Sardegna

Ci scrive Gianluca: “Non paga, sfrutta i lavoratori, ostenta un lusso insopportabile: benvenuti in Sardegna, terra de l’imprenditore prevalente”. Lo conoscete?

La lettera di Matteo ha colpito molti. Perché ci siamo identificati in lui. Per quale motivo? Perché, nonostante le differenze di età e di formazione, più o meno tutti siamo incappati in quella figura di imprenditore da lui ben delineata. La Sardegna avrà pure lavoratori poco istruiti e formati, ma ha soprattutto imprenditori che non sanno fare il loro mestiere.
Anche l’amico Gianluca Floris è rimasto colpito dal racconto di Matteo, e (riprendendo un post uscito sul suo blog) ci ha inviato questa riflessione sulla figura del “l’imprenditore prevalente”. Per me è stata una sorpresa: perché ho scoperto di aver lavorato negli ultimi anni con Matteo e Gianluca, e di non essermene mai accorto!

 ***

Caro Matteo,

ho letto la tua mail e intuisco che tu conosca già la figura de “l’imprenditore prevalente”. Si tratta di una particolare figura di imprenditore, perché l’imprenditore prevalente ha infatti alcune peculiarità.

Innanzitutto la capacità di pagare meno di chiunque, sia i fornitori che i dipendenti (li tratta alla stessa maniera), visto che ha adottato un metodo infallibile.

Ecco dunque il “Metodo di pagamento dell’imprenditore prevalente”. È riferito ai dipendenti, ma è estensibile anche ai fornitori.

I primi due mesi non ti paga, il terzo mese ti paga il primo e ti promette che il mese dopo arriveranno tutti gli arretrati. Il quarto mese nulla. Il quinto mese ti paga il secondo e il sesto ti mette davanti i conti della società, piangendo, ma senza darti nulla. Il settimo mese fa circolare la notizia che la società è in vendita perché non ce la fa più. Intanto, a suo dire, si mette la mano in tasca e ti paga il terzo mese.

Inutile dire che dopo di ciò l’ottavo e il nono mese non si vede un euro.

Il decimo mese ti paga due mesi (il quarto e il quinto) perché c’è stato un miglioramento improvviso dei conti, sempre a suo dire. L’undicesimo e il dodicesimo mese paga con regolarità dando l’impressione che le cose si stiano mettendo meglio.

In realtà, alla fine dell’anno lui ti ha pagato sette mensilità delle tredici che ti spettano.

Altra caratteristica dell’imprenditore prevalente è che è alla costante ricerca di “giovani motivati” (leggi: disposti a essere pagati per sei ore e quaranta minuti lavorandone nove o dieci) e di dipendenti “maturi” (leggi: che partecipino al rischio d’impresa in cambio di ottocento euro).

Per finire l’imprenditore prevalente ha una convinzione: che lui debba continuare a fare impresa anche se non è capace di pagare con regolarità i suoi dipendenti e nemmeno i fornitori. Ha il diritto di continuare a fare l’imprenditore anche se il suo modello di gestione, in qualsiasi altra parte del pianeta, lo costringerebbe a portare i libri in tribunale.

Inoltre l’imprenditore prevalente riesce ad agire senza tener conto del mercato reale. Lui mostra conti disastrosi per “sensibilizzare” i suoi dipendenti e i fornitori, ma la verità è che la sua principale attività è quella di trovare finanziamenti e contributi a fondo perduto, o quasi.

Assume solo persone che danno diritto ad agevolazione fiscale e, quando vengono a cessare i benefici, li licenzia oppure assume personale anche inutile per avere diritto a particolari sgravi o contributi. O peggio ancora: prende solo giovani stagisti (tipo PIP o come si chiama) con la promessa di assumerli alla fine del periodo. Inutile dire che non lo farà mai.

Per finire, anche con le mensilità ancora da pagare ai dipendenti, l’imprenditore non rinuncerà mai a cambiarsi la macchina ogni anno, a vestirsi nelle migliori boutique e a fare vacanze esotiche in resort di lusso.

L’avvertimento che mi sento di dare è quello di fuggire da questo tipo di imprenditore. Non conviene a voi dipendenti e non conviene a voi fornitori.

Potrebbe anche capitarvi di ricevere da lui una proposta di mettervi in società. Inutile dire quello che già immaginate: non fatelo. Mai.

Gianluca Floris

 

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60 Comments

  1. Si che li conosco! Il mondo dello spettacolo (pardon, “cultura”) pullula di queste figure, presunti organizzatori factotum a cui non si affiderebbe la gestione di un condominio… E pazienza se i conti sono in rosso: la loro impellente ed inesorabile necessita’ di fare “cultura” (cioe’, mania di protagonismo) e’ superiore a qualunque regola del buon senso e del vivere civile. Tutto senza un minimo di senso di colpa. D’altronde cosa vuoi che sia il nostro tempo e lavoro non retribuito in confronto al loro cosi’ nobile e alto ideale?

  2. Urlo De Vastante says:

    Inutile precisare che l’uomo è più ladro quasi sempre dove la porta è aperta e incustodita. Gli Italiani hanno un difetto. Viaggiano poco e sanno molto poco di come la vita e in particolare il lavoro vengono declinate nei paesi europei un po’ più a nord del nostro. In Germania, Francia, Inghilterra etc. ciò che ti spetta non lo devi nemmeno chiedere perchè ti viene riconosciuto senza discussioni. Dove sorgono discussioni la legge interviene inesorabile e tempestiva a ripristinare la legalità. Ciò che lo scrivente evidenzia altro non è che una smaccata propensione a delinquere che il nostro impianto giuslavorista, civilistico e tributario tollera in quanto “comportamento socialmente indispensabile alla sopravvivenza del libero mercato”. Un falso ideologico insopportabile che tuttavia ha permeato ormai tutta la nostra cultura e il modus operandi non solo degli imprenditori (il che sarebbe intuibile) ma anche degli stessi lavoratori i quali preferiscono spesso vestirsi da conigli e accettare condizioni di lavoro meschine piuttosto che pretendere che i propri diritti vengano rispettati. Un atteggiamento connivente e autolesionista.

  3. Oliver says:

    Aggiungerei che l’imprenditore prevalente ha una scarsa o nulla considerazione del lavoro intellettuale e pensa di servirsi di consulenze di professionisti qualificati pagandole come quelle di uno stagista alle prime armi, perfino atteggiandosi a colui che ti sta facendo un favore se ti assegna un incarico.

  4. Pingback: Ci scrive Amos: “Agoa de l’imprenditore prevalente, labai prontu il politico autonomista prevalente”. Ddu connosceis? « vitobiolchini

  5. Ed ecco perchè noi ce ne siamo andati !! E per ora siamo a Londra .. poi si vedrà !!
    Dancer. 😆

    http://www.noiduenelmondo.wordpress.com

  6. Radio Londra (nonostante Er Ciccio) says:

    Scusai pagu pagu.
    C’intra calincuna cosa Sardegna 1?
    A occhio e croce non c’iada deppi intrai.
    O no?

  7. Con Coni says:

    L’imprenditore “prevalente” credo che sia una figura che tipicamente in Sardegna opera nel settore del terziario: servizi, ristorazione, studio professionale, ecc. In una parola il settore che ha il maggior numero di impiegati. Il maggior numero di impiegati non sindacalizzati, ignorati da tutele e privati di qualsiasi speranza di una pensione.

    Il problema reale è paradossalmente quello stesso che ci salva: sa penzionedda ‘e mamma.

    Senza le pensioni dei genitori, non ci sarebbe nessuno disposto a farsi schiavizzare per trecento euro al mese a otto ore giornaliere.
    Le pensioni dei genitori permettono oggi ai figli di avere l’affitto di casa pagato (con questue più o meno umilianti per chi è ormai adulto) e magari anche la macchina o altre spese.
    Ecco che, con questi bisogni primari soddisfatti, il figlio o la figlia si possono permettere di accettare di essere sfruttati e sottopagati, magari ringraziando anche di ricevere l’ombrello di Altan nell’apposito alloggiamento.

    Se non esistesse “sa penzionedda ‘e mamma” la gente dovrebbe pensare di vivere con quello che guadagna dal suo lavoro. La retribuzione di un lavoro a tempo pieno dovrebbe permettermi di vivere sotto un tetto, di mangiare e di vestirmi senza chiedere soldi ai genitori ormai ottantenni.

    Ma, visto che ci sono stuoli di persone che lavorano schiavizzati e sottopagati perché c’è “sa penzionedda ‘e mamma”, gli imprenditori continueranno a utilizzare questo enorme bacino di schiavi umiliati e senza ormai forza per reagire.
    Per quelli che non hanno altra risorsa che il loro proprio lavoro, non rimane che la soluzione di Matteo, perché il suo posto di lavoro in Sardegna è stato preso dai figli della Penzionedda.

    Questo è quello che succede.

    A parte il settore metalmeccanico e quello pubblico che sono i più tutelati dai sindacati, il terziario occupa il 70% dei dipendenti (incluso quelli a termine) del settore privato ma viene lasciato in balia di squali e pescecani.

    L’imprenditore prevalente del settore sa benissimo che un lavoratore impiegato qualificato per otto ore al giorno gli costa dai tre ai cinquecento euro al mese. Magari in nero.
    Questo è il prezzo di mercato vero.
    Perché c’è sa penzionedda e, nel terziario, non ci sono tutele sindacali.

    • Palmirio says:

      bellissimo commento.. “sa penzionedda ‘e mamma” da quel tocco di triste verità, non potevi esplicitarlo in modo migliore.

  8. Ma..caro Gianluca Floris, e caro Vito Biolchini,se non hai capitale o famiglia o politico che ti accozza, come diavolo fai? Non ce la fai neanche con la miseria che ti danno, questo è vero, ma come fai senza neanche la miseria che ti danno? e intendo proprio come fai a fare cose tipo pagare le fatture Enel, o l’IMU, o se la tua famiglia ha qualunque problema (e capita) a dare una mano, non andare da Coccinelle e comprarsi una borsetta!
    Volevo dire che non abbiamo proprio tutti l’anello al naso: chi lavora per una miseria tante ore, sa benissimo di venire sfruttato, ma non può farci proprio nulla! Un giorno nel posto dove lavoravo prima, ci fu un’emergenza di lavoro e occorreva personale subito: il capo mi chiese se avevo dei colleghi disposti a lavorare per il periodo di quell’urgenza. Portai un’amica, per sua fortuna molto benestante: resse un mese, poi disse che non voleva crepare li dentro, e mi chiese cosa ci facevo io li, come potevo sopportare non da un mese, ma da anni, di lavorare così: ebbene, la mia famiglia non è miliardaria, e io devo lavorare per vivere! e sono costretta a farlo anche per poco, almeno finchè reggo il ritmo delle 12-14 ore fuori di casa (sono pendolare)
    Conosco addirittura la versione estrema di questo tipo di imprenditore: ci lavora una mia collega e amica, a Macchiareddu. I suoi operai sono solo ex detenuti o persone in libertà vigilata: questo gli permette di avere enormi sgravi fiscali. E’ riuscito in questo modo a superare perfino i vincoli imposti da chi assume solo tirocinanti, perchè può tenerli tutto il tempo che vuole, poi buttarli via, come le scarpe vecchie….
    Il problema più grande di questi anni di berlusconismo e ora con questo post capitalismo è l’equiparazione della forza lavoro ad una merce qualunque: quando non serve più lo butti, i requisiti sono che rompa le palle meno possibile e lavori come un mulo, possibilmente anche gratis.

    • Gonzales says:

      Cara Marybonny: “Ma..caro Gianluca Floris, e caro Vito Biolchini,se non hai capitale o famiglia o politico che ti accozza, come diavolo fai? ”
      Fai come Matteo, se hai davvero bisogno. Se no continui così.

      • Grazia says:

        Per Marybonny: vuoi dire che le uniche persone che oggi hanno un lavoro o un mestiere dignitoso cel’hanno solo perché hanno capitale dai genitori o acozi politici? Credo che sia un insulto per tanti come noi che un lavoro abbiamo, anche se umile. E lo abbiamo ottenuto senza acozi e senza regali dai genitori, che non ho più da anni.
        Forse, scusami, sei tu ad essere una di quelle persone che non ha mai cercato altro che acozi per avere un lavoro, e non hai mai voluto usare le tue sole capacità. Non lo so. Ma non generalizare.

      • Mia Cara Grazia, hai assolutamente ragione: mai generalizzare, e perdona se ho dato l’impressione di avere poco rispetto per chi lavora. Non è così, ho fatto lavori di tutti i tipi, dal volantinaggio alla distribuzione di pagine gialle, alla vendemmia e non mi riferivo a quello, so bene che c’è chi lavora onestamente e spezzandosi la schiena dalla mattina alla sera, e senza accozzi. Mi riferivo a chi fa il mio lavoro, ha la mia età e si trova già lo studio di babbo, oppure c’è babbo che insegna all’università e stranamente vince una delle poche borse come ricercatore. Ecco io mi riferivo a quello. Volevo parlare del mio lavoro, argomento che conosco: una laurea in una professione come la mia ti porta alla fatidica domanda: mi apro la partita iva? Ok me la apro. Ovviamente per risparmiare sto in casa, così non devo pagare un affitto. Supponiamo che mi chiedano non so, di curare la pratica per l’insegna di un negozio. Prima di tutto, i programmi: quello per disegnare (ovviamente potresti usare la versione pirata ma è un grosso rischio quindi investi 2000 euro, per autocad che viene rinnovato ogni 2 anni circa. Ti compri la versione 2d ovviamente, perchè quella completa costa sui 20000 euro), quello per scrivere (ma qui facciamo i furbini e usiamo Open Office). Poi anche per la semplice insegna di un negozio, non puoi non puoi scampare da: assicurazione professionale: 300 euro/anno, e iscrizione all’ordine degli ingegneri: 95 euro l’anno, ancora accettabile. Trasmissione della pratica: solo telematicamente, quindi acquisto della pec (20 euro). Emettiamo la fattura e supponiamo da essere così fortunati da incassare 500 euro per la pratica suap di un’insegna: detraiamo l’iva al 21% e il 4% alla cassa ingegneri e architetti. Supponiamo che ci capiti pure un lavoro pubblico (come si dice: grasso che cola)ed ecco che devi acquistare un altro programma di cui è impossibile avere la versione Pirata: il programma per computare (ma se il computo è semplice te lo fai a mano). Oppure altro esempio: impianto fotovoltaico in centro storico: simulazione fotografica (anche qui abbiamo i programmi Open Source che ci aiutano). Dimenticavo che sei costretto ad aprire un conto corrente, quindi altre spese (non so quanto costa perchè non ce l’ho) Aprire la partita IVA non costa tanto. Quello che costa è la cassa previdenziale: alla quale su ogni fattura emessa devi versare subito il 4%, e il resto a giugno e a dicembre (a giugno in base a quanto hai incassato l’anno precedente, anche se magari fino a giugno non hai emesso una fattura). Ovviamente Non parliamo dell’iva a giugno, se hai un buon commercialista (che devi pagare adotti la contabilità semplificata) Ovviamente non ho parlato di benzina, sopralluoghi, eccetera eccetera.
        Sintetizzo con l’esempio di un mio collega che ha investito circa 10000 euro di risparmi tra pc, programmi vari e partita iva per lavorare per conto suo in casa. Nessuno lo ha ancora pagato e vive dalla ragazza, che è quella che è venuta a lavorare un mese da me.
        Poi comunque volevo dire che quando il lavoro non è più un tuo diritto, ma una regalia che ti fanno, avere le ruote unte spiana la strada perchè devi andare in cerca di piccoli lavori a destra e sinistra, se sono piccoli lavori pubblici è meglio, perchè si guadagna molto di più. Una mia collega, V. nipote di uno che all’università tutti conoscono, appena laureata è stata il direttore dei lavori di un grossissimo restauro. Sicuramente è brava, ma strano che ci siano lo zio e il padre lavorino li. Se non hai le ruote unte e ti presenti a chiedere lavoro senza essere presentato da qualcuno è molto difficile che ti facciano fare anche il progetto per cambiare un cesso. Non so se sai come funziona la legge sui lavori pubblici: ti assicuro che la conosco bene, e non c’è spazio per giovani senza soldi, perchè non potranno competere nei bandi, mentre nei piccoli affidamenti devi avere le ruote untissime. Mi spiace ripetere sta frase ma è vera, purtroppo.
        Invece a Gonzales replico: partire nel “corno della forca” dovrebbe essere una libera scelta e non una cosa imposta dall’alto: vorrei che fosse un mio diritto potere stare qui, dove ho costruito faticosamente il poco che ho, e ho tutti i miei cari. Non dovrebbe essere una scelta obbligata andarsene. Tutto qui.

  9. alessandro alfonso says:

    Uhm… questo intervento e la lettera di Matteo non mi convincono neanche un pò… qui sembra che il mondo si divida in buoni e cattivi, e invece io posso garantire che buono e cattivo sono aggettivi che fanno parte della natura umana, e ci sono tra gli imprenditori e ci sono, eccome se ci sono, tra i dipendenti e tra le persone in cerca di lavoro.
    Posso parlare perchè ho avuto l’esperienza e la (s)fortuna di stare in tutt’e tre i fronti negli ultimi 10 anni, in Sardegna, e in tutt’e tre i fronti in nord Italia, prima del 2002.
    Parliamo degli ultimi anni.
    Posso dire una cosa: ho provato prima tristezza, poi disperazione e infine schifo, da dipendente, per il modo in cui si sono comportati i miei imprenditori, qua in Sardegna. E ho provato altrettanta incredulità e anche in questo caso schifo, da imprenditore, per il modo in cui si sono comportati nel tempo alcuni dipendenti, sempre in Sardegna.
    La considerazione finale che ho fatto, e chiunque voglia togliermi questa convinzione dovrà convincermi con argomentazioni molto forti, è che il motivo per cui le cose non funzionano, anche nelle imprese e nel mercato del lavoro, ma in generale dico in questo disgraziato paese, è che c’è troppa gente, troppa, che ha sviluppatissimo il concetto di “io” e assolutamente inesistente in concetto di “noi”. Che c’è molta troppa gente che non conosce minimamente la parola sacrificio, che crede che tutto sia facile, che crede che esiste qualcosa di dovuto. In ogni campo, in ogni settore, penso anche al pubblico con cui le imprese e i cittadini hanno purtroppo spesso a che fare, c’è autoreferenzialità spintissima, poca voglia di lavorare e pochissima visione d’insieme. Ognuno pensa ai fatti propri. E non andremo mai da nessuna parte. O meglio, andremo… in Olanda, a Boston, a Copenaghen, molti a Milano, a Bucarest, in Cina, a kuala lumpur, a Singapore… ovunque… in bocca al lupo a tutti… in bocca al lupo a noi, principalmente. Ma non cerchiamo i colpevoli e i nemici, fa comodo pensare ad un posto in cui ci sono i colpevoli e gli altri sono innocenti, sfruttati, disoccupati o costretti ad emigrare. Sono balle, consolanti, ma balle.

    • Stefano reloaded says:

      Questa del “NOI – IO” mi sa di attaccamento all’azienda in stile giapponese. Il dipendente è certamente interessato alle sorti dell’azienda in cui lavora, ma ricordiamoci che non è un socio: se deve partecipare al rischio d’impresa dovrebbe pure poter partecipare agli utili. Non è così.
      A me pare che la questione sia molto più semplice: il dipendente fornisce la sua prestazione, l’imprenditore deve pagarlo. Tutto ciò che devia da questa regola è sanzionabile. O, meglio, dovrebbe esserlo, visto che il dipendente è comunque, sempre, in una posizione di debolezza. Non credo che tutto sia facile o privo di sacrifici, ma l’equazione “io lavoro-tui mi depis pagai” è semplicissima.

      • alessandro alfonso says:

        L’attaccamento all’azienda (al luogo in cui vivi, alla comunità in cui vivi, alle persone con cui lavori, alle persone che ti stanno vicino etc etc) è tutt’altro che una cosa negativa. E’ una cosa MOLTO positiva ed indispensabile. E questo che tu sia imprenditore, dipendente, disoccupato. Ripeto, la somma dei fatti propri, ognuno pensa al suo, non hanno mai fatto i fatti di tutti. Non c’è un’intelligenza superiore che somma i cazzi propri, creare una comunità, nel senso “ecologico” del termine, è operazione quasi impossibile e il principale motivo della situazione a cui siamo arrivati. Ognuno pensa ai fatti propri, a prescindere dal livello di responsabilità.

      • O Alfonso, chi lavora deve essere pagato in modo dignitoso. Punto, due punti e punto e virgola. Senza se e senza ma. Il resto (comprese le tue discutibili puntualizzazioni) sono solo inutili chiacchiere.

      • Lo Garitmo says:

        ma anche l’equazione “deu ti seu paghendi e tui deppisi traballai pero’ ” è altrettanto valida, penso che Alfonso intendesse proprio questo.

      • alessandro alfonso says:

        Esattamente Lo Garitmo, ma chi vede solo il proprio naso, quindi è concentrato sul proprio “io”, non può capirlo… semplicemente perchè è interessato esclusivamente al proprio punto di vista. E a nient’altro.

      • bravo Stefano: la matematica come al solito non e’ un’opinione-deu traballu tui mi depis pagai. punto.
        e come commento piu’ generale: ho lavorato per tre anni per una nota famiglia di imprenditori isolani per i quali la definizione di imprenditore prevalente calza a pennello. allo scadere del contratto a tempo determinato mi e’ stato comunicato che non ci sarebbe stato il rinnovo con -5 minuti di preavviso, ovvero ero ancora in ufficio oltre l’orario e uno dei loro tirapiedi e’ venuto a dirmi di non presentarmi il giorno dopo. Professionalita’ questa sconosciuta. Ma questo e’ solo un minuscolo esempio, in tre anni avevo raccolto una tale casistica che avrei potuto scrivere un romanzo.
        Dopo l’ennesima proposta di lavoro a 800 euro al mese (se fossi stata “motivata” e “matura”, ovviamente), con un affitto di 500 euro da pagare, ho deciso di partire e ora vivo a Londra, dove da 5 anni svolgo un lavoro rispettoso della mia professionalita’ e del mio comunque lunghissimo curriculum (ho iniziato a lavorare 21 anni fa, quando ancora si poteva trovare qualcosa da fare anche a Cagliari).
        Ma mi ci e’ voluto del tempo per abituarmi al fatto che il mio nuovo capo non mi chiedesse di ritirargli i pantaloni dalla tintoria.

    • Matteo Zizola says:

      Gentile Alessandro Alfonso,
      non ho diviso il mondo in buoni e cattivi, ho raccontato solo la mia umile esperienza. E non aggiungo altro. Una sola domanda: è lo stesso Alfonso che si occupa di turismo?

  10. anonimo says:

    Poi ci sono i dipendenti leccaculo che asseccondano questi comportamenti pensando, egoisticamente, di trarne (loro sì) dei vantaggi personali. In tutta questa merda, poi, si insinua il mobbing, una pratica abominevole che in taluni casi ha degli effetti sconvolgenti sulla psiche di subisce. Ho ancora in mente una povera ragazza…

  11. Gentile Biolchini&C,
    ho letto con un certo disagio gli ultimi post (da quello di Matteo in poi) in merito ai «cattivissimi» (im)prenditori.
    Premesso che considero del tutto lecito portare a conoscenza di tutti le proprie esperienze (e complice una mezza bottiglia domenicale di nebbiolo, buono, quindi potrei dire più sciocchezze del solito) mi domando se abbia davvero senso dividere il mondo in due categorie: i perfidi imprenditori e i poveri dipendenti.
    Facendo in questo modo, ci si scaglia gli uni contro gli altri a colpi di esempi e storie vissute che poco dicono dello stato delle cose, perché storie singole di particolare interesse (magari ben scritte da chi sa usare una tastiera) se ne possono citare a piacere: faranno indignare (in un senso e nell’altro: i «prenditori» delinquenti e i dipendenti ladri e scansafatiche) ma non sono molto utili per cercare una descrizione sensata di quanto avviene e riflettere su una possibile soluzione (tenendo conto che si parla a ruota libera in un blog).
    Come dire che in questa maniera ci si divide tra coloro che considerano gli imprenditori una categoria di delinquenti e quanti ritengono i dipendenti una torma di mangiapane a ufo che altro non fanno se non cercare di lavorare il meno possibile (diciamolo francamente: quanti dipendenti di un’azienda privata parlano malissimo dei dipendenti pubblici, imputati di poco lavoro ed eccessive protezioni?).
    Direi che sarebbe meglio partire da una considerazione differente: gli imprenditori sono persone che cercano di fare quattrini; ciascuno di essi può essere una brava persona o un delinquente (come i dipendenti), ma se l’insieme delle regole che permette di fare impresa rende conveniente la precarietà o molto facile non pagare dipendenti e fornitori, non si capisce per quale motivo ci si dovrebbe stupire se poi accade davvero. Se fare impresa significa assumersi dei rischi e il rischio di passare dei guai per un mancato pagamento è inferiore a quello di produrre un bene o un servizio, perché si dovrebbero avere im-prenditori che rischiano sulla produzione e non sull’imbroglio? Tenendo presente che talvolta (o spesso?) ciò «è reso possibile dalle regole!» (come fa notare giustamente Sovjet).
    In più, vorrei far notare che lo scagliarsi gli uni contro gli altri a colpi di esempi (veri, per carità) rende un notevole servizio agli imprenditori cialtroni (che ci sono) e ai dipendenti scansafatiche (ci sono anche loro!) entrambi giustificati nel proprio agire dalla considerazione che «tanto fanno tutti così» (come per la politica: siccome tutti i politici sono cialtroni, allora… vince Grillo!).
    Come dire… piuttosto che appassionarsi alla storia di Matteo (piuttosto banale, ma in Italia c’è Moccia che vende tonnellate di libri, quindi ben venga Matteo) sarebbe meglio interrogarsi sull’insieme di regole che rende possibile il vicolo (quasi) cieco in cui ci siamo cacciati dopo una quarantina d’anni di mancati governi (è dagli anni ’70 che non si discute più sull’assetto che vogliamo dare alla nostra repubblica in tema di lavoro!). Se continuiamo a porci il problema del cattivissimo di turno che costringe Matteo ad andare in Olanda, da una parte sbagliamo bersaglio, dall’altra facciamo un gran favore ai delinquenti.
    Arrivo al punto: come se ne esce?
    Faccio parlare il nebbiolo: secondo me con un grosso impegno degli intellettuali (soprattutto dell’informazione). Si può parlare dei Matteo, certo, si può parlare dei delinquenti di Malpensa che rubavano dai bagagli e non sono stati licenziati (faccio un esempio lontano, così non offendo nessuno a portata di braccio) ma in realtà bisognerebbe domandarsi se le regole che in Italia selezionano la classe imprenditoriale (intendo in senso evolutivo) non debbano essere discusse con molta attenzione lasciando da parte (soprattutto a sinistra) gli schematismi (im-prenditore in primis!). Faccio un esempio: proprio in questo blog ho letto il prof Mogili che parlava di im-prenditori che vengono in Sardegna a rubare i soldi pubblici (mi perdoni Mongili, non ce l’ho con lui in particolare, ma visto che ha la bontà di intervenire, mentre altri cercano un cespuglio, mi permetto di usarlo come esempio). Bene: che senso ha denunciare il fatto (peraltro errato, ma non è questo il punto) se poi non si esamina il perché, e precisamente una legislazione che rende il rischio imprenditoriale minimo ai «prenditori» piuttosto che agli imprenditori?
    Non è un fatto di tribunali che non funzionano (anche questo, per carità!) ma di vere e proprie regole selezionatrici di imprenditorialità cialtrona.
    Se i Mongili non si dedicano ad un esame più profondo della realtà ed Ugnone e LaNNuova si limitano solamente a sbattere il mostro in prima pagina (spesso ad minchiam, tra l’altro), continueremo ad indignarci per i Matteo (che saluto e spero sia finalmente sereno) e a prendercela in tasca.
    Leccata di culo finale: devo dare atto a Biolchini (rara avis) di aver scritto che percepire soldi pubblici non è necessariamente indice di delinquenza. Detto da sinistra (e soprattutto in Sardegna) non è cosa da poco: vale immensamente di più che non tutte le lettere di Matteo (detto con molto rispetto, sia chiaro).
    Cordialmente,

    • Chimbantamizza says:

      Bravo!

    • 12aprile70 says:

      Gentile Ainis, quanta boria le mette in circolo il nebbiolo…ha provato col Nuragus ghiacciato?
      I concetti espressi sarebbero pure apprezzabili, se la S.V. non scrivesse sempre dal piedistallo (o tre metri sopra il cielo, se preferisce).
      E sia più sintetico magari, chè qualche neolaureato rischia di perdere un altro anno fermo a casa, solo per leggere il suo interessante post.
      Si ricambia il cordialmente…

      • Gentile 12aprile70,
        ritengo improbabile che un medico le abbia prescritto la lettura dei miei commenti.
        La ringrazio per l’apprezzamento.
        Cordialmente,
        PS – il vino ghiacciato è una sciocchezza perché il freddo inibisce il senso del gusto (e dell’odorato). Provi il Cerdena (se ha i quattrini per comprarlo) appena qualche grado sopra la TA. E’ un vinaggio ma vale la pena.

      • Gabriele Ainis says:

        Chiedo scusa, errata corrige: “Sotto” la TA, altrimenti ad agosto bisognerebbe scaldarlo!

      • 12aprile70 says:

        Ta dannu, mi sto scimprando a capire quale patologia possa avere un paziente cui un medico suggerisse come rimedio la lettura dei suoi post…
        Comunque volevo solo dirLe che scrive bene e giusto, ma troppa conflittualità verso il resto del mondo, diamine! La cultura non si ostenta, così come la possibilità, tutta da dimostrare, di poter fare scioro di grandi vini…da qui il suggerimento, regoli Lei la temperatura, di una bella doccia con un bel nuragus, vinello sicuramente proletario e per le tasche di tutti.
        Con immutata simpatia…

    • Sovjet says:

      L’insieme di regole che oggi selezionano la classe imprenditoriale credo sia un elemento da approfondire. Francamente la qualità della nostra imprenditoria, aldilà della propensione a delinquere di ciascuno imprenditore o lavoratore che sia, è un elemento da approfondire. A mio parere mancano i fondamentali e chi fa impresa spesso non sa neppure in cosa simsta infilando. Poi, molto si è puntato sull’imprenditorialità giovanile. Ma chi ha letto qualcosa sul tema della cosiddetta “Terza Italia” o comunque sull’imprenditorialità in aree del paese più sviluppate, sa che sono i lavoratori di mezz’età, che conoscono lavoro e mercato, che riescono a intraprendere con più efficacia. Questo non significa che un giovane non ne sia capace, ma spesso succede che chi si presenta sul mercato, con progetti incentivati, magari ha pure una buona idea, ma non ha alcuna competenza per realizzarla.
      Devo dire che mio fratello (quello intelligente) ebbe una idea buona ma non realizzata: utilizzare una parte di Master and Back per finanziare l’alta formazione di giovani imprenditori o giovani manager d’impresa. Un primo passo per incrementare la qualità media della competenza imprenditoriale sarda.
      Io ho scelto Sovjet come nick e credo che il conflitto di classe esista. Ciò non toglie che servano imprenditori capaci di fare il proprio mestiere.

      • Gentile Sovjet,
        un imprendotre capace di fare il proprio mestiere è uno che fa i quattrini, non uno che tratta “bene” i dipendenti e risponde alle richieste di lavoro di Matteo (di cui aspetto la querela; in tribunale dichiarerò che essendo ignorante ho scambiato Moccia per Carlo Emilio Gadda). Se le regole gli rendono facile farli (i quattrini) senza rispondere a Matteo, perché dovrebbe comportarsi diversamente?
        (Insomma, se il falso in bilancio non è un reato, perché un imprenditore dovrebbe comporre bilanci veritieri? Perché c’è scritto nel Vangelo?)
        Oppure, citando Stefano Reloaded: “[…] l’equazione “io lavoro-tui mi depis pagai” è semplicissima”. Certo che è semplice, in linea di principio, se però non ti pago e non mi capita nulla, chi me lo fa fare? Piuttosto mi compro un Rolex da 100.000 euro e mi spupazzo tre pivelle alla volta, no?
        Per cui: continuiamo a parlare di cosa sia o meno “giusto” (cioè Matteo che racconta una storia meglio di Gadda) e ci indignamo, o parliamo delle regole che rendono possibile la situazione italiana?
        Cordialmente,

      • Stefano reloaded says:

        Le regole si scrivono (dovrebbero scriversi), o si riscrivono (dovrebbero riscriversi) quando si avverte un senso di giustizia negata. Continuare a parlare di cosa sia o meno “giusto” ha senso per questo. Non si capisce, altrimenti, perché dovremmo parlare delle regole. Le regole hanno il loro fondamento nell’individuazione di cosa sia giusto o ingiusto.

      • Gentile Stefano Reloaded,
        il discorso andrebbe lontano (ad esempio: cos’è la «giustizia»?). In pratica, come può vedere dai commenti, si finisce per parlare del suo: «lavoro, quindi pagami!», contrapposto al: «sì, ti pago, ma tu lavora!». Sono «giusti» entrambi, ahimè (ecco perché ho considerato banale il post di Matteo, che si è giustamente risentito!).
        La mia considerazione, in breve, è la seguente: siccome a litigare tra le due opzioni non si arriva da nessuna parte (ma ci perdono le persone serie, se ci sono, cioè chi lavora e chi paga), evitiamolo e vediamo di scrivere regole soddisfacenti per la maggior parte delle persone (si chiama politica, insomma, vediamo di piantarla di aspettare il deus ex machina capace di farci diventare tutti ricchi o il messia che moltiplica pani e pesci, oppure l’altro che vuole lo stato retto dai giudici). Ciò non ha nulla a che fare con la «giustizia» (a mio avviso roba da preti) ma con una più pragmatica (e molto limitata) «convenienza della maggioranza», possibilmente stabilendo anche degli handicap per i più forti (il «favor» correttamente invocato da ZunkB.). Ma non perché sia «giusto» (chi lo subisce non lo percepirà così, immagino) quanto perché fa star meglio molta più gente.
        Tutto qua.
        Cordialmente,

        PS – Mi scusi ma sono piuttosto rozzo e tendo a (o tento di) interpretare la realtà con pragmatismo. Comunque, se proprio andiamo avanti, comparirà anche : da dove veniamo? Dove andiamo? Non ci sono più le stagioni di una volta e le donne sono tutte puttane, salvo mia moglie e mia sorella.

      • Stefano reloaded says:

        Con questa logica non si spiegherebbe la richiesta, né tanto meno l’esistenza, di regole che tutelino i diritti delle minoranze (che alla maggioranza potrebbero anche non stare bene). Ma non facciamo andare il discorso troppo lontano.
        Il processo dialettico per giungere alle regole, dovrà pur aver origine in un punto. Io lo individuo nel senso di giustizia individuale e collettivo dei Mattei di tutto il mondo. Quello che lei chiama «convenienza della maggioranza» è già uno stadio successivo.

      • Sovjet says:

        Gentile Ainis,
        è impossibile convincermi di qualcosa di cui sono già convinto per conto mio…
        Sono sicuro che ci siano anche imprenditori che svolgono il proprio mestiere per passione e che il fare soldi è una conseguenza più che l’obiettivo prioritario, nel senso che continuerebbero a fare lo stesso mestiere anche guadagnando meno. C’è anche una parte di no profit vero che fa impresa e che esce dagli schemi consueti del lavoro per profitto. Sono quelle che l’economista Luigino Bruni definisce OMI, organizzazioni a movente ideale.
        Ma concordo: le regole selezionano la tipologia di imprenditore, come il tipo di sport seleziona la morfologia dell’atleta. Poi capita quello basso e tozzo che fa miracoli col piede sinistro, ma sono giustamente fenomeni.

      • Matteo Zizola says:

        Caro Gabriele,
        a parte la provocazione di questo commento abbastanza evidente, non credi che la mia storia evidenzi proprio la stortura delle regole? Mi sono forse lamentato? Mah, a me sembra che ti sia sentito troppo toccato, ma forse è una mia impressione. Se vuoi, la prossima volta, potrei scrivere le mie vicende come uno che non sa scrivere e che non ha studiato, così magari poi le si giudicano nel merito e non nella forma.
        Con rispetto,
        Matteo

      • Gentile Matteo Zizola,
        ho forse detto che lei si è lamentato? Il mio discorso è affatto differente, se lo vuol leggere. Ma non è obbligato.
        Cordialmente,

      • Matteo Zizola says:

        L’ho letto, ma forse non ha letto bene lei la mia lettere. Ma è una questione di lana caprina, stiamo discutendo sul nulla. Ribadisco: esistono imprenditori onesti che, pur essendoci leggi che glielo permetterebbero, continuano a produrre crescita collettiva dando stipendi giusti e non sfruttando ed esistono altri impenditori che fanno di tutto per risparmiare sull’altrui lavoro, ma non fanno il minimo sacrificio individuale. Così stanno le cose. E’ ovvio e va da se’ che non è illegale assumere personale tramite tirocinio regionale e nessuno dice il contrario, ma è giusto farlo e sfruttare queste occasioni per avere un suv in più e un paio di hogan in più? Cosa do io all’economia con 500 euro al mese? Niente. E il pubblico che con leggi e progetti di facciata promuove questo andazzo ne è il principale responsabile, ma che gli imprenditori nostrani si lamentino della crisi un giorno sì e l’altro pure, ma in sostanza non facciano nulla per far girare l’economia, bene, lo trovo altrettanto sbagliato. Parere mio, personale. Che poi ci siano anche dipendenti fannulloni etc etc è lapalissiano, ma non è il mio caso, mi creda.

      • Matteo Zizola says:

        e comunque un imprenditore che fa bene il proprio mestiere è uno che crea anche ricchezza per la società in cui vive, non solo per se stesso e i suoi porci comodi (a mio modesto parere, ben inteso). Se invece ragionasse come delineato da te, Gabriele, allora non lamentiamoci se l’economia non gira e non voglio più sentire uno di questi imprenditori illuminati lamentarsi della crisi (da loro stessi creata, ben inteso). Di nuovo con rispetto.

    • Matteo Zizola says:

      Gentilissimi commentatori,
      vi scrivo solo per replicare ad alcune parole.
      Premessa: chi mi ha accostato a Moccia verrà querelato (scherzo).
      In ogni caso lungi da me fare di tutta l’erba un fascio, sono pienamente consapevole che in Sardegna ci siano anche imprenditori seri.
      La figura prevalente, e la non redistribuzione della ricchezza ce lo insegna, è quella sottolineata da Gianluca. Riguardo a me dico solo, come ho scritto nella lettera e nel successivo commento, che non voglio insegnare niente a nessuno ne’ pontificare ne’ banalizzare come altri, invece, hanno fatto. Ho solo raccontato una storia, che vi piaccia o meno. Alcuni l’hanno giudicata, altri l’hanno commentata, altri l’hanno criticata, altri ancora hanno parlato da piedistalli e pulpiti. Ok, benissimo, nulla da obiettare a nessuno.
      Non mi lamento di nulla, ho fatto solo una scelta: è forse colpa mia se nessuno risponde ai cv inviati su posizioni aperte (non a cazzo)? E’ forse colpa mia se il lavoratore in Sardegna e in Italia ha perso sempre più valore a vantaggio di altre figure? E’ forse colpa mia anche non lamentarmi e seguire un’altra strada? Se uno sta a casa è bamboccione, se uno si muove è il solito che vuole insegnare, se uno non lavora è un fannullone, se lavora per pochi euro è uno stupido, insomma, un giudizio per ogni scelta. Bene, liberissimi, io intanto, come ho scritto nella lettera, me ne fotto e vado avanti. Senza pulpiti, senza piedistalli, con la mia umile storia al seguito.

  12. Sovjet says:

    Il mio amico Gianluca, che sa scrivere e conosce il singnificato delle parole, non a caso utilizza il termine “prevalente”, nel senso che questa figura prevale. Prevale perché è vero il detto che la moneta cattiva scaccia quella buona e questi comportamenti aumentano la “competitività”. Almeno in teoria, perché in pratica ogni risparmio esce dal circuito d’impresa, dagli investimenti per migliorare, innovare, ottimizzare e finanzia invece la figura immaginaria che questo “imprenditore” ha di sè: scaltro, svelto, individualista e capace di godersi la vita (cioè di spendere molto in inutili puttanate).
    Questo è anche frutto di un approccio alle politiche del lavoro dove molto si è fatto per educare i lavoratori ad essere docili – che altro sono i tirocini, i pip e tutti gli strumenti di inserimento lavorativo che rendono eterno il periodo di prova se non una continua possibilità di selezionare i più remissivi? – ad essere flessibili, “motivati e maturi”, come dice bene il mio amico, ma poco o nulla si è fatto per educare gli imprenditori ad essere imprenditori seri. Da un lato l’impresa ( e quindi l’imprenditore) va incentivata, dall’altra il lavoratore va “flessibilizzato”. Naturalmente, visto che le tasse le pagano in gran parte i lavoratori dipendenti, sono questi che pagano sia gli incentivi alle imprese, sia coloro che approvano leggi che li rendono sempre più precari. Provate a formulare una proposta semplice semplice, come per esempio che possano accedere ai benefici pubblici, compresi l’avere persone in tirocinio o in pip, solo le imprese “virtuose”: quelle che pagano i dipendenti, le tasse e rispettano le leggi. La verità è abbiamo una classe imprenditoriale mediamente stracciona e mancante dei fondamentali del proprio mestiere. Infatti, quelli buoni nonostante le difficoltà e a meno di disgrazie imprevedibili reggono. E sono quelli che i lavoratori li pagano il giusto.

    • Zaneddu says:

      Scusi Sovjet,

      ma lei è sicuro che quella che il giovane tratteggia in modo così banalmente soggettivo sia la figura prevalente? Sulla base di cosa sostiene un’ipotesi del genere? E poi, prevalente in che misura: 51%, 60%, 80% del totale degli imprenditori, o cosa?

      Grazie per una risposta

      • Sovjet says:

        Intanto un numero generale: in 25 anni 8 punti di Pil (studi Fmi e Banca dei regolamenti, non l’Università di Cuba) in Italia sono passati dal reddito da lavoro (salari e stipendi) a profitti e rendite. Sono circa 20 miliardi di euro l’anno in meno nelle tasche dei lavoratori a favore inmbuona parte di imprenditori. Le sembra di aver assistito ad un inportante ammodernamento del sistema produttivo nazionale con questa massa di denaro? A me no. Anzi. Grandi imprese come la Fiat invece di puntare su innovazioni di prodotto (prodotto maturo come l’auto) preferiscono puntare sul costo e sulla flessibilizzazione del lavoro. A meno che non si pensi che siano i lavoratori che reinvestono i profitti in attività finanziarie, per fare “soldi coi soldi”, mi pare che questa sia più prerogativa degli imprenditori. Certo, forse non quelli con le pezze al culo, non tutti. Ma che ci sia stata una grande richiesta di flessibilità, anche mentale, per l’offerta di lavoro e si sia invece tralasciata la cultura d’impresa mi pare palese, basta verificare quali debbano essere i requisiti per accedere ad incentivi e benefici vari.
        Le grandi crisi fanno chiudere bravi e meno bravi, ma quanti imprenditori sono capaci di leggere il mercato, si presentano con un prodotto e una organizzazione all’altezza?
        Mi chiede di quantificare, non posso. Ma ad occhio, visto che in Sardegna oltre il 70% delle esportazioni sono da petrolio e derivati (prodotti Saras, tanto per essere chiari) direi che quelli scarsi sono la maggioranza.

      • però bisogna riconoscere che i commercialisti sardi sono bravi. vedere storia del ragionier Ugo che nell’isola è passato a Commercialista e poi a Superpresidente Gran Lup Mann.

  13. Matteo Zizola says:

    Caro Gianluca,
    ti ringrazio infinitamente e ringrazio Vito ulteriormente per la visibilità data alla vicenda mia e della mia compagna.
    Conosco molto bene la figura che racconta Gianluca e ben specificata anche da Alecani.
    Grazie a tutti e complimenti a Gianluca per le sue parole alle quali non c’è da aggiungere altro: sono la verità assoluta, facendo salvi ovviamente i pochi, pochissimi imprenditori seri che fanno seriamente impresa nella nostra isola.

  14. Anonimo says:

    Vorrei aggiungere che questi “falsi ” imprenditori solo di se stessi e non per fare girare l’economia , non devono restare anonimi, evitiamo di dire “siamo in Italia,” evitiamo di dire ” la legge non li punisce” , NO non CI STO ! VANNO INVECE DENUNCIATI, il loro sistema impresa deve diventare Pubblico , non devono lavorare e non devono assumere … Diventiamo tutti aquile e vedrete che il pollo alla fine sarà lui …
    Alziamo la testa fuori dalla sabbia ( anche questa bellissima della Sardegna ) per difendere il lavoro , i lavoratori e gli imprenditori onesti.

    • Sovjet says:

      Sai qual è il problema? Che a volte possono comportarsi così proprio perché la legge lo consente…

    • JEANNE D'ARC says:

      SCUSATE PER ANONIMA … sono JEANNE D’ARC… Una grande aquila francese che non ha mai fatto la gallina o il pollo … preferendo bruciare viva

  15. quante semplificazioni, e quanta malafede!!!

    • O cassau!!!!

    • RobyOneKenoby says:

      Eh certo… semplificazioni e malafede, gli imprenditori son tutti santi, ste cose non le fanno mai… vero?

      E se le fanno è solo per necessità vero? Attendo con ansia le giustificazioni…

  16. ZunkBuster says:

    Se in Italia la giustizia funzionasse, sarebbe già molto ridotto lo spazio operativo di questi “prenditori” più che imprenditori. Se avessimo un sistema che consentisse davvero l’esazione immediata dei crediti certi con decreto ingiuntivo, e non consentisse l’opposizione nei casi in cui essa è manifestamente infondata e dilatoria, il pagamento dei debiti privati sarebbe obbligatorio non meno di quelli con Equitalia. Idem per chi i lavoratori li paga ma li sfrutta, se ci fossero decisioni rapide dei giudici del lavoro che rispettassero la filosofia del diritto del lavoro – ossia il “favor” per i lavoratori – e non fossero affidate a mestieranti della giurisdizione formalisti e convinti di un'”imparzialità” tra lavoratori e datori di lavoro che, salvo quando i primi la fanno davvero grossa, non ha ragion d’essere. Oggi il fisco è diventato più efficiente, e infatti i furbastri di un tempo piangono miseria e strepitano contro la perfida Equitalia dopo che i soldi destinati al pagamento delle imposte se li sono spesi per i SUV o per le vacanze esotiche, non lo è purtroppo la possibilità per i privati di farsi pagare dai privati (ivi compreso lo Stato che, quando agisce come stazione appaltante o come acquirente di forniture, si comporta anche peggio). Forse, se andare dall’avvocato per tutelare i propri diritti non significasse sapere di imbarcarsi in anni di causa che si concluderanno in azioni esecutive infruttuose contro chi sarà già scappato con la cassa o avrà svuotato il conto in banca, bensì ottenere ed eseguire entro massimo una settimana un’ingiunzione non oppugnabile se non per seri e comprovati motivi, torneremmo a una situazione in cui fare l’imprenditore torni fare un mestiere come un altro, sulla base delle proprie inclinazioni e delle proprie capacità, e non mettersi a imbrogliare la gente. Ma occorre una profondissima, radicale, riforma della giustizia, quella civile, non quella penale che tanto sta a cuore a Berlusconi. Non se ne esce: o questo o la rivoluzione, perché il popolo ne ha veramente le scatole piene dei profittatori di ogni genere.

  17. In galera e vediamo se a qualcuno passa questo italico vizio!

  18. simone says:

    È il ritratto preciso dell’ultimo imprenditore presso cui ha lavorato mio padre.
    Oltre tutto quello che hai detto, a mio babbo (che ha 50 anni) aveva promesso anche una qualifica di livello più alto (lui ha solo quella di manovale).
    Dopo un anno, quando è stato licenziato, ovviamente mio padre non ha ricevuto nessuna qualifica, nonostante per tutto l’anno abbia eseguito esclusivamente lavori che andavano oltre la sua.
    AH… quando mio padre è stato licenziato, non si è manco degnato di comunicarglielo.

  19. Anonimo says:

    Non dimenticare gli imprenditori che ti pagano regolarmente, ma dandoti una miseria e pretendendo che tu faccia 10-12 ore al giorno….
    … La cosa peggiore è capitare in ambienti lavorativi dove i colleghi che sostengono questa politica aziendale ti emarginano perché tu fai le tue 8 ore e poi tiri dritta per la tua strada…

  20. Anonimo says:

    naturalmente si sa che quel tipo di imprenditore usa assegnare quei posti di lavoro per brevi periodi ai giovani in cambio di qualche voto da portare al suo partito politico. ne conosco uno che con questo sistema ha rafforzato i numeri dei voti e gli ingressi nelle amministrazioni comunali. le leggi a favore dell’occupazione giovanile altro non sono che vere e proprie truffe ai danni dei lavoratori e della finanza. infatti coloro che non pagano le tasse come tutti sono proprio i grossi imprenditori che si avvalgono di queste leggi. poi le fiamme gialle cercano l’evasione fiscale ai piccoli artigiani. la bella invenzione fu la legge sul precariato e le successive modifiche…mai a favore del dipendente, ma sempre a favore del capitalista. il dramma è che talmente bisogno di lavoro che quasi tutti accettano certe condizioni….

  21. Anonimo says:

    Totalmente esaustivo, non c’è niente da aggiungere.

  22. Acronotau says:

    la Fornero ha considerato, oltre ai ben noti bamboccioni quali noi siamo, la figura imprenditoriale (imprenditoriale?!!) definita da Gianluca per la sua riforma del mercato del lavoro?

  23. Chissà perché ho come l’impressione, nonostante non sia mai stato dipendente di uno di questi farabutti, di riconoscerli chiaramente per strada. Sono quelli che girano col SUV sempre immacolato, che hanno il diritto di precedenza per investitura divina, che piegano il codice della strada ai loro desideri, che ti passano davanti alla cassa del bar nelle ore di punta “tanto siamo in Italia”, che si sono arricchiti esponenzialmente con l’introduzione dell’euro ma che ora se c’è la crisi è colpa dell’euro. Sono quelli che soffrono di allergia ai pollini 12 mesi all’anno (…). E sono sempre figli di qualcuno.

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