Cultura / Sardegna

Caro Mastino, non negare l’evidenza: per te il sardo è una lingua morta. Che l’Università di Sassari vorrebbe insegnare come se fosse il latino

Gentile professor Mastino,
innanzitutto grazie per aver accettato il confronto in uno spazio democratico qual è questo blog; una attenzione che ho voluto ricambiare dando alle tue parole la massima evidenza possibile.

Contro di me hai usato parole molto gravi, accusandomi di “superficialità stupefacente”. E questo perché? Perché ti ho attribuito la dichiarazione “la lingua sarda non esiste”? Sì, è vero, ho sbagliato. Perché in realtà dovevo farti dire: “Il sardo è una lingua morta”. Perché questo è ciò che si evince dalle tue dichiarazioni rese alla stampa (e che non hai smentito). Ed è anche peggio.

Tu non credi alla lingua sarda. O meglio, ci credi come credi al latino: una lingua che esiste, ma che non usa più nessuno. Altrimenti non avresti detto che “petrolio” in sardo non si può dire, né che il sardo non può essere usato per “qualsivoglia argomento”, né che davanti al sardo usato per narrare la contemporaneità chi ascolta proverebbe una sorta di “straniamento” (addirittura la prima delle osservazioni inviate dall’Università di Sassari alla Regione sul Piano Triennale della Lingua: incredibile).

Purtroppo è la realtà a smentirvi. I sardi dicono petrolio in sardo, usano il sardo per parlare di qualunque argomento, perfino per  fare letteratura (Michelangelo Pira ce lo ha insegnato), addirittura per fare informazione. Ho provato a raccontarti l’ultradecennale esperienza di Radio Press, ma tu hai preferito sfoderare il tuo curriculum e dirmi che sai il logudorese (e quindi?) e che “non hai nulla da dimostrare”. E no, caro Mastino, l’Università di Sassari deve invece dimostrare che alla lingua sarda viva ci crede veramente, senza arroccarsi in discussioni scientifiche che tagliano fuori i non accademici.

E’ un vecchio trucco che non funziona più quello di dire che “il problema è complesso”. Qui invece la situazione è molto chiara e la capiscono tutti. Per gli accademici sassaresi la lingua sarda è un grandioso monumento di un passato che lentamente sta scomparendo. E infatti vi siete inizialmente opposti alle lezioni frontali in lingua sarda e, dal vostro punto di vista, avevate anche ragione! Si sono mai viste all’università lezioni di latino in latino? No: basta e avanza usare l’italiano. Ma qui l’obiettivo fissato dalla Regione è quello di affidare alle università il compito di creare docenti di sardo in grado in grado poi di insegnare ai ragazzi la nostra lingua, nella prospettiva di un bilinguismo vero. Che è cosa ben diversa.

Quello del sardo è un problema solo in parte linguistico, ma soprattutto culturale e, in ultima analisi, politico. E quindi non solo gli accademici sono titolati a parlare, ma anche altri hanno il diritto di intervenire e di essere ascoltati. Tu e i tuoi colleghi invece, con una certa dose di arroganza, accusate di Regione di volere imporvi anche il modo di insegnare il sardo. Allora trovatene uno diverso, magari migliore! Ma siamo sicuri che dietro queste osservazioni non si celi ormai solamente il tentativo disperato di nascondere la verità, e cioè che l’Università alla lingua sarda quale lingua viva non ci crede?

E’ questo che vi ha messo alle strette, non certo la Limba Sarda Comuna che avete tirato fuori a sproposito e strumentalmente in una polemica nella quale emerso con chiarezza quanta resistenza facciano le elite accademiche isolane nei confronti della lingua sarda che ambisce a porsi sullo stesso piano di quella italiana. E’ così o no?

Caro Mastino, siamo arrivati al dunque. E adesso, per cortesia, rispondimi senza cambiare argomento.

Cordialmente
Vito Biolchini

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54 Comments

  1. L’unico sollievo nel leggere queste fesserie e sapere che molto presto chi ancora si ostina a parlare in Sardo (80enni semi analfabeti dell’interno) non si saranno più. La Sardegna si spopolerà e il Sardo sarà solo un lontano ricordo… e li vorrò vedere questi giovani sardignoli allevati a Sardo e formaggio andare a comunicare in Europa nella loro lingua preferita! Vergogna! Siete voi la rovina di questa regione disgraziata.

  2. E’ certamente molto chic disquisire sull’utilizzo di una lingua inutile dal chiuso delle vostre torri d’avorio… intanto oggi la disoccupazione giovanile è salita sopra il 40%. In effetti vista l’inutilià totale dell’Università di Sassari sarebbe giusto che si parlasse solo in Sardo così da farla apparire completamente inutile anche agli occhi di chi non la frequenta.

  3. Adesso l’università di Sassari dovrebbe parlare Sardo!?! Non basta che qualche invasato abbia recentemente incasinato google maps indicando il Sardo come lingua principale? Ma basta! Evolvetevi!

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  6. centu po centu de acordiu cun custas cunsideratzionis!

  7. Sara Argiolas says:

    Per dare un contributo diverso alla discussione vorrei proporre l’intervento di Gavino Chessa, già pubblicato su Il Manifesto sardo. Spiega molto bene, secondo me, il perché di certi interventi così carichi di livore e di violenza verbale. Io penso che dietro la facciata, ossia la proclamata difesa della lingua sarda (quale lingua, poi? il logudorese, il campidanese, il sassarese, il gallurese) e del popolo sardo (quale popolo, poi? i parlanti italiano, logudorese, campidanese, sassarese, gallurese?), ci siano motivi ben più concreti, più terra terra e forse meno nobili. La vera paura, infatti, è quella di perdere le proprie rendite di posizione, le nicchie di privilegio e di potere, e con esse visibilità (da spendere politicamente) e tanti finanziamenti per case editrici, fondazioni e istituti. Può essere che la
    posizione assunta dall’Università di Sassari interrompa di fatto questo circuito virtuoso? Ai politici l’ardua sentenza:

    “Da quando intorno alla questione della lingua hanno cominciato a girare un po’ di soldi si è verificata la saldatura tra etnofascismo ed etnobusiness. E’ una storia triste, ormai ben nota in Sardegna come altrove: una piccola casta di professionisti della lingua (che partono dalla posizione di forza di una militanza “urlata”, che offre visibilità e legittimità in certi ambienti politici codardi) diventano i “padroni della lingua”, e più il modello di lingua è artificiale e autoreferenziale, e pertanto lontano dall’uso parlato, tanto più è gestibile in proprio e, una volta assunto dalle istituzioni, al sicuro dalla “concorrenza”. Il tutto in nome della tutela dei patrimoni linguistici tradizionali, che vengono invece distrutti, come è stato scritto, in nome di questa “limba bodia, chene istoria, chene sambene, chentza bida chi sun fravicande commo in carchi sostre”, e la cui imposizione non fa che riprodurre gli errori e gli orrori che a torto o a ragione vengono imputati al centralismo italiano. Il dissenso sassarese è espressione della società civile sarda, quella veramente civile, nella quale per secoli lingue e dialetti diversi hanno convissuto armoniosamente. Al di là di ogni considerazione sulle priorità della Sardegna, sottoscrivo l’appello per il riconoscimento di un multilinguismo democratico come base indispensabile per una politica linguistica veramente aggiornata sull’isola. Il nesso una limba = una natzione appartiene a una minoranza che di sardo sembra ormai conservare soltanto l’affezione all’orbace… e ai dividendi di una legge nazionale reazionaria nell’impostazione e nelle applicazioni. Si faccia azione politica e culturale, e soprattutto si faccia informazione sulle alternative che si possono e si debbono opporre al monolinguismo etnicista: i modelli ci sono, ma soprattutto è la società sarda che deve saperne elaborare di nuovi, senza scimmiottare le esperienze fallimentari di altri. Una conferenza programmatica, un coordinamento regionale tra gli indignados e un’opportuna pressione sulle forze più aperte del panorama politico sembrano al momento gli strumenti più idonei.”

    • Mi astengo dall’entrare in merito alla questione. Posso solo dire che quando qualcuno utilizza il termine “colonialismo” in riferimento alla storia della Sardegna mi viene l’orticaria. A tal proposito io, personalmente, ci andrei con i piedi di piombo. Detto ciò, il parere di Chessa è per me il più calzante sotto ogni punto di vista. Adiosu

  8. Nei giorni scorsi credevamo che, a proposito dei corsi di formazione in sardo, nella UniSS ci fosse una disponibilità al dialogo e al chiarimento sui punti salienti della contesa. E, soprattutto, la volontà di andare avanti, nel rispetto di quanto chiesto alla UniSS dalla Regione Sarda, per il bene della nostra lingua.

    Ma invano. A leggere la risposta data dal Rettore Mastino a Vito Biolchini, ormai assistiamo solo ad affermazioni perentorie, a una vera e propria offensiva contro la lingua sarda ufficiale e moderna. La Commissione è evidentemente formata da soli linguisti che conducono una battaglia politico-ideologica. E, così, l’Ateneo sassarese corre il pericolo di trasformarsi, suo malgrado, nel baluardo oggettivo della italianità nell’Università sarda.

    Anche se dobbiamo ammettere che è ammirevole che, in questo blog, il Rettore Mastino si esponga pubblicamente a difendere l’indifendibile. Diversamente da chi, vicino a lui, imperversando tra i vari siti, ricorre ai più stravaganti pseudonimi, per lanciare accuse, calunnie, seminare discredito e, soprattutto, aizzare le varietà locali del sardo contro una qualsiasi legittima norma di riferimento scritto (che si tratti di Lsu, Lsm; Lsc o altro ancora) o le minoranze linguistiche della Sardegna contro il sardo.

    È ormai chiara la volontà demolitrice, disfattista, dei documenti prodotti dalla UniSS, quando si scrive che“”nessuna varietà, naturale o artificiale, dovrebbe essere considerata come la varietà di riferimento della lingua sarda, rispetto alla quale le altre varietà diverrebbero ipso facto dei dialetti”.
    Con queste affermazioni, si vuole alimentare (ormai scopertamente) l’idea che non sia possibile la complementarietà tra le varietà locali e una norma scritta, né giusto né desiderabile avere una norma di riferimento. Quasi che in tutte le lingue la norma scritta non sia, semmai, un salvagente per le singole varietà interne e uno strumento di interrelazione di una vasta e multiforme comunità di parlanti.

    Detto in parole più chiare, si vuole togliere al sardo qualsiasi possibilità di avere un riferimento scritto per pubblicare documenti, lezioni, avvisi, regolamenti, con un minimo di univocità, universalità, ufficialità. Nella pervicace volontà di voler ostacolare o impedire (ora dentro l’Università) la coufficialità sardo-italiano che ci consente la legge, le posizioni di UniSS contrappongono al sardo stesso, i suoi più di 300 dialetti. Inutilmente, perché sappiamo e diciamo tutti (da anni, in tutti i seminari, i convegni) che tra varietà e norma di riferimento non c’è opposizione ma complementarietà assoluta, in sardo come in tutte le lingue, comprese quelle internazionali.

    È sospetta questa volontà furiosa di voler ostacolare il processo di rafforzamento del sardo.
    Finalmente è venuto alla luce con tutta chiarezza che UniSS (o la Commissione, o solo una parte?) non è contraria solo a una proposta concreta di norma scritta (LSU, LSM, LSC, ecc.), ma alla possibilità/utilità stessa di avere una norma scritta di riferimento. Non sono le singole proposte di norma scritta che UniSS abborrisce ma l’idea stessa di una norma.
    UniSS ormai, per bocca del suo Rettore, è entrata a far parte di quella cerchia di “amici” della lingua sarda, che combatte contro qualsiasi proposta di norma scritta perchè è semplicemente contraria al fatto che il sardo abbia una norma e possa godere di ufficialità.

    Inoltre, il documento del Rettore e della Commissione di Ateneo vuole opporre gallurese, tabarchino, algherese, sassarese al sardo, facendo credere che il sardo sia il loro nemico. Quando invece sanno tutti che, semmai, è l’italiano che mette tutti in difficoltà e pericolo.

    Contorti ma logici alla UniSS! E nascondono la loro sostanziale negatività verso il sardo ufficiale dietro una supposta “decisione democratica dei parlanti”.

    Ma a noi non serve solo contemplare la lingua, studiarla al microscopio, come sono capaci di fare loro, ma usarla, farla funzionare, in tutti gli ambiti e usi, come fanno le altre lingue.
    È questo che loro non vogliono o non vogliono capire. Il Rettore chiede “Dove vogliamo arrivare: a insegnare “la” lingua minoritaria, o “in” lingua minoritaria (che sono due cose ben diverse)?”.

    L’uno e l’altro, certo. Si vogliono entrambe le cose. Non io, non noi, ma il Piano Triennale, la Giunta, l’Assessorato PI, l’Osservatorio.

    Vorrebbero bloccare, all’Ateneo sassarese, un processo di rafforzamento del sardo che è in atto da tempo. Ma sono in ritardo di 20 anni. È chi li ha mai visti questi i docenti della Commissione de Ateneo interessarsi di standardizzazione, traduttologia, tradumatica, didattica delle lingue, terminologia, politica e pianificazione linguistica? Chi li ha mai visti interloquire, proporre? Mai, sono stati sempre zitti, intenti solo a scalare i gradini dell’Università.

    Lo fanno proprio adesso che gli è arrivato il fuoco sotto i piedi, adesso che la Regione dice loro “fate o non fate la formazione in sardo che noi vogliamo?”. Ora che centinaia di giovani chiedono il sardo all’Università, ora che la società e il territorio vuole dall’Università imparare il sardo e in sardo e che essa sia base di riferimento, centro di ricerca e elaborazione, per il trattamento moderno del sardo come lingua ufficiale.

    Tolti dai loro studi critici sul sardo e sulla letteratura sarda, dalle pur utili ricerche infinite sui particolari più minuti della lingua, per alimentare le pubblicazioni che giustifichino la loro carriera, non sembrano disposti a fare. E invece attaccano a testa bassa quel poco o molto di politica linguistica che ha la Regione, da Soru in qua.
    Loro non fanno e non vogliono che gli altri facciano. Sanno solo ironizzare sui “soliti studiosi che si autocertificano, convinti di essere i demiurgi della lingua”.

    In ogni caso, lo ripeto, orientare l’attenzione della gente contro la LSC è una manovra diversiva per nascondere la loro reale incapacità ad assolvere correttamente e scientificamente a quanto il Piano triennale chiede, perché in sardo non sanno o non vogliono insegnare.

    Altrove, dove la posta in gioco è l’ufficialità e lo sviluppo di una lingua, questo genere di posizioni e di docenti non avrebbe certo un ruolo così importante, a danno della lingua propria, e l’Università sarebbe orgogliosa di contribuire a rafforzare la politica linguistica dei Governi, non di ostacolarla. Ma questa è un’altra pagina che dovremmo aprire a breve.

  9. Damiana says:

    Rispondo a Giovanni. Carissimo Giovanni, è vero ho usato termini ed espressioni pesanti, ma non sono affatto separatista, l’appo fattu pro faghere un’analisi de comente su populu sardu esta arrividu a coment’est como. Donzi populu at un’istoria sua e medas sunt sas resones de comente sighint sos protzessos chi nos ant batidu a essere su chi semos como.
    Ma cando si cuant custas resones non si acatant sas solutziones pro proare a mudare. Deo no apo faeddadu nemmancu de LSC, donzi pessone diat devere faeddare su sardu che connoschet e lis agradat. E cando intendo zente chi narat chi non cumprendet ateras variantes de su sardu etotu mi che paret de aberu una cosa fora dae su mundu. B’at paga oza de si che intendere impare. Comente si cumprendiant a innanti de s’italianu? Como apo scritu in su sardu chi eo connosco e so segura chi tue si t’as a impignare as a cumprendere totu. Su sambene mi che pigat a conca cando intendo zente chi non connoschet s’istoria nostra. Tzertu chi poi,e custu l’apo nadu in s’ateru interventu, sos males de s’isula nostra sunt sas cusseguentzias de sos isseberos nostros etotu. Ma proite???? Est custu su chi apo proadu a ispiegare…e apo aciopadu una resone ebìa….sa politica culturale de s’Italia e cussa comente cusseguentzia de sa”classe dirigente” minore minore nostra est istada su problema mannu. No bisonzat de essere separatistas pro connoschere s’istoria! Si tue e ateros no lu cumprendides non d’apo culpa deo! Ma in cale che siat tzitade si nche ant a ponnere comente monumentu mannu cussu de unu sanguinariu comente est istadu CARLO fELICE, chi in Sardigna giamaiant CARLO FEROCE , in sa bia printzipale?!. Custu no est unu sintomo de assogettamento culturale intotu? Proite sos sardos sunt gai cumplessados, pro sa limba puru non bos lo sezis dimandadu? A bia sos simbolos podent faghere pius de unu annu de legisladura pro mudare sa conca de sa zente e sa limba est una cosa importante meda pro nos faghere intendere parte de unu populu che cheret mezorare. Custos non sunt discursos pro essere separatistas ma pro faghere calesisiat cosa pro a nois e pro mezorare custa terra nostra. S’istoria devet insinzare. Saludos

  10. Nicola Cantalupo says:

    E’ davvero difficile seguire tutto il dibattito mentre si è impegnati ad utilizzare il sardo e a dargli strumenti per la sua sopravvivenza. Ma un punto mi è chiaro: la strategia adottata qui come altrove.

    Da un lato l’Università di Sassari ultima erede di coloro che non applicano ciò che sono tenuti ad applicare, e sulla base di critiche a ciò che non c’entra nulla (piano triennale nuovo per il vecchio) persegue la politica che gli interessa: condannare il sardo all’estinzione per esserne padroni e depositari (cercando di evitare la pubblicità di questi giorni) e drenare qualsiasi fondo possibile sul capitolo “sardo”

    Dall’altro gli amici dell’Università di Sassari e delle varie accademie dalle quali aspettano di drenare le briciole, che deviano il discorso per proteggere i loro protettori, spostandolo su LSC, mancanza di mutua intelleggibilità dei sardi, la “x”, i crampi del campidano idealizzato, insomma il tipico repertorio dialettal-popolare alimentato a suo tempo da un’accademia che agiva incontrastata sul popolo sardo ignorante o colluso.

    I parlanti invece stanno diventando consapevoli, e inoghe puru m’ais cumpresu, e so narende.ddu a is amigos beros de su sardu chi so leghende, vogliono orientare le scelte linguistiche e non subirle come un organismo inconsapevole che viene studiato e sezionato dai nostri eroi universitari. I veri depositari e i veri attori politici siamo noi che la usiamo la lingua, e coloro che la vogliono usare, liberi di scegliere il proprio destino senza che questo sia predeterminato (ammentamus su disconnotu) o regolamentato (sena maeres) da baroni e baronetti.

    Ed è tutta questione politica, attenzione.

  11. gabriele ainis says:

    Mentre approvo pienamente il commento di Michele Pinna, disapprovo in pieno l’intervento della docente Lavinio che, volendo tirare la volata al collega, infila una serie di affermazioni fuori tono, affermando che lui sia stato soggetto ad “attacchi beceri e offensivi”. Come dire buttiamola in caciara. La questione purtroppo è di fondo. Son anni che lasciata l’isola, ogni volta che mi ritrovo a Caselle in partenza, mi pongo l’arcano: tornerò e potrò parlare liberamente nel mio dialetto per esprimere idee, pensieri profondi, che solo una volontà di popolo e di fede può darci? Ma già quando sono in volo ho deliberato che non sarà possibile, il mio stampacino lo potrò usare solo per gli scherzi tra vecchi compagni o loro alla mie lamentele per i cefali non pescati. Magra consolazione, diremmo. Le università dovrebbero esser l’avanguardia del popolo, e invece troviamo al suo interno degli schizzinosi, di preparazione sociologica (prima guardare poi giudicare), i quali al medesimo tempo si trovano ad operare per quello che sarà il nostro futuro linguistico. Ma se non ora quando?

  12. S’unica cosa sigura (e chentza iscolas no podeus nai a nemus ca no scit iscrii o chistionai su sardu) est ca is sardus funt nemigus de issus etotu, lingint beni beni su strangiu e si bocint pari pari. De innoi non di besseus. S’opportunismu no est de siguru una nosta virtudi, chinunca, de su 1999 a oj de istrada ndi iaus potziu fai meda de prus. Intamis seus sempri circhendi de sciusciai cussu chi is atrus ndi pesant.
    A pitzu de su sardu, de sa chistioni de sa limba sarda, pagus circant de fai s’interessu de sa Sardigna, de sa limba, de sa cultura e de su populu sardu. No est possibili cetai, chentza fini, po catzadas, o mancai no, ma fatufatu po chistionis chi iant a podi intrai in su dibatimentu candu sa limba sarda iat a essi giai in sicuresa e tutelada giuridicamenti e economicamenti… e po custu, sigomenti no seus meris in domu nosta, tocat a fai fatza bella a leis istrangias, scidendi ca sa sustantzia est atra.
    A chi mi narat ca sa limba sarda est morta, potzu arrispundi, “ma anca tiau bivis”, in Costa Smeralda (urgit poni torra su toponimu originali)?
    Si andat anantis de annus cun is solitas lareddias… Po sa beridadi pentzau chi certas osservatzionis fessint patrimoniu feti de illiteraus: “petroliu” in sardu? e ita ddi obeis nai? … e “ananas” insaras, peus ancora, non ci podeus poni mancu sa u…
    Ma poita depeus sempri inventai dificultadis po su sardu… Andat beni ca s’italianu est lingua “dotta” (de is mius cambalis!), issus tenint una tradutzioni logica po tutu: “li ranchi” ddi naranti “gli aranci”, “malu entu” ddi narant “mal di ventre”, faint a sonu… e ddu scideus comenti funt andadas is cosas, cinqui seculus de chistionis… obeus augurai a su sardu sa stessa cosa?
    Deu candu fueddu e chistionu in limba mama, est SARDU, no est campidanesu, logudoresu, limba de mesania o nuoresu… totu bellas variedadis, ma est SARDU e sempri apu fueddau cun sa variedadi mia cun genti de cab’ ‘e susu, e eus fueddau in SARDU, chentza particulari dificultadi… ndi iat a teni de prus unu calabresu a cumprendi unu lumbardu, po mod’ ‘e nai…
    No esistint limbas de serie A e de serie B, e custu genti istudiada dd iat a depi sciri… e puru ca sa limba dda faint is fueddaroris, ma non si poit ghettai a mari totu su traballu de custus annus, serbit un ordini minimu, no mi parrit de ai mai intendiu ca sa LSC siat sa panacea, est parou s’unicu passu cuncretu fatu fintas a immoi po si presentai a foras puru… Deu seu po tutelai totu su lessicu e sa grammatica carateritzanti ogna varianti principali, comenti a richesa de sa limba e no debilesa, ma serbit unu minimu de regulas e sa codifica insoru, beni scidenti ca su processu limbisticu no si frimat mai e ca is variantis istoricas funt destinadas a si cuntaminai cun s’atzioni de is fueddadoris, po custu una cosa est su studiu istoricu de is variantis, atra cosa est sa limba bia; su tempus at a cambiai is regulas, su sbagliu de no fai est de firmai s’andala ufitziali e fai dannus a sa limba, lassendidda chentza istrumentus po s’imparu in sa scola comenti in sa sotziedadi.
    In pagus fueddus si podit discuti, ma lassaus movi chi est traballendi po sa limba sarda de doxi annus e si permitit de essi rappresentaus in foras puru… Chentza dinai nemus podit fai nudda: is pipius no podint imparai, is mannus no si podint perfetzionai e sighendi a nai, poita una limba no importat feti a dda chistionai, ma a dda sciri iscrii puru e possibilmenti a ndi conosci sa istoria e is regulas grammaticalis.
    Si pigant puru detzisionis de “buon senso”, non est chi tochit a fai unu referendum po totu, s’unicu iscopu depit essi su profetu de su sardu, intamis ddi faint meda mabi certas positzionis chi no c’intrant cun su sardu e morigant feti sa fundurulla.
    Deu mi pongiu sempri in sa positzioni de depi imparai de totus. Nemus depit pentzai de no depi teni prus nudda de imparai e de depi feti imparai a is atrus.

  13. michele pinna says:

    Ho letto con attenzione le considerazioni del Magnifico Rettore dell’Università turritana, così come ho letto le “interpretazioni critiche” opposte dalla commissione di scienziati, ivi costituitasi, alla RAS in ordine al Piano Triennale 2008-2010. Ognuno, è verò, dunque, anche l’Università di Sassari ed il suo Magnifico Rettore è libero di pensarla, sul sardo e su altro, a modo suo. Questo ci hanno detto in vari modi e questo continuano a fare nella pratica. Loro la pensano a modo loro (e va bene) ma gli altri sbagliano in qualunque modo la pensino, che sia diverso dal loro. Non potendo far coincidere il loro pensiero con quanto un ente di commitenza come la RAS chiede loro (questa è la realtà dei fatti) chiedono alla realtà di negare sè stessa per aderire al loro pensiero (la scienza). Sono vecchie storie.
    Ricordate il Cardinale Bellermino che chiedeva a Galileo di rinunciare a ciò che aveva visto con il suo strumento diabolico (il Cannone occhiale) perchè quei fatti mettevano in discussione quanto vi era scitto nella Bibbia? Galileo molto semplicemente rispose che la Chiesa non era obbligata a rinunciare a ciò che c’era scritto nelle Sacre scritture ma che non impedisse a lui di professare i fatti che i suoi occhi avevano visto con l’ausilio della tecnica. Si trattava di due verità incommensurabili. Di un parallelismo destinato a non incontrarsi mai, i cui contenuti si ponevano, però, come entrambi veri ma dentro sistemi di rifrimento diversi. Uno, quello della fantasia biblica, l’altro, quello della fattualità scientifica. La discussione mi pare la stessa. Se l’università di Sassari non cambia il suo sistema di riferimento o se non lo cambia la RAS le due verità sono destinate a restare incommensurabili e incomunicabili.
    Se io fossi la RAS, certo, continurei a stare dentro il sitema di riferimento scelto a suo tempo con un’aggiunta: nei bandi del futuro non porrei l’Università dello Stato italiano come l’unico soggetto di riferimento per la formazione di docenti e di quant’altro. Dopo la modifica del titolo V della Cosituzione, in virtù dei poteri concorrenti delle regioni, non c’è alcun obbligo che questo accada. Nel senso che la RAS può concorrere, con fondi propri a sviluppare linee di politica culturale, ed in questo caso linguistica, di ricerca e di formazione, anche in maniera indipendente dallo Stato servendosi, anche di enti pubblici e privati diversi dall’Università, o addiritura costituendone in proprio. Chi potrebbe impedire, per esempio, alla RAS di dar vita alla Università della Sardegna?
    Pensate se si giungerà, come credo che si giungerà ad un azzeramento del valore legale dei titoli di studio, cosa farà l’Università dello Stato? Del resto l’Università, dello Stato, non è un ente strumentale ne dipendente dalla RAS, per quanto a piene mani ne attinga, talvolta, se non spesso, inspiegabilmente, i finanziamenti. E la Regione dovrà valutare soltanto le proposte attinenti alle sue richieste, da chiunque provengano, e siano in grado di rispondervi. L’università dello Stato, al pari di altri, nel caso, la sua capacità di fare formazione di sardo e in sardo (se questa è la richiesta) dovrebbe mostrarla sul campo e non per diritto divino. Le rendite di posizione e le caste, per quanto, ancora, resistano, dovrebbero considerarsi finite, per tutti ed ovunque. Anche all’Università di Sassari. Altro che salire sui tetti per chiedere fondi, fondi, e ancora fondi, per essere poi agli ultimi posti nella ricerca. (purtroppo lo leggiamo sui giornali senza smentite) Sui tetti potremmo salirci tutti anche per chiedere che certi giovinotti in carriera, che giocano a fare i baroni, se sono pagati per fare gli scienziati, lo facciano sul serio. Almeno quando per questo sono pagati con il danaro di tutti. Questa è l’unica verità che mi sento di sostenere. Poi, per il resto, ognuno è libero di continuare, sul sardo e sul resto, a pensarla come crede. Il mondo, del resto, è bello perchè è vario.
    Sono d’accordo quando il M.R. dell ‘Università di Sassari sostiene che nessuno, oggi, è in grado di dare patenti di competenza linguistica in sardo, neanche coloro che il sardo l’hanno succhiato dai capezzoli della mamma. Ma chiedo, sommessamente, al M.R. chi potrebbe dare queste patenti? Qualche docente venuto da fuori, pur esperto di Tabarchino, (a proposito qual è la commissione che l’ha riconosciuto come esperto) o qualcun altro che si rifiuta di usare il sardo come lingua veicolare, con mille pretestuosità, ma in realtà perchè non lo sa?
    Sono d’ accordo che un glottologo italiano, o uno che insegna linguistica generale, o linguistica applicata (a cosa non si sa) o un filologo romanzo non parli in sardo, in bonese o in casteddaiu, o non sia esperto di pragmatica della comunicazione, di pianificazione linguistica, di geografia delle lingue o di geografia culturale, ma che diamine! Si può mica sapere tutto? (Qualcuno di questi docenti, però, se deve avere dei soldini dalla RAS per svolgere dei corsi di sardo in Romania o in Germania autocertifica di essere di madre lingua sarda. Magari li parla in latino spacciandolo per sardo. Tanto visto che il sardo è, anche, una lingua neolatina è la matessi cosa.)
    La lingua non è solo una questione filologica o glottologica ed allora perchè questa commissione, verbi gratzia, non è stata aperta anche ad altre competenze? Perchè i glottologi e i filologi dovrebbero continuare ad essere i detentori esclusivi del potere linguistico accademico e, se li lasci fare, anche extra accademico? La lingua è di chi la parla, in primo luogo. Le leggi di tutela, internazionali, nazionali e regionali, sono a favore dei parlanti e degli scriventi nelle lingue minoritarie. Non a tutela delle lingue ufficiali degli Stati che già sono tutelate dal loro prestigio e dal loro uso diffuso, per legge, anche nelle istituzioni. E nel caso i danari, l’Università di Stato, se li faccia dare da quegli Stati di cui usano le lingue come veicolo di scienza e di coscienza.
    Che dire: mi sarebbe piaciuto condividere le linee di politica linguistica dell’Università di Sassari, come in passato ho condiviso altre linee di politica edilizia e logistica e che, come amministratore comunale, ho fattivamente sostenuto e per le quali mi sono speso. Ma il terreno della discussione oggi proposto non può che trovarmi in disaccordo. Ed anzi mi spenderò per organizzare un grande movimento d’opinione contro idee non condivisibili e contro idee che non hanno alcuna valenza né scientifica né politica né morale.

  14. e basta con le polemiche ,parla il curriculum del rettore mastino, l’importante e smentire cio’ che si e detto poco prima, in italia si governa cosi giusto?!

  15. Giovanni says:

    Chiedo scusa per l’intromissione, ma credo che il delirio separatista della signora Damiana provochi i brividi per la violenza dei termini e dei contenuti che sono pari solo alla generica vuotezza.
    Consiglio alla signora, previa sedazione, di rifugiarsi nell’Isola di Mal di Ventre che si avvia a divenire Stato. Là potrebbe chiedere al Presidente Doddore Meloni che le venga assegnata una provincia e la potrebbe governare come più le piace, magari a targhe alterne con Meloni. Nel frattempo potrebbe dichiararsi prigioniera politica dell’Italia e chiedere i danni allo Stato.
    Devo ammettere che concordo con la signora Damiana su vari aspetti (la pastorizia diventata chimica, la svendita delle coste e varie altre disgrazie isolane). Ma non dimentichi, la signora, che tutte queste schifezze sono autoctone e perfino etniche. I sardi si sono autodeterminati da tempo e hanno scelto di distruggere la Sardegna e le sue risorse. Questa è stata la loro scelta. E lei è nata troppo tardi. Oppure è, come sempre, colpa degli spagnoli, dei Savoia, dei piemontesi, degli italiani?
    Damiana potrà continuare il piagnucolio nel suo esilio insieme a Doddore e lanciare i suoi insulti, tipo “tontusu”, al vento. Intanto quelli come me che il sardo lo parlano e lo sanno scrivere in modo credibile e senza bisogno dell’imposizione fascistoide di una lingua comune che essite solo scritta, incomprensibile e che nessuno parlerà mai.
    Rude e fiera Damiana, non ci siamo.

  16. Non è sparito, semplicemente non l’ho pubblicato perché si capiva che era interrotto a metà e che per sbaglio era stato comunque postato. E infatti questo tuo intervento è molto più lungo e articolato.
    Ciao
    Vito

  17. mario carboni says:

    La questione non è il Magnifico, che fa il parafulmine della situazione, ma il gruppetto della Commissione lingua che lancia il sasso e nasconde la mano. Il Magnifico li difende e ci mette la faccia. Alcuni sono italiani. Cioè non di nazionalità sarda. Per non aprire a equivoci, sono e sono stati migliaia gli italiani che sono venuti ad abitare, a lavorare, a insegnare in Sardegna ad amare la nostra terra anche più di noi sardi e che hanno contribuito e continuano a contribuire al nostro progresso e spesso contrastando assieme a noi e a volte più di noi il colonialismo che ancora ci opprime. Hanno spesso messo su famiglia e aziende o esercitato professioni e insegnamenti, anche le più umili, divenendo sardi come noi e arricchendo la nostra vita sociale e la nostra nazione.Il colonialismo linguistico è proprio l’espressione più alta del colonialismo politico ed economico. Allora se c’è il colonialismo esistono anche i colonialisti. Ebbene, leggendo degli scritti di alcuni di questi professori sbarcati in Sardegna e valutando le loro posizioni di politica linguistica, cioè esclusivamente politiche anche se paludate da autoaffermata scientificità, non si può forse dire che siano posizioni classiche da colonialisti linguistici ?. E’ purtroppo ancora attuale il classico refrain “benian sentza caltzones, torraian gallonados.. ” Dietro una scientificità tutta da dimostrare emergono virulente e antiche posizioni politiche contrarie al sardo e alle lingue di minoranza come invece stabilito dalle linee che impegnano lo Stato italiano al rispetto della Convenzione internazionale sulle minoranze nazionali sottoscritta col Consiglio d’Europa.
    Essendo l’Università di Sassari competenza esclusiva dello Stato italiano e non regionale, credo che sia il caso di rappresentare al Consiglio d’Europa la violazione del Trattato da parte dell’Università di Sassari, per le posizioni discriminatorie assunte verso la lingua sarda che programmerebbero l’insegnamento non veicolare nei corsi per insegnanti in lingua sarda, e per conoscenza ai Ministeri dell’Università e dell’Interno. Il Ministero dell’Interno, a nome del Governo, infatti ogni anno invia una relazione sull’applicazione del Trattato che in dica i sardi come minoranza nazionale da tutelare con precisione. Una osservazione inviata da Su comitadu pro sa limba sarda ha già causato una rettifica di un precedente rapporto goverrnativo con la puntuale presa in considerazione dal Ministero che ha corretto e rinviato il rapporto. Invito questi professori a leggere o rileggere i punti del trattato riguardanti l’insegnamento delle lingue di minoranze nazionali tutelate. Inoltre per entrare nella discussione mi sembra di ricordare che ci sia stato un accordo con la Regione affinchè una commissione paritetica riformulasse un progetto. Allora perchè pubblicare il vecchio piano ( che poi è un indice incompleto ) e difenderlo a spada tratta? Perchè riconfermarlo nei principi compreso il rifiuto dell’uso veicolare nei corsi e la ghettizzazione nei laboratori? Ma nell’intervista a Pillonca il Rettore non ha affermato che avrebbero insegnato il sardo veicolare al 50% come richiesto dal Piano triennale? Non mi sembra che abbia smentito l’intervista. Leggo sopratutto in internet dichiarazioni contradditorie. Probabilmente i professori, questi veramente nazionalisti italiani talebani, compreso qualcuno con cognome sardo, sembrano irriducibili e con atteggiamento politico contrario al sardo veicolare avranno protestato contro il Rettore che ha cercato inizialmente una mediazione e una ragionevole marcia indietro. Questo gruppo di professori, per essere più chiaro e per non entrare in campi che non sono miei, fanno politica, solo politica. Cosa più che legittima ma allora non tirino in ballo le “prerogrative” universitarie, ricerca o autonomia, entrinio nella discussione politica e politicamente si confrontino. E’ chiaro che quando la lingua asccende confronti così aspri è perchè in ballo è la principale querstione politica cioè la sovranità della Sardegna, il nuovo Statuto e la prospettiva generale dei sardi, della Natzione sarda di entrare nel futuro con più libertà e da sardi coscienti della propria identità distinta. Ma lanciano il sasso e nascondono la mano. Ed è la politica tradizionale e ben conosciuta dagli anni ’70 contro la lingua sarda e il bilinguismo che invece è l’obiettivo del movimento linguistico sardo.Come tutti spero che nel prossimo piano con l’introduzione anche a Sassari e non solo a Cagliari che già lo fa, dell’insegnamento veicolare e frontale nei corsi e non solo nei laboratori almeno a 50% , almeno tolgano i 10.000 euro per il caffè ! Questa è la questione. Risolta questa risolto tutto. Le altre argomentazioni sono fuffa, argumentos de malos pagadores. Per quanto riguarda il nuovo Statuto un suggerimento al Rettore …si lu potzu tocai.. Riservare alla Regione un posto nel Consiglio d’Amministrazione. Del resto la Regione è ormai uno dei maggiori finanziatori oltre allo Stato centrale e centralista del quale l’Università dipende.
    A chi si nasconde dietro il muretto a secco del pseudonimo, anche se è una tradizione delle discussioni in internet e quindi generalmente accettata, dico che forse sarebbe il caso di presentarsi con nome e cognome e prendersi ognuno la responsabilità delle proprie idee con un confronto aperto, democratico e rispettoso delle altrui opinioni.

  18. Cristina Lavinio says:

    Caro Vito,
    non so se il messaggio che stavo scrivendo sia già partito per errore, ma è sparito. Comunque, ripeto. Dicevo che mi dispiace che tu abbia questa volta davvero “toppato”: rispondi in modo sconclusionato alle serissime considerazioni sopra postate dal rettore dell’Università di Sassari, cui mi sento di aderire totalmente. I colleghi sassaresi, fin dall’inizio, hanno posto la questione in modo molto serio e corretto, facendo il loro dovere di esperti che non si arroccano come dici su posizioni scientifiche incomprensibili. Hanno esposto le loro considerazioni sacrosante e scientificamente fondate in merito all’ultimo Piano triennale per la lingua sarda (le hai lette e hai letto il Piano? per capire tutto bisogna avere avuto questa doverosa pazienza) e non meritano gli attacchi beceri e offensivi di cui sono stati fatti oggetto da persone che ormai, anzichè documentarsi e prima di tutto cercare di capire, preferiscono parlare a vanvera ed esprimere sui blog la prima opinione non richiesta che capiti di avere a portata di mano.
    E vorrei fare, a tutti questi opinionisti, una domanda piccola piccola: contano più le lingue o i parlanti? in questo caso, conta più preoccuparsi di insegnare agli insegnanti a fare lezione in sardo in tutte le materie oppure conta che i ragazzi a scuola capiscano e imparino davvero quelle materie? conta più risalire le classifiche internazionali che vedono i ragazzi italiani, e quelli sardi in particolare, agli ultimi posti quanto a conoscenze matematiche e scientifiche, quanto a capacità di leggere e capire ciò che leggono, oppure incapponirsi sulle lezioni in limba? siamo sicuri che fare lezione in sardo (magari in un sardo mal masticato dagli insegnanti e sicuramente poco e male capito da moltissimi allievi: si vedano i dati delle indagini sociolinguistiche del 2007…) aiuti davvero a raggiungere l’obiettivo di imparare meglio la matematica, la fisica, la chimica, o anche la storia la geografia ecc.? E siamo sicuri che, anche se facessimo migliaia di libri di testo bellissimi scritti in sardo, sarebbe davvero più facile leggerli e capirli per gli alunni sardi della scuola in Sardegna? vogliamo essere un po’ seri e confessare, tutti, la fatica che facciamo e il maggior tempo che impieghiamo quando leggiamo interventi scritti in una qualche varietà di sardo o in LSC comparsi su questo e altri blog analoghi?
    Ancora nessuno si è posto queste domande. Vi prego di farvele molto seriamente. E vi prego, prima di parlare di “corsi CLIL in lingua materna” , come ho letto in certi documenti ufficiali, e dimostrando così di non sapere davvero cosa siano i corsi CLIL, di rendervi conto del paradosso. La lingua materna è quella che si impara per prima, e in Sardegna, per la maggior parte dei ragazzi che frequentano le nostre scuole, non è più una qualche varietà di lingua locale, ma l’italiano (per quanto regionale). Bisogna prenderne atto, altro che confondere i desideri con la realtà e scambiare per “lingua materna” quella che non lo è. E ci si dovrebbe chiedere seriamente come, semmai, fare riscoprire a scuola la ricchezza delle parlate locali, far venire voglia ai ragazzi di usarle senza vergorgnarse. Senza correre il rischio di farle sentire ancora più estranee usandole come veicolo di materie scolastiche varie, la cui difficoltà oggettiva rischia di cumularsi a quella della lingua non ben conosciuta con cui siano insegnate. Come accade ai corsi CLIL anche quando siano fatti in inglese .
    Perciò, se è giusto chiedere alle Università in Sardegna di occuparsi della formazione di insegnanti attrezzarti a muoversi sapientemente e consapevolmente nella grande varietà delle parlate locali o di altre lingue portate a scuola dagli alunni, non è giusto indicare drasticamente nelle lezioni da farsi in sardo la soluzione dei problemi di salvaguardia e tutela del sardo. In certi casi (tutti da sperimentare, monitorare e valutare) la cosa potrebbe funzionare, in altri molto meno e potrebbe essere addirittura controproducente.
    Cristina Lavinio

    • Cara Cristina, non ci siamo posti le domande che poni semplicemente perché sono sbagliate. Mischi pere con mele, e non va bene. Nessuna lingua serve di per sé a imparare meglio la matematica o la geografia, non è di questo che stiamo parlando. Il sardo è una lingua viva, sì o no? La Sardegna vuole arrivare ad un bilinguismo perfetto, sì o no? E’ un problema politico, non linguistico. Una volta che daremo risposte a queste due domande semplici semplici, che saremo d’accordo sul “cosa”, allora parleremo del “come”. Ma tu, come tanti tuoi colleghi accademici (Mastino in primis), parli del “come” perché non hai il coraggio di essere in disaccordo sul “cosa”. Cara Cristina, da che parte stai? Qual è l’obiettivo che la Sardegna deve perseguire nell’ambito della sua politica linguistica? Sei per il bilinguismo perfetto o no?
      Perché con i tuoi argomenti molto poco convincenti tieni bloccato il dibattito sulla lingua (che non è certo solo di pertinenza degli universitari, quindi una certa supponenza appare fuori luogo). E per fortuna la realtà va avanti, anche se voi non ve ne accorgete.

      • Giangiorgio says:

        Io penso che lei, Biolchini, ora cerchi di buttare la palla in corner. Il post di Mastino e quest’ultimo della Lavinio dicono cose pesanti come pietre e nessuno le contesta per quello che dicono.
        Adesso però voglio provare a rispondere alle sue domande. 1) Certo che il sardo è una lingua viva: finché c’è qualcuno che la parla è viva. 2) La Sardegna vuole arrivare a un bilinguismo perfetto? Questo bisognerebbe chiederlo ai sardi, accettando ogni risposta (come dice Mastino “il pericolo sono le minoranze che si ritengono interpreti illuminate delle esigenze dei propri concittadini”). Forse, però, il rettore Mastino qualche elemento concreto per pensare ce lo ha dato. Cita una ricerca, dice che pochi sardi “(percentuali abbondantemente sotto il 10%) si sono detti invece del tutto favorevoli a impiegare la parlata locale e non l’italiano come lingua veicolare per lo studio di alcune o di molte materie curricolari”. Forse sbaglio il ragionamento: se i sardi volessero il bilinguismo perfetto, risponderebbero così? O forse direbbero che vogliono che il sardo venga usato per tante materie curricolari, come l’italiano? Magari i sardi non lo vogliono il bilinguismo perfetto, vogliono però salvare il sardo lo stesso, vogliono un bilinguismo imperfetto. O questa non è l’idea di una Sardegna perfetta di Vito Biolchini? Il bilinguismo perfetto col sardo e l’italiano è “chiù pilu pe tutti”?
        Ora una domanda a lei: siamo sicuri che qui non ci sia in ballo un’ondata di etnofascismo (= una minoranza di nazionalisti esaltati e violenti che urla di rappresentare il pensiero dei sardi) che si salda per convenienza all’etnobusiness (= persone che con questa cosa delle lingue minoritarie fanno i soldini)? Facciamo un giochino: proviamo a chiedere a quelli che adesso scrivono articoli alati sulla bellezza del bilinguismo perfetto se negli ultimi anni come privati, come presidenti di istituti o fondazioni, come direttori di case editrici o altro hanno preso soldi dalla Regione a titolo di contributi o altro (in modo legittimo, sia chiaro). Lei ha avuto l’onestà di riconoscerlo, tanto di cappello. E sia chiaro che non parlo di giovani che lavorano negli sportelli linguistici, che hanno tutta la mia solidarietà.

    • Sono nato in Sardegna, ci vivo da 35 anni e dico: no, non spendete quei soldi in un’inutile e impossibile biliguismo perfetto. O meglio, spendiamoli, ma per tentare un bilinguismo perfetto tra italiano ed inglese.
      Siamo in Europa, e dovremo prenderne atto.
      In ogni caso penso che la domanda di Biolchini sia corretta e per fare chiarezza auspico che tutti, ma proprio tutti i sardi vengano chiamati a rispondere prima che si generi un’ennesimo carrozzone amministrativo…

  19. Mastino ci ha fornito un’informazione importante e decisiva, spero:

    “Dove vogliamo arrivare: a insegnare “la” lingua minoritaria, o “in” lingua minoritaria (che sono due cose ben diverse)? Al di là di ogni considerazione soggettiva in merito, la seconda opzione impone più di una cautela, se non altro perché siamo in grado di sapere cosa pensano i sardi in merito a questo problema. Da una recente ricerca sociolinguistica, infatti, è emerso che moltissimi sardi sono d’accordo a introdurre il sardo a scuola. Quando però sono stati interrogati su come questo dovrebbe avvenire in pratica, la stragrande maggioranza (80,1%) si è dichiarata del tutto favorevole a dedicare una parte dell’orario settimanale all’insegnamento della varietà locale (in pratica, come avviene per le lingue straniere); una percentuale del 40,7% si è invece detta del tutto favorevole all’utilizzo di essa, al posto dell’italiano, per approfondire la conoscenza della storia e della cultura locale (dunque utilizzo del ‘dialetto’ come lingua veicolare, ma solo per trattare temi che a esso appaiono più connaturati); pochi (percentuali abbondantemente sotto il 10%) si sono detti invece del tutto favorevoli a impiegare la parlata locale e non l’italiano come lingua veicolare per lo studio di alcune o di molte materie curricolari. Spero sia chiaro.”

    Allora è chiaro: i sardi vogliono che si insegni per 2-3 ore la settimana il sardo in sardo nella sua varietà locale (come si fa per l’inglese) almeno nella scuola primaria. Il materiale didattito lo prepareranno gli scolari con l’insegnato di sardo. Ma perché non si reclutano finalmente gli insegnanti per farlo? Negli ultimi decenni le università sarde hanno sfornato migliaia di persone abilitate a questo compito, ma ancora non esiste una figura professionale, almeno nelle scuole elementari, che insegna sardo in sardo. Questo prevedeva (anche se con tanti lilmiti) il disegno di legge presentato da Soru nel dicembre del 2008. Perché quella proposta non è stata aggiustata e approvata dalla giunta Cappellacci e dal Consiglio Regionale? Perché invece al posto di quel disegno di legge si è presentato un piano triennale che prevede “ben” 50.000 euro per insegnare il sardo a scuola e altri 2-3 milioni di euro per altre attività? È chiaro che il legislatore non vuole salvare la lingua trasmettendola alle giovani generazioni ma la vuole affossare sebbene, come ci ricorda Mastino: “pochi (percentuali abbondantemente sotto il 10%) si sono detti invece del tutto favorevoli a impiegare la parlata locale e non l’italiano come lingua veicolare per lo studio di alcune o di molte materie curricolari”

  20. Damiana says:

    Abbiamo capito che il Magnifico Mastino si ta proponendo per ricevere un’ulteriore finanziamento dalla RAS per “istituire un Istituto per la terminologia”! Ma non vi sono bastati i finanziamenti ottenuti finora con la L.R.26? Quali sono i risultati ottenuti? L’università come dice Vito Biochini, dovrebbe guardarsi un po’ intorno. Mentre in tutta la Sardegna, GRAZIE AL PIANO TRIENNALE si procede con programmi sui media, assolutamente di attualità, si scrivono romanzi di attualità e non, si opera negli sportelli linguistici di tantissimi comuni, si spiega alla gente e specialmente ai genitori, dell’importanza del bilinguismo nei bambini e sui risvolti positivi sulle loro capacità cognitive, il tutto IN LINGUA SARDA promuovendo il sardo, L’UNIVERSITA’ SI PONE IL PROBLEMA, che i sardi, rimangano STRANITI dal sentir parlare di qualunque cosa nella loro lingua!!!! AIUTOOOOO!
    E il bello che tutti questi operatori continuano a confermare di utilizzare ognuno la sua parlata e che la Regione non impone certo la LSC. Da assoluta facoltà di decidere. Perchè il Rettore di Sassari si ostina a dire che il piano triennale della RAS dice il contrario. Me lo potete spiegare? Non è vero!

  21. riccardo says:

    lisandru, tui ses narendi ca sa lsc est una grafia sceti ( e no est diaici) e poita no dda imperas?
    cagliaifornia po mei tenit arrexoni!

    • Lisandru says:

      Comente faghet a no èssere de aici? E tando coment’est? Tue crees chi sos cadalanos chistionent totus a sa matessi manera? Iscrient in sa pròpiu manera, eja, ma is diferèntzias in is faeddadas si cunservant.
      Sa LSC non dd’apo impreada pro respòndere a Cagliarifornia ca su problema est chi nemus in custu momentu est “alfabetizadu”: isceti is chi traballant cun su sardu e is amantiosos de sa limba. Pro respòndere a issu apo impreadu unu “campidanesu” iscritu cun una grafia chi s’acostiat a sa italiana, chi a medas paret s’ùnica possìbile pro su sardu. Pro cumprèndere chi no est aici, a calencunu li diat serbire a èssire unu pagu de prus o a castiare ite sutzedet in su mundu in cue a foras.
      Immoe so iscriende in LSC. Ti paret una solutzione aici “aliena” o artifitziale comente narant medas? Non abbisòngiat de bae e chirca cale isfortzu unu de Cabu de Bàsciu pro iscrìere in LSC. Non prus de s’isfortzu chi ddue depet pònnere un’ulianesu o unu mamujadinu. Pro sa situatzione linguìstica de sa Limba Sarda (isceti de custa so faeddende immoe), pro nde bogare a campu un’istandard chi siat bene balantzadu, tocat a agatare unu baritzentru. Is chi sunt prus acanta de su baritzentru ant a èssere favorèssidos, est craru. Ma cun carchi curretzione abbista, si podet megiorare sa cumpatibilidade cun su restu de is faeddadas. Custu non bolet nàrrere chi siat cosa simple, si ischit.
      In fines, apo iscritu campidanesu intro de virguleddas, ca nemancu deo so campidanesu, so de Bidd’e Crèsia! E un’istandard po su chi narant Campidanesu at a tènnere is pròpios problemas: carchi unu si diat dèpere acuntentare de su chi ddi imponent. In custa manera pro ite fàghere duas normas e non 3, 4,..? Deo prefèrgio una, chi sinnificat fintzas unidade.

      • Stefano reloaded says:

        Deu seu unu de cussus chi no esti alfabetizau, ma chi custa chi asi imperau po iscriri esti sa LSC, beh… custu no esti su sardu chi chistionu deu e un atrus cantu mila de personas. Custa LSC no esti sceti una GRAFIA: mi podeis donai totus is “crais de letura” chi boleis, ma su chi biu iscritu no s’at a furriai mai in campidanesu (e nau “campidanesu” pensendi a totu su cabu ‘e basciu). Sa grafia chi iat a depit essiri unificada e imparada in is iscolas esti, segundu mei, a innantis de totu cussa fonetica (bai e circa cummenti apu scrittu deu!). In finis, chini est chi at dicidiu ca su baricentru de is variantis depit essiri geograficu e no invecis agatau tenendi contu de cantu funti is chi cussas variantis chistionanta? E poita 800.000 sardus depinti scriri su sardu cummenti ddu chistionanta cussus 100.000 (po essiri bonus) chi funti a giru de su “baritzentru”?
        Deu is fueddus “cumprèndere”, “castiare”, “agatare”, “favorèssidos”, “unidade”, no ddus apa a nai mai; poita ddus depu iscriri?

    • http://formaparis.splinder.com/post/24744710/sa-limba-est-essentziale-pro-sintendere-parte-de-unu-populu-alessandro-camboni

      Pròpriu ca sa RAS no est imponende nudda a nemos, comente at giae nadu Biolchini pro sas trasmissiones de radiopress, e comente narant sos de su sòtziu “Sa Bertula Antiga”

      http://www.sabertulantiga.​com/

      chi traballant in Campidanu, unu est lìberu de impitare sa grafia (e est PETZI una grafia, ca si no boga sas proas!) comuna,

      si l’agradat,

      cando l’agradat

      e cunforma su chi bolet fàghere.

      Chi posca custa grafia bolet megiorada, pro chi siet prus a cara a giosso non b’at duda, e difatis b’at fintzas propostas sèrias de annoamentu chi, pro nàrrer, impreant sa “x”.

      Ma s’idea de base est de àer a disponidura un aina chi permitat a Lisandru de lèghere e iscrìere in gresienti (ca isse leghet sa LSC in gresienti), e a mie de lègher in bitzichesu (ca deo sa LSC la lego e l’iscrio in bitzichesu), e a tie cunforma su faeddu tuo naturale (calesisiat). Duncas totus sos limbàgios sunt pariviles e sa grafia comuna non ponet perunu limbàgiu a supra de sos àteros. E pròpriu pro custu, respetat sos printzipios de Mistral (premiu nobel pro sa literadura otzitana), acapiados dae su retore Mastino prus a bassu:

      http://prouvenco.presso.free.fr/poulinoumio.html

      Imbetzes mi paret chi a s’àtera banda nch’est carcunu

      http://formaparis.splinder.com/post/25183642/di-lingua-madre-ce-ne-solo-due

      chi est comintzande a stroligare a pitzu de limbas unificadas campidanesas e logudoresas, e de limbas “puras”(!!!) e dialetos burdos. Ca inoghe a beru non si faeddat prus petzi de grafias, ma de fonètica e vocabolariu. Casteddaju artifitziale uber campadània e logudoresu artifitziale uber logudorolandia.

      Si comente issos ant detzisu chi in su vocabolariu campidanesu si narat “fueddu” e in cussu logudoresu si narat “allega”, deo chi so bitzichesu, e duncas a contos insoro (isballados), logudoresu, non dia poder nàrrer o iscrìer “faeddu”, fintzas si “allega” in bidda non si narat? E unu de Tertenia, duncas a contu insoro campidanesu (isballadu), non diat deber nàrrer “allega”, comente at semper fatu? Eh beh, custa si, chi est democratzia linguistica. Si bos agradat de prus, cuntentos bois.

      E ite nde narat su retore Mastino a pitzu de su fràigu de custas duas limbas artifitziales?

  22. gabriele ainis says:

    Purtroppo sento dell’astio delle parole di Cagliarifornia nei confronti della LSC, che ha in pochissimi anni fornito una opera letteraria di grande spessore, come Sa perda de Losa di Gianfranco Pintore (a cui mando il mio caldo saluto). Certo ce ne vorrebbero altre opere così, e altri autori che plasticamente piegassero il proprio dialetto natio, che ha poche speranze di superare il paletto dei confini paesani, per adeguarlo alle nuove norme. Leggo poi con malcelato piacere i passi indietro del Rettore turritano, sperando solo che non siano delle promesse vane e ci si ritrovi di qui a poco nuovamente col cetriolo nel solito posto.

  23. ciaramella says:

    La risposta del rettore sassarese chiarisce molte cose e secondo me dovrebbe essere letta con attenzione da chi vede sempre dei nemici della lingua sarda dentro le due università sarde. Se ultimamente si è scatenata una guerra su questo tema, forse è anche perché non era emerso quale fosse la posizione dell’università di sassari, e si sono dette in giro per la rete tante sciocchezze.
    Mi pare importante, più di tutti, un concetto su cui finora si è meditato poco e che qui sopra viene ben sottolineato: la gradualità nell’introdurre il sardo nei sistemi di istruzione. E’ una emerita sciocchezza quella di lasciare che da oggi a domani ogni docente si inventi una terminologia scientifica in sardo per la chimica, la fisica, la botanica. E’ giusto partire dai laboratori di lingua sarda, poi nel corso del tempo si potrà sempre più migliorare l’offerta formativa.
    Usare il sardo in una lezione universitaria, purtroppo, non è la stessa cosa che usarlo in un giornale radio. L’esperienza di Radio Press di questi anni ha segnato, secondo me, un passo avanti straordinario a favore della lingua sarda, ma una lezione universitaria, allo stato attuale, non può seguire lo stesso binario senza il rischio di deragliare. Sarà un grande punto d’arrivo quando si potrà usare il sardo con la stessa scioltezza e sicurezza per parlare anche di geometria e di ingegneria elettronica, ma ora bisogna misurare il passo con la lunghezza della gamba.

  24. Caro Vito Biolchini,

    ti ringrazio per l’occasione ulteriore che mi dai di chiarire le posizioni dell’Università di Sassari su una questione sin troppo strumentalizzata e ‘urlata’, in cui ognuno ha messo ciò che poteva, finanche, talvolta, la cattiva educazione e l’insulto teso a intimorire. Ti ringrazio perché, al di là delle interviste rilasciate al volo tra una seduta del Senato Accademico e del Consiglio di Facoltà, fra i mille impegni, mi dai opportunità di mettere alcuni punti fermi: se preferisci, ti do la versione autentica, pregandoti di leggere meno frettolosamente i documenti che abbiamo prodotto sinora.
    1) Ho nominato, ormai ben più di un anno fa, una Commissione di Ateneo col compito di rispondere a una precisa sollecitazione della Regione: progettare dei corsi di formazione per insegnanti di lingua minoritaria (mettiamole dentro tutte, non solo il sardo). La Commissione ha interpretato con spirito critico le indicazioni provenienti dalla RAS, ritenendo peraltro di averle rispettate pienamente. La RAS contesta questo aspetto, in particolare per ciò che riguarda l’uso veicolare delle parlate locali: non entro nei dettagli, anche perché il progetto tra qualche giorno verrà messo on-line nel sito di Ateneo, cosicché chiunque potrà valutarlo anche in relazione alle linee guida della RAS (e vedrà, in particolare, che l’uso veicolare delle lingue minoritarie è garantito in 300 ore laboratoriali). Quello che voglio sottolineare, però, è che noi redigiamo i nostri progetti come meglio valutiamo in base a scienza e coscienza, la RAS deve comunicare in tempi ragionevoli se li approva o meno. A cadaunu s’arte sua, niente di più, niente di meno.
    2) So bene che una delle proprietà essenziali del linguaggio umano è l’onniformatività: vuol dire che, in linea teorica, ogni lingua è in grado di esprimere ogni contenuto. In linea pratica, può accadere che nei secoli una lingua, per ragioni storiche, sia stata usata per determinate funzioni comunicative e non, per esempio, in àmbito scientifico. Non penso che non si possa farlo, ma che bisogna farlo con i giusti strumenti: per es., perché la RAS non finanzia un Istituto per la terminologia, anziché affidarsi ai soliti studiosi che si autocertificano, convinti di essere i demiurgi della lingua?
    Fin qui credo sia chiaro. Adesso ti riporto per intero il primo punto delle osservazioni che abbiamo formulato al nuovo piano triennale: “Nel piano triennale (=PT) si insiste, a più riprese, sulla necessità di emancipare le lingue regionali dalla cultura tradizionale che esse riflettono e ‘agganciarle’ sic et simpliciter al mondo moderno e ai suoi contenuti: bisogna tuttavia considerare che, agli occhi dei parlanti, le lingue locali, che si identificano primariamente con la propria varietà dialettale e non con uno standard calato dall’alto, sono legate strettamente a quella cultura tradizionale che si vorrebbe superare d’un balzo. Occorre dunque contemperare il reale con le aspirazioni: ogni forzatura, ogni assenza di gradualità produrrebbe degli strappi e forti sensazioni di straniamento.” Tu, con abilità faziosa, manipoli il nostro pensiero: non diciamo che non si può fare, diciamo soltanto che occorre procedere con cautela e gradualità, rispettando in primo luogo le aspettative dei parlanti (che si possono benissimo conoscere con indagini sociolinguistiche ad hoc: il pericolo sono le minoranze che si ritengono interpreti illuminate delle esigenze dei propri concittadini).
    3) Questione della LSC. In effetti sei tu a mescolare le carte. Noi di Sassari la abbiamo tirata in ballo nel documento in cui formuliamo le nostre osservazioni critiche sul piano triennale (che è cosa diversa dal progetto del corso di formazione per insegnanti di lingua minoritaria). Perché? Perché la politica linguistica regionale è incentrata su questa varietà che, da sperimentale, è stata promossa, inopinatamente, a standard: chi lo ha deciso? Inoltre: noi siamo per un equilibrato modello polinomico, in pratica pensiamo che a) nessuna varietà, naturale o artificiale, dovrebbe essere considerata come la varietà di riferimento della lingua sarda, rispetto alla quale le altre varietà diverrebbero ipso facto dei dialetti; b) la lingua sarda è una sola nel rispetto della sua diversità interna e la sua esistenza è fondata sulla decisione democratica dei parlanti di identificarla con un nome specifico e di dichiararla autonoma rispetto alle altre lingue riconosciute; c) al fianco della lingua sarda esistono e sono ugualmente meritevoli di tutela le cosiddette varietà alloglotte (sassarese, gallurese, algherese e tabarchino).
    Ti invito a guardare questo sito:
    http://prouvenco.presso.free.fr/poulinoumio.html
    E per capire i danni che può produrre l’imposizione di uno standard unico:
    http://www.swissinfo.ch/eng/culture/Romansh_speakers_rebel_against_standard_language.html?cid=29637410
    4) Un’altra cosa. L’Università ha il dovere di interrogarsi sulla direzione di senso di quello che si fa. Dove vogliamo arrivare: a insegnare “la” lingua minoritaria, o “in” lingua minoritaria (che sono due cose ben diverse)? Al di là di ogni considerazione soggettiva in merito, la seconda opzione impone più di una cautela, se non altro perché siamo in grado di sapere cosa pensano i sardi in merito a questo problema. Da una recente ricerca sociolinguistica, infatti, è emerso che moltissimi sardi sono d’accordo a introdurre il sardo a scuola. Quando però sono stati interrogati su come questo dovrebbe avvenire in pratica, la stragrande maggioranza (80,1%) si è dichiarata del tutto favorevole a dedicare una parte dell’orario settimanale all’insegnamento della varietà locale (in pratica, come avviene per le lingue straniere); una percentuale del 40,7% si è invece detta del tutto favorevole all’utilizzo di essa, al posto dell’italiano, per approfondire la conoscenza della storia e della cultura locale (dunque utilizzo del ‘dialetto’ come lingua veicolare, ma solo per trattare temi che a esso appaiono più connaturati); pochi (percentuali abbondantemente sotto il 10%) si sono detti invece del tutto favorevoli a impiegare la parlata locale e non l’italiano come lingua veicolare per lo studio di alcune o di molte materie curricolari. Spero sia chiaro.
    5) Approfitto per confermare tutto il mio apprezzamento per il lavoro svolto dalla Commissione di Ateneo incaricata di progettare il corso di aggiornamento per la formazione degli insegnanti di lingua sarda. Il fatto che, come Rettore, mi sia dovuto interfacciare con la RAS in una posizione di ascolto e di confronto, non significa in alcuno modo che io abbia mai inteso distaccarmi dai cardini scientifici e didattici indicatimi e condivisi con la mia Commissione, in cui mi riconosco in pieno, come Rettore e come uomo di scienza.
    6) Colgo l’occasione per informarti che sto proponendo per il nuovo Statuto dell’Università di Sassari, che verrà approvato il 26 p.v., un articolo relativo alla difesa delle lingue minoritarie della Sardegna, e in particolare del sardo, come patrimonio fondamentale di oggi e del futuro.
    7) Alla luce di quanto detto, ribadisco la superficialità inaccettabile del tuo discorso. A cadaunu s’arte sua: che non è un arroccamento su posizioni di privilegio, ma (scomodo) senso di responsabilità.
    Un saluto cordiale,
    Attilio Mastino

    • Beh, se ci voleva un giornalista inaccettabilmente superficiale per stanare in questo modo il rettore dell’Università di Sassari sulla lingua sarda, sono contento di essere stato io!
      Grazie e buon lavoro
      Vito Biolchini

      • Mamma mia Vito che linguaggio offensivo! Sembri uno dei tanti soriani perennemente arrabbiati con il mondo…

  25. cagliarifornia says:

    Siccome verba volant e scripta manent, a prescindere dalle dichiarazioni personali di Mastino o dalla polemica se il sardo va insegnato in sardo o in italiano, io trovo che nel documento redatto dall’Università di Sassari (per intenderci quello intitolato “Osservazioni sul Piano triennale degli interventi di promozione e valorizzazione della cultura e della lingua sarda 2011-2013) e firmato anche da Mastino, ci siano scritte delle cose di estremo buon senso e ampiamente condivisibili.
    Condivisibili e condivise anche da te, Vito.

    Tu infatti scrivi: “non solo gli accademici sono titolati a parlare, ma anche altri hanno il diritto di intervenire e di essere ascoltati”

    Mentre nella conclusione del documento c’è scritto: “la conduzione degli interventi di politica linguistica attuati in Sardegna suscita notevoli perplessità e corre il rischio concreto di produrre gravi disfunzioni. Il dato centrale dal quale occorrerebbe partire è che non esistono modelli preconfezionati, validi per ogni realtà: la Sardegna, con la sua ricchissima articolazione linguistica, con la variegata presenza di minoranze interne, con la sua storia culturale, merita un modello che nasca dall’interno, democratico, aperto alle proposte, che si costruisca con gradualità attraverso il dialogo con la società civile, con le istituzioni accademiche e culturali e non attraverso imposizioni idealistiche, talvolta violente nei confronti dei dissenzienti, di una qualsivoglia minoranza militante non sempre adeguatamente titolata e competente, la cui credibilità nei confronti dell’opinione pubblica andrebbe, per di più, attentamente verificata. Questo pare avvenire nel silenzio quasi totale degli uomini politici responsabili.”

    Praticamente quello che tra le altre cose nella sostanza sostieni anche tu. O sbaglio? Per cui quando scrivi: “Tu e i tuoi colleghi invece, con una certa dose di arroganza, accusate di Regione di volere imporvi anche il modo di insegnare il sardo”, secondo me attribuisci ai firmatari del documento delle cose che non hanno dichiarato, avendo invece dichiarato l’esatto contrario.

    La questione che pongono nel documento, tra l’altro riassunta nelle conclusioni in modo abbastanza esauriente, riguardano anche Radio Press. Cosa accadrebbe se un giorno vi venisse imposto di fare le vostre trasmissioni non nel casteddaio di Arthemalle ma nella Lsc? Quella si, lingua che non esiste e che non parla nessuno. Tra l’altro non c’è bisogno di un linguista per capire che la Lsc non è affatto il sardo unificato. Al limite è il logudorese unificato. Il campidanese (del quale il casteddaio è una nobile variante anche letteraria) è un’altra lingua. Vogliamo avere il coraggio di dirlo?
    Bene ha fatto Milia ad approvare l’adozione della norma campidanese negli atti ufficiali della Provincia di Cagliari. E infatti gli “Lscini” hanno avuto un travaso di bile.
    Perché gli atti ufficiali della regione devono essere emessi solo in Lsc?

    Vito, se a scuola si insegnasse solo ed esclusivamente la Lsc, tu la faresti studiare ai tuoi figli? Io no. Io vorrei studiassero il campidanese. Se fosse obbligatoria la Lsc, piuttosto manderei i mie figli a studiare a Roma.

    Non rispondermi che non è questo l’oggetto del contendere, perché in realtà è proprio questo. Il campidanese è di gran lunga la lingua più parlata in Sardegna, se un giorno si arriverà ad imporre la Lsc a scuola, i campidanese parlanti non rimarranno certo li a guardare che gli venga imposta.
    E il documento degli accademici pone proprio questa questione ed è un documento ufficiale a prescindere da quello che pensa o che dice Mastino.

    Diciamolo una volta per tutte: l’unificazione del sardo è una puttanata colossale da fascismo tecnocratico e becero nazionalismo linguistico di stampo ottocentesco.

    • O Cagliarifornia, però non è che prima si scrive un’articolo sulla mancanza di informazione che permetta il dibattito anche ai non esperti, e poi si fa la figura del generalista che non si è andato a guardare nemmeno un minimo di documentazione, e che rimpalla ignoranza per il web:

      dalla delibera del 2006

      “L’oralità nel contatto con gli uffici è fatta salva in ogni varietà della lingua. Altri Enti o Amministrazioni pubbliche della Sardegna saranno liberi di utilizzare le presenti norme di riferimento oppure di fare in piena autonomia le scelte che riterranno opportune.”

      Il resto lo trovi qua:

      http://www.sardegnacultura.it/limbasarda/limbasardacomuna/

      anche sulla supposta (falsa) logudoresità della LSC. Basta non partire dal pregiudizio che tutto ciò che non è campidanese (leggi casteddaiu) è logudorese, visto che sono categorie linguistiche alquanto arbitrarie.

      O forse ti può interessare la posizione di chi con la lingua sarda (in Campidano) ci lavora

      http://www.sabertulantiga.​com/

      e

      http://www.sabertulantiga.​com/Arregulas.html

      Si si evitasse di confondere una norma grafica con la lingua parlata il discorso si farebbe ancora più chiaro e onesto.

      Ma cantu est manna custa campadània?

      Comente est chi una grafia comuna, mantenende sos faeddos naturales, no andat bene, e imbetzes, imponnere su casteddaiu a totu su cabu ‘e giosso (Campidanos, Gresienti, Sarrabus, Marmidda, Barbatza de giosso,.. ) diat èsser cosa bene fata?

      Ca maboi e fibai no est nobile cantu meloni e filai? E chie lu narat?

      • Mentre mi accingevo a scrivere questo commento al post di Biolchini, mi aspettavo una reazione di questo genere. Era infatti questo il tema del mio articolo, ovvero: guai ad esprimere la tua opinione su questioni linguistiche perché c’è sempre qualcuno che siccome non la pensa come te, allora è pronto a dirti che devi tacere perché sei un ignorante. Chiedo venia e mi cospargo il capo di cenere e la prossima volta l’articolo lo scrivo in Lsc, così mi capiscono non solo al di qua, ma anche al di là della 554.

        Detto ciò, a proposito del passo citato della delibera del 2006, mi spiace metterti al corrente del fatto che sulla carta è bellissimo, ma nella pratica, in non pochi casi, viene del tutto ignorato con un vero e proprio abuso di potere di chi occupa le poltrone degli sportelli per la lingua. (Chi gli ha messi in quelle poltrone, eh?) Posso portare a testimoniare decine di persone. Che spesso si sfogano in privato, ma che in pubblico sono costrette a tacere, perché fanno impresa e con gli sportelli della lingua sono costretti a lavorarci. E per campare bisogna lavorare.

        A proposito invece di chi con il campidanese ci lavora, anche io posso portare qualcuno sul banco dei testimoni: http://www.ilminuto.info/2011/07/unintelletuali-impinniau-po-sa-lingua-sarda-intervista-a-ivo-murgia/ Come la mettiamo?

        Per quanto riguarda invece la capziosa distinzione tra norma grafica e lingua parlata, non c’è alcuna confusione, perché nella pratica la distinzione non esiste: con la Lsc il campidanese non si può scrivere.

        Per concludere: se c’è qualcuno che detesto profondamente, sono le persone che hanno la presunzione di sapere cosa pensa o quali sono le intenzioni dell’interlocutore e per questa ragione ti mette in bocca cose che non hai detto. Quindi preciso:

        1) per me il casteddaio non è il campidanese per antonomasia;
        2) Nessuno vuole imporre il campidanese a nessuno, basta che nessuno voglia imporre il logudorese a qualcun altro. E questa volontà a differenza della prima è abbastanza diffusa.
        Questo scrivevo nell’articolo su Sardegna Quotidiano che alla fine è la questione fondamentale che anche l’Università di Sassari pone: inutile che i puristi della lingua continuino a farsi le fellatio a vicenda su quanto sono bravi, tanto le lingue non si impongono a chi non le vuole. Irlanda docet.

        P.S.: Per me il capitolo è chiuso. Non ho nessuna intenzione di farmi trascinare in un’estenuante quanto sterile dibattito sul nulla. Perché se non ve ne siete accorti è di nulla che stiamo parlando: il sardo.

        P.S. 2: Invito tutti a leggere il bellissimo articolo di Mauro Manunza apparso ieri sull’Unione e intitolato “Di lingua madre ce n’è solo due”. Eccolo:

        “Come si dice “setaccio” in sardo? Si dice: sedatzu. Anzi, no: sedatu. Il primo termine è campidanese, il secondo logudorese. Ma a Sinnai (area campidanese) dicono teratzu. A Baunei (zona di confine) sedassu… E chissà in quanti altri modi si identifica il setaccio. Chi può conteggiare quante traduzioni sarde può avere un normale vocabolo italiano?
        Perché se è vero che campidanese e logudorese sono le due grandi varianti della lingua sarda, non si può non tener conto delle “varianti d’uso”, cioè le microvarietà che caratterizzano il parlare da una comunità all’altra. Ecco che allora diventa difficile insistere sull’ipotesi di una “limba sarda comuna”, capace (?) di imporre norme di riferimento unitarie per una lingua da ufficializzare quanto meno in sede di amministrazione regionale. È possibile convincere un asseminese che non si dice sedatzu ma sedatu, o un iglesiente che il termine cixìriu è sbagliato? Si può obbligare un logudorese a dire “Oi deu no appu papau” anziché “Oe deo no appo mannigau”? E in che modo (e perché) stabilire quale delle due frasi debba prevalere sull’altra in un lessico burocratizzato e difficilmente destinato a larga frequentazione? Le proposte avanzate sino ad ora penalizzano la parlata campidanese in favore del logudorese, senza valide ragioni (questa la maggior critica che si muove alle prime sperimentazioni di “limba comuna”).
        La verità è che il sardo parlato dai sardi è quello che hanno imparato dalla madre – come diceva Emilio Lussu, incoraggiando appunto a esprimersi in lingua materna («Nei Campidani il campidanese, nel Nuorese il nuorese, in Logudoro il logudorese, nella Gallura il gallurese…») e auspicando una lingua sarda come «la sintesi e la fusione delle lingue minori»: vale a dire i dialetti locali.

        Eduardo Blasco Ferrer, studioso fra i maggiori della lingua sarda, è d’accordo con Lussu sul fatto che il sardo sia quello che si parla, ma fa un passo avanti riconoscendo la vera distanza formale fra logudorese e campidanese, fondamentali subspecie (derivanti dal ceppo latino) che alla resa dei conti costringono gli isolani de basciu e quelli ‘e susu a colloquiare fra loro in italiano per formulare un discorso comprensibile.
        Perciò – egli osserva – non solo occorre che si continui a parlare così come si parla in famiglia (altrimenti tutto andrà perso ormai a breve scadenza), ma è necessario che l’unificazione riguardi piuttosto i dialetti locali, ciascuno in riferimento alla subspecie di appartenenza. Così si potrebbe fare «un discorso didattico decoroso con due varianti», visto che anche lui come Lussu trova indispensabile che il sardo si apprenda anche a scuola. «C’è un bisogno urgente di insegnanti a questo preparati, e di un percorso didattico completo», dice citando l’esempio della Spagna dove in quanto a manuali didattici per l’insegnamento del catalano c’è solo l’imbarazzo della scelta (ma tutto è controllato da una commissione scientifica).
        La tecnica per fissare i due codici alternativi – della lingua unificata campidanese e dell’unificata logudorese – secondo Blasco Ferrer è quella suggerita da due libri stampati per Alfa Editrice dalle Nuove Grafiche Puddu e presentati qualche giorno fa a Cagliari nel Palazzo Regio dallo stesso Ferrer (ordinario di linguistica sarda all’Università), Franca Marcialis (linguista docente universitaria), Oreste Pili (presidente dell’Acadèmia de su Sardu onlus), e Ivo Murgia (studioso e traduttore di lingua sarda), oltre all’editrice Maria Marongiu.
        Il primo è bilingue: “Regole per ortografia, fonetica, morfologia e vocabolario della Norma Campidanese della Lingua Sarda”, appunto una vera codificazione (la prima in Sardegna) elaborata e messa per iscritto dal “Comitato scientifico per la Norma campidanese del Sardo standard” (con la consulenza di Blasco Ferrer e dell’etnomusicologo e poeta improvvisatore Paolo Zedda). Si tratta di una normativa che accomuna le varie parlate dell’alto e basso Campidano in un unico lessico. Quale? Quello che risulta dalla “letteratura” dell’intera area, cioè il campidanese dei cantadoris, perché – come spiega Oreste Pili – i poeti estemporanei che gareggiano nelle piazze hanno sempre usato un campidanese “puro” e non dialetti locali. L’amministrazione provinciale di Cagliari già segue questa regolamentazione, che dovrebbe poter raggiungere la scuola (pur restando intoccabili i dialetti paese per paese).
        L’altro libro è un intelligente e importante supporto alla costruzione di un preciso “fueddariu”, perché punta a valorizzare le rispettive peculiarità di appartenenza ai due principali codici alternativi. Ideato, studiato e scritto da Stefano Cherchi, il volume è destinato ai bambini e sarebbe intitolato “Le prime mille parole in sardo” se il titolo non fosse “bilingue” cioè in doppia espressione sarda: “Is primus milli fueddus” (campidanese) e “Sas primas milli allegas” (logudorese). Tutte le pagine, illustrate da Tiziana Melis, sono dedicate ciascuna a un argomento, dalla famiglia alla casa, dall’ambiente agli animali, dagli utensili ai mestieri ecc. Ogni parola e ogni frase sono scritte in verde (campidanese) e in rosso (logudorese), ma ci sono anche delle righe in bianco così che ogni piccolo lettore possa aggiungere il corrispondente vocabolo usato in famiglia: la propria lingua madre. Specializzato in lingua e didattica sarda all’università, l’autore Stèvini Cherchi, mogorese, è medico cardiologo al Sirai di Iglesias: forse per questo sa come toccare il cuore delle persone e delle cose, come diagnosticare e come indicare le corrette terapie”.

      • Eh, Pabillonis non debet èsser in Campidanu, ca nde connosco unu de inie chi resessist a iscrìer e a lègher in LSC cunforma su faeddu suo. Ma difatis mi paret chi custu Campidanu o megius custa campadània tenet làcanas meda a piagherinu. Carcunu nche la faghet a Brebì e a Baunei.

        Si cuss’articulu ti paret “bellissimo”, cun totus sos stroligos chi tenet, est evidente chi la podimus tancare inoghe a beru. A mie pariat chi tue bolias prus mitzas de informatziones pro ti fàghere un’idea, e imbetzes sa idea la tenias giae fata. E tando in bon’ora.

    • Lisandru says:

      “Cosa accadrebbe se un giorno vi venisse imposto di fare le vostre trasmissioni non nel casteddaio di Arthemalle ma nella Lsc?”
      E drìnghidi! Pregunta foras de logu e lòmpia a tempus bundantementi scadèssiu. Funt annus narendidì chi sa LSC est una grafia e no una fueddada, e ancora sigheis a ghetai sa matessi burrumballa a pitzus de sa chistioni? E bastat! Candu pagu pagu si fiat acrarendi sa cosa, ndi torrais a intrullai s’àcua cun argumentus sballaus.

      De standard ndi torraus a chistionai candu s’ais a essi acataus de sa sciacuada de ciorbeddu chi s’italia e sa lìngua/grafia italiana s’at fatu a totus: una grafia => una manera sceti de ligi. Custu est su chi s’ant imparau, e de inguni no ndi besseis, unu pagu limitaus.
      Una grafia ùnica po totu su sardu est possìbili, bastat sceti imparai a is fueddadoris de cada bidda cali funt is crais de letura po cussa bidda. Ma lassaus custu a unu tempus benidori prus a innantis, ca seu de acòrdiu deu puru chi a ndi fai calai unu standard aici no fait. E in prus ca sa LSC bolit ammellorada, nisciunu at nau ca nou.

      “Diciamolo una volta per tutte: l’unificazione del sardo è una puttanata colossale da fascismo tecnocratico e becero nazionalismo linguistico di stampo ottocentesco.”
      Chistiona po tui, donniunu est responsàbili de is sciollòrius chi narat.
      Poita si pìtziat aici chi sa GRAFIA sarda siat unificada? A unificai su Sardu iat a bolli nai a ponni in paris a suta de una grafia ùnica totu is dialetus, chi abarrant bius e indipendentis (giai chi no funt mortus cun s’impèriu de s’italianu). E custu de manera chi donniunu potzat pensai in su dialetu cosa sua, scriri in una forma standard, e a pustis essi lìgiu e cumprèndiu de personis chi funt de un’atru dialetu. Custu at a fai unu standard gràficu po su sardu: ponni in paris is dialetus. Custu favoressit fintas s’intercumprensioni intre is sardus.
      In Italia una lìngua (pesada in laboratòriu) at arremprassau e bociu a is atras lìnguas, e ti parrit fascismu a ponni in paris dialetus?? Ma cosa de macus oh!
      Certu, custu chi seu narendi est in parti un’utopia. Ma in prima aprossimatzioni si podit fai, poita ca po lompi a una cunvergèntzia tocat chi donniunu fatzat sfortzus e atzetit cumpromissus. E in prus, comenti narat fp40 puru, calichisiat standard iat a essi un’impositzioni fortzada po calincunu: fintzas unu standard casteddaiu iat a fai chesciai unu ceraxinu o unu cuartesu, immaginadì. E ita faeus, lassaus su Sardu che lìngua orale? O chi imperit s’anarchia totali in contu de grafias? S’arrespusta est scontada creu.

    • Davide says:

      Qua bisogna proprio partire dalle fondamenta. Il ‘Campidanese’ e il ‘Logudorese’ appartengono allo stesso gruppo linguistico, ovverosia quello sardo. Se sei così sicuro del contrario indica con precisione dove passa il confine tra le due supposte lingue…saresti il primo a farlo.

  26. Già ci ci vedo: il Magnifico Rettore che parla il logudorese e Vito Biolchini che risponde in campidanese di Cagliari. A Babele si cumprendìant de prus!

      • E’ chiaro che chi lavora in radio fa uno sforzo comunicativo superiore ma, nella mia esperienza, quando supero la Barbagia di Seulo, faccio davvero fatica a capire le parlate locali. Ad esempio: capisco meglio un “rapper” americano dei Balentìa, di cui ho il massimo rispetto è ascolto volentieri.
        Comunque, è giusto insegnare la lingua (o le lingue) sarda per permettere a gente come mè di non sentirsi straniero nella sua regione.

      • “ho il massimo rispetto e ascolto volentieri.”

      • Eh, sarvamentu MB, ma de ue ses?

      • Sarvamentu? Ti risponderei come rispose un mio amico quando gli dissero: “Lo sai che sei perspicace?” e lui, essendo piuttosto ignorante :”Po’ immoi cravadinci in su cunnu poi mi informu e bireus” ma per fortuna esiste internet; non ho capito cosa vuol dire ma almeno non è una parolaccia (almeno spero).

      • Est nadu pro bonu 😀 Lu namus nois pro mustrare spantu:

        sarvamentu, salvamentu, sarbamentu – su salvai, nadu pro nàrrer oddeu! essu!

        Àteras espressadas tipicas bitzichesas de spantu (o de sprama) sunt:

        ekerrore! = ‘tarrori!
        s’àngelu ‘e sa guardia!
        su diàulu ‘e sa catena!
        archibusada!

        Comentesisiat, mi interessaiat custa cosa chi non cumprendes sos limbàgios de cabu ‘e susu. Fintzas si sos Balentìas sunt mogoresos, galu in Campidanu, mancari oristanesu.

        http://www.youtube.com/watch?v=0ciBOw5b9s0

        Proa a bìder si cumprèndes mègius sos Menhir:

        http://www.youtube.com/watch?v=uOYjnvFNdRA

        😀

        Pro sa radio no isco, forsis Vito Biolchini nos podet nàrrer s’esperièntzia chi ant tentu issos in contu de disintèndias.

        Est beru fintzas chi Bachireddu Bandinu est tantos annos in Casteddu, e de seguru tenet meda cumpetèntzia de su faeddu de cabu ‘e giosso. Ma comente est chi finas sos de cabu ‘e giosso cumprendent su bitzichesu? Pro nche lomper a bidda nche debes passare duas Barbagias.

      • Scusa la figura barbina, non erano i Balentìa ma i Menhir.
        Diciamo che riesco a capire il 50% delle parole.

  27. gabriele ainis says:

    Concordo con Lei, Dott. Biolchini. C’è pochissimo interesse (spesso solo declamatorio, ma mai operativo) per la lingua sarda, e pensare che la LSC è, con qualche piccolo accorgimento, estremamente utile per la intercomunicazione tra noi sardi. L’irrispetto per la lingua viva e ancora di più per quella lingua- se Dio vorrà- che sarà il sardo di domani, ci rende davvero insostenibile la posizione del Magnifico Rettore turritano. Purtroppo, sappia, qui non si parla di replicare all’ennesima potenza le manifestazioni reboanti, ma ormai stracche, in cui celebra l’Africitas romana: si tratta di dare un futuro ai nostri figli e solo un forte senso di autocoscienza culturale, va detto, ce lo può dare in barba alle varie posizioni di retroguardia.

  28. Damiana says:

    Parole sante caro Biolchini!
    Finalmente qualcuno dice al mondo quel che è vero sulla questione della lingua sarda in Sardegna. Una questione fondamentalmente politica ma che i politichetti nostrani tardano a capire. Madre e sintomo di tanti dei problemi culturali della nostra terra, oserei dire.
    E’ una vergogna che abbiamo un’Università senza neppure una cattedra di “Lingua Sarda”. E’ pazzesco! E’ un sintomo della nostra “sottocultura”! Ci rendiamo conto che, per usare un’espressione forte, si è compiuta una sorta di pulizia etnica fatta con le armi della “democrazia”. E purtoppo aimè,si continua a sentire la solita tiritera: “Siamo tutti italiani, la nosta patria è l’italia e parliamo l’italiano, ormai è quella la nostra lingua!”. E ancora: “Il sardo è una lingua da studiare, non da parlare”, “come si fa a dire cose moderne in sardo, computer come lo dici?”. E allora in italiano come lo diciamo computer? Tontusu! E’ l’italiano la lingua inventata a tavolino, lo vogliamo capire oppure no?! E ora, posto che l’italiano fa ormai parte della nostra attuale cultura ed è la nostra lingua, sarebbe ora di riappropriarci anche del sardo. Ma non perchè in sardo dobbiamo comunicare col mondo, per questa funzione esiste l’inglese, non certo l’italiano comunque, ma perchè è la nostra lingua e basta, perchè è bello avere una propria lingua, è bello avere un punto di vista diverso e un senso di appartenenza ancora più speciale verso la propria terra. Fa bene a stessi, e fa bene anche all’economia la valorizzazione delle proprie risorse, e una lingua è anche una risorsa, anche se questo tanti stentano a capirlo.
    La verità è che una cultura Statalista e monolingue ha raso al suolo tutte le lingue minoritarie. La Sardegna, la regione con la più grande “minoranza linguistica” in Italia, perdendo la sua lingua ha perso anche la dignità come popolo. E’ dimostrato, e ne abbiamo tanti di esempi a proposito, che quando si vuole cancellare o assoggettare un popolo, la sua dignità appunto, l’operazione più facile è quella di cancellare la lingua, la sua cultura, ed imporre quella della cultura dominante, se penso agli indiani d’america rabbrividisco….Da noi in 150 anni e oltre l’operazione è riuscita benissimo, certo non con le armi, ci mancherebbe, ma la nostra cultura è stata ridotta a dialetto e folklore, ballu tundu, sagre paesane, non parliamo poi dell’economia agropastorale, trasformata in “industria chimica moderna” e ormai decotta. Il tutto grazie all’aiuto della scuola e dell’Università, e della nostra classe dirigente ignorantona, e il bello è che i sardi, narcotizzati come sono, intenti ad assomigliare in tutto e per tutto ai grandiosi italiani (basti guardare le tv locali o sentire certi ragionamenti dei nostri giovani) non si rendono neppure conto di come sono diventati. La loro terra e le loro coste le hanno svendute e continuano a svenderle, non si preoccupano del bene comune, distratti come sono a spartirsi e a farsi la guerra per le poche briciole che lo Stato italiano “elargisce” loro a mò quasi di elemosina. Ma i tempi delle vacche grasse sono finiti. I rubinetti si stanno chiudendo e i sardi, ormai quasi alla fame, magari con un atto di coraggio, speriamo che riescano a riprendersi la loro lingua, si rendano conto che se non ci pensano da soli a risollevarsi, rimarranno col sedere per terra, per non dire altro…..
    saludos e fortza paris!

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