per pomposi premi letterari che museificano la lingua invece che ridestarla, insomma.

Una gabbia invalicabile per una lingua nazionale, sfondata però dal lavoro di Pintore e di altri. Infatti, proprio per questa sua chiara scelta di campo, l’accademia e i media egemonici non l’hanno mai valorizzato quanto meritava. Non era abbastanza “tradizionale”. Poneva troppi problemi di fondo e andava contro il senso comune dei pregiudizi.

Ma bisogna recuperare. Oggi è morto, non disturba più con il suo carattere schivo e spigoloso. Lo si può anche santificare come si è fatto con altri intellettuali nazionalisti sardi che, dopo la morte, pare siano più “digeribili” alla cultura benpensante regionale. Si riesce anche ad ammettere che su molte cose avevano ragione… Speriamo succeda anche per lui.

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Come ogni buon giornalista, Gianfranco-Nurai, amava soprattutto il racconto dei fatti e della verità. E, questo suo amore, lo ha pagato a caro prezzo. Nonostante fosse un cronista e un inviato brillantissimo, la sua carriera a un certo punto è stata interrotta bruscamente. Non gli si perdonava il posizionamento a favore del bilinguismo, contro il colonialismo italiano e internazionale e contro il potere consociativo che gestiva l’autonomia allora (negli anni Settanta del secolo scorso) in Sardegna.

In particolare, come con tanti altri neosardisti dell’epoca, furono gli alti dirigenti del Partito Comunista a intimidirlo e a fargli pagare il “peccato” originale per aver infranto l’ortodossia. Lingua sarda, anticolonialismo, zona franca e autodeterminazione erano bestemmie per la “chiesa” di obbedienza berlingueriana che guardava ancora all’Urss (tramite Roma, comunque) come a una terra promessa.

Non si limitarono a fargli perdere il lavoro: con l’arte sopraffina della bugia raccontata da fonte autorevole, lo isolarono ed emarginarono in tutti gli ambienti della sinistra benpensante e conformista. Divenne un intellettuale autorevole del movimento linguistico e della politica sardista-indipendentista-nazionalitaria, ma certo non gradito all’establishment giornalistico-culturale mainstream.

La sua coerenza missionaria veniva scambiata per radicalismo, la sua passione genuina per arroganza intellettuale, la sua disciplina per rigidità. Si avvicinò più al mondo liberale che a quello progressista. Certo, come ognuno di noi avrà fatto errori, scelto compagnie sbagliate, perso tempo con cause non proprio esaltanti, qualche volta sarà stato troppo assertivo e poco dialogante. Forse ha esagerato con il vellutino, con quel suo aspetto un po’ da “cubano” (sigaro e barba folta) e rivoluzionario (anche se in realtà politicamente era un moderato), ma di sicuro ha sempre avuto chiaro l’obiettivo finale: la libertà del suo popolo, lo sviluppo della lingua, l’affrancamento della Sardegna dal bisogno e dalla dipendenza.

In ogni caso la ricerca del confronto nel rispetto delle opinioni altrui.  Di sicuro non era un conformista, né un superficiale o un emotivo. E questo in Sardegna è già un merito di per sé. Considerato l’ostracismo e il qualunquismo di cui era vittima si è barcamenato bene. Pur nelle difficoltà economiche, ha condotto una vita integerrima ed rimasto quello che era: un gentile, onesto e colto signore che amava la scrittura. La sua famiglia può esserne ben fiera.

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Sul fatto che la lingua sarda dovesse avere un modello standard, Gianfranco Pintore non ha mai avuto dubbi e infatti scriveva i suoi romanzi secondo le indicazioni ortografiche regionali.

Le lingue normali e nazionali funzionano così. A molti standard corrispondono molte identità. Si va verso il dialetto, non verso la lingua. Sapeva Gianfranco che a cadere nella “trappola” della difesa delle “varietà” o delle “varianti” sono stati in molti in Sardegna che hanno dato a retta ad accademici retorici esaltatori e diffusori di stereotipi. Ma sapeva anche che dietro questa terminologia filologica si nascondeva in realtà la definizione di “dialetto”, anzi “dialetti” perché il concetto è sempre plurale. E non faceva mistero a nessuno di questa scelta di campo.

Non c’è niente di male a scrivere la propria varietà, o dialetto, ma una lingua normale è un’altra cosa. Basta essere coscienti e scegliere se si vuole il sardo-dialetto o il sardo-lingua. Altro che Cassazione o Stato Italiano, siamo a noi a decidere.  E GFP lo sapeva bene, tanto che nei suoi romanzi ha lasciato in eredità un modello artistico letterario “nazionale” di enorme importanza per chi vorrà seguire i suoi passi e migliorarlo. Per chi vorrà…

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Fuori dagli ambienti linguistico-nazionalitari (che spesso sono stigmatizzati soprattutto a sinistra), molti neppure conoscevano l’opera letteraria e politica di Pintore. Da molti era ignorato, altri semplicemente non sapevano. Si sono accorti di lui con il blog o al momento della morte quando su Facebook è partito il tam tam dei suoi amici.

La cultura ufficiale conformista si comporta così quando uno è scomodo. Cerca di obliarlo. Quando alcuni degli attuali neoindipendentisti erano ancora in fasce, o non erano nati, e l’Italia (e quindi la Sardegna) era un luogo plumbeo di violenze terroristiche e di Stato inenarrabili, egli scriveva opere come “La sovrana e la cameriera” o “Sardigna Ruja”, manifesti di denuncia dell’insopportabile stato dell’isola che – contestualizzate – sono purtroppo attuali ancora oggi.

Fu ignorato per decenni (per punizione e per paura che il morbo si diffondesse) e con internet trovò una nuova dimensione comunicativa sia in sardo che in italiano. Nell’isola è stato uno dei primi giornalisti professionisti a usare questo strumento nei primi anni Duemila, e poi, dopo l’esperienza di Diariulimba, divenne un blogger seguitissimo e amatissimo anche per la sua passione per l’archeologia innovativa.

Il web, per il Movimento Linguistico, negli ultimi dieci anni, è stata come una liberazione. Finalmente si poteva scrivere rompendo la censura di capiservizio e direttori, e soprattutto, lo “sguardo” deformante delle classi dirigenti sarde su temi quali lingua e nazione. Si poteva parlare in prima persona senza mediazioni con direttori e capiservizio cinici. Del resto, le élite sarde hanno quasi sempre contrastato la politica linguistica e nazionalitaria soffocando la favorevole opinione popolare sul tema. Almeno fino all’avvento di Internet, e Gianfranco Pintore aveva capito le potenzialità del mezzo più di altri colleghi e in anticipo.

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Non bisogna però lasciar passare questa triste occasione della sua morte, senza segnalare che l’oscuramento di Pintore fa parte di un processo che tende a gettare nell’oblio, tra le altre cose, tutto quel vasto movimento di uomini, idee, movimenti, giornali, azioni che comunemente viene definito “neosardismo” e che si situa temporalmente negli anni Settanta del secolo scorso.

Sono sereno a dire questo: io ero un bambino allora, non ho partecipato. Ma mi sento di sottolinearlo perché lo credo giusto. Non parlo per me, ma per giustizia di chi è stato protagonista di quegli anni e ha giocato in prima persona, spesso dedicando e impegnando la vita nel bene e nel male. Bisogna che qualche storico di professione si dedichi a ricostruire quelle vicende. E restituisca a quegli uomini l’onore delle idee.

Questo processo politico-culturale di rinnovamento della società sarda, originato dal ‘68, ha avuto grandi meriti ideali dentro cui si iscrivono i meriti personali di Gianfranco Pintore e di altri. Temi quali la lingua, l’indipendenza, l’industrializzazione fallita, la modernizzazione “coloniale” dell’isola, la rapina del territorio, la cementificazione selvaggia, la zona franca, i trasporti, la folclorizzazione del patrimonio culturale popolare, la necessità di una classe dirigente più sarda, il rifiuto del servaggio militare, l’inquinamento, una democratizzazione reale della Sardegna sono stati anticipati allora.

Tutte tematiche “lanciate” dai neosardisti de “Su Populu Sardu” o di altri gruppi e giornali (lo stesso “Sa Sardigna” diretto da Pintore) che allora si scontrarono con un’isola alle prese con una retorica “dipendentista” insopportabile. Lo stesso Partito Sardo d’Azione era allora sclerotico e senescente, ancorato alla logica della presunta “Rinascita”. Fu il neosardismo a regalare poi il consenso che lo portò con Mario Melis alla presidenza della Regione. L’occasione, per molti versi, non fu colta nella sua interezza e gli stessi neosardisti, nel psd’az e fuori, non ebbero vita politica facile.

La cultura vincente ed egemone, italofona e dipendentista, nella sua narrazione della storia autonomistica, ha fino ad ora ridimensionato il neosardismo, esaltando invece i “campioni” culturali dell’autonomismo “industriale” e della presunta Rinascita (che non c’è stata).

Ed è stato un grave errore politico, purtroppo va detto, per il neoindipendentismo degli ultimi anni, pur con i tanti meriti, presentarsi sulla scena disconoscendo nei fatti il lavoro fatto negli anni Settanta e Ottanta dagli intellettuali come GFP. Rafforzare la coscienza nazionale di un popolo significa valorizzare la dimensione sincronica e diacronica della comunità e delle sue minoranze attive.

Se ci si presenta sulla scena storica di una nazione come profeti del nuovo, scaturiti da partenogenesi, senza storia, senza precedenti, senza padri se non fallaci, come una discontinuità fatale e catartica si può peccare di presunzione e si finisce per indebolire l’identità che si vuole rafforzare. È giusto criticare e anche “uccidere” i padri, ma nella conferma del legame: di sangue e di storia. Le nazioni infatti vivono di storia, di narrazioni selettive. Il neosardismo è la culla dell’attuale temperie indipendentista e linguistica, tralasciarlo non serve. Gianfranco questo errore non lo avrebbe mai fatto, e non lo ha fatto, perché da buon intellettuale nazionalista si sentiva al servizio di questa “nazione immaginata”, e non voleva usarla invece per la sua personale affermazione. Ha sempre criticato il giacobinismo autoritario ed elitario che si ammanta di false ragioni democratiche.

Ho trovato tristissimo, al funerale, che, salvo qualche rara eccezione, non ci fossero tanti giovani neoindipendentisti che si scaldano tanto su Internet e neppure i giovani del Movimento Linguistico. È stata una mancanza di rispetto al migliore dei nostri scrittori in sardo indotta dalla superficialità, dall’ignoranza e dalla sottovalutazione della persona voluta da opinion maker che dettano, anche su Internet, un’agenda diversa e protagonisti diversi. Costruiscono le loro narrazioni identitarie anti sarde in cui gli eroi sono altri. Oppure gli eroi sono loro stessi. E deformano una realtà che non sappiamo più cogliere. Qualche giorno fa si seppelliva un eroe a Orgosolo, un patriota che meritava di essere onorato, simpatico o antipatico che fosse.

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Come qualche mese fa per Giovanni Lilliu, mani amiche di antichi compagni hanno avvolto nella bandiera sarda, al funerale, in Orgosolo, la bara di Gianfranco Pintore. A lui sarebbe piaciuto e possiamo dire che ha meritato questo onore che ognuno di noi, pazzi seguaci di una pazza idea, vorrebbe meritare.

Nurai, il suo alter ego letterario più riuscito, avrebbe sorriso di questo. Forse preso appunti frettolosi sul suo taccuino e all’indomani pubblicato un bel pezzo. Magari con qualche frecciatina sui neoindipendentisti giacobini o sugli accademici sclerotici.

Ma Nurai è andato via. Ci ha lasciato i suoi articoli, i suoi libri, la sua testimonianza, la sua bella famiglia. Nurai il sornione se ne è andato per il suo ultimo viaggio, forse col sigaro in bocca, forse sorseggiando un buon rosso, ma di sicuro avvolto nella bandiera della sua “nazione immaginata”.

Che oggi è già più concreta grazie a lui e un giorno forse, chissà… Se vincessimo tutti la paura, se sconfiggessimo il conformismo e l’ignoranza,  sarà più libera e più felice  come lui l’aveva sognata.

Giuseppe Corongiu

 

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14 Comments

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  2. grazia pintore says:

    Grazie a tutti voi per le belle parole che avete scritto su mio fratello.Cerco,continuamente,articoli di commemorazione su di lui.Stare lontano dalla mia terra è doloroso e lo è ancora di più da quando lui è scomparso.

  3. Ciò che colpiva in Gianfranco Pintore era la mitezza del carattere in apparente opposizione alla dirompenza del suo pensiero. Un contrasto solo apparente perché non amando le esibizioni muscolari veteromarxiste, si accontentava di conquiste quotidiane e continue, non importava quanto grandi. Ciò lo collocava in un’area liberal-riformista anziché rivoluzionaria

  4. Antonello Sardu says:

    Non sono tanto vecchio ma ho avuto la fortuna di conoscere in vita e anche accompagnare fino alla tomba, avvolti nella bandiera quattromori, anche altri grandi uomini sardisti “de gambale”. La morte di Pintore ( che e’ stato certamente uno di loro) mi ha trovato purtroppo lontano dall’isola. Ma mi associo al bellissimo intervento di Peppe Corongiu.
    Che molto bene dice quando parla di neo indipendentismi esibizionisti e senza troppa memoria. Che le bandiere rossomori rinnegano facilmente insieme ai padri del Sardismo e della Sardegna. Non sono i nemici dichiarati quelli di cui aver paura. Pintore lo sapeva perche’ era un combattente sempre in trincea fino alla fine. E tutti i combattenti sanno che e’ il fuoco amico quello da cui non ti puoi difendere. E’ probabile che ora, credendolo ormai innocuo, venga sdoganato da tutti, compresi i nemici e gli “amici” che lo hanno deriso.
    Che lui riposi in pace. Spetta ad altri il compito di vegliare sulla sua memoria e le sue idee.

  5. E io invece l’ho conosciuto. Proprio negli anni 70. E mi pareva che fossimo tutti uniti allora dalla stessa parte. È c’era un entusiasmo e una voglia di cambiare le cose che non ho incontrato più’ nella mia vita ne’ per causa della Sardegna ne’ per altre cause. È siccome io invece sono un’emotiva sono anche un po’ commossa. Come quando finisce un mondo e ti sentì impegnato a cercare di diffondere quei semi, aiutare quelle piantine a crescere.

  6. Tanti po si cumprender.
    Essere commemorati non consola i morti, ma i vivi.
    Pepe ha consolato noi vivi.
    ZFP non aveva bisogno di essere consolato.
    Il suo ultimo post: “Eris note amus brincadu su millione de bisitas. No isco pro ite, ma so cuntentu ”
    E deo dd’apo respustu: “Tue non ddu naras, ma già ddu naro deo: ses cuntentu ca as cambiadu sa curtura de sa Sardinnia!”
    E apustis si nc’hest mortu.
    Deo creo ca si nch’est mortu cuntuntu, fintzas a inue faet a si nche morrer cuntentos.
    Con lui siamo morti un po’ anche noi tutti: non facciamoci illusioni.
    Con lui è morta un bel po’ di quella Sardegna Nuova che stiamo cercando di costruire.
    Conosciamo solo il presente, cioè il passato.
    ZFP non c’è più e non sappiamo se quello che ha seminato ci porterà una Sardegna migliore o peggiore.
    Non sappiamo se quello che stiamo seminando ci porterà una Sardegna migliore o peggiore.
    Nanneddu meu sa bida est gai, a “sicut erat” non torrat mai.
    Sappiamo solo che ZFP ha fatto il suo dovere di uomo balente e che si è divertito nel farlo: “No isco pro ite, ma so cuntentu “.
    Totu innoxe est sa bida, labae!
    Ci sono mille cose su cui non eravamo d’accordo, ma è stato una delle poche persone che è riuscito a farmi cambiare idea su qualcosa.
    Non vi do la soddisfazione di dirvi cosa.
    Issu già dd’ischíat.
    Cando nos amos a morrer nois, is ki nos ammentamos de ZFP , issu at a biver ancora in migias cosas de is Sardos ki nois non amus non amus a connoscher mai.
    Opuru nono, si lassamus morrer cussa Sardinnia ki amus bisadu impare a ZFP.

  7. ZEPROF says:

    Diciamo subito che, per un elogio funebre di questo calibro, vale la pena morire.
    Non conoscevo GFP sino a quando non ho letto della sua scomparsa. Dai ritratti di chi lo conosceva si capisce che faceva parte di quella razza di antipatici a cui non si può non voler bene. Il fatto che il mainstream mediatico lo ignorasse rende giustizia a un personaggio di questa sincerità e coerenza.
    Un autore a me caro dice spesso che quando si legge si crea con chi ha scritto un rapporto familiare che ci rende tanto più vicini quanto più amiamo e approfondiamo le opere.
    Mi sento di aver perso un parente prossimo che mi era ignoto sino a che non è scomparso.

  8. Roberto Tola says:

    Bravo Giuseppe! Hai tracciato un bellissimo ritratto di Gianfranco.

  9. francu pilloni says:

    Non so chi fosse presente ad Orgosolo, né chi sarebbe dovuto esserci. GFP se n’è andato così in fretta, senza chiedere il permesso, che molti hanno saputo della sua scomparsa “a cose fatte”, anche perché qualcuno in Sardegna, molti o pochi non so, sopravvive senza leggere la stampa isolana.
    Ha scritto molto e bene Corongiu, ha indubbiamente messo in luce la lucidità di pensiero, la forza del carattere di GFP, oltre alla sua indiscussa onestà, intellettuale e non solo.
    E dice bene anche quando lo classifica “il migliore, o uno dei migliori scrittori sardi contemporanei della nostra minoranza linguistica nazionale.”
    Ciò che mi rende perplesso è la precisazione che viene subito dopo, che stride con quel “migliore” (che mi ha fatto pensare a Togliatti, Il Migliore, appunto!) secondo cui “Per migliore intendo quello che, dal punto di vista politico, ha meglio interpretato in letteratura l’aspirazione dei sardi a essere popolo e nazione”.
    Perché ridimensionarlo lasciando passare sottinteso che era migliore solo perché politicamente più impegnato di altri?
    E sull’argomento ci ritorna di sponda, quando dice “Quello che è certo è che senza Pintore la nostra letteratura in lingua sarda sarebbe rimasta più ancorata ai cliché che piacerebbero tanto agli accademici conformisti dell’italofilia dominante: storie del villaggio, poesie per curare la depressione del poeta, …), A me, queste “storie del villaggio” hanno fatto venire in mente le “storie” di altri due che non ci sono più, come Po cantu biddanoa e Is laris biancus, cose che non sono affatto piaciute allora, né ora, agli accademici italofili.
    Insomma, ognuno può dire quello che vuole e si capisce che lo si fa per benevolenza e stima verso l’amico, ma ho l’idea che GFP, di fronte ad una critica che ricalca i canoni del realismo socialista non si sarebbe trattenuto da bofonchiare qualcosa.
    Grazie dell’ospitalità.

  10. mariocarboni says:

    Gratzias meda
    ..e no morit sa sua eredidade..
    Fortza paris
    Mario

  11. Giuseppe Corronca says:

    No apo tentu sa fortuna de connòschere Gianfranco Pintore de pessone, ma petzi leghinde sos articulos suos in su blog suo. Unu articulu galanu, su de Pepe Coròngiu, chi torrat meritu mannu a unu intelletuale belente comente est istadu Pintore.

  12. angelo fontanesi says:

    un gran bel pezzo. bravo giuseppe, concordo in tutto e per tutto… ad Orgosolo è stato sepolto un patriota sardo e di consegnuenza un intellettuale scomodo per l’establishment italiano ..e le assenze le abbiamo annotate tutti nei nostri taccuini… molte, forse troppe. ma meglio così. Almeno i presenti erano sinceri.. e gianfranco lo sapeva già in anticipo chi ci sarebbe stato e chi no. E degli assenti, stai tranquillo, se ne strabatteva la palle. e anche noi…

  13. Mi trovo in sintonia sul ricordo di Pintore nelle parole di Corongiu. Nonostante mancassero tanti cosiddetti “neoindipendentisti”, al funerale c’è stata comunque una grande partecipazione. Con Gianfranco era tacitamente nato su internet un network indipendentista (formato da vari siti/blog) che ha avuto la capacità di rispolverare precise tematiche e di introdurne anche di nuove. E si tratta di un lavoro che continueremo a portare avanti.
    Lo conobbi di persona alla presentazione di un suo libro e spesso abbiamo scambiato opinioni trovandoci d’accordo sugli obiettivi da perseguire. Fra un mese (spero) si parlerà nuovamente di questi obiettivi in merito ad un lavoro in fase di sviluppo e che, purtroppo, Gianfranco non potrà vedere ultimato.

    Segnalo poi l’ultimo testo di Gianfranco che tanti nelle biografie pubblicate in questi giorni si sono scordati di menzionare: http://www.sanatzione.eu/2012/02/il-grande-inganno-gianfranco-pintore-torna-con-un-romanzo/

  14. Damiana says:

    Purtroppo i veri eroi, quelli che si battono in sordina, per cambiare, per contrastare conformismo e ignoranza di cui siamo circondati, quelli che i giornali neppure considerano perchè non sono alla moda, bèh, vengono ignorati. Quelli con ideali forti, quelli intelligenti che hanno avuto il coraggio di non andare via dalla Sardegna, ma che sperano e credono in una Sardegna migliore, più libera, più consapevole, sono sempre deboli perchè non hanno spazio. Sarebbe bello avere un giornale on line con una voce diversa, non come ho letto nell’articolo a fianco a questo che ricorda Gianfranco Pintore. Pare che Bellu apra una testata online…ma che ce ne facciamo di un Bellu bis? Che novità porterebbe? e quali nuovi e reali punti di vista?
    Mah…siamo sempre daccapo. Ce ne vorrebbero tanti altri di Gianfranco Pintore…veri uomini, e con questo intendo coraggiosi, incuranti di andare controcorrente, anche se questo spesso si paga sulla propria pelle, come è stato per lui, ma che tengono al bene comune di tutta la Sardegna………….ce ne sono ma nessuno li vede, o chi conta preferisce metterli da parte………

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