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La Sardegna ha deciso: qui i giornalisti non servono. Meglio cercare altro, arrangiarsi, o inviare il proprio curriculum alla Conad. Una storia vera

Da giovedì 2 a domenica 5 agosto a Pattada si parlerà di lavoro. Organizza l’iniziativa “S’ischola de su trabagliu” l’associazione Lamas, che ha messo assieme un bel gruppo di studiosi per affrontare il tema più importante di cui oggi si può e deve dibattere. Io modererò l’incontro di venerdì pomeriggio (ecco il programma completo). Sono molto curioso di sentire anche gli interventi degli ospiti degli altri dibattiti, tutti molto qualificati, perché vorrei che avessero qualche parola concreta per chi come me (ma spesso anche peggio di me) in questa fase della vita si trova più o meno disoccupato (non vi piace la parola? Vi spaventa? Dirò “diversamente occupato” così siamo tutti contenti).

Non vado certamente lì a farmi dire come un diversamente occupato debba personalmente uscire da questa situazione di crisi, ci mancherebbe altro: la politica si occupa di tutti e di nessuno. Però mi attendo un quadro chiaro della realtà in cui viviamo.

Ad esempio: quanti oggi hanno la consapevolezza che in Sardegna non c’è più bisogno di giornalisti? Nessuno investe più in comunicazione né in informazione. Perché l’informazione (che pure è percepita come un valore: provate a stare un giorno senza notizie) costa troppo e nessuno oggi ha i soldi per mettere su o sostenere anche un piccolo giornale, una piccola testata. Per carità, so bene che esistono valide realtà che da qualche tempo cercano di sopravvivere. Ma si tratta, appunto di sopravvivenza. Intorno c’è il deserto.

Tele Nova a Oristano è in profonda crisi, a Olbia Cinquestelle resiste a fatica. Della crisi di Sardegna Uno c’è poco da dire, sul mercato radiofonico taccio per carità di patria. Nei quotidiani storici continua per i collaboratori non assunti la vergogna dei compensi da fame, mentre tanti giovani vengono spremuti e mandati via a fine contratto. Nei nuovi giornali si tira maledettamente la cinghia.

La verità è evidente: alla Sardegna non servono né giornali né giornalisti, non servono proprio. E i professionisti che restano senza lavoro (ogni mese sempre di più) si arrangiano come possono. Ci si rifugia nella famiglia (quasi tutti vengono aiutati dalle famiglie di origine o dal proprio coniuge), si fanno lavoretti (ogni settore ha i suoi), qualcuno alla fine decide di cambiare mestiere.

Il mio amico Giovanni Maria Bellu si scaglia da tempo contro la Regione che distribuisce le risorse in maniera discrezionale. Ha ragione, ma secondo me il problema è molto più grave e più complesso, perché attiene alla scelta (consapevole o meno) operata dalle nostre classi dirigenti che hanno deciso che quello dell’informazione non è un settore sul quale vale la pena investire. Brutalmente, un qualunque imprenditore preferisce sostenere la squadra di calcio di seconda categoria del suo paese piuttosto che aiutare una piccola testata.

Neanche la politica ha bisogno di fare informazione: con tutti i soldi che il Consiglio regionale dà ai singoli gruppi, nessuno ha mai pensato di mettere in piedi una rivista, un organo di informazione. E chi ce l’aveva, l’ha chiuso.

Questa è la realtà. Per cui non stupitevi davanti a chi ha la forza di dire la verità: Francesco Giorgioni (giornalista professionista e laureato) sul suo blog ha pubblicato un post con questo titolo: “Ho fatto domanda alla Conad”. Vi sembra una cosa normale? A me no. Per questo non deve passare sotto silenzio.

L’informazione costa ma nessuno oggi la vuole pagare. Non è solo una questione di crisi economica, ma di priorità. Le nostre classi dirigenti (non solo la politica dunque) sono totalmente disinteressate all’argomento, salvo poi stracciarsi le vesti se i soliti poteri editoriali non raccontano la realtà per quella che è. Ma a lamentarsi, si sa, son capaci tutti.

Grazie Francesco per la tua testimonianza, per il coraggio e la dignità delle tue parole. Sappi che non sei solo.

 

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39 Comments

  1. libero says:

    prima o poi francesco troverà in sardegna la sua occupazione

  2. cristina marras says:

    Senza niente voler togliere alla crisi reale dell’editoria in Sardegna, quello della stampa e’ un problema globale collegato alla mancanza di modelli alternativi che riescano a far fronte alla concorrenza e ai nuovi cicli della notizia derivati dalle tecnologie.

    Senza niente voler togliere alle aggravanti che rendono la vita lavorativa in Sardegna piu’ difficile rispetto al resto dell’Italia (parlo per esperienza e con cognizione di causa, da emigrata che ha provato diverse volte a tornare), la crisi di identita’ della carta stampata e’ un problema che si avverte ovunque, perfino in un paradiso economico come Melbourne dove proprio alla fine di agosto il maggior quotidiano cittadino si prepara a licenziare 1500 giornalisti e a tenere i rimanenti con condizioni economiche e lavorative che sarebbero state impensabili appena un anno fa.

    E’ ingenuo sperare di tornare ai modelli giornalistici degli anni passati. I quotidiani, in tutto il mondo, devono trovare nuovi modelli di gestione che siano snelli, che rispondano alle nuove necessita’ del lettore che vuole tutto subito e non vuole pagare per avere le notizie (non sono forse queste le cose che vogliamo tutti noi?) e che non facciano piu’ affidamento unicamente sulle entrate portate dagli annunci economici, un un’epoca in cui tutto si cerca e si trova in rete.

    Il mio suggerimento e’ quello di non aspettarsi niente e di non aver paura ad inventarsi nuove forme di lavoro, di collaborazione e di servizi. Il mio consiglio spassionato e’ quello di aprirsi, anziche’ chiudersi. Il mondo non tornera’ mai indietro, tanto vale andare avanti.

  3. Massimo Salvau says:

    Quando scrivevo per il “Sassari Sera”, dividendomi tra via Adua a Sassari e Corso Vittorio Emanuele a Cagliari, il mitico Pino Careddu mi disse….”Ma tu vuoi fare il giornalista di professione o per passione? Perchè…se lo fai per professione preparati ad una vita da disoccupato o da totale precario. Se lo fai per passione, invece, avrai moltissime soddisfazioni”. Mi dispiace molto per Francesco. Gli dico anche che probabilmente alla Conad non lo prenderanno mai. Perchè è troppo qualificato. Continua a scrivere. Bussa alla porta di diverse redazioni. Non mollare il tuo sogno di fare il giornalista. Certo è…che un lavoro diverso, ma stabile…non guasterebbe. In bocca al lupo.

  4. vorrei rispondere a Lavinia e all’anonimo:
    Io questo periodo essendo disoccupata sto cercando un lavoro qualunque,la mia ricerca è orientata sugli annunci on line e il mercoledì comprando il baratto e telefonando a tutto quello a cui posso telefonare: tranne i call center sto rispondendo ad ogni tipo di annuncio. Voi credete che sia così facile trovarne???Per ora non mi ha richiamato nessuno e ho risposto a circa 200 annunci di vario tipo (da guardare persone anziane, a cassiera, a fare la babysitter, da quando sono disoccupata (circa 2 mesi e mezzo)
    Fra poco scriverò il mio personale blog, perchè sono veramente costretta a falsificare il curriculum, e mi metterò a raccontare on line questa telenovela lavorativa.
    A chi chiede perchè certe persone non partono: attualmente la mia situazione familiare non mi consente di farlo, ma penso che sarebbe mio diritto scegliere di rimanere qui a lavorare credo, non essere costretta a farlo

    • Anonimo says:

      Leggi bene tra le righe! La mia non voleva essere una critica ma un invito, a non mollare mai! Anche a costo, “temporaneamente”, di espatriare!
      Comunque in bocca al lupo!

  5. ho letto con dispiacere il post di Francesco Giorgioni, perchè mi ricorda momenti e sentimenti che ho provato anche io, una volta realizzato che non ce l’avrei fatta. a fare cosa? a scrivere, fondamentalmente, e non solo per il mio personale piacere, e possibilmente con dignità. che passa anche per il riconoscimento economico del tuo lavoro, anche se in questo settore è considerato normale sottopagare o non pagare affatto. apprezzo chi, come Biolchini, mette subito in chiaro come stanno le cose: alla controparte spetta l’accettare o meno certe condizioni, a seconda del proprio grado di resistenza, del punto del percorso professionale al quale si è, eccetera. E’ ovvio che in Sardegna non interessa l’informazione alternativa -alla classe dirigente e credo neanche alla massa dei lettori, non perchè stupidi, ma perchè ci vuole tanto tempo e risorse per attrarli e “fidelizzarli”.
    Detto ciò, a me la Lidl non ha nemmeno risposto, tanti anni fa, e non sono nemmeno professionista.

  6. Cosa vogliamo fare? Titoli, master, lauree, specializzazioni? E’ un periodo di estrema difficoltà ma basta col piangerci addosso! Troviamo altro o espatriamo, almeno temporaneamente. Il lavoro in questo periodo non ti arriva a casa…e anche il lavoro alla Conad è più che dignitoso, anche per un laureato e supertitolato!!!

  7. Anonimo says:

    Perchè incaponirsi? Lauree, specializzazioni, master? Ci riempiamo la bocca con tanti titoli! E’ vero, è deprimente non riuscire a realizzare i propri sogni ma, considerando il periodo di estrema difficoltà perchè, frattanto, non provare a fare altro, compatibilmente con le nostre altre risorse personali? Lavori dignitosi ce ne sono tanti, anche oltre mare! Perlomeno fino a tempi migliori! Piangersi addosso MAI!!! MAI!!!

  8. Pingback: VITO BIOLCHINI, IL “GIORNALISTA CHE NON SERVE” | ArcheoloGGia NuraGGica

  9. Callaghan says:

    Caro Vito
    nella nostra Sardegna si sente la mancanza di giornalisti indipendenti. Se ce ne fossero di più, magari qualcuno sentirebbe l’esigenza di indagare civilmente su questo signore che da 3 anni e mezzo accumula, senza possedere alcun titolo, qualsiasi tipo di incarico a spese dei contribuenti sardi: capo di gabinetto della presidenza, commissario regionale straordinario di Olbia, direttore generale della programmazione unitaria, direttore dell’osservatorio economico, dirigente della regione a nomina diretta senza aver fatto nessun concorso e adesso direttore generale di sardegna promozione. Oltretutto da tre anni questo signore, che non possiede alcuna preparazione tecnico-amministrativa, viene sistematicamente inviato a rappresentare la Sardegna (cioè tutti i noi!!!) nei tavoli istituzionali a livello nazionale. E’ una VERGOGNA!!!
    http://www.regione.sardegna.it/j/v/491?s=204385&v=2&c=1489&t=1

  10. Anonimo says:

    Hai ragione da vendere caro Vito. Ricordo quando, da giovane professionista di belle speranze, riuscii a ottenere un incontro con l’allora direttore di una bella e rampante emittente radiofonica cagliaritana, che faceva dell’informazione il suo principale vanto. Ci facemmo una bella chiacchierata, il cui succo, lavorativamente parlando, era: “Mi dispiace, ma sei un professionista e non ti posso prendere”. Scoprii, in seguito, di non essere stato l’unico giovane professionista ad essere liquidato con questa infelice formula. Ma averla sentita proprio da quella persona, devo ammetterlo, fu una grande delusione. E’ vero, la Sardegna non vuole giornalisti. Ma nemmeno tanti giornalisti li vogliono…

    • Vito Biolchini says:

      Io in effetti ho ancora tanta ragione da vendere, caro anonimo amico. Perché ti dissi chiaramente (a te e a tanti altri che con il tesserino da professionista in tasca cercavano un posto di lavoro a Radio Press) che l’emittente non era in grado manco di offrire dei rimborsi spese. La radio era già abbondantemente coperta in tutti i suoi settori, non aveva bisogno di collaboratori e consentiva solamente a dei giovanissimi non iscritti all’Ordine di mettersi alla prova per capire se il giornalismo faceva per loro. Dirti “Mi dispiace, ma sei un professionista e non ti posso prendere” voleva dire “Scusami, sei un professionista e non ti posso prendere in giro, non posso farti venire qua a lavorare senza retribuirti decorosamente”. Parole che ti ho sicuramente detto, perché le ho dette a tutti i giornalisti professionisti che sono venuti negli anni a proporsi.
      Poi, per curiosità, chi è che invece ha iniziato a farti lavorare, magari pagandoti tre euro a pezzo?

      • aldo g. says:

        Il tema è di grande interesse e poco trattato. Se però il signore che non si firma dice il vero, forse avresti potuto affrontarlo in maniera diversa! Perché a me personalmente non piace, è una mia opinione su fatti che non conosco e potrei sbagliare, non piace, dicevo, chi ricopre o ha ricoperto ruoli dirigenziali e poi tenta di fare l’operaio…o il difensore degli operai. Perché se tu hai respinto dei professionisti lo hai fatto solo perché gli avresti dovuto fare un regolare contratto da professionisti. Contratto molto oneroso per una piccola realtà. Però, ripeto, non conosco la vicenda nei particolari e le mie sono solo analisi su supposizioni. Se mi sbaglio, ti chiedo di perdonarmi fin d’ora.

      • Caro Aldo, se qualcuno va a chiedere lavoro in un cantiere in cui c’è scritto “Personale al completo”, secondo te cosa si sente rispondere?

      • aldo g. says:

        Ti chiedo scusa, ma la questione posta dall’anonimo e anche da te nel post, mi pare fosse un”altra. Non un cantiere con il personale al completo, ma un cantiere nel quale non si assumono muratori con qualifica, perché il contratto nazionale è troppo oneroso. Io credo che in Sardegna, non so nell’emittente da te diretta, si stia andando in questa direzione. I giornalisti vengono assunti con contratti di tutti i tipi, mi dicono di giornalisti “volontari”. Pochi, pochissimi con contratti rispettosi della normativa nazionale.

      • Simplicius says:

        O forse la situazione era più semplice: l’organico di Radio Press magari era al completo, e magari si aveva l’obiettivo di far diventare professionisti gli allora collaboratori esistenti. Cosa che puntualmente è avvenuta. Per quale motivo una azienda (Biolchini non ne era il padrone né editore) dovrebbe forzatamente assumere un articolo 1 solo perché lo chiede? Nel dire che “non potevano assumere un professionista” in che maniera Vito avrebbe sbagliato?

      • aldo g. says:

        Mi sono sicuramente spiegato male. Anche perché io discuto di qualità dei contratti e non di quantità. Sulle modalità per diventare professionisti potremo discutere per giorni senza trovare un’intesa. Non mi ha mai convinto sino in fondo, ad esempio, la possibilità di diventare professionisti dopo due anni di lavoro sottopagato nel giornaletto di quartiere o della parrocchia.

      • aldo g. says:

        Così come non mi affascinano i fanatici delle scuole di giornalismo.

  11. Gentile Biolchini,
    era mia intenzione articolare un commento facendole notare l’uso improprio del verbo «investire» (non è vero che non si investe in informazione/giornalismo) ma Marybonny e Ila hanno riassunto assai meglio: lei non ha lavoro perché, molto semplicemente, non ce n’è (dai giornalisti agli scuoiatori di agnelli)! Oppure, se proprio vuole, «non servono» neppure gli scuoiatori di agnelli.
    Al contrario, sono in totale disaccordo con LUCIDA (e in fondo anche con Zunkbuster), perché ha ragione!
    Pattada, per usare una metafora da due soldi, mi ricorda l’ultimo giro di valzer prima dell’affondamento del Titanic: certo che Fois spiegherà in dettaglio perché non c’è lavoro e come fare a determinare le condizioni adatte perché ricompaia. Peccato che non partecipi alla sua tavola rotonda, non crede?
    In merito, solo un’osservazione. Mongiu ha fatto parte dell’amministrazione regionale responsabile di una colpevole indifferenza nei confronti del terribile problema della deindustrializzazione, causa prima dell’attuale situazione. Portovesme, Ottana, Porto Torres&C erano là quando c’era Soru e nessuno si è degnato di dare un’occhiata seria. Ritiene davvero che possa dare un contributo fattivo alla soluzione del problema lavoro?
    Mongiu!?
    Cordialmente,

  12. Premetto, e non è certo piaggeria verso il padrone di casa, che mi fa profondamente incazzare che uno come Vito Biolchini non trovi posto adeguato alla sua professionalità, e lo stesso discorso potrebbe valere per Francesco Giorgioni, e per tanti altri giornalisti che sono passati per quella grande scuola che è stata “Il Sardegna”, compresi alcuni di cui preferisco non fare il nome e che, con contratti precari, hanno dimostrato un coraggio investigativo di cui colleghi molto più anziani e meglio sistemati come carriera e stipendio vorrebbero avere un briciolo. Tutto ciò premesso, caro Vito Biolchini, non pensi che anche la “classe” giornalistica nel suo complesso abbia la sua bella fetta di responsabilità? Partiamo dal “Caso Unione Sarda”: a parole opposizione di principio di una bella fetta “anziana” del CDR alla gestione Zuncheddu, che già dai primi anni conteneva il preavviso del massiccio ricorso ai precari pagati 3 euro a pezzo (e che ovviamente scrivono pezzi da 3 euro, sarebbero fessi o ingenui idealisti se facessero di più) e della sostituzione della caccia alla notizia coi riassunti delle agenzie. Oggi che ci sono testate online, magari un po’ arruffone e poco inclini a separare i fatti dalle opinioni, ma che hanno il pregio di offrire notizie in tempo reale, la situazione tende a peggiorare: si copia direttamente da lì. Ebbene, quanti dei soloni di redazione dell’Ugnone hanno avuto il coraggio di seguire Grauso nell’avventura di E-Polis (se l’ha fatto, sia pure per un breve periodo, uno come Giorgio Melis, potevano spendersi anche persone che con Grauso avevano litigato meno un precedenza), o di lavorare comunque per dare vita a qualcosa di alternativo? Risposta: a parte Claudio Cugusi, che peraltro era un giovane della professione e nel frattempo era approdato all’ufficio stampa del Consiglio Regionale, e a parte Marco Mostallino, altro giovane e coraggioso giornalista d’inchiesta, NESSUNO! I più hanno preferito i loro comodi posti nel “grande formato” con lauti stipendi, ingoiando le censure zuncheddiane rivelatesi presto più indigeste di quelle di Grauso. Qualcuno ha citato Montanelli. Ebbene: quanto è mancata nel giornalismo sardo la lezione di un Montanelli, che raggiunta una veneranda età ha preferito buttarsi nella bella ma breve avventura de “La Voce”, con tutte le conseguenti incognite, piuttosto che soggiacere alle pretese berlusconiane. Forse, nel suo piccolo e senza offesa, c’è stata la lezione di un Vito Biolchini, che scrivendo e pensando sempre da spirito libero si sarà probabilmente inibito molte opportunità professionali, e in parte anche quella di Giorgio Melis, che, sebbene non apprezzi molto la sua “linea” abituale, ha il pregio di saper sbattere la porta quando è necessario, a costo di finire i suoi “giorni” giornalistici in un blog (peraltro desolatamente muto dalla chiusura di Sardegna 24). In qualche modo la situazione è da comprendere: la corazzata zuncheddiana è in grado di far male a qualunque concorrente e di fruire di alleanze insospettabili, e chi ha seguito da vicino la tormentata storia de “Il Sardegna” ne sa qualcosa, ma non so se sarebbe stato così se, oltre ai giovani, anche qualche “vecchio”, a parte Giorgio Melis che era lontano da un pezzo dall’Ugnone, avesse avuto il coraggio di una scelta netta. In questo modo si è avviato un processo inesorabile di svilimento della professione giornalistica, e se la vittima più evidente è stata “Sardegna 24”, troppo foglio di opinioni e ben poco fogli di fatti, alla lunga ne è stata vittima la stessa Unione Sarda. Nei tempi di crisi attuale, col calo dei proventi della raccolta pubblicitaria che comincia a colpire perfino una corazzata come Mediaset, e la concorrenza spietata di internet, perché un giornale possa mantenere conti in utile o quanto meno non in rosso occorre mantenere un certo livello di vendite, e l’Ugnone negli ultimi anni ha perso il 25% delle copie. Forse non solo per la crisi, che fa si che molti ex lettori il “grande formato” se lo sfoglino velocemente al bar piuttosto che acquistarlo, ma anche perché la gente in fondo non è così stupida, e sa constatare se la qualità di un prodotto editoriale va scemando. Altrimenti il sacrificio ci sarebbe, e rimarrebbero di più quelli interessati ad approfondire acquistando il “grande formato” in edicola. Riscontro: quando non trovo Sardegna Quotidiano in omaggio al bar, capita spesso che vada ad acquistarlo in edicola, perché senza l’informazione non è completa. Purtroppo, degli editori non si può fare a meno, perché il giornale cartaceo ha costi fissi pesanti, mentre la testata online, stipendi a parte, può averli piuttosto modesti, nell’ordine di 2000-3000 euro all’anno più dai 1000 ai 2000 euro di startup per un prodotto ben congegnato. Possibili soluzioni? Tutti sanno che non sono un grande estimatore di Casteddu On Line, tuttavia è ammirevole il loro coraggio di scegliere la via della testata solo online e della social press. Perché, compatibilmente con la disponibilità dei denari per coprire i costi fissi (che peraltro in fase sperimentale sarebbero molto più modesti), i validi giornalisti mollati a fare domande alla Conad non “ci provano”? Magari per “fargliela vedere” agli editori che hanno inteso dare una certa deleteria impostazione svilendo la professione giornalistica, e anche ai “barones” dell’ordine che, ben al riparo e muniti di un ottimo stipendio, spesso contrastano questo fenomeno solo a parole.

    • L’assioma, tutto italiano, mi pare ovvio: ”piu’ sei libero meno lavori”.

      Detto questo sono contrario al finanziamento pubblico all’editoria. Ma posso convenire sulla necessità di sovvenzionare distintamente ”testate d’opinione” e ”testate d’informazione”, ossia chi è ”megafono del potere” da ”chi fa impresa” e ha come barometro il mercato.

      Personalmente ritengo superata anche questa diatriba sul finanziamento pubblico o meno. E ritengo anche superato il ruolo dell’editore/proprietario.

      Se il lettore vuole professionisti dalla schiena dritta paghi per avere informazione obiettiva (e non penso solo alle edicole, ma a monte). I lettore inizi a mettere i soldi in tasca anche per leggere le news online o per sovvenzionare i giornalisti che danno questo servizio. Nulla è gratis, e tutto ha un costo.

      E i giornalisti, o aspiranti tali, di canto loro, la smettano di accettare compensi da fame e ”fare concorrenza sleale” ai colleghi, favorendo i profitti di grandi gruppi editoriale e dei loro giornalisti prezzolati (lautamente) al seguito.

  13. Massimo says:

    Ce ne sono di cose che passano sotto silenzio! Il punto è: perchè passano sotto silenzio? La questione è semplice: c’è chi se ne fa una ragione e chi no. C’è chi ti esprime solidarietà (grazie Vito) e chi si frega le mani al pensiero di “uno in meno fuori dai coglioni”. C’è chi non si piega alla violenza dei padroni e chi si fa tentare dalla servitù (Montanelli docet). C’è chi esercita il mestiere strizzando l’occhio a destra e a manca e chi riconosce un unico padrone in se stesso. C’è chi non ha ancora capito la differenza che passa tra un portavoce ed un addetto stampa e chi si rifiuta di farsi dettare da altri quello che deve scrivere, per rispetto della professione. C’è chi si presta ad essere sotto ricatto per paura di finire in mezzo alla strada e chi “prima di tutto la dignità”. C’è chi scambia l’etica con la cotica e chi si rifiuta di diventare complice di quotidiane porcate. C’è chi ha rispetto del lavoro dei colleghi e chi si presta ad essere strumento del padrone per il loro sputtanamento. C’è chi ti fa terra bruciata attorno per indebolire la tua credibilità e chi il giorno dopo si alza ed ha ancora il coraggioo di guardarsi allo specchio. C’è chi subisce il precariato, accettando di essere sfruttato e chi semplicemente “NO”. Ma soprattutto, c’è chi dovrebbe per Istituto vigilare ed intervenire ma preferisce nascondere la testa sotto la sabbia perchè i principi e le norme si rivendicano solo per gli amici. Per un Francesco Giorgioni che si candida ad un posto di magazziniere alla Conad (dov’è che si presenta domanda?) tanti altri già fanno i camerieri, gli operai, i giardinieri, quello che passa il convento. E ne so qualcosa. L’importante è non arrendersi, non piangersi addosso, ma capitalizzare l’esperienza e trarne insegnamento. Non certo per chinare la schiena pur di salire sul prossimo “treno” che passa.

  14. Se poi i “politici” vi rubano il mestiere e si mettono a fare anche i giornalisti:(con questa giunta il materiale non manca certo):

    Pasticci digitali all’amatriciana ministeriale:
    http://www.sardegnaeliberta.it/?p=4560

    Naturalmente i diretti interessati hanno smentito la notizia, e convocato per domani una conferenza stampa.

  15. La Sardegna ha bisogno di giornali veri e di giornalisti seri. Punto.

  16. Francesco Sechi says:

    La disoccupazione c’è e ci sarà sempre. Quello che è intollerabile e che ci siano disoccupati bravi e occupati inetti. Questo continuerà ad esserci fino a quando si continuerà a valutare il lavoro in termini di “tempo” e non di “prestazione”.

  17. MMT'er sarda says:

    la precarizzazione dei giovani non è una conseguenza inaspettata e casuale della crisi. E’ un risultato voluto e progettato a tavolino dall’oligarchia finanziaria che sta uccidendo gli Stati (Europei in particolare) restaurando un rapporto di potere elite-massa pre 900. Qualcuno ha capito questo in maniera intuitiva ma non ha capito come, altri la buttano sul “eh ma è colpa dei corrotti che hanno portato il paese a questo grande debito pubblico” (non capendo un piffero di quello che sta avvenendo), altri neanche si chiedono il perchè. Un giornalista dovrebbe, a differenza di altri, studiare i fatti, i dati, la storia e l’economia. Si, proprio l economia….leggete Paolo Barnard per capire che è avvenuto “Il più grande crimine” in eurpa dopo la seconda guerra mondiale..giornalisti, veri, abbiamo bisogno di voi ora più che mai

    • Purtroppo l’ignoranza regna in tutti i settori, compreso il giornalismo. La stragrande maggioranza non è informata e non vuole sapere.L’ignoranza degli intellettuali, dei professionisti, “l’ignoranza specializzata” come la definisce Alfonso Marra, è ancor meno giustificabile di quella della gente comune. Ma le varie categorie sostengono lo status quo, col vantaggio di ottenere un pugno di soldi elargiti dal padrone. Mentalità da accattoni.Vero è che la precarizzazione è stata studiata a tavolino e fa parte di un ampio e articolato progetto di restaurazione di un potere verticistico e oligarchico in Europa come negli Stati Uniti. E proprio questa realtà che la gente non vuole considerare. Conta ciò che dice l’autorità (anche mediatica) di turno.

  18. Dovremmo unirci tutti e rivolgere la nostra lotta (con mezzi che la legge ci fornisce) contro gli esponenti dell’oligarchia finanziaria straniera che stanno distruggendo ciò che resta del tessuto economico e sociale dell’Italia. La Sardegna segue la sorte della penisola, anzi sembra precederla. Abbiamo traditori e nemici nel nostro Paese, ben remunerati, e a pieni poteri. Non si va da nessuna parte finché i vampiri continuano a dissanguarci. Mi aggiungo alla lunghissima lista di liberi professionisti che non riescono a trovare clienti disposti a pagare la prestazione professionale. Provo dolore per tutta la distruzione che stiamo subendo, ma anche un grande e vitale desiderio di liberazione. Malgrado tutte le difficoltà che potrà comportare, meglio tornare (e di corsa) alla nostra moneta e alla nostra sovranità. Intanto la strategia preferita dal potere si rivela sempre la stessa: dividi et impera, tradotto: io mi occupo solo del mio orticello. Idem in Sardegna.

  19. Ciao Vito, io sono laureata in ingegneria edile, con una specializzazione in restauro (la famosa alta formazione del 2008 del governo regionale Soru), volevo dirti che oggi ho comprato il baratto per trovare lavoro. Probabilmente mi metterò a fare volantinaggio, unico mestiere per il quale non è richiesta esperienza. La Sardegna non ha bisogno neanche di Ingegneri.
    La mia solidarietà di disoccupata: so bene come è deprimente non sapere dove sbattere la testa, e non trovare motivi per alzarsi al mattino

    • Dalla mia esperianza personale posso affermare che in Sardegna non si sente il bisogno neanche di giovani storici dell’arte…. che amarezza!

  20. Anonimo says:

    Ahi che dolor! Ma non era questo stesso blog il tazebao degli accaniti guastatori del giornaletto sardegna24? Un’esperienza fallimentare, d’accordo, ma cosa si sia fatto per sostenerla? Bastonare il cane che affoga. Ciascuno raccoglie quello semina e il citato Bellu anzichè amministrare con perizia il giocattolino affidatogli, lo ha smontato, salvo poi non riuscire a rimontarlo e dare la colpa a mamma regione che tutto dovrebbe fare, compreso comprare la pubblicità per rimediare alle scarse performance in edicola. Una prece.

  21. Caro Vito, il contenuto del tuo post è certamente vero. C’è un aspetto della questione che però non hai sollevato, ed è quello relativo agli Uffici stampa della pubblica amministrazione. La legge 150 è applicata a macchia di leopardo, molti l’hanno ignorata, bypassandola con fantomatici Uffici di comunicazione, ed è anche per questo che i giornalisti restano disoccupati. La 150 è un fantasma e la sua mancata applicazione ha generato schiere di portaborse e amici degli amici che occupano posti chiave senza avere le competenze o i requisiti stabiliti dalla legge. Non potremmo essere uniti in questa battaglia – come categoria – e provare ad affrontarla con il sostegno della Fnsi?

  22. Anonimo says:

    Sarà fuori luogo il mio intervento ma questa situazione è anche colpa nostra.
    Votiam sempre i soliti noti e diamo fiducia a dei partiti che non ci rappresentano, con le varie scusanti tipo “Ho votato il meno peggio”, oppure “Ho votato lui perchè altrimenti vinceva l’altro”. La gran parte dell’elettorato non è più abituato a portare l’attenzione sul programma ma punta sulla persona, per poi avere qualcosa in cambio, siamo disgraziatamente italiani.

  23. PRUPPUGIUDEU says:

    Caro Vito, la Saregna non solo non ha bisogno di giornalisti ma non ha bisogno di nessuna figura professionale. Come già da me espresso in altre occasioni stiamo passivamente assistendo al collasso totale di tutto. Enfatizzo la parola passivamente perchè oramai possiamo solo sederci e guardare le noste vite professionali disgregarsi come neve al sole. I giorni scorsi sono stato a far visita ad un amico e collega con il quale ho condiviso, oltre che l’abitazione, le speranze e le progettualità di una vita lavorativa che avrebbe dovuto garantirci se non agi e lussi almeno un presente dignitoso. Era disperato perchè non ha i soldi per pagare l’anticipo che ogni anno dobbiamo versare alla nostra cassa di previdenza sulla base del reddito percepito l’anno precedente. E come se non bastasse qualche imbelle ha ben pensato che per continuare a far parte dell’ordine professionale, al quale non mi onoro di appartenere, bisogna accumulare i crediti dell’aggiornamento professionale obbligatorio frequentando corsi a pagamento. Non bastasse questo qualche altro imbelle ha ben pensato di farci pagare due iscrizioni (obbligatorie) una all’Ordine Regionale e l’altra all’Ordine Nazionale. Mi sono convinto che lavorare è oramai diventato un LUSSO che solo chi è RICCO si può permettere. Solo chi è ricco può permettersi di lavorare in uno studio professionale sottopagato, di poter aspettare anni prima di vedere corrisposti i soldi che ha lavorato, anticipare liquidità, pagare il pagabile con i soldi che non possiede solo per riuscire a restare a galla in un vortice che sta travolgendo tutto e tutti. Personalmente, questo lo dico con molto pudore, alla data di oggi ho quadagnato 413 euro lordi ( QUATTROCENTO TREDICI) , a fronte di un reddito degli scorsi anni che mi consentiva di vivere dignitosamente. Non c’e’ stata una flessione c’é stata una caduta brusca improvvisa e VERTICALE di ogni fonte di sostentamento. Il mio amico ( Laureato ,specializzato e di 44 anni età) stava aggiustanando una vecchia ruspa con la speranza che qualcuno del suo paese lo chiamasse per fare piccoli scavi o movimenti terra, ma era triste perchè non aveva i soldi per comprare il Gasolio nel caso lo avessero chiamato per eseguire i lavori. Nel frattempo la moglie raccoglieva le verdure del piccolo orto per preparare il pranzo. Anche lei laureata anche lei specializzata……..!!!!!!

  24. Vito, in un certo senso hai chiuso il cerchio.

    Per il resto poche parole, se non quelle di comunanza e vicinanza manifestate a Francesco, per quello che servono naturalmente.

    Ma alla fine C’est l’Italie. Anche se guardiamo alla nostra Isola.

  25. francesco giorgioni says:

    Grazie a te, caro Vito.

  26. Anonimo says:

    Anche i giornalisti, come le associazioni culturali di Cagliari, vanno sostenuti con i soldi pubblici (ossia i soldi ottenuti dalle tasse pagate dai cittadini!)?
    Il finanziamento pubblico ai giornali mi sembra una cosa intollerabile, figuriamoci sostenere ogni singola televisionetta od ogni singolo giornaletto che a qualcuno viene in mente di stampare!

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