Cultura / Editoria / Sardegna

Vi sembra una notizia? L’Ordine dei Giornalisti della Sardegna minaccia denunce e silura il corso di giornalismo promosso da Michela Murgia!

L’Ordine dei Giornalisti della Sardegna ha “silurato” il corso di giornalismo organizzato da Michela Murgia. Ne dà notizia la stessa scrittrice nel suo blog. I motivi? In realtà non li ho capiti bene, ma ho capito benissimo a cosa la Murgia sarebbe andata incontro se avesse dato seguito alla sua iniziativa. Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna, Filippo Peretti, con lei è stato chiaro:

“Se uno solo di questi ragazzi scrive anche mezza riga di materiale giornalistico in una testata a me riconducibile, parte una denuncia a lui e a me per esercizio abusivo della professione. Se invece il “prodotto” del laboratorio compare in uno spazio che giornalistico non è, per esempio il mio blog, sarò comunque denunciata per stampa clandestina”.

Ora l’iniziativa andrà avanti in un modo diverso, sotto forma di laboratorio. I ragazzi selezionati racconteranno la loro esperienza e gli articoli elaborati sul tema delle elezioni comunali a Cagliari verranno pubblicati al termine delle sei settimane:

“Al termine dell’esperimento, cioè quando tecnicamente il suo contenuto non costituirà più una notizia, probabilmente apparirà on line il materiale prodotto, scelta che ieri sera mi è stata indicata come fattibile dallo stesso presidente dell’Ordine, e per cui lo ringrazio”.

Ma perché l’Ordine dei Giornalisti si è mosso con tanta preventiva sollecitudine contro il Corso organizzato dalla scrittrice?

“Il dottor Peretti mi ha chiarito che non importa all’Ordine se l’esperimento dura solo sei settimane e al termine non si rilascia altro che una birra e una pizza; non importa nemmeno che i partecipanti vivano l’esperienza gratuitamente, né che i giornalisti docenti abbiano accettato di fare i tutor alle stesse condizioni. Importa esclusivamente la norma secondo la quale le notizie le danno solo i giornalisti, gli altri al massimo le commentano. La logica corporativa di alcuni membri dell’Ordine ha attivato i meccanismi di difesa della categoria prima ancora che si realizzasse qualunque ipotetica violazione”.

Da settimane molti colleghi mi chiedevano cosa ne pensassi del corso, e ora lo dirò.

Io penso che Michela abbia fatto un unico, grande errore: definire la sua iniziativa “Corso di Giornalismo”. Sono stato per tre anni componente del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna e vi posso assicurare che altre iniziative così denominate sono state bloccate. Sapete perché? Perché in passato in tanti avevano organizzato sedicenti corsi che promettevano mari e monti e che invece alla fine hanno solamente truffato tanti giovani di buona volontà che cercavano un modo per accedere alla professione.

Non era questo il caso? Certo. Ma l’Ordine temeva, secondo me, che l’iniziativa della Murgia potesse rappresentare un precedente, nelle cui pieghe altri, con cattive intenzioni, avrebbero potuto insinuarsi.

Ma Michela paga il fatto di non essere una giornalista (ovvero una iscritta all’Ordine dei Giornalisti), e quindi nei confronti della sua iniziativa molti miei colleghi (anche ottimi e perbene, come la maggior parte di coloro che fanno questa professione) hanno da subito avuto un moto di contrarietà: “Come può una non giornalista organizzare un corso per giornalisti? Cosa ne può sapere di questa professione?”. E a poco è servito sfoderare dei nomi di prima grandezza, anzi: probabilmente questo ha fatto indispettire chi si riteneva degno di essere annoverato “tra i migliori giornalisti sardi” e invece ne è rimasto fuori.

Con i Corsi di Giornalismo si rischia sempre. E infatti se Michela avesse chiamato fin da subito la sua iniziativa “Laboratorio di scrittura giornalistica” nessuno avrebbe potuto dir nulla. Ma questa è, ovviamente, la mia interpretazione.

Detto questo, ritengo però anche che Michela Murgia non meritasse la minaccia di una querela per esercizio abusivo della professione o per stampa clandestina. Trovo la posizione di Peretti straordinariamente dura e, per certi aspetti, inquietante. Con un semplice cambio di denominazione (che anche Peretti avrebbe potuto suggerire) l’iniziativa si sarebbe infatti potuta fare tranquillamente nei modi e nelle forme stabilite dalla scrittrice.

Perché dunque l’Ordine dei Giornalisti della Sardegna si è opposto in maniera così drastica?

Perché l’Ordine difende una antistorica concezione sacerdotale della professione. Le parole di Peretti riferite dalla Murgia sono illuminanti: “Le notizie le danno solo i giornalisti, gli altri al massimo le commentano”.

È solo il giornalista, benedetto dal carisma che gli deriva dal fatto di essere “ordinato” dall’Ordine, che può mediare tra la Realtà e i Lettori e dunque consacrare la Notizia (“prendetene e leggetene tutti, questa è la mia Notizia”).

E infatti se la Murgia avesse nominato direttore del corso uno dei tanti ottimi giornalisti che ha coinvolto, l’Ordine si sarebbe trovato in enorme difficoltà. Invece Peretti può minacciare tuoni e fulmini perché la scrittrice non è nemmeno “giornalisticamente” battezzata (ovvero iscritta all’Ordine) e dunque non può dare la Comunione. Ecco perché è partita la minaccia di scomunica da parte del Gran Sacerdote! Extra Ecclesiam nulla salus, cara Michela!

La minaccia di denuncia per esercizio abusivo della professione conferma questa mia tesi.

Così come monsieur de La Palisse un quarto d’ora prima di morire era ancora vivo, anche i giornalisti quando iniziano a scrivere non sono giornalisti: nel senso che iniziano un rapporto di collaborazione con un giornale senza essere iscritti all’Ordine (verranno riconosciuti solo dopo due anni di pezzi pagati e firmati) Il sinedrio però potrebbe dire: “Sì, è vero: ma quel non giornalista opera controllato da un giornalista!”. E non è forse il caso del corso della Murgia?? Non ci capisce dunque il senso di una minaccia di questo tipo (rileggiamo):

“Se uno solo di questi ragazzi scrive anche mezza riga di materiale giornalistico in una testata a me riconducibile, parte una denuncia a lui e a me per esercizio abusivo della professione”.

Cioè, il presidente Peretti minaccia una querela per esercizio abusivo della professione e questo perché in una testata (ovvero in una testata regolarmente registrata) scrivono dei non iscritti all’Ordine dei Giornalisti? Ho capito bene???

“Se invece il “prodotto” del laboratorio compare in uno spazio che giornalistico non è, per esempio il mio blog, sarò comunque denunciata per stampa clandestina”.

Anche questa è una minaccia inconsistente, inverosimile, per nulla suffragata, a mio modesto avviso, da elementi giuridici concreti.

È la reazione spropositata del mio presidente (oltre che all’infondatezza delle sue argomentazioni) che mi preoccupa, non il fatto che sia intervenuto. Si poteva trovare un modo per mutare la forma ma sostenere la sostanza dell’iniziativa di Michela Murgia, salvaguardarne lo spirito costruttivo. Invece no: chiusura netta (perché le condizioni poste snaturano l’iniziativa, e non la salvano di certo).

Caro Ordine dei Giornalisti della Sardegna, “Extra Ecclesiam nulla salus” è un’affermazione Preconciliare. Ma cosa è stato invece per il giornalismo l’avvento di internet, di facebook, dei blog, se non un grande enorme dirompente Concilio Vaticano II? Ora molte più persone si possono avvicinare al giornalismo e praticarlo, con o senza la benedizione del Sinedrio.

In questo modo invece l’Ordine continua a dare dei giornalisti l’immagine di una casta. Una casta che esiste, ma di cui fanno parte pochissimi privilegiati. Una Chiesa con i suoi sacerdoti che officiano inutili riti (giornali illeggibili, tg distanti dalla realtà) di una religione sempre più bugiarda.

La professione che in questo modo l’Ordine dei Giornalisti della Sardegna pensa di difendere, in realtà non esiste più. Fermare con argomenti e motivazioni solo superficialmente valide iniziative che vogliono incidere su una cultura giornalistica che sta raggiungendo in Sardegna i minimi termini, è una grave responsabilità. Soprattutto da parte di chi (seppur con gli strumenti limitati e obsoleti di cui dispone) non mi sembra che stia facendo abbastanza per innalzare il livello della qualità del giornalismo nella nostra isola.

Post scriptum
Alle 18.20 mi ha chiamato il presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna Filippo Peretti, e mi ha chiesto di riportare quanto segue. “valga come nota ufficiale”, mi ha detto.
1 -Il Corso di Michela Murgia ha avuto il via libera da parte dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna. Lo stesso Peretti afferma di essersi complimentato con la scrittrice per l’iniziativa che, non proponendosi di regolare l’accesso alla professione, non presenta nessun profilo di irregolarità. Il presidente afferma anche di aver ricevuto delle segnalazioni di colleghi contro il corso, ma che il Consiglio dell’Ordine nella sua seduta di lunedì scorso le ha ritenute non accoglibili. Peretti afferma inoltre di essersi complimentato anche per l’alto livello dei giornalisti coinvolti.
2- In merito alla pubblicazione degli articoli scritti dai partecipanti al corso, il presidente Peretti ha fatto presente che non sarebbe possibile la pubblicazione immediata, così come avviene nei corsi riconosciuti dall’Ordine. Peretti afferma di avere suggerito lui stesso (e chiama a testimoniare i giornalisti Giorgio Pisano e Roberta Mocco, presenti al suo incontro con Michela Murgia) la possibilità di realizzare un libro riguardante i risultati dell’iniziativa.
Per quanto riguarda la partecipazione alle conferenze stampa, Peretti afferma che esse sono aperte, ma che se dovesse arrivare una esposto che segnalasse la partecipazione di persone non acccreditate, lui si vedrebbe costretto ad intervenire. Però solo e solamente in questo caso.
3 – Il presidente Peretti inoltre smentisce categoricamente che ci siano state minacce di denunce o intimidazioni, dirette o indirette.

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65 Comments

  1. Giovanni Salvatore Tanca says:

    l’ordine dei giornalisti è una corporazione di bastian contrari, a me pare, che male c’è se una persona scrive, dove ne ha possibilità, quando semplicemente si assumerà la responsabilità di ciò che scrive?
    Il giornalismo è una professione che deriva dallo saper scrivere e non è la professione che fa scrivere bene.
    Cose semplici che vengon complicate!

  2. Giulio Volontè says:

    Cristiano,
    concordo pienamente con quello che hai scritto.

    Chiedo scusa, mi sono spiegato decisamente male…

    La mia obiezione non era volta a chi esprime le proprie opinioni, da libero cittadino del mondo. Blog moderato o meno.
    Vivo con difficoltà qualsiasi forma di “censura” e mi piace confrontarmi, nel merito, con le opinioni di tutti, soprattutto se non le condivido.
    Credo, però, che ci sia differenza, per esempio, tra un’opinione espressa da un qualsiasi utente e la divulgazione di informazioni di carattere finanziario, magari false e che possono compromettere il lavoro di tanta gente. Credo che ci sia differenza tra l’esprimere un’opinione personale ed il raccontare un fatto di cronaca che coinvolge le vite di altre persone, distinguere tra le notizie di pubblico interesse e, magari, la diffusione di un pettegolezzo sul politico che ci è antipatico, piuttosto che riguardo ad un concorrente in affari.

    Insomma, le opinioni sono opinioni, quando si riportano le notizie, però, bisogna essere assumersi la responsabilità di quello che si dice o si scrive, soprattutto nei confronti di chi legge e di chi, in quelle poche righe scritte, è coinvolto in prima persona.

    La firma in fondo all’articolo è l’atto con il quale il giornalista si assume la responsabilità di quello che scrive e che “certifica” con la propria credibilità. Credo sia un dovere di chi fa questa professione.

    Per il resto, hai perfettamente ragione “è la rete bellezza!” (mi piace ;o)

    Ciao.
    Giulio

  3. Giulio Volontè says:

    Caro Vito,

    credo che i commenti, per la verità tutti interessanti, che si sono succeduti, abbiano abbracciato tematiche che vanno ben al di là del “corso di giornalismo” e del conseguente intervento dell’Ordine.
    Innanzitutto, ci tengo a sottolineare che, secondo il mio parere, la baruffa riguardo al titolo del corso pare una questione di lana caprina ma non lo è affatto.
    Quante pubblicità di corsi di “scrittura giornalistica”, o simili, affollano il web? Titoli che generano fraintendimenti, alimentando la convinzione che apprendendo questo “strumento” una persona possa, una volta terminato il corso, fare il giornalista.
    Il corso in questione è gratuito ma quanti corsi fanno pagare, migliaia di euro, l’iscrizione?

    Sostenere che imparare a “scrivere come un giornalista” insegni ad esercitare la professione giornalistica sarebbe come sostenere che si possa fare l’enologo seguendo un corso per imparare a costruire le bottiglie.

    Benché l’abilità nello scrivere correttamente in italiano sia uno dei requisiti di base per fare il giornalista (lo dico senza alcuna presunzione, ho studiato in un Istituto Tecnico e, secondo un’opinione diffusa a Cagliari, è come essere poco più che analfabeti), essere giornalista significa occuparsi, soprattutto, dei contenuti.

    Per scrivere un articolo giornalistico bisogna rispettare, prima di tutto, le regole del codice etico. La deontologia professionale. Norme scritte a tutela dei lettori, a tutela dei minori, a tutela della privacy, a tutela degli interessi economici dei risparmiatori. Regole, senza le quali, a farne le spese sarebbero proprio i cittadini.
    Il fatto che molti noti giornalisti si muovano spesso oltre i limiti consentiti e che l’Ordine, sino ad oggi, abbia fatto ben poco, non è un buon motivo per non pretendere che lo faccia ora.

    Non si può e non si deve confondere la “libertà di espressione” garantita a tutti i cittadini con la “libertà di stampa”, garanzia a tutela della democrazia.

    La libertà di ogni cittadino ad esprimere opinioni è sacrosanta ma è la firma del giornalista, messa in calce all’articolo – e dovuta per rispetto di chi legge – che certifica che i contenuti siano conformi alle regole. Se viene meno il rispetto delle regole l’Ordine agisce, o dovrebbe agire, di conseguenza, sino alla radiazione dei colleghi colpevoli, privandoli non della possibilità di esercitare il diritto alla libertà di espressione ma del diritto ad esercitare la professione giornalistica.
    La mia non vuole essere una difesa a spada tratta di una categoria che, in questo Paese, ha fin troppe colpe, ma una difesa dei pilastri sui quali si regge la nostra democrazia e su un sentimento che ritengo fondamentale: il rispetto del mio prossimo e del suo lavoro, qualunque esso sia..
    Provate ad immaginarvi cosa succederebbe se, una persona qualsiasi, domani, aprisse un generico “corso per insegnanti”. Provate ad immaginarvi cosa succederebbe se, domani, 10.000 insegnanti in pensione decidessero di lavorare gratis – volontariato sociale – per sopperire alle carenze negli organici della scuola. Cosa direbbero e farebbero (giustamente) i sindacati ed i precari della scuola? Cosa farebbero i cittadini? Cosa fareste voi per difendere il diritto dei vostri figli ad un sistema educativo efficiente?

    Eppure, nel mondo del giornalismo accade. Migliaia di persone, pensionati e dopolavoristi affollano le redazioni, scrivendo gratis o per pochi euro, così, per hobby, per riempire il tempo, per potersi presentare a qualche conferenza stampa come “giornalisti”, magari per scroccare un biglietto gratis per qualche spettacolo o solo per sentirsi al centro dell’attenzione degli amici.
    Ad affollare i corridoi delle redazioni, pronti a lavorare gratis, ci sono anche i ragazzi diplomati in tanti, troppi, corsi – e non mi importa se ad organizzarli sono scrittori o giornalisti – per seguire i quali hanno “investito” migliaia di euro, spinti dal miraggio che l’aggettivo nel titolo lascia intravedere: La via per l’ingresso nella casta. Casta della quale, per inciso, non fanno parte più della metà dei giornalisti italiani, i 25.000 precari e freelance che faticano ad arrivare al 10 del mese, non al 25…

    Che garanzie può dare al lettore questo sistema

    In tutto questo, la responsabilità maggiore è proprio dei giornalisti, quelli che, con il culo poggiato al caldo di una redazione e con le spalle coperte dal loro lauto stipendio, in questi ultimi 10 o 15 anni, hanno colpevolmente taciuto e, spesso, sfruttato la situazione.

    Questa, però, non può essere una ragione per continuare a tacere e per non provare a cambiare le cose. Smettiamola di essere il Paese nel quale tutti si lamentano dell’illegalità dilagante ma dove ognuno sceglie, in modo autonomo, quali regole deve rispettare e quali no.

    Non è una lotta tra giornalisti e blogger o tra giornalisti e scrittori, sono differenti espressioni delle libertà democratiche. E’ importante però, per chi legge, che sia ben chiara la distinzione tra chi è giornalista, con le sue prerogative ed i suoi doveri, e chiunque scriva ad altro titolo.
    Il web è una grande conquista ma, chi pensa che le voci di internet siano tutte voci libere, si illude. La grande rete è una macchina del mondo dei media, alla quale tutti hanno accesso. Questo crea l’illusione che ogni cosa che si legge tra le sue pagine sia espressione vera e pura.
    Il web macina ogni anno miliardi di investimenti pubblicitari e veicola informazioni ed opinioni, a volte vere, a volte libere, a volte libere e dissennate, a volte manovrate esattamente come capita in tutti gli altri media.
    Il web è una grande opportunità di libertà, di conoscenza, di informazione, di abbattimento dei confini e delle barriere, ma, quanto vale un’opinione od un fatto raccontato all’ombra di un nickname?
    Potrebbe essere la più grande verità o la più grande menzogna e nessuno ne risponderebbe.
    La firma sotto un articolo, di per se, non da nessuna garanzia. Solo con l’impegno di tutti, giornalisti e lettori, si può sperare di cambiare le cose, solo se anche i lettori useranno l’Ordine dei Giornalisti e pretenderanno che intervenga, spingendolo a fare il proprio dovere, sapranno che dietro ogni firma ci sarà la competenza e l’etica di chi si spende ogni giorno per fare una professione nella quale fortemente crede.

    • cristiano bandini says:

      Caro Giulio,
      su un punto non concordo: “quanto vale un’opinione od un fatto raccontato all’ombra di un nickname?”. E’ un’obiezione che già altri hanno sollevato rifiutando di confrontarsi con altri utenti solo perché dal nick non si capiva chi ci fosse dietro. Voglio dire la mia.

      Dipende: qui siamo in un’area commenti moderata (secondo alcuni anche con un certo rigore) dal titolare del blog, che ha tutti i riferimenti per cassare eventuali violazioni alle regole di policy che ha deciso di adottare per il suo blog. Cosa che, infatti, quando ritiene sia il caso, fa.

      Secondo me un’opinione vale per quello che è, ed è nella logica della Rete che ciascuno decida come proporla: sia o meno nascosta da un nickname che può avere tutte le motivazioni del mondo. Tanto più in un forum moderato. Se si decide di intervenire, dunque, si accettano le regole che fissa l’amministratore del blog. Se mi passi una battuta: è la rete, bellezza… 😉

      Saluti,
      Cristiano

      • In verità non sono Francesco Palumba, ma Mario Garzia che solitamente in questo blog si firma con suo nome e cognome o col suo nickname CAGLIARIFORNIA in cui mette il link al suo blog personale. Ma se non ve lo avessi detto io non lo avreste mai saputo.

        Cosa cambia infatti se esprimo una opinione qualsiasi e poi mi firmo con un nome qualsiasi? Se al posto del mio nome o quello di Francesco Palumba, mi firmo come Michele Puddu, Franco Silanus, Gianni Masu o Pippo Collu, cambia qualcosa? Potete dimostrarne la vera identità? No, non può farlo nemmeno il gestore del blog. L’unico che può farlo è la polizia postale su disposizione di un magistrato.

        E poi il mondo del web, già dall’ 1.0 è popolato per convenzione da identità virtuali fatte di nickname ed avatar. In realtà quelli come me, come Cristiano, come Giulio sono quelli che non rispettano le regole non scritte del web 2.0. Quelli in regola sono quelli come Banana che si sono scelti un nick e un avatar e che in realtà danno maggiori garanzie sulla loro identità, per quanto virtuale.

        Non è il caso di Giulio, come ha spiegato, ma ha pienamente ragione Cristiano: è la rete bellezza e pretendere di conoscere l’identità delle persone è davvero ridicolo.

        P.S.: Siete davvero certi che io sia Mario Garzia? 😉

      • Neo Anderthal says:

        Caro Palumba, concordo.
        E aggiungo: un nick consente anche e soprattutto che la opinione espressa sia valutata per quello che è e per come viene espressa o capita, senza che l’elemento relativo alla identità personale influenzi la valutazione in un modo o in un altro.
        Ad esempio potrebbe darsi che un avversario o una persona animata da puro malanimo voglia approfittare dell’occasione per intervenire e denigrare l’estensore di una nota, come potrebbe succedere che a muovere una osservazione sia una persona che ispira reverenza o rispetto, e una evidente scemenza altrimenti castigata passerebbe indenne.

      • Giustissima considerazione. Mi complimento.

      • Stefano says:

        Scusate ragazzi, il nick va benissimo, però non è esente da rischi. Negli spazi di discussione tematica ci sta anche che le persone si confrontino a viso aperto su determinate questioni. Io qui ho letto interventi molto interessanti, sia con nick che senza nick, ma devo dire che quelli “senza” li ho apprezzati di più, perchè coraggiosi e corretti.

      • gentarrubia says:

        in questa discussione su nick si o nick no, mi sembra che ci stia sfuggendo un punto.
        questa è “casa” di VIto. che ci ospita. e che definisce i comportamenti opportuni nel suo spazio.
        lui, più o meno, conosce chi c’è dietro un nick o chi firma col suo vero nome. può verificare e-mail. o se dallo stesso pc partono diversi messaggi con differenti firme.
        credo che Vito ci tenga a che il suo spazio sia luogo di discussione interessante, a prescindere dalle firme che accompagnano i messaggi.
        più che nick o no nick, il punto importante è che i commenti sono moderati da lui

    • Banana says:

      Giulio, perdonami se ti replico sotto nickname, ma con questo sono iscritto a WordPress anche per altre mie losche attività terroristiche. Ho evitato finora di intervenire sul merito perché sono direttamente coinvolto e mi sembrava inopportuno difendere o criticare un’iniziativa che mi vede implicato in prima persona.
      Io però vorrei che mi venisse chiarito un punto che davvero mi sfugge. Ne ho parlato con diversi colleghi, alcuni favorevoli a quest’iniziativa e altri no, ma ancora non ho capito. Di sicuro è perché lo stupido sono io, lo premetto.

      Ma qual è il problema legato alla denominazione di questo corso/laboratorio? Intendo: se nella sua presentazione la Murgia specifica che si tratta di un’esperienza gratuita, che non fornisce nessuna credenziale per un’eventuale accesso all’Albo, che avrà come unico output una pizzata in compagnia. Nessuno dei corsisti è convinto che tornerà a casa con una bella pergamena da mostrare ad amici e familiari né che potrà scroccare biglietti per i concerti all’Anfiteatro. Tutto questo è stato espresso, a scanso di equivoci e fraintendimenti, in maniera molto chiara fin dal primo minuto. ecco, dov’è allora il problema sul fatto che possa essere chiamato “corso” e non “circolo degli amici del signor Bonaventura”?

      Sulla questione dell’Ordine: lungi da me criticare il presidente Peretti, che è una persona perbene alla quale va tutta la mia stima professionale e umana, ma io non ho neppure ben capito quale sia alla fine la posizione ufficiale e definitiva, visto che questa posizione è diventata a geometria variabile durante il fine settimana e questo ondeggiamento ha di sicuro danneggiato l’immagine dell’Ordine e della “nostra” categoria.

      Mi sembra anche di capire che la Murgia abbia interamente accolto le osservazioni provenienti dall’OdG e che non sia mai stata intenzionata ad andare in rotta di collisione con un organismo sulla cui reale utilità io, pur essendo iscritto da diversi anni, nutro molti dubbi (e non parliamo del sindacato, perché potrei lasciarmi andare ad affermazioni di stampo leghista).

      Sul sistema dell’informazione: mentre noi, i colleghi quasi coetanei che a malapena sanno accendere un pc e aprire Word (non parliamo di usare Google per verificare un nome o una data), quelli più anziani che ancora rimpiangono Gutenberg siamo qui e altrove a ragionare di massimi sistemi e questioni teoriche, il nostro mondo ha subito una rivoluzione copernicana. A me fanno molta tenerezza i giornalisti della vecchia scuola che ancora pensano di spostare il baricentro dell’opinione pubblica con un editoriale dinamitardo. I giornalisti non sono più i sacri dispensatori della Verità e i nocchieri delle società.
      Tu che utilizzi Facebook di sicuro noterai come il social network sia uno straordinario strumento di condivisione di informazioni. Ma cosa viene messo in rete dagli utenti? Le notizie stupide e curiose (l’uomo con tre testicoli, guarda il filmato su Repubblica Tv) , certi editoriali leccati, le notizie che fanno indignare (e che spesso sono false, superate, parziali etc) e tanti, tantissimi post di blog più o meno autorevoli. Io, come uno scemo, a volte passo le ore a correggere e puntualizzare sulle bacheche altrui la diffusione di informazioni false o non verificabili. Facebook, twitter, blog come questo e altri dimostrano che le persone normali hanno una smodata voglia di partecipare e informarsi ma che ormai nutrono fiducia solo ad personam e non più nel giornalismo in quanto tale.

      Allora mi chiedo: noi, come categoria, come diavolo siamo attrezzati culturalmente per non affondare in questo mare magnum di informazioni che provengono da mille fonti diverse, da mille paesi diversi. Che senso ha fare il giornalista oggi, dove chiunque, con una videocamera e una connessione internet, può fare lo scoop del secolo o diffondere le sue idee ai quattro angoli del mondo?

      A me sembra che la riflessione sulle sfide poste dalle nuove tecnologie sia ancora allo stadio molto embrionale (se non unicellulare), almeno dalle nostre parti. Per un utente medio di Internet, che la notizia l’abbia scritta Mario Puddu tesserino n.18910 o un tale che si firma Banana, non fa molta differenza. Anzi, se Mario Puddu è un bravo e corretto cronista ma lavora per certe testate il cui prestigio è appannato agli occhi di una bella fetta di utenti, sarà Banana a godere di maggior credito. Cosa vogliamo fare su questo? Mettere la testa sotto la sabbia e continuare a pensare che l’informazione passa solo per Unione, Nuova, Videolina e le piccole testate locali ed è certificata e timbrata solo dai “veri” giornalisti?

      L’iniziativa della Murgia dovrebbe essere uno stimolo per questa riflessione. Il mondo ci sta sorpassando a velocità folle e noi giornalisti siamo ancora là che rimpiangiamo quando nelle redazioni c’erano quei simpaticoni dei tipografi con le loro belle lettere a piombo e le spire di fumo che si alzavano verso il soffitto e l’odore di inchiostro. Se come categoria e come “sistema dell’informazione” vogliamo sopravvivere ai “barbari”, dovremmo mettere da parte certe posizioni quasi ottocentesche sulla stampa e provare a scendere a patti in modo proficuo con una realtà che gran parte di noi non sa filtrare o interpretare.

      Scusate se mi sono dilungato.
      Michele

      • Banana says:

        c’è qualche frase zoppicante, perdonatemi, ho scritto di getto e riletto di fretta

      • Giulio Volontè says:

        C’è molta verità in quello che dici e penso che potremmo fare le stesse considerazioni su come hanno operato, sino ad oggi, Ordine e sindacato.
        Hai ragione, la categoria ha sbagliato tutto, perdonami se me ne tiro fuori, le mie idee, forse per la mia colpevole assenza dalla vita associativa degli organi di rappresentanza, o forse perché non ho mai contato un tubo, non hanno mai trovato grandi estimatori.
        La categoria dei giornalisti ha sempre cercato di difendere la Bastiglia (visto che di rivoluzione mediatica si parla ci stava anche bene…) senza accorgersi che della Bastiglia non fregava niente a nessuno.
        Così, gli ammuffiti personaggi (il mio riferimento non è strettamente legato ne all’età ne al territorio isolano) si sono visti passare di sopra un’onda nuova, un fenomeno che, ancora oggi, non riescono a comprendere. Il problema più grave è che sento parlare di “governare” il cambiamento, ma la rivoluzione che corre sul web non la si può “governare” la si può solo vivere.
        Semmai, la colpa grave dei giornalisti sardi è che, nonostante il fenomeno, almeno in Italia, abbia avuto origine da Cagliari, con Grauso, nessuno si è accorto di nulla.

        Grazie proprio ai social network, oggi, si stanno muovendo i primi rigurgiti d’orgoglio di una categoria che sino, ad ora, è stata, decisamente, individualista. Ognuno per se, piegati ad ogni ricatto, nella speranza che, prima o poi, qualche “santo in paradiso”, favorisse l’assunzione.
        Quando Napolitano ha invitato i giornalisti a stare “a schiena dritta” avrebbe dovuto specificare “dritta ma non parallela al pavimento”…

        Oggi, proprio nei blog e su facebook, gruppi di giornalisti, giovani e meno giovani, si confrontano, discutono, stanno cercando di cambiare le cose.
        Quella che si sta muovendo non è solo una protesta per essere pagati meglio, è la voglia di cambiare il modo di vivere questa professione.
        A combattere questa battaglia, in prima linea, ci sarebbero dovuti essere i colleghi assunti, quelli con il culo al riparo da rappresaglie, ed invece, fatta salva qualche eccezione, sono tutti chiusi al calduccio delle loro redazioni, preoccupati di perdere benefit e privilegi.

        Hai ragione, questi personaggi sono fuori, non hanno colto il cambiamento. (Anche se qualche dubbio mi viene visto che, alla faccia mia, loro hanno un lauto stipendio mentre il sottoscritto che “ha capito tutto” :o) è disoccupato – e da disoccupato freelance gli unici ammortizzatori ai quali posso ambire sono quelli del motorino).

        Non è così, però, per i molti colleghi che credono in questa professione e che, lo sai bene, spesso rischiano denunce per le quali non potranno mai pagarsi un avvocato, solo per portare all’attenzione dei lettori/ascoltatori notizie che ritengono importanti e che, per il rispetto nei confronti dei lettori, verificano.

        Non ho risposte sul futuro di questa professione, ne sono a priori per la difesa a spada tratta dell’Ordine. Però, il fatto che, sino ad oggi, i giornalisti abbiano pensato ai propri rinnovi contrattuali invece che mettersi in gioco per capire ciò che stava succedendo, non mi sembra un buon motivo per non provare, da oggi, a cambiare le cose.

        Rimango convinto che il lavoro di chi fa il copia incolla per riempire siti internet o giornali, quello di chi si sveglia la mattina e scrive qualcosa senza preoccuparsi della fondatezza di quello che riporta – e non ne risponde a nessuno -, sia profondamente diverso da quello che tanti giornalisti (non perché iscritti all’Ordine, ma per rispetto di se stessi e di questa professione) fanno ogni giorno.
        Ovviamente, la risposta non può essere quella di cercare di impedire a chi non è giornalista di scrivere…

        Mi sono dilungato anch’io, e me ne scuso, ma non voglio tralasciare la domanda sul corso organizzato da Michela Murgia.

        Sono convinto che, sulla questione ,si siano innestati tanti problemi diversi e la bagarre si sia scatenata, non specificamente per il corso in questione, ma per la situazione più generale.

        Il primo problema, secondo me: il titolo.
        Il corso proposto dalla Murgia è arrivato in un momento di estrema esasperazione per la categoria. In questi anni abbiamo visto fiorire corsi, la cui iscrizione costava migliaia di euro, e che nel titolo lasciavano intendere che sarebbe stato uno strumento per entrare nel “giro”.
        Negli ultimi 10 anni (forse anche 12), in tutta Italia, schiere di volenterosi, diplomatisi in questi corsi, si sono ammassati alle porte delle redazioni offrendo manodopera a bassissimo costo pur di ottenere il “tesserino”, cioè l’iscrizione all’Ordine, sperando che, una volta ottenuto il tesserino, la loro vita sarebbe cambiata ed avrebbero, finalmente, fatto parte della casta.
        Il paese di Bengodi per gli editori che, grazie a questa “abbondanza”, hanno ridotto progressivamente i compensi dei collaboratori, sino ad arrivare a pagare cinque euro ad articolo. Il ricatto era esplicito: “o lo fai tu o qui fuori ce ne sono cento che lo fanno per la metà”. Cinque euro per mezza giornata di lavoro. (molti di questi aspiranti giornalisti, pur di potersi iscrivere, lavoravano gratis per editori senza scrupoli e si pagavano i contributi di tasca propria).
        Chi ha organizzato i corsi ha ottenuto lauti guadagni, l’Ordine non ha fatto nulla per ripristinare il tariffario minimo (abolito dalla legge Bersani) che, perlomeno, avrebbe consentito ai collaboratori di essere valutati per la qualità e non per le “offerte al massimo ribasso”.
        Insomma, si giocava al bunga bunga con i colleghi…
        Prima di sollevare obiezioni, ci tengo a specificare che, per quel che mi riguarda, il problema non ha nulla a che vedere con il fatto che Michela Murgia sia iscritta o meno all’Ordine. Oggettivamente, ritengo che siano molto peggio i corsi fatti dai colleghi e che fanno pagare l’iscrizione migliaia di euro.

        Il secondo problema.
        Penso che la reazione dell’Ordine (che anch’io non ho ben chiara per quel che riguarda lo svolgimento dei fatti) sia stato un tentativo di agire per arginare il problema di cui ho scritto prima. Proprio domani, in Senato, la commissione lavoro, riceverà in audizione i rappresentanti di alcuni gruppi di giornalisti freelance e precari. In Italia, a fronte di circa 45.000 giornalisti in attività, circa 25.000 sono precari, molti dei quali, a causa del fenomeno sopra descritto, hanno dei redditi che superano di poco i 5.000 Euro all’anno.

        Sono quelli che trovate nelle manifestazioni dei precari della scuola, pronti a dar voce alle loro proteste, che trovate tra i pastori a gridare l’indignazione per quello che accade, sono quelli che, nelle redazioni, frantumano la “pazienza” dei direttori per tenere alta l’attenzione sui problemi dei lavoratori disoccupati. Precari, però, dei quali nessuno parla e che vengono attaccati come se stessero difendendo chissà quali privilegi.
        Questo, forse, può spiegare le reazioni, ai più inconcepibili, di chi ama questo lavoro ed ha speso la propria vita per poterlo fare a costo di sacrifici che in molti non possono conoscere.

        Per rispondere anche ad un intervento che chiedeva come, un eventuale corso di fisica gratis (se non ricordo male, ma comunque è il concetto che conta) potesse danneggiare un insegnante, rispondo subito: in nessun modo, ma solo perché l’accesso alla professione di insegnante è regolamentato per legge. Cosa succederebbe se si potesse, dopo aver frequentato un corso, presentarsi alle scuole ed offrire la propria collaborazione, magari gratis, rendendo inutili, troppo costosi, i tanti precari che hanno tenuto in piedi la scuola pubblica in questi anni?

        Perdonami per il diluvio di parole (ops… di byte) con il quale rispondo, spero però di aver contribuito a far conoscere almeno una parte del problema, non a te Michele che la situazione la conosci, ma a chi, magari, non aveva mai avuto modo di approfondire la questione.

        PS. Perché non chiedi a Michela di scrivere un libro sulla vita dei precari del giornalismo? Credo che sarebbe un bel contributo. Un punto di vista che aiuterebbe la riflessione sul futuro dell’informazione.

        Ciao.
        Giulio

      • Giulio Volontè says:

        Spero si capisca (mi è venuto il dubbio che nel diluvio di parole non si colga bene) che mi è chiaro che il corso di Michela Murgia non prometteva nulla a nessuno. Tutto sto casino, secondo me, è nato per il suo corso ma sarebbe nato per qualsiasi corso a contenuto “giornalistico”. Non in merito al corso in se, ai docenti, ai suoi contenuti ed alle finalità, ma per la situazione complessiva nella quale la categoria si trova.

  4. green life says:

    A proposito di giornalismo… vorrei sapere cosa pensa vito delle modalità di selezione dei 4 assunti a tempo determinato all’ufficio stampa del consiglio regionale

  5. Banana says:

    sto scoprendo che non posso esprimere posizioni serie perchè uso uno pseudonimo!

  6. ABOLIAMO L’ORDINE DEI GIORNALISTI.

    non serve a nulla, in Italia i giornalisti servono “quasi” tutti gli interessi di qualcuno (editore o partito)

    se il giornalismo italiano ammette un brachetto qualsiasi che minaccia mesiano per i calzini, trovando qualcosa di anormale, meglio niente ordine e lasciare libertà di parola e scrittura a tutti.

    Se non sbaglio c’è anche un articolo della costituzione che dice esattamente che “La Stampa Non Può Essere Soggetta Ad Autorizzazioni O Censure”

    ABOLIAMO L’ORDINE DEI GIORNALISTI… LIBERTA’ DI PAROLA E SCRITTURA PER TUTTI

    • Guarda che quel brachetto qualsiasi è stato sanzionato proprio dall’Ordine dei Giornalisti…

      • secondo me non doveva intervenire l’Ordine, ma i fischi del pubblico (che sono arrivati!!)
        come per Feltri, un errore non farlo scrivere (sono all’opposto delle posizioni di Feltri), non si capisce il senso.
        Tanto gli facevano le interviste e parlava lo stesso.

        Per me queste posizioni dell’ordine dimostrano 2 cose:

        – l’inutilità delle sanzioni (e dell’ordine)
        – una limitazione delle libertà fondamentali della carta costituzionale

        Si guarda il corso di Murgia e nel frattempo Mediaset compra i ripetitori nazionali, per cui LA7 e altri concorrenti devono chiedere permesso e pagare Mediaset stessa per trasmettere (e nel frattempo blocca l’entrata di sky sul terrestre) (fonte: Il Fatto Quotidiano).

        L’ordine non dice niente? E alla concentrazinoe dell’editoria che bisogna guardare non ai giornalisti

    • Stefano says:

      Io mi son fatto l’idea che non ci sia nessun rischio per la libertà di stampa nè per il diritto d’opinione. Però sono due cose diverse: la stampa se non erro è soggetta a registrazione e a una serie di regole che servono alla fine a disciplinare la correttezza dei contenuti, che se diventano diffamanti espongono chi scrive e l’editore a querela e risarcimento. Il diritto d’opinione è più libero, si esercita non solo attraverso i media ma anche al bar, è meno soggetto a regole, salvo che anche lì non si scada nella scorrettezza o nella diffamazione.
      Il limite è la responsabilità personale e quella nell’esercizio della professione. (Vito, correggimi se sbaglio, so che la materia è complessa)

      Per quanto riguarda l’abolizione dell’ordine potrei anche essere d’accordo, ma allora aboliamoli tutti sti ordini professionali: anche avvocati, medici, architetti ecc.
      Siamo sicuri che la strada giusta sia quella? Perchè invece non pretendiamo che diventino strumenti di certificazione vera della qualità del lavoro prestato nei vari ambiti?
      Infine, in quest’ottica io non ho capito tutto sto casino pro o contro Michela Murgia: secondo me nessuno stava mettendo in discussione l’iniziativa, però il discorso era: se lo chiami corso può creare confusione o qualche falsa speranza, anche se poi lo specifichi bene che il premio è una pizza. Se da ragazzino, tanto per dire avessi potuto fare un mese di allenamento nella under 21, a titolo di esperienza, mi sarebbe piaciuto moltissimo però al termine dell’esperienza non avrei potuto dire che ero diventato calciatore. Vito che dici?

  7. Paola Pintus says:

    Io e gli altri che sono intervenuti non strumentalizziamo niente, perchè non ci guadagnamo proprio un bel niente, anzi. Continui ad essere molto poco dialogante e parecchio spocchioso e dispiace, soprattutto perchè è evidente che parli senza sapere minimamente ciò di cui stai parlando. Comunque, anonimo insegnante, io quantomeno ho il coraggio di difendere ciò che dico col mio nome e col mio cognome. Troppo facile sfottere dietro pseudonimo. Non sarà mica che sotto sotto lo sai anche tu che spari a vuoto le tue cartucce?
    PS. se ci sono insegnanti a cui piace lavorare gratis, non è un problema mio, fra le nevrosi si annoverano anche quelle autolesionistiche. A meno che non ci siano casi di eredità o rendite familiari.

    • Tuvixeddu forever says:

      Paola Pintus, per essere una giornalista non sembri avere un buon rapporto con le domande dirette. Mi hai chiesto che lavoro facevo e te l’ho detto. Ti ho fatto l’esempio del mio lavoro e non ti è piaciuto. Ti ho fatto una domanda precisa e l’hai ignorata. Siccome sono abitutato a trattare con adolescenti distratti e poco volonterosi, te la ripeto:

      In che modo mi dovrebbe offendere o danneggiare il fatto che qualcuno insegni gratis a un altro come calcolare l’accelerazione di un corpo sul piano inclinato e poi vadano insieme a mangiare una pizza?

      Dai, dillo con parole tue.

      • Paola Pintus says:

        Purtroppo tu sei il classico esempio di quei pasdaran faziosi che pretendono di esercitare la loro “libertà d’espressione” senza mai farsi passare in fronte l’ombra di un dubbio, nè tantomeno facendo lo sforzo di ascoltare le ragioni degli altri. Io ti ho già risposto, articolatamente, nei miei post precedenti. Se poi a te mancano gli strumenti per decodificare il linguaggio, e pretendi di ascoltare solo te stesso, non lamentarti che i tuoi studenti adolescenti si distraggano. Anch’io ti ho fatto un invito preciso, che era quello di uscir fuori dal tuo muretto a secco e parlare alla luce del sole, col tuo nome e cognome, se hai a cuore le tue idee. Oltretutto, mentre qui si stava solo cercando di fare una discussione pacata sulle motivazioni del richiamo dell’Ordine, tu sei intervenuto scendendo su un piano personale, sminuendo le problematiche di tanti precari dell’informazione con la stessa nevrosi con cui li hai liquidati, e arrivando ad insinuare addirittura che stessimo strumentalizzando chissà cosa per chissà quali fini. Io non ti rispondo più, mi hai stancato e spero che il moderatore possa in futuro governare questi eccessi di arroganza. Quanto alle risposte che chiedi, ti inviterei alla prossima assemblea dei giornalisti precari e free lance della Sardegna, per fartelo dire direttamente da loro dove sta il problema. Il problema è che questo, che ti piaccia o no, è un mestiere duro, non un hobby e nemmeno un passatempo per gli opinionisti anonimi della domenica, come te. Il problema è che quando finisce il diritto di espressione, inizia il lavoro vero, la verifica della notizia e quella della fonte d’informazione. Che il giornalista garantisce con la sua firma, nome e cognome, se non vuole beccarsi una bella querela. I tuttologhi come te, invece, protetti dal loro anonimato, si permettono di sparare petardi al vento senza nemmeno sapere di chi, o di cosa stanno parlando. Senza conoscere i problemi, le storie personali, le difficoltà e le pressioni che tutti i giorni subiscono questi poveri stronzi che tutti vorreste con la “schiena dritta”, ma che quando smettono di lavorare perchè qualcuno li fa fuori, non vi sognate nemmeno di indignarvi un po’ e di difenderli.

      • Tuvixeddu forever says:

        Trentatre righe di commento per non rispondermi sono davvero tante, Pintus.

        Il fatto che io mi chiami Gianni Poddi e che insegni a Cagliari in un noto istituto tecnico non aggiunge niente al fatto che tu non stai rispondendo alla domanda: “in che modo un corso che non da titolo nè soldi minaccia i precari”?
        Ogni volta replichi con un trattato di sociologia sul precariato dei giornalisti.
        La Murgia stava creando altri precari? Stava promettendo lavoro saltando graduatorie? Stava offrendo agevolazioni nella professione? Perché questi sono comportamenti lesivi della condizione del precario, ma io non vedo niente di simile nella proposta del laboratorio in questione.

  8. Paola Pintus says:

    Caro Tuvixeddu, non c’è nessuna nevrosi, semmai un problema di definizioni e di identità professionali. Se sapessi come ti chiami o che mestiere fai potrei farti degli esempi che si avvicinano magari un pò di più al tuo vissuto e alle tue esperienze. Magari potrei scoprire che sei un ricercatore universitario, o un telefonista del call center, o un operaio cassintegrato. Uno cioè di quelli che tutti i santi giorni raccontano i loro problemi ai cronisti delle tv e dei giornali nella speranza di ottenere un pò di visibilità e di solidarietà. Nella maggior parte dei casi, quei cronisti volenterosi sono giornalisti precari, che raccontano le problematiche delle categorie in difficoltà con spirito di servizio e sensibilità, stando al loro fianco anche giornate intere e spesso rimettendoci di tasca. Non li sentiresti mai parlare di “rispettabili nevrosi” dei lavoratori della Vylnis o dell’Euroallumina. Su questi cronisti instancabili, autonomi solo per definizione, incombe ogni giorno il rischio di un aggravamento delle condizioni di lavoro e di dignità, per una molteplicità di fattori, non ultima la continua immissione nel mercato di nuova manodopera a bassissimo costo e bassissima specializzazione. Ora, forse come dici tu tutto questo con Michela Murgia non c’ entra una mazza, ma il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti ha tutti i sacrosanti diritti di pretendere che un laboratorio di scrittura non si chiami Corso di Giornalismo, per i motivi di cui sopra. Per ulteriore chiarezza, ho grande rispetto di Michela Murgia e dei colleghi che si cimenteranno in quest’esperienza. Ma penso che la definizione iniziale di “Corso di Giornalismo” non fosse corretta, e che chiudere la faccenda con atteggiamenti così tranchants sia semplicemente irrispettoso.

    • Tuvixeddu forever says:

      Paola Pintus, ma irrispettoso di che?

      L”iniziativa era chiarissima: che si chiamasse “corso” oppure “figu siccada”, era perfettamente leggibile che non rilasciava alcun titolo nè facilitazione per l’accesso alla professione (diversamente da altri corsi tenuti, guarda un po’, da giornalisti).
      Per questo dico che chi ci vede minacce ai precari è nevrotico, esattamente come sarei nevrotico io se vedessi una minaccia alla mia condizione di insegnante precario in un annuncio che dice: “insegno fisica gratis a chiunque per due settimane, però non rilascio titolo”.

      In che modo mi dovrebbe offendere o danneggiare che qualcuno insegni gratis a un altro come calcolare l’accelerazione di un corpo sul piano inclinato e poi se lo porti a mangiare una pizza? Siamo seri, i precari in questa storia non c’entrano proprio niente, state strumentalizzando i discorsi sulla loro condizione per criticare una iniziativa che con loro non ha niente a che fare.

      Se il problema era che si chiamava “corso”, bastava che Peretti dicesse: l’Ordine le chiede di chiamarlo “figu siccada”. Invece mi sa che non è andata proprio così.

  9. Paola Pintus says:

    Credo che una premessa doverosa vada fatta, per evitare di trasformare questa questione in una presa di posizione pro o contro la libertà d’espressione, o peggio: pro o contro qualcuno. Michela Murgia è interprete brillante e originale di un’evoluzione critica dell’identità, tanto che definirla come scrittrice “sarda” risulta quasi limitante, così come inquadrarla in una categoria politica mi sembra semplicemente privo di senso. Michela Murgia è una risorsa di questo paese, in cui la cultura, l’impegno e la coerenza trovano raramente lo spazio che meritano. Nessuno dunque si sogna di inibire la libertà d’espressione di chi ha vivaddio qualcosa da dire, in gloria all’ articolo 21. Altrettanto ingiusta però mi sembra la critica al Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna, Filippo Peretti, che non ha fatto altro che fare il suo mestiere. Dice bene Vito quando spiega che probabilmente la definizione “Corso di Giornalismo” non era delle più felici. Giusto chiedere di chiamare le cose con il loro nome, e non certo per un discorso protezionistico e di “casta”. Chi conosce dal di dentro il settore del giornalismo conosce prefettamente i gravi problemi dovuti alla precarietà dilagante di un mestiere che negli anni si è sempre più “sputtanato” proprio per non aver saputo rivendicare la sua dignità innanzitutto a partire dalla difesa delle sue prerogative professionali, e dunque anche economiche. Un meccanismo perverso che di fronte all’elevatissimo turn-over di collaboratori a costo zero all’interno delle redazioni, ha finito per depotenziare il peso dei comitati di redazione, il loro potere di vigilanza e di contrattazione con gli editori, la loro stessa “libertà d’espressione” (e torrada) a scapito della qualità dell’informazione e dunque dei diritti del cittadino. Ecco cos’è successo negli ultimi 10 anni: la deregulation selvaggia ha introdotto nel mercato del lavoro giornalistico dei veri e propri paria dell’informazione, giornalisti stabilmente precari e sottopagati, senza diritti, senza previdenza, senza prospettive se non quella di una reperibilità 24 ore su 24 nella speranza di poter cumulare quel tanto di cottimo a 5, 10, 15 euro lordi a pezzo che alla fine dell’anno, tolta benzina e telefono, non arriva a 5000 euro lordi all’anno. Stiamo parlando della soglia minima di povertà così come stabilito dall’ISTAT. Altro che casta. Eppure alle porte delle redazioni bussano sempre nuovi speranzosi apprendisti, che vengono puntualmente immessi nel tritacarne, talvolta per mesi, altre volte per anni. Perchè? I CDR, come detto, anche se consapevoli hanno scarsissimo potere di parola edi fronte al dilagare dello sfruttamento e del cottimo abbassano le braccia. A chi giova? Agli editori, che grazie all’abbondanza di manodopera “non specializzata” e alla totale mancanza di regole possono abbassare il prezzo del lavoro e condizionare pesantemente la libertà d’espressione (dalli) di chi da anni e con onestà cerca di vivere stabilmente di giornalismo. Questo meccanismo a lungo andare è riuscito a erodere le stesse basi su cui si fondano le tutele dei cosiddetti “articoli uno”, con un unico nefando risultato: la ricattabilità e la malleabilità dell’informazione. Una cosa molto più seria che una banale difesa di casta. E’ in gioco il futuro di una professione, che pur con tutti i suoi limiti, i suoi condizionamenti, le sue meschinerie, va difesa da tutti perchè rappresenta un imprescindibile baluardo di democrazia. Per tutti.
    Chi conosce i problemi del precariato giornalistico sa bene che un giornalista precario è un giornalista ricattabile. Oggi, difendere la libertà d’espressione significa anche riconoscere il valore economico del lavoro prodotto da chi di questo mestiere, con professionalità ed abnegazione, cerca di campare. Ecco perchè mi sento di dire che l’intervento di Peretti non è stato un gesto oscurantista o da Repubblica Popolare Cinese. A nome di centinaia di colleghi precari mi sento di rivendicare, accanto al sacrosanto articolo 21, l’articolo 36 della costituzione. Alla brava Michela, che è persona sensibile e da sempre attenta ai problemi del precariato, chiediamo di aiutarci tutti, con il suo lavoro, a squarciare il velo sulle gravi problematiche che oggi attanagliano i tantissimi precari del mondo giornalistico, in Sardegna come nel resto d’Italia.

    • Tuvixeddu forever says:

      Importantissime problematiche quelle del precariato giornalistico, come quelle di tutti i precariati.

      Ma… che cosa c’entrano con l’organizzazione di un laboratorio amatoriale di giornalismo dove nessuno viene pagato, nessuno paga e si finisce con una pizza? Non sarà che state scaricando le vostre rispettabilissime nevrosi addosso a gente – la Murgia e i venti ragazzi che vogliono viversi l’esperienza – che non c’entra una benemerita mazza?

      • “un laboratorio amatoriale di giornalismo dove nessuno viene pagato, nessuno paga e si finisce con una pizza?”———- e tanto vale non farlo allora sto laboratorio… tanta caciara per una pizza con un paio di giornalisti di sinistra…ah ah ah ahahahahahahaha

  10. Pinuccio says:

    Credo che Peretti abbia agito con correttezza e prudenza. Dipingerlo come un censore o un pasdaran è fuori luogo e non corrisponde alla realtà. Il problema è che la Michela, come la gran parte dei suoi docenti, si considerano i mejo fighi del bigoncio e come tali pretendono di fare tutto quello che gli passa per la testa. L’iniziativa mi sembra una riproposizione in salsa sarda del corso in dvd del corriere della sera “io scrivo” dove la Michela è videointervistata nel volume 4 da Chiara Gamberale. Per carità, iniziative più che lodevoli, ma un po’ di cautela non guasta. Anche perché la qualità e la regolarità dell’ inziativa non può essere valutata soltanto sulla base dei professoroni del giornalismo nostrano che vi partecipano. Così come mi sembra un po’ azzardato concederle la sala dell’assostampa. Più adatta l’Università (è li che stanno i professoroni) o la sede del Pd soriano (ci sono tromboni e trombettisti), o quella della sinistra zeddiana (scommettiamo che alle conferenze stampa i pseudocorsisti sbaveranno per il prodigioso Massimo Z?)E poi domando: perchè se la Michela si presenta all’ordine bisogna suonarle la fanfara? Giusto riceverla. Giusto verificare se tutto è in regola. Giusto farle gli auguri di buon lavoro e di buona fortuna per il suo filantropico laboratorio. Tanto le lezioncine dei suoi professoroni si sa già cosa diranno: buongiorno ragazzi, il giornalismo d’inchiesta non esiste più….solo io ho la schiena dritta e nelle redazioni è tutta una congiura contro di me…e poi: gli editori sono tutti ladroni e i direttori tutti cialtroni…basta che alla fine del mese arrivino i soldoni da inviatone dal divano di casa mia….Auguri a Michela che non è iscritta all’ordine ma vuole la riforma dell’ordine. E se Peretti le fa due domande, sbraita sul blog, sul fatto e denucnai il misfatto…Sto con Peretti. Professionista serio e giornalista antico. Sto con chi è contro i corsi di giornalismo senza che si cambi idea quando a proporli sono la banda snob&magna di piazza Savoia e dintorni.

    • sei un grande!

    • Tuvixeddu forever says:

      Sì, Pinuccio, sei un grande produttore di pregiudizi e falsità, per la precisione cinque.

      1) “la Michela, come la gran parte dei suoi docenti, si considerano i mejo fighi del bigoncio e come tali pretendono di fare tutto quello che gli passa per la testa”

      Come presunzione dell’autostima altrui non c’è male. Sarà mica che il mejo figo del bigoncio sia tu e si sono dimenticati di invitarti?

      2) “L’iniziativa mi sembra una riproposizione in salsa sarda del corso in dvd del corriere della sera “io scrivo” dove la Michela è videointervistata nel volume 4 da Chiara Gamberale.”

      Cioè un laboratorio reale e operativo di giornalismo sulla campagna elettorale di Cagliari ti sembra la riproposizione di un corso in DVD di scrittura del Corriere della Sera dove come bonus ci sono interviste a scrittori? Complimenti, la tua capacità comparativa è davvero spettacolare! Fai così anche i tuoi articoli? Dimmi dove, me li vado subito a leggere nelle serate dove non danno CSI.

      3) “scommettiamo che alle conferenze stampa i pseudocorsisti sbaveranno per il prodigioso Massimo Z?”

      Accidenti. Non hai nemmeno idea di chi siano questi 20 corsisti, ma sai già per chi sbavano alle elezioni. Vedi che ci ho ragione, il mejo figo sei tu.

      4) “perchè se la Michela si presenta all’ordine bisogna suonarle la fanfara?”

      Forse dovresti rileggerti l’articolo della Murgia, dove si capisce benissimo che non è lei che si è presentata all’Ordine, ma l’Ordine che si è presentato a lei in forma intimidatoria, mandandole a dire nei soliti modi trasversali di non far scrivere una riga nel suo laboratorio, perché poi si sa che succedono cose brutte. Se metti una testa di cavallo tra le lenzuola di qualcuno, poi può pure darsi che quel qualcuno venga a chiederti “Scusa, cosa significa questa testa di cavallo mozzata tra le mie lenzuola”?

      5) ” Tanto le lezioncine dei suoi professoroni si sa già cosa diranno:…”

      Scusami, ma questa è proprio un capolavoro. Adesso ho capito, tu non fai cronaca, fai interviste. E non vai nemmeno a intervistare quelli che ti dicono ti intervistare, no no. Ti siedi davanti al pc, se lo sai usare, e dici “cippalippa, ma io lo so già cosa direbbe questo qui…!” E ti scrivi l’intervista. Sei un genio, veramente. Il mejo fico del bigoncio. La Murgia ti ha proprio ingiustamente dimenticato.

  11. Elisabetta says:

    …ma il fatto che l’argomento su cui si devono esercitare i partecipanti al laboratorio (gratuito, è bene ribadirlo) siano le imminenti elezioni comunali e non, per dire, le gare di agility dog in Sardegna o il livello medio delle pizze consegnate a domicilio a Cagliari e hinterland, non avrà influito su questa levata di scudi, su questa piccata e sproporzionata e minacciosa reazione?
    Non lo so davvero, non è una domanda retorica: non conosco bene l’ambiente e le sue dinamiche, ma lì per lì il sospetto che qualcuno non voglia troppe orecchie e troppe penne libere (e magari liberamente indignantisi) di mezzo mi verrebbe.

  12. Giusta l’iniziativa di Peretti. L’ingegnere progetta i ponti, il medico cura i pazienti e il giornalista scrive articoli giornalistici. La Murgia può organizzare i corsi di scrittura creativa non quelli giornalismo. Non sono d’accorso neanche per gli escamotage di cambiare la denominazione. Perchè tutto questo? Odio la Murgia? No mi è simpatica e i suoi libri li leggo con piacere. Detto questo faccia il suo mestiere. A oguno il suo. Troppo spesso in concorsi pubblici sono stato superato da gente a cui veniva dato punteggio per dei corsi di ogni tipo, troppo spesso ha vinto il concorso chi ha scritto (se li ha scritti) 30 articoli per il corriere degli estimatori della birra valdese. Basta con tutto questo. L’informazione su Internet e sui blog? Spesso bufale, spesso notizie riprese dai giornali che non vengono neanche citati (vedi il popolo viola che dice di aver pubblicato uno scoop che invece aveva ripreso da un blog di un giornalista che non è stato neanche citato). Casta? Le migliaia di precari che scrivono da anni per pochi euri. Lasciamo perdere

  13. Bruno Ghiglieri says:

    Caro Vito, come sai riguardo all’ordine dei giornalisti non condivido la tua posizione abolizionista. Non entro nel merito della decisione di Peretti, ma spero che questa vicenda non venga strumentalizzata e quindi trasformata in un ennesimo attacco all’organizzazione ordinistica. Che ha bisogno di una seria riforma, non c’è dubbio, ma che può e deve continuare a custodire le chiavi della professione in un contesto come quello editoriale italiano dove i padroni del vapore avrebbero tutto da guadagnare da una selvaggia deregolamentazione: finalmente potrebbero decidere loro in prima persona chi deve diventare giornalista e chi no. Di fatto è già così. Ma cerchiamo di non rendergli la strada ancora più facile. Per un giornalista come me, che ha passato i quarant’anni, precario, in possesso o meno di una laurea non specialistica (in lettere o in scienze politiche, ad esempio), che si è formato secondo i vecchi percorsi (leggi: lunga gavetta nelle redazioni), l’esame di Stato e l’iscrizione all’albo dei professionisti, faticosamente conseguiti, rappresentano una legittimazione di un pur robusto curriculum professionale che senza una laurea specialistica e un riconoscimento dello Stato varrebbe assai meno. Abolire l’ordine, anche solo costruire pretesti per gridare all’abolizione, significherebbe dare la pugnalata finale a centinaia di bravi colleghi precari che da anni lottano per vedere riconosciuta la propria professionalità. Un curriculum di valore non basta, lo sappiamo tutti. E nel mio caso, titolare di partita IVA, senza ordine sarei addirittura costretto a iscrivermi alla camera di commercio. Diventerei un artigiano qualsiasi, un commerciante, un venditore di notizie messo alla stregua di un blogger o di un web writer qualunque. No, non ci sto. E davvero non capisco per quale motivo nessuno discuta l’esistenza dell’ordine dei medici, degli ingegneri, degli avvocati: caste e corporazioni anch’essi, ma di cui nessuno si sogna di mettere in discussione la pubblica utilità. Con ragione: se non ci fossero sarebbero guai per l’utenza. Non capisco perché noi dovremmo fare eccezione. Nel nostro caso l’ordine serve soprattutto per tutelare noi stessi, in particolare la parte più debole della categoria. Cerchiamo tutti insieme di riformarlo perché possa tornare a difendere anche i lettori. Dare briglia sciolta agli editori non aiuterebbe di certo ad avere una stampa migliore.

    • Scusa Bruno, ma non penso di avere mai avuto una posizione abolizionista! L’ho scritto da qualche parte, lo hai desunto da questo post, te l’ho detto qualche volta? Non capisco. Ripeto: non sono per l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti.

      • Bruno Ghiglieri says:

        Meno male, Vito! 🙂 Evidentemente ricordavo male (sono tanti i colleghi con cui mi sono serenamente confrontato sull’argomento e dunque ho fatto confusione). Anzi, da tuo elettore e sostenitore a suo tempo della tua candidatura nel consiglio dell’ordine, mi dispiace che all’interno dell’istituzione non abbiano saputo valorizzare la qualità del tuo contributo. Segno che senza dubbio all’interno dell’ordine c’è qualcosa che non va e questo sicuramente contribuisce a rafforzare le fila dei veri abolizionisti. Credo che per quella riforma che tutti auspichiamo ci sia bisogno di contributi come il tuo, anche a costo di lottare contro i mulini a vento. E’ un invito a riprovarci. Riguardo al corso di giornalismo tenuto da Michela Murgia, concordo con la posizione di gbn. Un abbraccio.

    • Alberto T. says:

      Perché ormai cosa sono diventati i giornalisti se non venditori di notizie?
      Una curiosità quel “giornalista” che inventó la bufala sul pensionato che rubò un pacco di pasta che fine ha fatto? Scommetto che fa parte ancora dell’ordine.

    • Mi spieghi allora come fanno negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in tutti gli altri paesi occidentali democratici senza avere un ordine professionale dei giornalisti? “Istituzioni” simili all’O.d.G. retaggio del ventennio fascista, esistono soltanto nei paesi retti da regimi dittatoriali. A meno che nel paese classificato al 78° posto per la libertà di stampa (l’Italia) non si abbia il coraggio di affermare che in U.S.A. e in U.K., ma anche in Francia e in Germania, sono arretrati in materia.

      Che l’ordine serva a tutelare i giornalisti è una balla colossale che non sta in piedi alla luce della realtà che sta sotto gli occhi di tutti. A meno che per “tutelare i giornalisti” non si intenda tutelare una casta corporativa. Allora si. Ma ormai negare l’evidenza è diventato lo sport nazionale italiota.

      • Bruno Ghiglieri says:

        Nei Paesi che citi per esercitare la professione giornalistica occorre, da sempre e obbligatoriamente, essere laureati in giornalismo. In Italia non è così. E non sarebbe neppure giusto ora buttare nel cesso intere generazioni di colleghi laureati in lettere o scienze politiche o non laureati affatto (come chi ci ospita in questo blog) che hanno seguito nella loro carriera un percorso tradizionale (la gavetta a cui facevo riferimento nel mio precedente intervento). Colleghi per i quali l’iscrizione a un albo costituisce comunque un riconoscimento legale della propria professionalità. Casta? Sappi che io con questo lavoro riesco a malapena a sopravvivere, non mi vergogno a dirlo, a dispetto di un curriculum “robusto”. Preferirei che quelli come te evitassero di esprimere valutazioni su ambiti professionali e persone che nemmeno conoscono. Ti suggerisco di leggere l’ottimo intervento della collega Paola Pintus e, la prossima volta, di firmarti con nome e cognome. Insomma ti invito a metterci la faccia, così almeno saprò con chi sto discutendo. Quella dell’anonimato è un’altra usanza “italiota”. Come quella degli interventi a gamba tesa. E tu mi sembri un campione in entrambe le discipline.

      • Prendo atto di essere stato censurato, anche se fatico a capirne la ragione. Spero mi sia consentito di replicare.

      • Certo, me evitando di scrivere quello che hai scritto nelle prime due righe.

      • Adesso chissà cosa penseranno ci fosse scritto di così terribile… In ogni caso chiedo scusa all’amministratore del blog.

      • Tranquillo, sono abituati ai miei standard cinesi, ci sono passati tutti 🙂
        Grazie a te per i tuoi interventi che arricchiscono sempre il dibattito.

      • Grazie a te per lo spazio. 😉

      • Premettendo che l’intervento di CAGLIARIFORNIA non era anonimo, perché il link del nickname riportava a un blog preciso ed identificabile (ma capisco che a un giornalista professionista non sia richiesta la conoscenza del funzionamento di internet, l’esame si fa ancora con la macchina per scrivere…), eccomi qua con tanto di nome e cognome.

        E’ chiaro che la Murgia ha toccato un nervo scoperto, altrimenti tutte queste reazioni isteriche non si spiegherebbero. Se per te esprimere la mia opinione è un intervento a gamba tesa, allora si, lo ammetto, sono un campione.

        Pensa che quelli come me, sono addirittura iscritti all’albo dei giornalisti come quelli come te. E nonostante che quelli come te siano iscritti nell’elenco dei professionisti e quelli come me in quello dei pubblicisti, a quelli come me è consentito dirigere una testata esattamente come a quelli come te. Da questo si evince chiaramente che l’Ordine dei Giornalisti non è affatto garanzia di professionalità, visto che io di giornalismo non capisco un tubo.

        Ma nei paesi liberali e democratici dove l’Ordine dei Giornalisti non esiste, solitamente si usa che le persone esprimano liberamente la loro opinione, anche quando non capiscono un tubo, soprattutto se si tratta di argomenti che riguardano l’interesse della collettività oltre che il coinvolgimento di personaggi pubblici come Michela Murgia e Filippo Peretti.

        Detto questo, a proposito dei paesi che cito, mi spiace che un professionista come te sia male informato a riguardo. Infatti in U.S.A., in U.K. e in Germania, non solo per svolgere la professione giornalistica non è richiesto alcun titolo di studio, ma la professione non è sottoposta ad un controllo normativo di natura pubblica. Niente Ordine, niente titolo e niente documento di riconoscimento.

        In Francia invece sono severissimi in confronto. Infatti, seppure per esercitare il lavoro di giornalista non sia richiesto un titolo di studio, è comunque necessario aver svolto un
        periodo di praticantato di almeno due anni. Dopo il quale, senza sostene alcun esame e senza iscriversi in alcun Ordine Professionale, viene rilasciato un documento di identificazione da parte di una commissione statale.

        Che barbari questi paesi democratici. Invece qui si che abbiamo un giornalismo serio fatto da professionisti…

      • Bruno Ghiglieri says:

        Negli Stati Uniti, a cui principalmente facevo riferimento, l’accesso alla professione non è esattamente come lo descrivi tu. Non è un caso che all’inizio del Novecento la prima scuola di giornalismo sia nata proprio negli Usa, dove ancora oggi la formazione universitaria specialistica costituisce di fatto un canale pressoché esclusivo per un aspirante giornalista. Insomma se non studi non entri nei grandi giornali o nelle emittenti radiotelevisive. Ad ogni modo, il tono della tua risposta non fa che confermare quanto sospettavo: con saccenteria pretendi di dispensare giudizi su persone di cui ignori totalmente la storia umana e professionale. Il riferimento a una mia presunta scarsa conoscenza di internet rientra in questa casistica e, perdonami, fa sorridere. Hai idea di quandi blog esistano sulla rete? Perché dovrei conoscere e leggere proprio il tuo? A proposito, in un passaggio del post dedicato sulle tue pagine al caso Michela Murgia auspichi l’abolizione dell’ordine e la sua sostituzione con un “un organo di autogoverno aperto a soggetti esterni alla professione, quali Garante Privacy, Agcom, editori (sic) e via elencando”. Editori? Editori. Consentimi una grassa risata.

      • Se ti riferisci al punto 4, quello dove si dice:

        “Rispetto tutti coloro che sono favorevoli all’abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Chiedo rispetto per chi è di opinione diversa. Fra questi ci sono anche io, che però, come è documentato nel sito dell’Ordine dei giornalisti della Sardegna, sono favorevole a una riforma radicale: totale libertà di accesso all’Albo, ma più forte vigilanza deontologica mediante un organo di autogoverno aperto a soggetti esterni alla professione, quali Garante Privacy, Agcom, editori e via elencando”,

        non è la mia opinione. Non condivido una riga di queste parole. Queste parole sono di un certo Filippo Peretti, che se non erro mi pare che sia quel giornalista che presiede l’Ordine dei Giornalisti della Sardegna. Lo stesso che ha cassato il corso della Murgia. Consentimi una grassa risata

        Il tono della mia risposta mi è parso sufficientemente adeguato al tono delle tue obiezioni. Non sei né obbligato né tenuto a conoscere, tanto meno a leggere il mio sfigatissimo blog. Ma se avessi cliccato sul mio nickname, come solitamente chi è pratico di internet fa, (o semplicemente chi ha un briciolo di curiosità come solitamente hanno i giornalisti professionisti a caccia di una fonte o di una notizia), avresti scoperto che la mia opinione non era anonima, perché ti si sarebbe aperta una pagina dove in alto a destra c’è scritto il nome dell’autore del blog. Ovvero io.

        In ogni caso trovo curioso che non mi sia consentito esprimere la mia opinione su fatti eventi, comportamenti o semplici opinioni di personaggi pubblici come Peretti e la Murgia, solo perché non ne conosco i percorsi umani e professionali. Posso ancora esprimerla un’opinione sulle azioni di Cappellacci o Soru (dei quali ignoro le vere esperienze professionali, ma soprattutto quelle personali al di là di ciò che riportano i giornali), o è già scattata l’ora “legale” del regime e non me ne sono accorto?

        In quale passaggio del mio primo intervento “anonimo” che ti ha fatto fare lo scatto di nervi ritieni che io abbia attaccato o messo minimamente in discussione le tue doti umane e professionali?

        Per quanto riguarda poi l’accesso alla professione negli Stati Uniti, mi dispiace, ma a costo di sembrarti saccente mi duole ribadire che è esattamente come lo descrivo io. Poi mi sembra evidente che uno che ha fatto la scuola di giornalismo al Southern Institute of Technology ha più probabilità di essere assunto al New York Times, rispetto a chi ha preso la licenza elementare in un sobborgo nero di Filadelfia.

        E infatti se in Italia fosse come negli Stati Uniti il tuo percorso umano e professionale, con annessa gavetta e titolo di studio, varrebbe qualcosa. Ma siamo in Italia e per l’Ordine dei Giornalisti, la mia tessera vale quanto la tua. E mi rendo conto che sia dura da accettare.

        Invece la bellezza del web è data dal fatto che non ci sono tessere, siamo tutti uguali, partiamo tutti con un identico strumento, la tastiera, e ognuno può fare affidamento soltanto sulla sua intelligenza. E nella quasi totalità dei casi la differenza si vede.

      • Bruno Ghiglieri says:

        Hai ragione, erano parole di Peretti. Leggendo e scrivendo di corsa, in pigiama e con una buona dose di sonno, mi era sfuggito il lungo virgolettato. E Peretti infatti sbaglia, non avrò nessun problema a dirglielo personalmente appena dovesse capitare l’0ccasione. Non a caso ho scritto che l’ordine ha bisogno di una vera riforma orientata verso i giornalisti e i lettori, non certo verso la Fieg. Per il resto, credimi, non ho avuto nessuno scatto di nervi leggendo le tue righe. Il fastidio nasce dalle generalizzazioni che accompagnano molti commenti, non solo i tuoi. Ad esempio infastidiscono considerazioni come quelle di chi attribuisce la natura delle nostre “nevrosi” a una improbabile “coda di paglia”. Ma lo volete capire che noi precari, freelance, siamo le ultime ruote del carro? Lo volete capire che “i giornalisti dalla schiena curva” siedono comodi dentro le redazioni (ce ne sono anche molti bravi e onesti, per fortuna)? Come pensate che funzionino i meccanismi di accesso o esclusione dalla professione? Secondo criteri meritocratici? Suvvia. A questo proposito invito tutti a rivedere lo spassosissimo ritratto del cronista medio tratteggiato da Pasolini ne La Ricotta. Pensate davvero che abolire l’ordine possa costituire la soluzione ai mali della stampa in questo Paese? Pensate davvero che basti deregolamentare selvaggiamente la professione per raddrizzare la schiena di certi giornalisti? Ma non vi rendete conto che il problema è proprio quello di dare una nuova legittimità all’ordine professionale, ormai calpestata da editori che fanno il bello e il cattivo tempo e che pilotano le (poche) assunzioni in modo strumentale al raggiungimento dei propri scopi, scavalcando completamente i cdr? Potrei continuare a lungo ma purtroppo non posso vivere sempre davanti a un computer.

      • Dal mio punto di vista, se davvero (e sottolineo se perché questa in realtà è la lettura di Biolchini) qualche giornalista ha chiesto l’intervento dell’Ordine per ostacolare l’iniziativa della Murgia, solo perché in tale iniziativa vi ha colto l’intento di rimarcare il fatto che in Sardegna non ci sono abbastanza giornalisti con la “schiena dritta”, beh, se è davvero così, allora, come ho già scritto in un altro commento, quei giornalisti hanno la coda di paglia.

        Se invece lo hanno fatto perché in tale iniziativa hanno colto il pericolo di delegittimazione e di danneggiamento dell’immagine della professione di giornalista, le cose sono due: o hanno un basso livello di autostima o hanno un forte sprezzo del ridicolo.

        Ma siccome conosco la mia città, non posso non condividere e coltivare ahimé il sospetto che la stessa Murgia ha avanzato nella sua denuncia: non sia mai che in questa iniziativa, qualche corsista potesse per sbaglio imbattersi in una notizia e fare informazione in piena campagna elettorale. (Meno male che almeno c’è Radio Press… Slurp! Slurp! Slurp! 🙂 ) E ammetto che coltivare sospetti e proprio una gran brutta cosa, ma come diceva Andreotti, a volte a pensar male ci si azzecca.

        Perché logica e buon senso mi suggeriscono che qualsiasi Ordine regionale dei Giornalisti a cui fosse capitata l’occasione di avere a che fare con un corso promosso dalla scrittrice del momento (premio Campiello tradotto in sedici lingue e opinion maker su tutti i quotidiani italiani un giorno si e l’altro pure), non si sarebbe lasciato sfuggire la ghiottisima opportunità di patrocinarlo e magari di metterci sopra il marchio dell’Ordine. Un ritorno di immagine a costo zero!

        Invece no. Provate a immaginarvi se l’Ordine dei Giornalisti della Campania avesse avuto lo stesso atteggiamento che ha avuto quello della Sardegna nei confronti di un’iniziativa identica, ma promossa da Roberto Saviano (tralasciando il fatto che Saviano è anche giornalista). Sarebbe venuto giù il cielo! Invece qui si è aperto il dibattito tra i favorevoli e contrari, tra “ordinisti” e “abolizionisti”, tra gli innocentisti e i colpevolisti, tra destra e sinistra. E’ addirittura spuntata fuori la macchina del fango nei confronti della Murgia. Io trovo che definire ridicolo tutto ciò è profondamente riduttivo, perché l’aggettivo giusto è “assurdo”.

        Assurdo perché secondo me non ci si è resi e non ci si rende realmente conto dell’inaudita gravità di quello che è successo. E devo dire che secondo me non se n’è ben resa conto nemmeno la Murgia, che alla fine della fiera, dopo aver sollevato un polverone mediatico e non solo mediatico, conclude la querelle attenendosi alle direttive dell’Ordine. Direttive che, come ha dimostrato Meletti, ma come dimostra la realtà che è sotto gli occhi di tutti, sono direttive pretestuose e prive di fondamento giuridico.

        Per il resto che dire? Rispetto alle distorsioni del sistema che elenchi, non posso che concordare, come concordo sul fatto che non è sufficiente abolire l’Ordine per risolvere i problemi di cui tu parli. Ma penso che sia assolutamente necessario. Perché l’eliminazione di questa abnorme anomalia per un paese occidentale, è l’unica base di partenza credibile per eliminare tali distorsioni.

        Perché le distorsioni in Italia sono sistemiche, organiche, strutturali. E riguardano tutti i campi della società e delle professioni perché l’Italia è il paese delle anomalie, che ben tutti conosciamo e che non sto qui ad elencare. Se non si eliminano le anomalie non si eliminano le distorsioni.

        Credi che la situazione di quelli che lavorano nei call-center o nei supermercati o nelle fabbriche non sia identica a quella dei giornalisti nella tua condizione? Call-center, supermercati e fabbriche che per altro sono zeppi di laureati. E non credo che istituire un ordine professionale dei telefonisti, dei commessi e degli operai, possa essere utile a migliorare la loro condizione. I sindacati svolgono già perfettamente il loro ruolo di inutilità, senza sentire il bisogno di un ulteriore appoggio.

        Per questo, per tornare ai giornalisti, faccio davvero fatica a capire come il mantenimento dell’Ordine possa contribuire ad eliminare le distorsioni che hai elencato. Anzi, trovo che tali distorsioni contribuisce a perpetuarle come in un circolo vizioso.

  14. Due banali constatazioni.
    Articoli di non iscritti all’Ordine se ne vedono molti, a giudicare dalle firme, sui quotidiani sardi. A volte sono interpellati come esperti (lo palesa un’affiliazione o un titolo riportati accanto alla firma). In altri casi (a meno di conoscenza diretta) tali firme sono indistinguibili da quelle dei redattori e dei collaboratori.
    Seconda osservazione: non sono poche le persone che fanno confusione tra “articolo” e “annuncio”. E non (solo) dal punto di vista lessicale. Forse il vero scandalo è questo, indice com’è di ignoranza dei meccanismi dell’informazione. Indro Montanelli si rivolterebbe nella tomba.

    Quando il Ministero della Pubblica Istruzione decise di introdurre la formula dell’articolo giornalistico tra le modalità di stesura della prova scritta di Italiano fui chiamato in una scuola a fornire alle studentesse (era un tecnico femminile) alcune basi del Giornalismo. Furono tutte entusiaste di imparare. E non solo in vista dell’esame di Maturità: iniziarono a leggere i giornali con maggiore attenzione riuscendo a decodificarne qualche canale comunicativo prima celato ai loro occhi.
    Purtroppo per me è rimasta un’esperienza isolata. Penso che imparare a leggere (tra le righe) resti sempre uno strumento di democrazia e civiltà di grande valore. Don Milani docet…

  15. ho conosciuto michela murgia che parlava di scrittura creativa e l’ho ascoltata incantata … penso che questa storia sia ridicola…molte persone saranno sempre riconoscenti a questa donna sarda che è riuscita a scandalizzarsi per eventi quali compleanno di barbie, corsi di inserimento lavorativo per categorie svantaggiate con total look ,portamento,trucco e dizione… un grazie per tentare di suscitare senso critico … bravissima michela

  16. io cmq non ho capito una cosa: su una testata registrata non possono scrivere persone che non sono giornalisti? Perche nel caso allora il giornale dell’associazione studentesca di cui faccio parte sarebbe illegale perche nessuno di noi è giornalista..

    • Silvia says:

      il mio mentore in materia, il direttore del giornale per il quale scrivo, scomparso un anno fa, un giorno mi disse una cosa . ero alle prime armi, mi cimentavo a scriver qualche pezzo per un periodico locale, e raccontai al direttore di una brutta esperienza vissuta: in un contesto pubblico, un amministratore aveva lanciato una frecciata diretta a coloro che in pratica ” fanno i giornalisti anche se non lo sono”. io ero l unica, nella sala, a non essere ancora iscritta all ordine, e ovviamente mi sentii colpita, ingiustamente, visto che mi ero sempre presentata come “collaboratrice” della testata, e non come giornalista. il caro direttore, che giornalista lo era, sulla carta e di fatto, mi disse tirando fuori dalla tasca la tanto agognata tessera dell ordine: “questa tessera non aggiunge nulla alla tua persona. nel momento in cui tu scrivi un articolo e riporti una notizia, e lo fai bene, tu in fondo sei una giornalista, e nessuno ti può dire il contrario.”
      rispetto ovviamente per ogni visione, più o meno abolizionista, di un ordine che funziona o non funziona. rispetto ancor più grande verso il dovere di protezione nei confronti del rischio di corsi truffa e mangiasoldi, all ordine del giorno.
      però, in un paese dove la libertà di espressione è un diritto sacrosanto, gridare “al lupo, al lupo” per chi pur non avendo una tessera in tasca scrive e svolge “la stessa attività” del giornalista, paragonandolo a chi si finge medico pur non essendolo, mi sembra veramente una ridicola esagerazione.

  17. spigolo says:

    Vorrei dire a Michela Murgia che ha appena consegnato Ave Mary, il suo romanzo, e vuole farsi un regalo: se lo faccia. Faccia il blog. Confesso che son curioso di vedere se esiste un giudice dar corso a una denuncia per stampa clandestina un blog, nel 2011.

  18. Tuvixeddu forever says:

    Cioè Peretti dice che l’Ordine dei Giornalisti benediva il corso PRATICO solo se diventava TEORICO? Ah beh, ma la Murgia allora aveva proprio frainteso, il corso lo poteva fare, ma tutti chiusi in una stanza. Giocate, bambini belli, ma non scrivere una riga e non permettetevi di andare a una conferenza stampa, sennò poi qualche giornalista cattivo fa l’esposto e l’Ordine “si vedrebbe costretto a intervenire”.
    A mungere oche, si dice in questi casi.

  19. giancomita says:

    Vergognissima.
    Come ha scritto Meletti, “Neppure il Partito Comunista Cinese nella sua guerra contro Google era arrivato a tanto”.
    I giornalisti sardi si sono smerdati da soli, a partire da due, anagraficamente giovanissimi ma più arcigni e ottusi di due cariatidi, che hanno attaccato Michela Murgia direttamente sul suo blog e su FB, inventando accuse ridicole e memorabili che resteranno sul web.

    • spigolo says:

      Giancomita, occhio alle semplificazioni!
      Ci sono anche tanti giornalisti sardi – secondo me la maggior parte – che invece hanno difeso il diritto di Michela di fare quello che vuole. E che magari sono a loro volta le prime vittime di questi modi di pensare, nei colleghi… Attenzione.

    • Tuvixeddu forever says:

      Il laboratorio la Murgia lo sta facendo con giornalisti sardi, quindi evidentemente non sono tutti così. Ci manca pure di passare tutti per cani da guardia della casta solo per colpa di due cialtroni su Fb!

  20. Ipazia says:

    Visto che a Cagliari, in questo periodo, tutto sembra essere in linea con la legge e con il rispetto delle regole, anche l’Ordine dei giornalisti si e’ adeguato? E si…(ed e’ andato anche oltre la legge), ha voluto sottolineare l’intensa azione di sorveglianza a tutela della professione, degli iscritti e dei cittadini che rischierebbero di leggere notizie distorte e non vere ad opera di giovincelli senza arte ne’ parte. E se poi qualcuno di questi, magari con un disturbo di personalità, si mettesse a scrivere notizie false del tipo “presentato un ricorso al TAR da parte di un’Associazione”? Chi le controlla queste situazioni? Poi l’ordine si troverebbe a dover prendere provvedimenti  a tutela del rispetto della veridicità della notizia. Dottor Peretti lei ha fatto proprio bene. Bravo. Non ne possiamo più di principianti che durante i numerosi corsi di giornalismo, soprattutto nei periodi elettorali,  si permettono di inondare le pagine dei principali quotidiani sardi con notizie faziose, tendenziose e spesso false. Vogliamo che le notizie siano in mano alle grandi firme dei quotidiani “dipendenti” regionali garanti della verità”. E poi questa Michela Murgia…come si permette di organizzare senza chiedere il permesso? Ueh…per chi non se ne fosse reso conto l’ordine e’ una cosa seria! Lo dice una da 13 anni paga la quota annuale e il beneficio piu importante e’ un tesserino magnetico attestante l’iscrizione. 

  21. Franco Anedda says:

    Gli ordini professionali sono una delle zavorre che affossano l’Italia.

    Non tutelano gli interessi degli iscritti (c’è riuscito solo quello dei notai) ma solo l’interesse parassitario dei loro satrapi.
    Non garantiscono alla comunità la professionalità degli iscritti ne la loro correttezza deontologica.
    Aumentano i costi ed alterano il libero mercato, prima ce ne liberiamo meglio è.

    Si potrebbero trasformare in sindacati di categoria ai quali ci si può iscrivere volontariamente secondo il modello anglosassone.

  22. Mario Garzia says:

    E’ talmente inaccettabile che è frutto dell’ignoranza delle leggi da parte di chi dirige il (dis)Ordine dei giornalisti di Cagliari. Meletti sul fatto quotidiano li smerda di brutto: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/02/lordine-dei-giornalisti-e-la-liberta/101744/

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