Sardegna

Prima la Russia, ora l’Afghanistan, ma la storia non cambia: i sardi sono sempre “Quelli dalle labbra bianche”

Di cosa vi sorprendete? Non siamo forse un popolo legato alle nostre tradizioni? Non siamo forse un popolo di guerrieri? Non amiamo forse la Brigata Sassari più di qualunque altra cosa? Di cosa dunque vi sorprendete se un giovane sardo muore laggiù in Afghanistan?

Io, ad esempio, di una cosa mi sorprendo: del fatto che gli anni passano e i sardi di oggi celebrano i sardi che muoiono in guerra con la stessa retorica inconsapevolezza dei sardi di una volta. Come se per sentirci popolo avessimo bisogno di veder tornare una bara con sopra i quattro mori.

“Non meravigliatevi, gente!”, dice Daniele Mele, il campanaro di Arasolè, unico superstite del gruppo di giovani partiti da uno sperduto paesino della Sardegna al fronte russo, nella seconda guerra mondiale. “Non meravigliatevi!”.

Ce lo raccontava Francesco Masala nel suo capolavoro “Quelli dalle labbra bianche”, pubblicato nel 1952.

E ci raccontava, ad esempio, la storia di Efisio Pestamuso, che già a bordo del treno che lo portava dal suo paese verso il fronte, si fece passare il figlio in fasce per l’ultimo bacio. Ma il treno partì.

“Alla porta del distretto militare si presentò un richiamato in più, un soldato di un anno senza la cartolina rossa”.

La madre Serafina andò a riprenderselo come una furia.

E “Serafina, ora, è qui, grigia, invecchiata, pelosa e rugosa, davanti al candelabro funebre del defunto marito. Il figlio le sta accanto, nero e grosso come il padre, buonanima. E’ già in età di fare il soldato. Serafina non ha alcuna voglia di ascoltare ciò che dice Prete Fele. Con i suoi occhi bovini, lenti e aridi, essa guarda tenacemente suo figlio. Tutti lo sappiamo ad Arasolè. Serafina ha un solo pensiero, una sola paura, un chiodo fisso in testa: la cartolina rossa, un’altra cartolina rossa per il figlio”.

La cartolina rossa non arriva più: i sardi partono “volontari”. E spesso capita che, senza retorica, chi va in guerra, in guerra muore.

Per questo non chiedo che qualcuno mi spieghi perché Luca Sanna, un giovane di Samugheo, oggi sia morto in un avamposto nella cintura di sicurezza intorno alla base di Bala Murghab, in Afghanistan. Vorrei più semplicemente sapere cosa ci faceva un giovane di Samugheo in Afghanistan. Per chi e per che cosa è morto?

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17 Comments

  1. Anonimo says:

    gli soldi piace a tutti, l’onore avevano convinti anche mio nono della famosa brigata e altri 600 mila poveri ragazzi italiani per un tricolore

  2. Pierfrancolo says:

    Consiglio a te Vito e a tutti gli utenti del blog di leggere il pezzo di colore sui funerali dell’ alpino. Pagina 2 dell’ unione sarda. Firmato figus. Ma come si fa a scrivere quelle cose?allucinante!

  3. Alessandro Mongili says:

    Per Stefano Deliperi: i Sardi sono esattamente come tutti gli altri uomini, per cui la violenza non gli è estranea. Però ricordati sempre che questi ragionamenti sono pericolosi. Simone Weil in un suo libro che adesso non ricordo (forse, “L’enracinement”) diceva giustamente che gli italiani discendono dai romani e dai condottieri rinascimentali, maestri dell’arte bellica, eppure sono notoriamente dei pessimi combattenti, e così i tedeschi, al contrario, si sono scoperti ottimi guerrieri solo nel XX secolo. Prima, erano gli zimbelli degli eserciti. E dov’è finita la gloria militare spagnola al giorno d’oggi? Quindi, non mettiamoci addosso da soli l’etichetta di guerrafondai che, a pensarci, non ha troppi riscontri storici se non negli stereotipi di chi ci ha conquistati nel passato. Come tutti gli uomini, possiamo esserlo e non esserlo.

    • Stefano Deliperi says:

      sono assolutamente convinto che possiamo essere o non essere “guerrafondai” (termine che non ho usato e nemmeno pensato). Mi sono limitato a una constatazione storica: come ho detto, spesso per necessità, talvolta per convinzione.

  4. Ecco il grande ammortizzatore sociale del sud.
    “ma lei che lo amava aspettava il ritorno
    d’un soldato vivo, d’un eroe morto che ne farà…”

  5. Monica says:

    Io ho due cugini arruolati. Il primo si arruolò perchè lo spinse il padre che vedeva in quella carriera un lavoro sicuro e una maniera di farlo studiare gratuitamente. Il secondo perchè sin da piccolo voleva fare il soldato, nonostante il parere contrario dei genitori che hanno cercato di fare qualunque cosa per fargli cambiare idea, soggiogato dal mito del duce e del fascismo (Dio, Patria e famiglia), nonostante la famiglia sia sempre stata di sinistra. Il primo è già stato sia in Iraq che in Afganistan e fa dei distinguo tra i due posti: secondo lui in Iraq si sta sempre sul chi vive perchè si è tutti contro tutti, in Afghanistan oltre a combattere si cerca di dare una mano alla popolazione. Sta per partire di nuovo per l’Afganistan e non ne è felice. Il secondo partirà anche lui più in la nel tempo, ma con meno boria e baldanza di quando ha deciso di fare il concorso per entrare in accademia. La paura si fa sentire, i dubbi sul fatto che sia giusto combattere per una nazione che non è la loro cominciano a fare capolino. Non sono degli eroi, e non ci tengono ad esserlo. Non è nemmeno vero che il loro è un lavoro come gli altri. In nessun altro lavoro ti insegnano come uccidere più persone possibile con il minimo sforzo. Ogni tanto ricordo loro che dall’altra parte ci sono comunque figli che hanno genitori che sperano di vederli tornare a casa sani e salvi e che non sanno se tra chi combattono non possa esserci un loro alter ego con dei sogni nel cassetto identici ai loro, cui viene insegnato che loro sono i cattivi.Il mio sogno è che abbandonino la divisa.

  6. Francesco Giorgioni says:

    Sono d’accordo con chi sostiene che i sardi che si arruolano lo fanno nella piena consapevolezza: ne conosco tanti e con tutti ho parlato. Ma le ragioni per le quali scelgono la vita militare non hanno nulla a che vedere con la retorica patriottica spacciata dalle televisioni e dai media di regime. E’, molto più banalmente, una questione di denaro, e loro stessi lo ammettono senza difficoltà.La qual cosa non deve sminuire il sacrificio di una vita: per me un militare morto in Afghanistan non è molto diverso da un manovale che cade da un ponteggio e si fracassa la testa, con la differenza che l’operaio non aveva messo in conto la possibilità di morire per guadagnarsi il pane. Ho scritto un pezzo sul blog Area89 per il quale collaboro che espone proprio questi concetti, partendo da alcuni dialoghi del film di Checco Zalone. Che c’entra Zalone? C’entra che ridicolizza i soliti patriottismi del caso, e se è un comico sboccato a raccontarci certe verità sull’Italia vuol davvero dire che siamo messi male…

  7. Mi sorprende che in quella Guerra (ho detto guerra, la missione di pace si fa senza armi..) muoiono tantissimi bambini e civili di cui i media non parlano. La TV ed i giornali decidono per noi su cosa dispiacerci. Noi italiani in quello stato siamo un popolo oppressore e come tali veniamo trattati da una parte della popolazione. Noi che siamo delle brave persone ma allo stesso tempo facciamo parte di un esercito che controlla un paese distrutto da anni di bombe. Noi facciamo parte di un contingente che in quel paese controlla i lavori per la costruzione di oleodotti che dalla Russia porteranno materie prima verso il mare e verso il resto del mondo. Si muore, perchè anche noi occidentali possiamo scorrazzare con le nostre auto cariche di benzina, nel cui prezzo vi è compreso il sangue di persone (italiani, afghani, inglesi) assassinate per mantenere il nostro tenore di vita!

  8. Anonimo says:

    E’ morto perchè la violenza porta altra violenza.
    La guerra è l’apice della violenza,la massima espressione della ferocia umana.Uomini che tolgono la vita ad altri uomini.Uomini che tolgono la vita ad animali.Uomini che tolgono la vita al pianeta.Uomini per fortuna destinati all’estinzione.
    Pur essendo indipendentista non credo che sia un problema della Sardegna,in quanto poteva capitare pure ad un ragazzo del sud Italia.La causa è sempre la stessa,ci si arruola perchè in fondo la carriera militare è allo stato attuale delle cose una delle poche opportunità di lavoro a tempo indeterminato.La guerra non va mai in crisi.

  9. Marco P says:

    Io da sardo non mi riconosco affatto nella descrizione dei primi due paragrafetti. E come me, tanti.
    Oggi i sardi che si arruolano lo fanno consapevolmente. C’è chi crede realmente in certi valori, ma la gran parte lo fa per un lavoro. In ogni caso ci mettono dedizione, impegno, senso del dovere. Perchè i sardi sono anche persone serie.

  10. Stefano Deliperi says:

    e per quale motivo vuoi che Luca Sanna – come i tanti lucasanna sardi – fosse in Afghanistan, come ieri in Iraq, 68 anni fa in Russia, 4 secoli fa nelle Fiandre? Perchè siamo bravi a fare la guerra, a crepare e a scannare il prossimo senza chiederci i motivi più di tanto.
    Siamo Sardi, Vito. E certe cose le sappiamo fare bene. A ciascuno il suo.

    • Augusto says:

      Ma parla per te, per favore, che retorica.
      I sardi ci vanno in guerra, oggi volontari, perché forse non hanno possibilità (e qualche volta anche voglia) di trovare altre opportunità.

      • Stefano Deliperi says:

        nelle mie parole non c’è alcuna retorica. E’ una constatazione. Siamo stati arruolati dagli egiziani, dai fenici e poi dai romani. Siamo stati arruolati dagli spagnoli per combattere guerre dappertutto. Per mestiere. Un’intera generazione di sardi è andata a combattere sul Carso e in pochi sapevano perchè. Così in Africa orientale e in Spagna. Poi la II guerra mondiale. L’oggi è sotto gli occhi di tutti noi. Lo abbiamo fatto molto spesso per necessità e qualche volta per convinzione. E’ un dato di fatto anche questo e oggi c’è piena consapevolezza. L’Italia è in una guerra non dichiarata e lo sappiamo tutti.

  11. Intellettuale. says:

    Sappiamo tutti perchè quel ragazzo era lì. Perchè dove c’è povertà e ignoranza riesci con i soldi a comprare anche l’anima delle persone.
    Riesci anche a convincere certi ragazzi che andare a sparare altri ragazzi sia una cosa giusta.
    Riesci nell’assurda impresa di prendere un ragazzo di una nazione senza stato e mandarlo a togliere lo stato ad un’altra nazione.
    …E dove c’è ricchezza e ignoranza, nel frattempo, riesci a comprarti l’indifferenza delle persone.

    Non è questione di ricchezza o di povertà, la soluzione non sono i posti di lavoro o gli sgravi fiscali, la soluzione è nella cultura. Solo quando ci saranno conoscenza e consapevolezza si riuscirà a non essere indifferenti a queste oscenità. E solo allora i ragazzi sapranno che non c’è nessuna buona ragione per fare una guerra.

  12. efisio says:

    Dieci anni son passati dal 2001.
    Dieci anni di guerra.
    Dieci anni per sconfiggere il terrorismo.
    Dieci anni per prendere bin laden.
    Dieci anni per liberare l’afganistan.
    I risultati sarebbero davanti agli occhi di tutti.
    Se li volessimo vedere.
    Questa guerra come tutte le guerre non ha risolto nulla.
    Ha riempito le tasche di pochi ed ha spezzato i cuori di molte troppe mamme.

    Quando sarà che l’uomo potrà vivere senza ammazzare?

  13. Daniele says:

    Per una nazione straniera che lo ha illuso del fatto che fosse anche sua.
    Per permettere agli sciacalli di giustificare l’appartenenza all’Italia con il fatto che lui e altri siano morti per essa.
    Perché voleva lavorare e non rimanere in balia di una società immobilizzata in cui la disoccupazione giovanile non fa altro che salire.
    Per mille altri motivi uno più assurdo dell’altro.

  14. perchè gli americani portino avanti il loro businnes principale: la guerra. Questa è l’unica ragione. Tutte le altre sono scuse.

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