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“Servitù militari, il nodo irrisolto della Sardegna”: il testo integrale dell’indagine conoscitiva della Commissione Difesa della Camera

Teulada

 Operazioni belliche nel mare cristallino dei Teulada

Dopo sei mesi di audizioni, la commissione Difesa della Camera dei Deputati ha approvato e reso nota l’indagine conoscitiva in materia di servitù militari. È un documento molto lungo ma che merita di essere letto in quanto fa il punto sulla situazione delle servitù in Sardegna (e non solo), riportando le posizioni dei territori, dei militari, della Regione, del ministero e delle forze politiche. Farne una sintesi è molto difficile ma non si può non concordare con l’anonimo estensore che ha definito quello delle servitù militari in Sardegna “un nodo irrisolto”.
Per facilitare la lettura ho riportato in grassetto le parti che mi sembravano maggiormente interessanti. L’impressione è che se a parole tutti si dicono favorevoli ad un alleggerimento del peso delle servitù in Sardegna, poi dopo non si capisce chi e con quali tempi si debba assumere la responsabilità concreta di quelle iniziative volte al reale cambio di scenario.
Ai lavori della commissione hanno partecipato i deputati sardi Corda (M5S), Piras (Sel), Cicu (Forza Italia) e Scanu (Pd).
Il documento fa il paio con quello esitato oltre due anni fa dalla commissione Uranio impoverito del Senato, che potete consultare a questo link.

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INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI SERVITU’ MILITARI

Documento conclusivo approvato dalla Commissione Difesa della Camera dei Deputati

INDICE

1. Premessa: il programma e gli obiettivi dell’indagine conoscitiva

2. I principali elementi emersi nel corso delle audizioni

2.1. Il nodo irrisolto della Sardegna

2.2. La situazione dei comuni sardi attigui ai poligoni di Capo Teulada e Capo Frasca. Istanze comuni e specificità 
 Il poligono di Teulada 
 Il poligono di Capo Frasca 
 Il poligono Interforze di Salto di Quirra 
 Le servitù militari nell’arcipelago de La Maddalena

2.3. La Puglia: il caso di Taranto e il Parco Nazionale dell’Alta Murgia

2.4. Il caso esemplare della Regione Friuli Venezia Giulia

3. I contributi dei comitati di cittadini e delle associazioni ambientaliste

3.1. I Comitati NO MUOS

3.2. Le associazioni ambientaliste

4. Il punto di vista dello stato maggiore della Difesa

5. La visione strategica del Ministro della difesa

6. Dalla II Conferenza nazionale sulle servitù militari (Roma, 18-19 giugno 2014) alle Linee Guida del Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa 
 Documento di intenti, siglato il 12 giugno 2014, dal Ministero della difesa e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome 
 Il Protocollo d’intesa tra il Ministero della difesa e la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per il coordinamento comune delle attività militari presenti nel territorio della regione, siglato il 19 giugno 2014 
 Il Protocollo d’intesa tra Ministero della difesa e la Regione Puglia per il coordinamento comune delle attività militari presenti nel territorio della regione, siglato il 19 giugno 2014 
 Le Linee Guida verso il Libro Bianco della Difesa

7. Conclusioni e proposte

 

1. Premessa: il programma e gli obiettivi dell’indagine conoscitiva.

Su proposta dei deputati Salvatore Salvatore Cicu, Emanuela Corda e Gian Piero Scanu, la Commissione difesa della Camera dei deputati, in data 27 novembre 2013, avendo acquisito l’intesa in tal senso da parte del Presidente della Camera ai sensi dell’articolo 144, comma 1, del Regolamento, sulla base di una valutazione unanime da parte dell’Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha deliberato di svolgere un’indagine conoscitiva in materia di servitù militari.

La finalità dell’indagine conoscitiva, come descritta dal programma approvato dalla Commissione, è stata una ricognizione sullo stato attuale delle servitù militari e la definizione di eventuali correttivi alla disciplina vigente, anche in vista di un possibile riequilibrio dei vincoli sul territorio nazionale, da realizzare individuando anche in ambito europeo possibili soluzioni alle esigenze addestrative delle Forze armate.

Infatti, l’attuale disciplina dell’istituto delle servitù militari, dettata dagli articoli 320 e seguenti del Codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, che ha recepito il contenuto della previgente legge 24 dicembre 1976, n. 898, sembra necessitare di talune modifiche ed integrazioni, sia per i numerosi dubbi interpretativi che tale normativa ha creato nel tempo, sia per l’inadeguatezza della medesima a contemperare i numerosi interessi che, accanto a quello primario della difesa nazionale, sono sottesi all’istituto, quali l’interesse alla corretta gestione del territorio e l’interesse di altri soggetti pubblici e privati.

In questa prospettiva, richiamando i lavori della prima Conferenza nazionale sulle servitù militari svolta nel 1981 e la risoluzione n. 8-00023 Cicu ed altri, approvata nella precedente legislatura dalla Commissione (1), sull’organizzazione di una Conferenza nazionale sulle servitù militari, l’indagine è stata concepita anche nella finalità di promuovere una tempestiva convocazione di una II Conferenza nazionale sulle servitù militari, da intendersi come momento di sintesi e di bilancio di tutte le attività che il Ministero della difesa ha intrapreso con le amministrazioni locali in ordine alle presenze e ai gravami militari nelle diverse regioni del Paese e nel quadro del processo di revisione dello strumento militare ai sensi della legge n. 244 del 2012.

La necessità di indire in tempi brevi una Conferenza nazionale sulle servitù militari è stata fin dall’inizio della legislatura evidenziata dall’allora Ministro della difesa, senatore Mario Mauro, in occasione dell’audizione sulle linee programmatiche del suo Dicastero, svolta il 15 maggio 2013, davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato. In quella sede il Ministro ha affermato «che sia d’uopo cercare di porre le basi per avviare le azioni necessarie alla convocazione di una nuova Conferenza nazionale sulle servitù militari», secondo un’impostazione che l’attuale Ministro della difesa, senatrice Roberta Pinotti, ha poi fatto propria e sviluppato.

Auspicabilmente l’indagine conoscitiva avrebbe anche dovuto consentire di fare il punto su aspetti delicati, come la tipologia dei materiali impiegati nello svolgimento delle attività che si svolgono nelle predette aree e le loro implicazioni in termini sociali, economici, ambientali, sulla popolazione e sul personale militare.

In generale, la Commissione è pervenuta alla deliberazione dell’indagine conoscitiva anche in considerazione del citato processo in atto di revisione in chiave riduttiva dello strumento militare ed ha lavorato nell’intento di pervenire ad un punto di mediazione tra le imprescindibili esigenze addestrative delle Forze armate, connesse all’assolvimento del dovere di difesa della Patria ex articolo 52 della Costituzione e alla tutela della sicurezza e della vita degli uomini e delle donne in divisa, soprattutto in occasione dell’impegno fuori area sotto mandato internazionale, con gli interessi alla tutela della salute umana, dell’ambiente e delle prospettive di sviluppo per i territori e le popolazioni interessate dalle servitù militari.

Tutto ciò premesso, ha rappresentato un naturale antefatto del lavoro istruttorio svolto, innanzitutto, l’indagine conoscitiva sulle servitù militari, deliberata dalla Commissione nell’agosto del 2006 e non conclusa a causa dell’anticipata conclusione della XV legislatura e il cui obiettivo fu quello di evidenziare il collegamento funzionale tra i servitù militari e i vincoli cui sono assoggettate le aree su cui esse insistono e i relativi effetti socio-economici.

Inoltre, hanno rappresentato essenziali punti di riferimento, tra i numerosi atti di indirizzo presentati, esaminati ed approvati dai due rami del Parlamento nella XVI legislatura, oltre alla già richiamata risoluzione n. 8-00023 Cicu ed altri, anche la «Relazione intermedia sulla situazione dei poligoni di tiro», di cui l’onorevole Scanu è stato relatore, approvata il 30 maggio 2012 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, istituita al Senato nel 2010.

Infine, nel corso dei lavori è stata più volte citata la mozione con procedimento abbreviato n. 1-00582 Scanu, presentata al Senato l’8 marzo 2012 sulla riduzione delle servitù militari in Sardegna (2).

Sulla base di questi presupposti, l’attività di indagine, cui è stato fissato un primo termine di conclusione al 31 marzo 2014, si è declinata, secondo quanto dettato dal programma, in un ciclo di audizioni di soggetti rilevanti, individuati nel Ministro e Sottosegretari del Ministero della difesa; in rappresentanti del Dicastero della difesa aventi competenza diretta in materia di servitù militari; nei Ministri degli affari esteri, della salute e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; nei presidenti delle Regioni e degli enti locali interessati, con particolare riferimento alle Regioni Sardegna e Friuli Venezia Giulia; in rappresentanti di associazioni di cittadini delle zone gravate da servitù militari; in associazioni di protezione ambientale; infine, in accademici ed esperti in materie giuridiche e scientifiche.

Sul piano metodologico, su proposta dei deputati Cicu e Scanu, la Commissione ha ritenuto opportuno procedere dapprima all’audizione degli enti locali e dei soggetti più direttamente coinvolti dal tema a livello territoriale, in un’ottica di approccio bottom up, per poi muovere solo in una seconda e conclusiva fase dei lavori alle audizioni dei soggetti istituzionali, culminate nell’audizione finale del Ministro della difesa, senatrice Roberta Pinotti.

Nel quadro di tale impostazione, immediata priorità è stata data quindi ai rappresentanti dei comuni della Sardegna situati nelle aree attigue ai tre grandi poligoni di Capo Teulada, di Capo Frasca e di Salto di Quirra, per poi procedere ad un approfondimento dedicato al comune di La Maddalena, il tutto in un’ottica coordinata con l’appuntamento elettorale per il rinnovo della presidenza della Regione Sardegna e del Consiglio regionale della Sardegna, celebratosi il 16 febbraio 2014, per il quale la questione delle servitù militari ha rappresentato un elemento di dibattito centrale per l’opinione pubblica regionale e nazionale.

Si è, pertanto, proceduto ad audire il 15 gennaio 2014 i sindaci dei comuni di Teulada e Sant’Anna Arresi, il 22 gennaio 2014 i sindaci dei comuni di Perdasdefogu, Villaputzu e Ulassai; il 30 gennaio 2014 il sindaco del Comune di La Maddalena; il 27 marzo 2014 il sindaco del comune di Decimomannu; il 1o aprile 2014 il sindaco del comune di Arbus, per poi concludere l’11 giugno 2014 con l’audizione del presidente della Regione Sardegna, Francesco Pigliaru.

Tale impostazione generale ha fatto sì che l’approfondimento sul particolare assetto delle servitù militari in Sardegna abbia rappresentato la cifra specifica di questa indagine conoscitiva, nel raffronto con quella svolta nella XV legislatura.

Tuttavia, nel corso dei lavori, su iniziativa della deputata Donatella Duranti, è stata avanzata una richiesta di integrazione del programma dell’indagine conoscitiva al fine di includere la trattazione del tema relativo alla compatibilità tra servitù militari e parchi ed aree protette, con ciò proponendo di includere anche audizioni di direttori di parchi naturali ed aree protette sul cui territorio insistono servitù militari, come pure di rappresentanti della Regione Puglia e di enti locali pugliesi, inizialmente non contemplate dal programma.

Inoltre, da parte del deputato Domenico Rossi è stata prospettata l’esigenza di un approfondimento esteso al territorio della Regione Lazio.

Infine, in riferimento alla finalità indicata nel programma dell’indagine conoscitiva, relativa alla definizione di un possibile riequilibrio dei vincoli derivanti dalle servitù militari presenti sul territorio nazionale individuando anche in ambito europeo possibili soluzioni alle esigenze addestrative delle Forze armate, nel corso dei lavori è emersa l’esigenza di procedere ad audire anche gli opportuni interlocutori internazionali, individuati in rappresentanti di agenzie ed organismi internazionali e regionali preposti ad assolvere un ruolo in materia.

Conseguentemente, sulla base di quanto unanimemente deliberato dall’Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella seduta del 27 febbraio 2014 la Commissione ha deliberato un’integrazione del programma dell’indagine conoscitiva nei termini sopra indicati, insieme ad un rinvio del termine di conclusione dell’indagine al 30 giugno 2014.

Hanno, conseguentemente, avuto luogo le ulteriori seguenti audizioni: con riferimento alla Regione Puglia e al tema del rapporto tra servitù e parchi e aree protette: il 1o aprile 2014 il sindaco di Taranto; l’8 aprile 2014 il presidente e il direttore del Parco Nazionale dell’Alta Murgia mentre, seppur calendarizzate, non si sono potute tenere le audizioni dei sindaci di Gioia del Colle e di Amendola; con riferimento alla Regione Friuli Venezia Giulia è stato audito l’Assessore alle infrastrutture, mobilità, pianificazione territoriale, lavori pubblici e università della Regione Friuli Venezia Giulia;  con riferimento alle associazioni di cittadini delle zone gravate da servitù militari, sono stati auditi il 15 maggio 2014, su specifica istanza del gruppo Movimento Cinque Stelle, i rappresentanti del Comitato NO MUOS contestualmente a Massimo Zucchetti, professore ordinario di Impianti Nucleari, cattedra di «Protezione dalle Radiazioni» presso il Politecnico di Torino; con riferimento alle associazioni di protezione ambientale, il 29 maggio 2014 sono stati auditi rappresentanti del Movimento Azzurro e Legambiente; infine, passando alle audizioni di rappresentanti dei vertici militari e politici del Dicastero della difesa, sono stati auditi il 10 giugno 2014, il Capo di stato maggiore della Difesa, Ammiraglio Binelli Mantelli, e l’11 giugno 2014, il Ministro della difesa, senatrice Roberta Pinotti.

Quale ulteriore significativo fattore di indirizzo politico, intervenuto a lavori già avviato, occorre menzionare l’intervento dell’attuale Ministro della difesa, senatrice Roberta Pinotti – che nella XV legislatura, allora in qualità di presidente della Commissione, promosse l’indagine conoscitiva sulle servitù militari – svolto in occasione dell’audizione davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato sulle linee programmatiche del suo Dicastero, iniziata il 12 marzo e proseguita il 18 marzo 2014, in cui il nuovo Ministro ha preso posizione sul tema dei poligoni, assumendo contestualmente specifici impegni ai fini della convocazione di una II Conferenza nazionale sulle servitù militari.

In tale occasione il Ministro della difesa ha, infatti, affermato di avere «piena consapevolezza delle sensibilità che (i poligoni) provocano; tuttavia si tratta di strutture indispensabili per l’addestramento delle Forze armate, al fine di maturare quella padronanza nella gestione dei mezzi che è elemento essenziale per la loro operatività e per la sicurezza del personale. Sento il dovere di affermare che tutto possiamo permetterci tranne di mantenere Forze armate di facciata, per onore di bandiera, da esibire in parate. Ciò vale anche per la questione delle servitù militari, per le quali verrà convocata una dedicata Conferenza nazionale nel prossimo mese di giugno. La Conferenza, che rientra nel complesso progetto di revisione dello strumento militare, sarà il punto di partenza per definire ciò che deve essere assicurato per garantire il giusto e adeguato addestramento degli uomini e donne con le stellette, ciò che può essere utilizzato in sinergia con il territorio e ciò che il territorio deve riavere per crescere in termini socio-economici: la servitù, in sintesi, deve essere intesa come opportunità e non come disagio».

In tal modo il Ministro ha tracciato le basi metodologiche e di merito politico che hanno caratterizzato i lavori della II Conferenza sulle servitù militari, poi convocata a Roma, presso la Scuola trasporti e materiali dell’Esercito italiano, e che ha avuto luogo il 18 e 19 giugno 2014.

Ad essa, su invito del Ministro della difesa, ha preso parte una nutrita delegazione di componenti della Commissione, che ha poi riversato gli esiti della Conferenza in un’apposita seduta di discussione ed esame, svolta il 25 giugno 2014. Alla luce di quanto descritto, può forse dirsi conseguito un primo obiettivo di breve termine dell’indagine conoscitiva, relativo all’avvio di un percorso aperto di riflessione, approfondimento e confronto politico, esteso ai diversi soggetti istituzionali coinvolti e all’opinione pubblica, nazionale e locale, sul tema delle servitù militari, da cui è derivata un’azione di stimolo rispetto al lavoro governativo, che si è sostanziato su un piano più di natura tecnica e di interazione con i governi regionali, come hanno evidenziato dai lavori della Conferenza.

 

2. I principali elementi emersi nel corso delle audizioni.

2.1 Il nodo irrisolto della Sardegna.

Secondo l’inquadramento generale sulla condizione della Regione Sardegna, tracciato dal presidente della Regione Francesco Pigliaru, che ha evidenziato le ragioni alla base della mancata sigla di un protocollo d’intesa con il Ministero della difesa in occasione della II Conferenza sulle servitù militari, sul piano politico i due poli di attrazione sono rappresentati,da un lato, dall’obiettivo strategico del riequilibrio e, dall’altra, dal dato che vede la Sardegna sopportare un gravame di servitù militari misurato in una percentuale che oscilla tra il 60 e il 65 per cento, rispetto al resto del territorio nazionale e che rende la Sardegna di fatto l’«azionista di maggioranza assoluta della partita delle servitù militari». Sarebbero 30 mila gli ettari di territorio sardo occupati dal demanio militare, di cui 13.000 mila gravati da servitù militari vere e proprie e da integrare con spazi aerei e tratti di mare. Quanto a quest’ultimi, 80 chilometri di costa non sarebbero accessibili alle attività economico-turistiche.

Nella rappresentazione del problema data dal presidente Pigliaru, emerge che la situazione della Regione, e le richieste che essa avanza nei confronti dello Stato, appaiono sostanzialmente immutate rispetto al 1981.

Sul piano strategico se il riequilibrio rappresenta il punto di partenza e l’orizzonte di arrivo anche non è immediato, nel breve e nel medio termine l’attuale amministrazione regionale punta alla mitigazione del problema, che però chiama in causa subito la capacità di leale collaborazione tra soggetti istituzionali in attesa di una prospettiva di soluzione strutturale. Il percorso ottimale per Pigliaru resterebbe quello disegnato dalla citata mozione n. 1-00582 Scanu, finalizzata alla dismissione dei poligoni di Capo Teulada di Capo Frasca e alla riqualificazione del poligono di Salto di Quirra, procedendo all’eliminazione di tutte le attività suscettibili di produrre danni gravi e irreversibili alla salute umana e all’ambiente.

A tal fine e anche in generale sarebbe opportuna da parte della Difesa una presa d’atto sul radicale cambiamento del quadro geostrategico, connesso alla fine della Guerra Fredda, che implicherebbe una riconsiderazione degli assetti addestrativi definiti negli anni Cinquanta e che appaiono tuttora immutati secondo quanto evidenziato dall’apparato di servitù militari ancora esistenti. Da tale presa d’atto dovrebbe poi discendere una mappatura ragionata e critica sui poligoni, connessa alle esigenze della Difesa aggiornate al contesto contemporaneo. Questa mappatura sarebbe pertanto di sostegno alla mitigazione, nella prospettiva di una dismissione o riqualificazione dei poligoni.

Una possibile spiegazione sul permanere da parte dei vertici militari dell’attuale visione estensiva sull’assetto dei poligoni in Sardegna, tale per cui la Regione detiene ancor oggi un primato in Europa, sarebbe da ricondurre sul piano della teorica economica alla mancata quantificazione dei costi derivanti dall’uso di risorse naturali disponibili in abbondanza, come il territorio, e dal fatto che la legge di mercato spontaneamente non contribuisce a definirne un prezzo, pur nella consapevolezza che le stesse risorse naturali possono subire danni irreversibili. Conseguentemente, l’uso del territorio sardo non è stato mai soggetto ad un processo di spending review, come avviene oggi invece per altro genere di dotazioni, malgrado l’elevatissimo valore sociale ed anche economico che esso detiene. La riduzione dei poligoni potrà, pertanto, avvenire più agevolmente quando sarà esplicitato il costo collettivo sopportato e ciò grazie al ricorso a soggetti professionali specializzati a livello internazionale, in grado di procedere alla quantificazione dei costi del mancato sviluppo alternativo.

Ad avvio di tale percorso, e anche al fine di segnare il passaggio da parte della Difesa verso una nuova fase fondata su maggiore apertura e flessibilità e nell’ottica della mitigazione del problema, potrebbero essere fin da subito rilasciate le aree di pregio turistico – ambientale, qualificate come Siti di Interesse Comunitario (SIC), come quelle di Porto Tramatzu o il sito denominato le «Sabbie bianche», situati presso Teulada, in quanto, seppur non utilizzate a fini militari, sono comunque ricomprese nel territorio del poligono e dunque inaccessibili. Da affrontare e risolvere con urgenza è anche il caso della servitù che ancora grava su Guardia del Moro, presso La Maddalena, e su cui è in corso un contenzioso amministrativo destinato a protrarsi finché permarrà la volontà della Difesa di confermare il gravame. Sempre sul caso de La Maddalena, i benefici compensativi dovrebbero essere rivalutati a fronte di una nuova leale collaborazione tra Regione e Ministero della difesa e centrale è la valorizzazione della Scuola Sottufficiali della Marina, che potrebbe svolgere un ruolo più forte a livello nazionale ed anche internazionale.

Sempre in termini di mitigazione un’ulteriore soluzione nell’immediato riguarda l’ampliamento della finestra temporale libera da esercitazioni, che dovrebbe estendersi dal 1o giugno al 30 settembre di ogni anno (ad esempio ad oggi presso Capo Frasca la sospensione attuale è limitata dal 30 giugno al 31 agosto).

Centrale è il tema degli indennizzi che lo Stato è chiamato a liquidare ai comuni sardi che ospitano sul proprio territorio le servitù militari. Se i poligoni in Sardegna sono ad oggi i più grandi esistenti in Europa, il dato tendenziale relativo agli indennizzi evidenzierebbe tra il 1990 e il 2009 un calo del loro valore reale e ritardi nella erogazione delle somme per gli anni 2010-2014.

Una questione centrale, evocata anche dai rappresentanti degli enti locali sardi, ha riguardato la necessità che le misure finanziarie risarcitorie e compensative siano erogate non su base quinquennale, come è ad oggi il caso, ma su base annuale e secondo una gestione contabile che ne permetta lo scorporo dal calcolo ai fini del Patto di stabilità.

Altra questione essenziale riguarda l’esigenza di massima trasparenza sui dati relativi alle attività che si svolgono nei poligoni e la loro condivisione da parte dei soggetti coinvolti, soprattutto in ragione delle ripercussioni negative dell’incertezza relativa alla condizione dell’ambiente sull’industria turistica, che è notoriamente un settore ad altissima reattività.

Una proposta da parte dell’Amministrazione regionale, avanzata anche in occasione della Conferenza di giugno, ha riguardato l’istituzione di osservatori ambientali indipendenti presso ogni poligono e capaci di produrre dati indipendenti ed affidabili, con il possibile coinvolgimento di tecnici dell’ARPAS o della stessa Regione.

Più in generale il presidente Pigliaru ha condizionato la sigla di ogni protocollo di intesa con l’Amministrazione della Difesa ad un impegno, con decorrenza immediata ed improcrastinabile, ad azioni di tutela e alla bonifica dei territori e ciò in forza di motivazioni di ordine etico, oltre che di carattere economico.

Pigliaru ha indicato come altro punto qualificante di una strategia di medio e lungo termine mirata alla Sardegna l’avvio di un processo di conversione fondato sulla prospettiva di uso duale delle servitù militari destinate ad essere riconfermate, valorizzando la loro capacità di attrarre investimenti in ricerca ed innovazione. Qualora tale strategia venisse lanciata in modo sistematico in Sardegna, tale Regione dovrebbe poterne ricavare in termini di benefici una quota parte proporzionata alla misura del gravame e dei costi che essa sopporta in qualità di azionista di maggioranza. Le opzioni su questo terreno sono molteplici e spaziano dalle ricerche sui droni e sugli aerei senza pilota fino alle ricerche in campo aerospaziale.

Un’altra auspicata componente strategica di medio termine è il riavvio del processo di dismissione e di acquisizione al patrimonio regionale di beni immobili ad oggi rientranti nel demanio militare e non più in uso o non più necessari, e dei quali esiste un’anagrafe precisa. Si tratta di un terreno su cui le responsabilità dello Stato centrale si intrecciano con quelle di altri soggetti ai vari livelli di governo, regionale, provinciale e comunale. In tempi di spending review il tema della valorizzazione delle aree dismesse ha una sua concretezza e la Giunta regionale ha dichiarato di impegnarsi per la definizione di idee progettuali chiare, che provengono dalla comunità locale e che siano già definite al momento della dismissione. In tale contesto entrano in gioco i fondi europei e il loro corretto utilizzo.

Sulla generale situazione in Sardegna il dibattito tra le forze politiche presenti in Commissione si è caratterizzato, per quanto concerne il Partito Democratico, in una sostanziale condivisione sugli aspetti critici e propositivi portati dai rappresentanti delle istituzioni regionali e locali: l’obiettivo deve essere il riequilibrio delle servitù militari e le modalità per conseguirlo possono essere definite con l’avvio di una stagione di mitigazione, che contempli la ristrutturazione dei poligoni di Capo Teulada e di Capo Frasca. A regime il poligono di Salto di Quirra dovrà essere riconvertito mantenendo l’assetto occupazionale attuale ed aprendolo ad attività industriali compatibili con l’ambiente e a valenza civile. La mitigazione include un passaggio relativo alla quantificazione delle compensazioni e alla liberazione di certi ambiti territoriali ancora vincolati, per poi giungere con gradualità alla definitiva chiusura dei menzionati poligoni di Capo Teulada e Capo Frasca.

La visione di Forza Italia ha esplicitato accanto alla condivisione sui temi ambientale ed economici una considerazione per le esigenze addestrative in un’ottica di prospettiva di difesa comune europea. Ha dunque condiviso la proposta relativa ad una verifica di fattibilità di un riequilibrio delle servitù militari in ambito nazionale ed anche europeo.

Gli interventi degli esponenti del Movimento Cinque Stelle, assai assertivi sui temi dell’ambiente e della tutela della salute umana, hanno più in dettaglio messo a fuoco l’esigenza di riconsiderare il ruolo assolto dai Comitati misti paritetici, soprattutto nel caso de La Maddalena, i cui atti dovranno essere resi pubblici in un’ottica di maggior raccordo con la politica regionale, e di sottoporre ad attenta verifica l’utilizzo dei siti dismessi dal demanio militare e non utilizzati da parte delle amministrazioni destinatarie.

 

2.2. La situazione dei comuni sardi attigui ai poligoni di Capo Teulada e Capo Frasca. Istanze comuni e specificità. 
Il poligono di Teulada.

Il poligono militare di Teulada, istituito nel 1956 a seguito degli accordi NATO, è situato prevalentemente all’interno del territorio dell’omonimo comune nella provincia di Cagliari e per una quota ridotta anche del comune di Sant’Anna Arresi. È un poligono permanente per esercitazioni terra-aria-mare, affidato all’Esercito e messo a disposizione della NATO; rappresenta il secondo poligono d’Italia per estensione: 7.200 ettari di terreno, cui si sommano i 75.000 ettari delle servitù militari in senso stretto («zone di restrizione dello spazio aereo e le zone interdette alla navigazione»), normalmente impiegate per le esercitazioni di tiro contro costa e tiro terra-mare. Fra le attività più importanti figurano la simulazione d’interventi operativi e la sperimentazione di nuovi armamenti. Di recente, per adeguare il poligono alle nuove esigenze addestrative sono stati costruiti «scenari reali» confacenti ai conflitti più recenti. Il poligono è oggi considerato il maggiore centro europeo d’addestramento ad alta tecnologia.

Le audizioni dedicate al poligono di capo Teulada hanno individuato nell’impatto territoriale la prima difficoltà, considerato che non soltanto il poligono occupa un terzo del territorio dell’omonimo comune, ma include zone di pregio costiere e di pianura.

È emersa quindi una prima richiesta specifica, affinché il comune di Teulada sia ricompreso nella zona franca urbana di Carbonia Iglesias, al fine di accedere al relativo sistema di fiscalità di vantaggio, tenuto conto che Teulada attraversa una fase drammatica sul piano economico, evidenziata dalla chiusura di circa 140 attività e da un tasso di disoccupazione pari al cinquanta per cento (3).

Ulteriori istanze hanno riguardato, sul piano della sicurezza ambientale e della salute, la disponibilità di dati affidabili e oggettivi, senza i quali non sarà possibile gestire l’allarme della popolazione (è peraltro in corso un’indagine della magistratura su tale questione); l’ampliamento del periodo di sospensione delle esercitazioni; la richiesta affinché i fondi destinati dalla legge numero n. 104 del 1992, da destinare a servizi sociali o a opere pubbliche, siano erogati su base annuale e non quinquennale e in modo svincolato dal patto di stabilità; la possibilità per le imprese locali di accedere alle commesse interne alla base. Inoltre, si auspicano modalità di coinvolgimento dei giovani disoccupati; la liberazione di aree di pregio ambientale incluse nel poligono e non utilizzate per finalità militari e di pregio ambientale, a condizione che su tali aree non siano poi consentite speculazioni incompatibili con la tutela dell’ambiente. Infine, i comuni teuladini hanno auspicato l’apertura di un tavolo con il Ministero della difesa, accessibile alla popolazione locale.

Sul piano dei profili economici e produttivi, si è evidenziato che intorno al poligono gravitano attività basate dal couso del territorio sottoposto a servitù per finalità di pascolo e di pesca. L’assenza di un quadro di certezza scientifica sull’impatto ambientale delle attività militari aggrava la capacità competitiva degli operatori economici anche sul mercato locale, come hanno evidenziato i rappresentanti degli allevatori intervenuti insieme ai sindaci. D’altra parte, la disponibilità di dati certi renderebbe più gestibile il contesto locale per la stessa Difesa, che vedrebbe venire meno molti problemi connessi allo svolgimento delle sue attività.

In particolare, il comune di Sant’Anna Arresi, non avendo quote di territorio all’interno del poligono, patirebbe un doppio gravame, considerato che non ha diritto ad indennizzi malgrado la sua popolazione subisca quasi totalmente il carico delle esercitazioni e del transito dei mezzi in entrata e in uscita dal poligono.

Quanto alla proposta di dismissione del poligono, i sindaci hanno chiesto specifiche garanzie, a partire dall’attuazione sinergica di ogni iniziativa: i soli indennizzi non rappresentano più una prospettiva appetibile, né per i pescatori né per gli allevatori, e neanche per i territori ed è comunque essenziale fin da subito che diminuiscano le esercitazioni a fuoco.

Dovendo pur prendere atto della posizione della Difesa, contraria alla chiusura del poligono e dunque alle conclusioni cui è giunto il Senato nella scorsa legislatura, occorre allora capire quali sono le opportunità alternative. Il comando del poligono deve operare in accordi con i territori, in particolare con la filiera agroalimentare locale, che è al collasso, manca di infrastrutture e non può essere competitiva anche a causa della insularità. Occorre anche partire dal dato secondo cui, dalla sospensione della leva obbligatoria, la ricaduta positiva sul territorio dell’attività del poligono è pari a zero, fatta eccezione per le mere buste paga dei lavoratori. La non fruibilità di territori come le Sabbie Bianche impedisce ai comuni locali di partecipare a bandi europei.

Il dibattito tra i gruppi relativamente al poligono di Capo Teulada ha fatto emergere posizioni assai critiche sull’intera tematica, a partire dal Movimento Cinque Stelle, rappresentato dall’onorevole Corda, che ha evidenziato come il poligono rappresenti non un semplice valore aggiunto, ma il vero sostegno alla comunità locale da un punto di vista economico. Tuttavia, attesa la difficoltà degli amministratori locali nella relazione con i cittadini verso il basso e con l’amministrazione centrale verso l’alto, vi è il tema non affrontato dell’incidenza delle patologie tumorali riscontrate nei territori con presenza di poligoni militari, al di là della comprensibile enfatizzazione da parte dei media locali. C’è condivisione sulla necessità di porre rimedio allo squilibrio nelle condizioni di concorrenza tra le imprese teuladine e quelle sulcitana, oltre ad individuare attività alternative per sfruttare il territorio del poligono nei periodi di bassa stagione.

Per l’onorevole Scanu, in rappresentanza del Partito Democratico, dovendosi confermare l’obiettivo della chiusura di Teulada, occorre che si provveda a risarcire la comunità per i servizi resi allo Stato e a tutti gli italiani, andando oltre forme di compromesso tra permanenza delle servitù militari e sviluppo socio-economico del territorio e ponendo al centro di ogni strategia futura il concetto di risarcimento.

Per Forza Italia l’onorevole Cicu, già sottosegretario alla Difesa con delega alle servitù militari, ha richiamato una possibile declinazione tra i concetti di equilibrio e di riequilibrio, portando ad esempio il caso negativo de La Maddalena a causa del declino verso la povertà, che ha fatto seguito alla dismissione. Proprio i temi urgenti sollevati dagli enti locali, quali anche il tema del ritardo nel pagamento degli indennizzi e l’impatto della nuova crisi economica globale su quella già preesistente a livello locale, confermano la correttezza dell’impostazione dei lavori dell’indagine.

L’onorevole Piras per il gruppo di Sinistra Ecologia e Libertà in merito a Teulada ha anche richiamato la sua interrogazione n. 5-00547, trattata dalla Commissione, relativa alla ricerca commissionata dal Ministero della difesa e affidata al NATO Undersea Research Center (NURC) di La Spezia al fine di esaminare lo stato dei fondali a est di Capo Teulada. La questione dei dati dovrebbe partire proprio dalla disponibilità delle risultanze di questo studio. In generale, su un piano di sostanziale condivisione delle istanze emerse e ribadendo come imprescindibili gli obiettivi individuati al Senato nella scorsa legislatura, ha ricordato il dato sul decremento demografico che ha caratterizzato tutte le comunità che orbitano in aree dei poligoni negli ultimi 50-60 anni e il livello medio di reddito pro capite inferiore rispetto al resto del territorio nazionale. La Sardegna ha una sua specificità culturale e socio-economica, derivante dalla sua insularità. In questo quadro l’onorevole Piras ha valorizzato l’aspetto evidenziato dai sindaci teuladini, relativo alla quantità e quantità dell’interazione tra Difesa e territori, tra poligoni e comunità militari, che si è ridotta negli ultimi anni col mutare delle condizioni e degli interessi della Difesa.

L’onorevole Piras ha parlato di un’emergenza e, quanto al tema del riequilibrio, ha detto sì al risarcimento ma anche mantenimento dei patti da parte dello Stato, ad esempio sul terreno delle bonifiche o della riconversione, chiedendo ai sindaci di tracciare un bilancio tra benefici portati dai poligoni e svantaggi in termini di sovranità, di mancata realizzazione di attività economiche di carattere civile a partire da quelle turistiche, ma anche di carattere agroalimentare.

L’onorevole Rossi, in rappresentanza del gruppo Popolari per l’Italia, ha richiamato in prima battuta l’esigenza incomprimibile di contemperare le esigenze addestrative della Difesa con le servitù militari presenti sul territorio. I progetti di chiusura o di riconversione dipendono in primis da una valutazione preliminare di carattere globale, connessa all’esigenza di consentire alle Forze armate di addestrarsi. A suo avviso, la Commissione può operare positivamente nel promuovere l’interlocuzione fra le autorità locali, il Ministero della difesa e il Governo nel suo complesso, offrendo soluzioni al di là dei risarcimenti per andare incontro alle esigenze della popolazione locale. Sicuramente, l’allargamento della finestra di chiusura rispetto al periodo addestrativo èun elemento su cui lavorare proficuamente, come pure l’istituzione di una zona franca urbana a fiscalità di vantaggio nei ventitré comuni della provincia di Carbonia Iglesias con l’inclusione di Teulada. Anche la delimitazione geografica attuale del poligono potrà essere riconsiderata ed un intervento legislativo ad hoc potrà riguarda la questione delle imprese, al fine di prevedere che i comandi militari dei poligoni debbano rivolgersi in prima istanza ad aziende e ditte locali.

In risposta alle sollecitazioni dei parlamentari, i sindaci hanno tracciato un bilancio negativo sul piano dei costi e dei benefici, rovesciando l’impostazione che porrebbe ai sindaci una scelta strategica che spetta allo Stato. I comuni devono essere nelle condizioni di potere reagire ai diversi scenari definiti dal Governo in termini di vantaggio per i cittadini sul piano dell’ambiente e delle prospettive economiche. Quanto ai progetti alternativi, hanno menzionato interessanti proposte di valorizzazione dell’ambiente, oltre all’istituzione di poli museali incentrati sulla cultura del mare e del Mediterraneo. Tutto questo sarà fattibile se saranno affrontati i doverosi investimenti in infrastrutture, soprattutto stradali e le bonifiche, quantificando il danno arrecato ai territori per il ritardato sviluppo.

 

Il poligono di Capo Frasca.

Il poligono di Capo Frasca, situato in provincia di Oristano, è di tipo permanente, occupa un’area di 14 chilometri quadrati e impegna un’«area di sicurezza a mare» interdetta alla navigazione, dove avvengono tiri aria/superficie con munizionamento inerte, tiri aria/aria e da combattimento aereo non con munizionamento reale. Il livello delle unità esercitate si divide in unità aeree NATO e nazionali. La base logistica per il poligono di Capo Frasca e per le unità che in esso si addestrano è dislocata a Decimomannu, che rappresenta la base aerea più attiva in Europa. È un poligono utilizzato dalle aeronautiche e dalle marine italiane, tedesche e NATO. Vi sono situati impianti radar, eliporto e basi di sussistenza. La servitù relativa al poligono di Capo Frasca insiste in larga misura sul territorio del comune di Arbus (1.500 ettari), mentre l’aeroporto di Decimomannu insiste, oltre che sull’omonimo comune, anche sui comuni di Villasor, San Sperate e Decimoputzu.

I rappresentanti del comune Decimomannu hanno compilato un quadro a tinte meno fosche rispetto all’impatto della servitù sul proprio territorio. Se l’istituzione della servitù, avvenuta nel dopoguerra, aveva a quel tempo messo in evidenza la perdita di terreni «nobili» da destinare all’agricoltura, il successivo abbandono delle campagne ha mutato la percezione di quella penalizzazione iniziale. Da quando i militari sono presenti sul territorio di Decimomannu la situazione da un punto di vista sociale può essere definita come di perfetta integrazione, con l’unica recente eccezione connessa agli episodi di sversamento di idrocarburi che hanno compromesso talune coltivazioni vitivinicole di pregio e ai casi di aerei precipitati. Tuttavia il comando della base ha ammesso le proprie responsabilità e si starebbe adoperando per le opere di bonifica ed i risarcimenti.

Sul piano della tutela della salute il comune ha riferito di una propria indagine volta ad approfondire il rapporto tra le attività della base e i dati relativi alla crescente mortalità a causa di tumori rispetto alla media regionale e nazionale. I dati raccolti avrebbero dato conforto alla cittadinanza che lamenta l’inquinamento acustico derivante dall’attività di sorvolo, considerato che Decimomannu offre prettamente di supporto logistico per gli aerei che decollano e che vanno ad addestrarsi a Teulada, Capo Frasca e Quirra. Ad attenuazione di tale disagio la base avrebbe offerto alla popolazione locale servizi alternativi in termini di strutture sportive e di soccorso aereo per la protezione civile, in generale, di sostegno servizio meteorologico che è il più importante del sud della Sardegna.

Il comune di Decimomannu, oltre alle richieste condivise con gli altri enti locali della Regione, si è dichiarato concorde sulla necessità di un riequilibrio delle servitù militari ma sulla chiusura di Capo Frasca e dell’aeroporto di Decimomannu ha dichiarato, attraverso i suoi rappresentanti, che si tratta di una base aerea utile finché in Sardegna esisteranno dei poligoni di esercitazione. Sicuramente ci sono problemi da affrontare, connessi alle turbative per lo più derivanti da esercitazioni svolte da Paesi diversi dal nostro e dalla Germania, Paese quest’ultimo che, pur avendo solo il 20 per cento degli uomini, contribuisce al 50 per cento al costo logistico della base.

La descrizione sulla condizione di Decimomannu, integrata dall’onorevole Piras, ha contemplato il riferimento al fatto che è il comune di Villasor a subire il maggior impatto dalla presenza della base NATO. Per la Costa Verde e per il comune di Arbus l’inquinamento acustico ha un impatto negativo per l’industria turistica locale. Secondo il rappresentante di SEL, quanto all’impatto sulla salute umana, non vi sarebbero dubbi, al di là delle indagini condotte a livello locale, sul fatto che il personale civile e militare, che ha operato a Capo Frasca e che è stato coinvolto nelle prime operazioni di bonifica, ha contratto tumori a causa del contatto diretto con i frammenti di materiale esploso. Non ci sono, in generale, dubbi che si tratti di area a fortissima contaminazione.

In generale, Decimomannu è strettamente legata ai destini di Capo Frasca e rischia di subire un pesante impatto in termini occupazionali da un’eventuale misura di chiusura. In considerazione di questo delicato profilo, l’intero processo riguardante i tre poligoni situati in Sardegna va affrontato avviando uno stretto confronto con le comunità locali, valutando interventi graduali che partano in prima battuta dalla riperimetrazione e riqualificazione dei poligoni. Occorrono poi indennizzi, risarcimenti e investimenti per porre rimedio allo spopolamento, all’invivibilità sostanziale, alla sottrazione dei terreni, all’impatto acustico, al transito di materiale bellico.

Su Decimomannu, l’attenzione del Movimento Cinque Stelle, nel quadro di una redistribuzione dei poligoni sull’intero territorio nazionale, ha riguardato la questione specifica degli sversamenti di idrocarburi, che avrebbero luogo fin dal dopoguerra e che avrebbero determinato la contaminazione delle falde dei pozzi circostanti, da cui si preleva l’acqua per uso agricolo, con conseguente incidenza elevata di tumori nell’area negli ultimi dieci anni. La preoccupazione si estende ai lavoratori militari che risiedono nel comune e che consumano l’acqua all’interno dell’aeroporto estratta da pozzi artesiani. A tale preoccupazione il rappresentante del comune ha ribadito che l’incidenza di tumori rientra nella media regionale e nazionale e che le falde esterne alla base non sarebbero state contaminate. Quanto alle falde interne esse rientrano nella competenza del comune di Villasor. La base si sarebbe comunque assunta la responsabilità della bonifica e dei risarcimenti, nella consapevolezza che l’agricoltura circostante pur non estensiva ha delle esigenze imprescindibili.

Il rappresentante del gruppo della Lega Nord Padania, Marco Marcolin, ha posto il tema dell’indotto della base di Decimomannu, alla luce del fatto che tale comunità non avrebbe al momento economie alternative. A parte di posti di lavoro offerti alla popolazione civile locale (soltanto 70 posti di lavoro a sostegno dei militari italiani e altrettanti a sostegno dei militari tedeschi), gli appalti sono assegnati con gare al minore ribasso per cui le aziende locali non sono nelle condizioni di offrire contratti di lavoro se non per un numero ridotto di ore e ed importi esigui.

Diversa la situazione ad Arbus, dove l’assenza di ogni ricaduta occupazionale e di attività finalizzate allo sviluppo basato sul turismo ricettivo e sull’agroalimentare, a fronte dei disagi che gravano sul territorio, spiega la crescente ostilità da parte della popolazione nei confronti della base, vissuta solo come fonte di vincoli ostacoli divieti impedimenti allo sviluppo. Peraltro le marinerie del golfo di Oristano, in cui è inclusa Arbus, sono le sole ad essere escluse dal beneficio dell’indennizzo per il fermo bellico imposto delle attività del poligono. Quanto al rapporto con i militari, se esso è stato buono in passato, adesso si è incrinato anche a causa di iniziative non condivise dalla popolazione relative alle autorizzazioni all’approdo rilasciate in zone interdette alla popolazione anche nei giorni in cui non ci sono attività di tiro. Le richieste di estensione della stagione turistica con la sospensione delle esercitazioni tra giugno a settembre troverebbero un ostacolo nella mancata convocazione del Comitato misto paritetico.

Inoltre, non risultano certificazioni di bonifiche mai effettuate ad Arbus ma d’altra parte non ci sono elementi certi sull’incidenza di tumori nell’area, anche sulla base di dati che sono stati ufficialmente richiesta all’ASL e riferiti agli anni 2010 e 2011. La drammaticità della situazione è aggravata dalla crisi mineraria che la Regione ha sofferto di recente, ragione per cui la chiusura di Capo Frasca, pur condivisibile, farebbe prospettare il reiterarsi della crisi economica e sociale che ha fatto seguito alla chiusura delle miniere a meno che non avvenga con gradualità e con lo stanziamento di fondi e la previsione di piani di bonifica e di risanamento. Dunque, per gli amministratori locali nell’immediato è necessario procedere alla rinegoziazione della permanenza del poligono su nuove basi, con particolare riferimento al regime contabile degli indennizzi, e procedendo ad un’indagine scientifica sui temi della salute umana e dell’ambiente.

Il confronto con i commissari si è svolto nell’ottica della conferma dell’obiettivo della chiusura del poligono di Capo Frasca. Nel corso del dibattito è emerso come in Sardegna, a differenza di altre regioni, le servitù militari non si sono tradotte in un’interazione economica in termini positivi per le popolazioni e per i territori. D’altra parte, la forma di servitù militare, quale è il poligono, è quella che solitamente porta meno benefici a livello locale a fronte di un impatto violentissimo sul piano ambientale e questo spiega il fallimento del caso de La Maddalena, dov’è per di più gravano forme di abuso di denaro pubblico. A Capo Frasca sarebbero documentate forti e gravi violazioni delle norme minime di sicurezza dei lavoratori e un’elevatissima incidenza di tumori tra dipendenti sia civili che militari. La differenza con le altre regioni deriva anche dal fatto che in piccoli comuni sardi come Decimomannu o Arbus insistono poligoni di sperimentazione, poligoni militari e poligoni di tiro e questa è una differenza sostanziale, senza che sia mai stato raggiunto un grado di integrazione analogo a quello che gli americani avevano raggiunto nel contesto de La Maddalena.

Sul piano generale, è emersa anche un’emergenza «spopolamento» che va di pari passo con quello del reddito pro capite di quelle popolazioni, sensibilmente più basso di quello già basso che si registra in Sardegna. Con l’unica eccezione del comune di Perdasdefogu, centri come Villaputzu, Sant’Antonio di Santadi e Teulada presentano indicatori tutti negativi, a dimostrazione dell’assenza di ogni beneficio e del diritto che hanno gli amministratori di chiedere indennità per una pronta riconversione dell’area e la messa a disposizione di un’area bonificata. Lo spopolamento, imputabile in primo luogo al venir meno dell’economia mineraria, è fenomeno inarrestabile, cui naturalmente la presenza delle servitù non può che contribuire in modo negativo. Comunque, la richiesta di fondo è che la ricontrattazione sulla permanenza del poligono avvenga sulla base dell’assunto secondo cui ogni chiusura deve essere preceduta da bonifiche che ripristinino la condizione originaria dei luoghi.

In termini generali, nulla sarebbe cambiato rispetto alla relazione approvata al Senato che per Capo Frasca prevedeva una riperimentrazione, considerato che il dato differenziale rispetto al 1981 documenta un decremento di 3.300 ettari, da 38 mila a 35 mila, ma senza il passaggio reale delle aree alla Regione. Premesso che qualunque strategia deve vedere gli enti locali coinvolti in modo significativo, si è avanzata la richiesta che per un periodo pari a cinquant’anni ci sia una compensazione per il mancato sviluppo. Sul piano della riqualificazione occorre dare immediatamente avvio allo sviluppo di attività civili integrative, sostitutive e complementari a quelle militari e comunque in una logica per cui tutte le attività vanno sottoposte senza deroga a valutazione di impatto ambientale.

Una novità rispetto alla Commissione d’inchiesta del Senato è che adesso è necessario indicare una tempistica precisa per il piano di dismissione, precisando con quali risorse si fanno gli interventi, con quali strutture di coinvolgimento, di quali imprese e soprattutto con il pronunciamento del popolo sardo attraverso la sua massima assemblea rappresentativa. La Sardegna dovrà indire la sua Conferenza regionale sulle servitù militari, come è avvenuto in passato. Tale impostazione è saldamente imperniata sull’articolo 5 della Costituzione, che valorizza le autorità locali, nonché sugli articoli 11 e 32, quest’ultimo relativo al diritto alla salute da cui deriva che per ogni sito di esercitazioni si proceda ad un’indagine sanitaria non solo di tipo epidemiologico ma che tenda anche ad evidenziare il ruolo di inquinanti nocivi di ogni tipo, dai metalli pesanti alla radioattività seppur leggera. Quel che è chiaro è che non si reitererà mai più una logica esclusivamente centralista, anche alla luce del nuovo dettato dell’articolo 117 che ha individuato nel governo del territorio una materia concorrente tra Regione e Stato.

Sul piano politico, vi è la necessità di estendere l’accordo di programma con lo stato maggiore, secondo l’esempio positivo della spiaggia di Murtas presso il distaccamento di Capo San Lorenzo. Se la Regione è competente per il governo delle spiagge, il paesaggio rappresenta bene di rango costituzionale, che chiama in causa lo Stato. Stato e Regione su questi argomenti operano alla pari anche che si tratta di problemi legati alla difesa nazionale.

Infine, secondo l’opinione portata dall’onorevole Corda, in rappresentanza del Movimento Cinque Stelle, sussiste la necessità di valutare l’incidenza dei poligoni sul territorio sardo, soprattutto rispetto al tipo di attività in essi svolta e alle peculiarità del territorio stesso. È dunque, a suo avviso, opportuno operare una distinzione tra i poligono di Capo Frasca, Teulada e Quirra che parta dal presupposto che quei territori hanno caratteristiche paesaggistiche, naturalistiche e ambientali diverse, una differente potenzialità economico-turistica e, di conseguenza, anche una differente vocazione. Non v’è dubbio, per esempio, che a Capo Frasca le attività militari abbiano un impatto minore sull’ambiente e sulla salute dei cittadini, sia per la minore estensione dell’area stessa del poligono che per l’uso di munizioni inerti durante le esercitazioni, a differenza delle più impattanti attività addestrative presso i poligoni di Teulada e Quirra.

Non di poco conto, inoltre, è la valutazione relativa al fatto che tale poligono abbia base logistica presso la base di Decimomannu, ove ad oggi è presente un indotto attorno al quale si è sviluppata una piccola, ma apprezzabile economia locale. Ecco perché di queste tre realtà, Capo Frasca appare la meno onerosa per i cittadini, benché le criticità sussistano e vadano comunque analizzate in un quadro più completo ed organico. Fermo restando che anche tale territorio meriti d’essere valorizzato turisticamente ed economicamente a prescindere dal poligono e non certo abbandonato al suo destino nell’ottica arrendevole della servitù perenne.

Il poligono Interforze di Salto di Quirra.

Il poligono interforze di Salto di Quirra, che sorge in un territorio compreso tra le province di Cagliari e Ogliastra, che ricomprende i comuni auditi di Perdasdefogu Ulassai, Villaputzu e Villagrande Strisaili, è stato istituito per le Forze armate italiane nel 1956. È di tipo permanente e si sviluppa su una superficie di circa 11,6 chilometri quadrati a terra, a cui vanno aggiunte 9.946 miglia quadrate a mare. Nel poligono si svolgono attività di addestramento di unità nazionali ed estere, collaudi di prototipi di missili e bersagli, prove di qualità in cooperazione con industrie ed enti nel settore dell’elettronica aerospaziale, attività legate alla ricerca scientifica, collaudo e sperimentazione del munizionamento navale e terrestre a media e lunga gittata e sperimentazione di sistemi missilistici. Dopo la Saras il poligono di Quirra è considerato la seconda industria sarda.

Soprattutto per il comune di Perdasdefogu il poligono di Quirra rappresenta l’unica risorsa sul piano occupazionale, trattandosi di una comunità di 2000 cittadini e considerato che in tale realtà trovano lavoro circa 500 militari, 90 civili e 150 persone impiegate nelle ditte che coinvolgono 35 paesi sardi, di cui 12 paesi ogliastrini. I responsabili dell’amministrazione comunale hanno sostenuto la necessità di assicurare alle comunità locali economie alternative argomentando che il rilancio economico non può che passare da un rilancio delle attività del poligono nel rispetto di un protocollo sanitario nazionale. Quirra è suscettibile di un potenziamento sul piano dell’utilizzo duale del poligono soprattutto per progetti di protezione civile e attività antincendio. Potrebbe essere ripreso anche il progetto di un distretto aerospaziale in un’ottica di vantaggio diffuso nella regione e il progetto sulla «striscia tattica polifunzionale» che avrebbe consentito di sperimentare sul piano civile e militare gli aerei senza pilota, laddove invece parte di questa sperimentazione è stata trasferita in Puglia. La zona intorno a Quirra si presterebbe anche per gli scenari specifici per l’addestramento delle forze speciali. Inoltre, i mutamenti derivanti dalla revisione dello strumento militare potrebbero tradursi in un vantaggio per Perdasdefogu, derivanti dello spostamento di taluni reparti.

Una richiesta emersa dall’audizione dei rappresentanti dei comuni interessati da Quirra è quella di meglio individuare i poligoni sperimentali anche dal punto di vista normativo nel quadro di un’esigenza complessiva relativa alla definizione di un quadro di regole certe. Si è lamentata, infatti, per il passato l’assenza di norme in ordine alla natura di un poligono, se dovesse considerarsi come un sito industriale oppure semplicemente come una sorta di area «giardino».

Sul piano ambientale e della tutela della salute la maggior parte delle attività in essere a Quirra sarebbero meno impattanti di quelle svolte presso altri poligoni. Ciò nonostante, l’assenza di elementi informativi certi alimenta un clima di allarme pari a quello di altre comunità dell’isola.

Data la vastità del poligono, per Quirra il tema del recupero del territorio per finalità di agricoltura e di pastorizia assume rilevanza centrale alla luce del fatto che gli 11 mila ettari, cioè la stragrande maggioranza del territorio del poligono, sono assolutamente sani da un punto di vista ambientale.

Ritorna anche per Quirra il tema degli indennizzi e del Patto di stabilità, con la specifica richiesta di destinare i fondi direttamente ai comuni e non per il tramite delle Regioni e di un più incisivo ruolo da parte dei sindaci e delle comunità locali. I comuni dell’area hanno manifestato un favore al permanere delle basi militari a condizione che siano definiti un protocollo sanitario e un protocollo ambientale per tutte le attività che si devono poter svolgere sui terreni condivisi tra poligono e comunità locale. Si richiede più chiarezza sui fondi per le bonifiche: a tal proposito erano stati stanziati 25 milioni di euro per 3 anni finalizzati alla bonifica e alla riqualificazione dei territori.

Il tema dei poligoni è un problema regionale ma con valenza politica nazionale ed europea. Esso va affrontato sul piano militare ragionando sugli armamenti. Un’indagine ambientale promossa dal Ministero della difesa certifica un inquinamento incontrovertibile a Quirra. E comunque per ogni soluzione occorre individuare tempi risorse e strutture. Le bonifiche rappresentano una grandissima opportunità ma richiedono fondi decisamente superiori a quelli dichiarati (il sindaco Codonesu ha quantificato in un miliardo e 470 milioni i fondi necessari alla bonifica dei suoli, superiori ai citati 75 milioni).

Per i comuni che non hanno possibilità di sviluppo alternativo il pericolo derivante dalla dismissione dei poligoni è lo spopolamento.

Occorre anche il coordinamento dei sindaci per evitare una trattazione caso per caso.

Nel corso del dibattito è emerso con il contributo dell’onorevole Corda che Quirra ha ricadute positive più importanti per il comune di Perdasdefogu, dove ha sede il comando della base. Richiamando una visita svolta dal suo gruppo presso il poligono di Teulada, ha condiviso la necessità che le bonifiche dei territori abbiano inizio prima ancora che i militari abbandonino i territori. Non è peraltro più accettabile dichiarare un territorio «imbonificabile», ne è lecito pensare che l’inquinamento provocato in un determinato punto del territorio non si propaghi per effetto degli agenti naturali anche nel resto dell’isola. Da questo punto di vista, occorre certezza sull’ambiente per andare incontro alle esigenze degli allevatori e su questo la politica nazionale deve attivarsi.

L’onorevole Cicu ha posto il tema della realizzazione di un miglior rapporto tra Stato e Regioni ed amministrazioni interessate dalle servitù militari, partendo dal principio che non ci può essere una cultura dominante ma ci deve essere una cultura di rispetto delle volontà e delle reciproche posizioni. Occorre muovere verso un punto di mediazione e di reciproca comprensione seguendo un percorso di riequilibrio. Sicuramente la prospettiva duale dell’innovazione e della ricerca tecnologica è quella da perseguire poiché più risolutiva sul piano della tutela ambientale e della lotta contro l’inquinamento. In questo senso il ruolo della Commissione è quello di fornire delle proposte, di segnalare le differenze non come contrapposizione ma come valore aggiunto.

Nella prospettiva dell’onorevole Piras relativa a Quirra il tema delle servitù militari in Sardegna va invece visto come un unicum, in quanto riguarda i destini del modello di sviluppo di un’intera Regione e non può essere invece spacchettato e trattato per casi singoli e specificità a seconda del comune di pertinenza. La tenuta sul piano ambientale e sul piano sanitario dell’intera Regione è tema che attiene alla qualità della democrazia cioè alla possibilità di poter scegliere che tipo di attività da svolgere un dato territorio. Occorre, in generale, una riduzione quantitativa e qualitativa della presenza dello Stato e del Ministero della difesa in Sardegna.

La linea seguita dai sindaci è indubbiamente comprensibile dato la dipendenza dei poligoni che stata loro imposta negli ultimi sessant’anni. Sussiste un preciso dovere risarcitorio ulteriore nei confronti della Sardegna e dei Sardi. È inoltre auspicabile un’indagine seria indipendente estesa a tutto il territorio regionale e da questo punto di vista l’indagine della magistratura riguardante Quirra può tradursi in un vantaggio per le comunità locali.

L’onorevole Rossi, ricordando la Conferenza regionale svolta nel 1995, ha invitato la Commissione a non illudere i sindaci interessati dei poligoni: prima di assumere qualunque decisione specifica occorre sciogliere il problema in termini generali, capire cioè quali siano le esigenze reali della struttura delle Forze armate e le relative esigenze addestrative. L’abolizione di tutti i poligoni italiani diventa per assurdo un’opzione che dovrebbe interessare qualunque comune italiano. La sua conseguenza sarebbe portare le nostre Forze armate all’estero per svolgere le esercitazioni con costi probabilmente superiore da tre a cinque volte a quelli attualmente sostenuti in Italia. Alla base del problema delle servitù militari c’è un problema di definizione delle esigenze in confronto tra le esigenze delle Forze armate e attuali servitù militari.

A suo avviso, vi è poi l’esigenza di sentire tutte le regioni come ad esempio la Sicilia. Il tema delle verifiche ambientali e sulla salute rappresentano l’esigenza primaria non solo per le comunità locali ma in termini di civiltà nazionale. Un’ulteriore esigenza è l’istituzione di un tavolo di confronto tra Stato, Regioni, province e comuni che conduca a misure di compensazione per il passato e per il futuro. Poiché sarà impossibile eliminare tutti i poligoni, la Commissione potrebbe proporre soluzioni dei casi in cui lo Stato sia chiamato ad abbandonare determinate situazioni proponendo ad esempio l’evoluzione verso il duale tra realtà militare realtà civile.

 

Le servitù militari nell’arcipelago de La Maddalena.

La servitù militare relativa al comune de La Maddalena riguarda in particolare l’isola di Santo Stefano, facente parte dell’arcipelago, di proprietà privata fatta eccezione per il versante orientale, su cui insistono insediamenti militari della Marina Militare e l’approdo per la nave appoggio per sommergibili nucleari americani. Concessa in uso nel 1972 agli Stati Uniti per l’impiego di una zona della base navale della Marina Militare come base militare navale di appoggio per sommergibili a propulsione nucleare, la servitù di Santo Stefano è stata dismessa il 25 gennaio 2008. Ad oggi l’isola di Santo Stefano, con un’estensione di 3 chilometri quadrati, ospita ancora un importante impianto: il deposito di munizioni della NATO «Guardia del Moro». Affidato al comando della Marina Militare Italiana, è lungo circa 2 km e insiste in parte nel sottosuolo, in area di proprietà privata.

La Maddalena rappresenta un caso particolare. Nella rappresentazione fatta dal sindaco, non è una servitù molto grande dal punto di vista dell’estensione territoriale ma molto importante sul piano qualitativo per le caratteristiche di sicurezza che l’impianto stesso ha, trattandosi di un impianto sotto roccia.

Già nel 2008 lo stato maggiore della Marina affermò che quell’impianto non era rinunciabile, come successivamente confermato dall’allora Ministro della difesa La Russa in risposta ad un’interrogazione a risposta scritta dell’allora senatore Scanu (n. 4-00748). Come già riferito, la servitù militare di Guardia del Moro è in fase di rinnovo malgrado in sede di Comitato misto paritetico il sindaco abbia sempre dichiarato che l’impianto è in netta incompatibilità con le strategie di sviluppo dell’arcipelago quali definite del Piano paesaggistico regionale e nel Piano di sviluppo che si dipana su 15 linee di azione.

Malgrado una esigua popolazione di appena 12 mila abitanti, La Maddalena è stato equiparato a capoluogo di provincia. Lo Stato ha, quindi, investito centinaia di milioni di euro per ristrutturare e risistemare le strutture ex militari, risorse che dovevano servire per abbreviare i tempi della riconversione economica dovuta all’allontanamento del contingente americano, rimasto sull’isola per trentacinque anni. Il risultato è che il progetto di sviluppo a distanza di cinque anni non ha prodotto neanche un posto di lavoro.

Nel 2008 il comune di La Maddalena ha deciso di ricorrere al TAR contro l’imposizione della servitù sulla base dell’assenza di unanimità in sede di Comitato misto paritetico. In ulteriori due ricorsi il comune de La Maddalena ha sempre vinto, in particolare la seconda sentenza del TAR ha posto in termini equilibrati e di condivisione il rapporto tra gli interessi in gioco. L’ordinanza di accoglimento del Consiglio di Stato del 23 ottobre 2008 ha riconosciuto gli interessi concorrenti della difesa e delle comunità locali.

Ad oggi l’incompatibilità con la servitù è legata al fatto che la Maddalena è un parco nazionale in procinto di diventare parco di rilievo internazionale. È stata conseguentemente criticata anche l’operazione di alienazione a privati dell’isola di Budelli a fronte di un introito di 3 milioni di euro e non sarebbe comprensibile la differenza di trattamento rispetto all’isola di Santo Stefano che è parte dell’arcipelago e del Parco Nazionale. Se ben si comprende come l’impianto non possa essere chiuso dall’oggi al domani, la richiesta del comune è quella di un tavolo concertativo con Regione, Provincia e Ministero della difesa da cui possa derivare la definizione di un programma a lunga scadenza che individui come obiettivo inequivocabile il trasferimento dell’impianto in un altro sito, e ciò anche alla luce delle sentenze del giudice amministrativo.

Ciò nonostante, al momento la servitù è in fase di rinnovo. Il Ministero della difesa ha posto a fondamento della propria determinazione motivi legati alla difesa nazionale, nonché alla particolarità ed indispensabilità dell’impianto. Ma questo non farà altro che alimentare ulteriore contenzioso, laddove sarebbe invece il momento di trovare soluzioni diverse.

D’altra parte La Maddalena è una collettività sorta e sviluppatasi grazie alla presenza della Marina militare: la Regia Marina, derivata dalla Regia Marina Sarda, è nata a La Maddalena. L’arcipelago ospita ancora oggi una scuola di formazione che sul piano delle potenzialità strutturali e delle competenze non ha pari in Italia.

La richiesta del comune de La Maddalena è elaborare un piano comunale di rilancio che parta dalla valorizzazione della scuola e costruisca intorno ad essa le sinergie compatibili. Oggi il comune di La Maddalena non può più rientrare nell’elenco dei comuni militarmente importanti, come è stato finora. L’auspicio è che la Commissione possa farsi interprete di queste richieste ed evitare che la questione resti sul piano giudiziario.

In fase di dibattito l’onorevole Scanu ha ricordato come l’allora Ministro Mauro abbia confermato il mantenimento dell’impianto in modo del tutto inalterato e come La Maddalena rappresenti un caso a sé, mentre l’onorevole Cicu ha ricordato il contesto in cui avvenne la fuoriuscita degli americani, i quali acconsentirono a tale passaggio a fronte di specifiche richieste al Ministero della difesa a tutela della difesa e della sicurezza collettive. Certamente, quell’abbandono ha penalizzato drammaticamente l’economia dell’isola per cui a questo punto è opportuna una riconsiderazione complessiva del caso.

L’onorevole Corda ha aggiunto al quadro già delineato dai colleghi il problema della reintegrazione dei lavoratori: dopo il G8 si parlava di bonifiche e dell’istituzione a La Maddalena di un polo per la cantieristica navale da diporto. Nell’ottobre 2013 sono stati previsti nuovi stanziamenti, pari a circa 11 milioni di euro per le bonifiche. Nel 2007 2600 militari americani sono andati via e l’indotto rappresentato dalla loro presenza non è stato sostituito da nulla, né il G8 è stato utilizzato per indirizzare nell’arcipelago della città risorse importanti per riorganizzare le strutture militari.

Sulla questione relativa alla servitù di Guardia del Moro, la rappresentante del Movimento Cinque Stelle ha successivamente riferito alla Commissione che i verbali dell’assemblea del Comitato misto paritetico, tenutasi in data 20 maggio 2013, fanno un riferimento alla valorizzazione del titolo V della Costituzione, nel quale si ribadisce il principio di sussidiarietà delle amministrazioni nei confronti degli interessi dei cittadini, legati all’ente istituzionale più prossimo ai cittadini stessi, ovvero il Comune di La Maddalena. Già nella prima conferenza sulle servitù militari svoltasi a Roma nel 1981 veniva discussa la riduzione quantitativa e qualitativa delle servitù militari, impegni assunti e mai perseguiti, ad eccezione della dismissione di qualche bene non più utile ai fini istituzionali.

Malgrado il processo di spending review abbia indotto la Difesa a scelte sofferte di riduzione del personale, si è scelto di mantenere la Scuola Sottufficiali, quando invece sarebbe stato più vantaggioso, proprio in termini di risparmio, il trasferimento delle attività di formazione in strutture più vicine, come ad esempio presso la base operativa di Taranto, ove vi è la presenza di uno dei più grandi Istituti di Formazione della Marina Militare Italiana. Scelta questa, scaturita anche dalla presenza del deposito munizioni di S. Stefano di importanza fondamentale per dimensioni, capacità di stoccaggio, possibilità di operare in tempi brevi grazie alla possibilità di ormeggio delle navi.

Si pensi al fatto che, all’interno dell’arcipelago di La Maddalena, è stato attuato un investimento di oltre 800 milioni di euro spesi dallo stato italiano per riconvertire l’ex arsenale e l’ex ospedale militare, inizialmente destinati allo svolgimento dell’evento G8/2009, ma stanziati soprattutto per il rilancio dell’economia turistica dell’isola. Progetto mai realizzato e sulle cui aree persiste l’impianto di Deposito Munizioni della Marina Militare.

Peraltro, la servitù militare di Guardia del Moro cade interamente nella proprietà di alcuni possessori terrieri, i quali si vedono sottratti svariati ettari di terreno, con un indennizzo quinquennale mai ritirato. Anzi la Marina Militare ha iniziato i lavori dei tunnel, usati ora come polveriere, che si diramano per oltre il 90 per cento nell’area sottostante le loro proprietà. Sarebbe questione che spetterebbe al Governo risolvere al di fuori di un contesto giurisdizionale e in modo da ai proprietari dei suddetti terreni, data la dismissione della servitù, di riprenderne possesso.

Dall’audizione è emerso anche che l’ex arsenale militare oggi versa in stato di totale abbandono, pur essendo costato da solo circa 190 milioni di euro, con una superficie di 150 mila metri quadrati, di cui 40 mila metri quadri di superficie coperta e perfettamente organizzata con banchine predisposte per ospitare 470 barche. La parte da adibire a cantieristica navale avrebbe dovuto prevedere un travel lift da 500 tonnellate nominali.

Nel frattempo l’impegno del Ministero della difesa si è defilato e l’attuale gestore dell’Arsenale andrebbe richiamato alle sue responsabilità, trattandosi di una società del gruppo Marcegaglia che avrebbe dovuto versare 31 milioni di euro una tantum al Governo ma che da due anni non ha versato i soldi e ha poi chiuso la struttura. Si tratta di una struttura abbandonata che darebbe centinaia di posti di lavoro non solo a La Maddalena, ma a tutta la Sardegna.

Quanto alla riconversione del sito da interesse nazionale a interesse regionale sul piano ambientale, ciò ha comportato che La Maddalena sia divenuta soggetto attuatore delle bonifiche, considerato che c’è una legge regionale secondo cui le bonifiche dei siti di interesse regionale sono di competenza dei comuni. Le risorse pari a 11 milioni di euro non coprirebbero comunque il progetto di bonifica che ne costerebbe 19. E comunque i soldi non sono ancora arrivati. Il Comune predisporrà l’appalto per la rimodulazione del progetto di bonifica ma nel frattempo la Regione ha già incaricato l’ARPAS per la caratterizzazione delle darsene esterne, già oggetto di un sequestro da parte della Procura della Repubblica.

 

2.3. La Puglia: il caso di Taranto e il Parco Nazionale dell’Alta Murgia.

Il tema delle servitù militari in Puglia – il cui bilancio registra il dato relativo alla sigla di un Protocollo d’intesa tra Regione Puglia e Ministero della difesa in occasione della seconda Conferenza nazionale sulle servitù militari del 18-19 giugno 2014 – evidenzia innanzitutto la specificità della città di Taranto, con i suoi 10 mila militari e 4000 civili, su 210 mila abitanti, che lavorano presso l’Arsenale Militare e nelle strutture e scuole che fanno capo al Corpo Equipaggi Militari Marittimi (CEMM). Ciò significa che il 20 per cento della popolazione tarantina ha a che fare con la Marina Militare, la quale ha contribuito storicamente in maniera determinante allo sviluppo della città, contribuendo all’incremento esponenziale della popolazione cittadina.

Come rappresentato dal sindaco Stefàno, la Marina occupa buona parte del territorio della città, incluso il borgo storico, in taluni casi contribuendo alla conservazione dei siti di interesse storico e architettonico della città. Tuttavia, nel 2012 per la prima volta c’è stata una restituzione di aree militari alla città con passaggio dal demanio militare al demanio statale e quindi alla città di Taranto.

Un altro segnale molto importante riguarda il fatto che il 60 per cento dei marinai imbarcati sulla nave Cavour sono pugliesi e per il 40 per cento tarantini. Positivi casi di couso delle servitù militari riguardano il caso del Castello Aragonese, punto di eccellenza turistica anche a livello regionale, e il centro sportivo della «Caserma Cugini», ristrutturato dalla provincia e affidata alla manutenzione del comune. Anche l’isola di San Pietro, di pertinenza della Marina, è utilizzata durante l’estate ed è aperta ai cittadini.

Un’analoga esperienza è stata fatta con l’ospedale e l’utilizzo della camera iperbarica, fino ad oggi utilizzata soltanto al 10 per cento delle sue possibilità in quanto limitata agli appartenenti alle Forze armate, e ciò anche grazie ad un accordo siglato dalla Regione. Il passaggio dei beni al territorio comunale è tuttavia condizionato alla disponibilità di finanziamenti per il mantenimento e le ristrutturazioni: rappresenta, infatti, una clausola dell’accordo con il CEMM che, se i progetti civili non sono completati entro due anni, le aree ritornano nella titolarità del soggetto militare. Dunque, nell’analisi del primo cittadino tarantino, lo stato delle relazioni tra la città e la Marina Militare al momento sarebbe ottimale.

Ha rafforzato questa prospettiva l’onorevole Duranti auspicando ulteriori forme di restituzione alla città dei tanti insediamenti affidati alla Marina militare attraverso il ricorso allo strumento del couso. Quanto all’inquinamento che affligge la città, ascrivibile per lo più all’impianto dell’Ilva, è stato posto il tema delle condizioni del Mar Piccolo e dell’acqua di falda a cui la Marina ha comunque attinto e, quindi, dovrebbe contribuire sul piano della bonifica.

L’onorevole Duranti ha posto il tema, oltre che della presenza della Marina Militare italiana a Taranto, di quella della NATO con particolare riferimento alla stazione di Chiàpparo, per cui sarebbe opportuno valutare i gravami che ancora oggi derivano da tale installazione. In generale, si tratta di un terreno su cui non esiste un regime giuridico preciso, in quanto fondato sui Trattati del 1951 tra Italia e Stati Uniti per l’installazione della base, che rappresentano accordi autoapplicativi non soggetti al passaggio in Parlamento. La stazione di Chiàpparo sarebbe d’altra parte una sede di una rete di spionaggio e di coordinamento statunitense, su cui l’onorevole Duranti ha invocato il monitoraggio.

In sede di replica, il sindaco ha riferito che è stato istituito un commissario per la bonifica all’interno dell’area industriale, su cui il comune non ha competenze se non per le licenze. La bonifica del Mar Piccolo è stata affidata alla Capitaneria di Porto e alla Guardia di Finanza ai fini dello svolgimento di un’indagine per la catalogazione delle fonti inquinanti non conosciute, derivanti da alcune discariche situate nel paese di Statte, dunque al di fuori del territorio del comune di Taranto. Tale studio è stato quindi affidato all’ARPA e, poiché le fonti inquinanti non saranno né bonificate né chiuse, non si potrà conseguentemente bonificare il Mar Piccolo. Sono state fatte proposte per un dragaggio e per la copertura del fondale con della creta. E comunque è emersa la volontà del Governo di affidare la questione ad uno studio internazionale. Si tratta di un tema centrale per la città, vista la presenza di 5000 mitilicoltori.

Temporaneamente si è provveduto con un’operazione di spostamento delle produzioni al Mar Grande ma con grandi impegni economici. Il sindaco ha comunque assicurato che la Marina Militare non è più fonte di inquinamento e che i problemi della città derivano per lo più dalla presenza di discariche con specifico riferimento alle falde idriche.

L’altra specificità pugliese è rappresentata dal caso del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, unica area protetta ad essere occupata per il 30 per cento del proprio territorio da poligono addestrativo. L’Ente Parco è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 10 marzo 2004, dunque dopo l’istituzione del poligono militare, quale ente autonomo regolato dalla legge n. 394 del 1991. Esteso tra le province di Bari, Barletta, Andria e Trani, ricomprende 13 comuni e ospita sulla propria superficie 450.000 abitanti.

In occasione della sua audizione, il presidente del Parco, dottor Cesare Veronico, ha definito la compresenza di un parco e di un poligono un paradosso derivante da un accordo con l’Ente Parco che troverebbe nell’ordinamento militare la norma regolatrice e da quale sarebbe dovuto derivare un protocollo d’intesa mai attuato. L’accordo oggi vigente prevede l’istituzione di un tavolo mai istituito per la definizione delle modalità di esercitazione, da definirsi all’interno del COMIPA,cui dovrebbero partecipare rappresentanti delle Forze armate e dei Consigli regionali e che avrebbe il compito di decidere il calendario. Allo stato, invece, il Parco Nazionale non riceverebbe comunicazioni su tale calendario, di cui verrebbe a conoscenza in modo indiretto, talvolta anche attraverso le testimonianze dei turisti.

La questione di fondo attiene alla contraddizione, tutta all’interno della compagine governativa, che vede da un lato la linea di resistenza tenuta dal Ministero della difesa e dall’altro l’investimento fatto dai Ministeri dell’ambiente e dei beni e delle attività culturali, che in Alta Murgia hanno avviato e finanziato progetti importanti, finalizzati all’inserimento del parco nel circuito del turismo internazionale. Veronico ha riferito che nel 2013 è stato possibile ridurre del 50 per cento le esercitazioni a fuoco, che però si sono protratte in una stagione dell’anno del tutto inopportuna ai fini delle esigenze della flora e della fauna.

In sede di dibattito la questione sollevata dall’onorevole Duranti ha riguardato l’inopportunità di gravare i parchi e le aree protette con poligoni di tiro, considerato che il territorio nazionale ed è già occupato per il 17 per cento da servitù militari. L’onorevole Duranti ha quindi prospettato e poi anche presentato un’iniziativa legislativa (4) di modifica dell’articolo 357 del Codice dell’ordinamento militare che prevede questa compresenza, auspicando interruzione definitiva delle esercitazioni all’interno del Parco dell’Alta Murgia.

Secondo l’onorevole Scanu la situazione del Parco dell’Alta Murgia conferma la valenza nazionale e non regionale o limitata alla Commissione difesa del tema delle servitù militari: tale tema è peraltro sempre connesso alla questione occupazionale, risolta ad oggi con costi elevatissimi e di lungo periodo per la comunità nazionale. Ha ribadito come una possibile soluzione anche per l’Alta Murgia derivi da una individuazione in sede europea di un’area di addestramento polifunzionale, che garantisca la cosiddetta interoperabilità e consenta la chiusura dei poligoni italiani in cui ad oggi vengono addestrarsi forze armate provenienti da tutto il mondo. Lo stato in cui versa il parco testimonierebbe, a suo avviso, la debolezza negoziale della politica nazionale e regionale, da un lato, e la particolare determinazione da parte degli stati maggiori della Difesa, dall’altra, che sconfina nell’insensibilità generale per delicate questioni attinenti alla tutela del nostro territorio.

La non inclusione dell’Ente Parco nell’iter finalizzato alla calendarizzazione delle esercitazioni ha comportato ad oggi incidenti e danni dal punto di vista dell’immagine. Rispetto a questo gli amministratori locali sembrano tenere una linea diversa da quella tenuta dai sindaci dei comuni sardi, che lavorando di concerto con il comando della base cercando di riconquistare porzioni di territorio. Anche l’onorevole Bolognesi per il PD ha sollevato obiezioni ritenendo che vi sia un rapporto di connivenza a livello locale, che ruota intorno alla materia dell’indennizzo e che induce a privilegiare le esercitazioni a danno della tutela del Parco.

Un’opinione favorevole ad una riconsiderazione dei siti a fini di monitoraggio e per individuare una distribuzione più omogenea sull’intero territorio nazionale è stata espressa anche dall’onorevole Petrenga che ha rievocato la ricaduta negativa turistica di situazioni quali quella pugliese interrogandosi sulle responsabilità e sul ruolo svolto dall’amministrazione regionale, con particolare riferimento all’assessorato all’ambiente.

Il presidente Vito, ricordando gli obiettivi dell’indagine relativi alla ricerca di un punto di equilibrio tra esigenze addestrative delle Forze armate e quelle degli enti locali, ha sottolineato che l’incontro con i rappresentanti del Parco è finalizzato ad individuare anche modifiche normative che contribuiscano al riequilibrio sul territorio della presenza addestrativa delle Forze armate in linea con quanto definito dell’ultimo Consiglio europeo per la difesa.

A tali quesiti il presidente Veronico ha risposto dichiarando di non conoscere e i benefici che ricevono i comuni dalle Forze armate ma rappresentando l’ampio coinvolgimento di imprese locali nei progetti legati alle attività del Parco, a fronte di un coinvolgimento esiguo di soggetti imprenditoriali con finalità di sostegno alle attività addestrative: saranno 372 le aziende che potranno partecipare a contratti per un valore complessivo di due milioni di euro per lo svolgimento di attività a sostegno del Parco, a fronte delle sole sei o sette aziende che operano a sostegno delle esercitazioni.

Se, poi, il Parco non partecipa alle sedute del Comitato, esso è però presente nella Comunità del Parco, in cui siedono anche il presidente della Regione, due presidenti di provincia e i tredici comuni del parco. In tale sedi non vi sarebbero dubbi in ordine alla necessità di interrompere le esercitazioni e di procedere ad una definizione concordata delle attività addestrative. Tuttavia nella sede del Comitato misto paritetico vi è stato un dibattito che, da un lato, ha consentito lo slittamento delle esercitazioni e, dall’altro lato, ha di fatto comportato una battuta di arresto.

La richiesta dei rappresentanti del Parco è stata, pertanto, non tanto quella di interrompere del tutto le esercitazioni ma di prevedere una rispettosa applicazione del Codice dell’ordinamento militare, che comporta già oggi una valutazione di incidenza ambientale delle esercitazioni. Indubbiamente l’attività addestrativa è incompatibile con quella di ogni parco nazionale ma, finché tale situazione dovrà permanere per decisione centrale, l’auspicio è che quantomeno essa possa essere gestita nel rispetto delle regole vigenti.

Gli amministratori locali e anche l’assessore regionale all’Ambiente hanno collaborato nell’interesse del parco, ma l’attivismo della politica locale ha subito una battuta d’arresto con la determinazione dell’allora Ministro Mauro che, recatosi in visita in Puglia, ha annunciato la ripresa delle esercitazioni. L’anello debole sembrerebbe, pertanto, essere rappresentato dal Comitato misto paritetico, in cui singoli consiglieri regionali appaiono avere ceduto di fronte alle istanze delle Forze armate.

l contributo del direttore del Parco Fabio Modesti ha consentito un raffronto con altre aree protette presenti in altri Paesi europei e che insistono su zone destinate ad addestramento militare. All’estero appare che il rapporto tra aree protette e finalità di conservazione o attività turistiche sia oggetto di una valutazione specifica e di un approccio mirato da parte delle forze armate, chiamate a collaborare con le autorità civili e ciò in adempimento di documenti della Commissione europea a partire dalla Rete europea Natura 2000 e del documento della Commissione europea LIFE, Natura 2000 and the military.

Nell’analisi complessiva dei dirigenti del Parco, esso, istituito nel 2004, è divenuto operativo nel 2007 in un’area che fin dagli anni Settanta e Ottanta è stata, di fatto, abbandonata all’utilizzo militare e questo anche per disinteresse da parte degli stessi comuni. Quando poi è stata approvata la legge n. 394 del 1991 non è stato curato il rapporto tra aree addestrative e poligoni e obiettivi di tutela della legge, neanche ai fini del rispetto con le direttive comunitarie e dei relativi atti di recepimento, pur essendo oggi il Parco ricompreso nel più grande o in una tra le più grandi zone di protezione speciale del continente europeo.

Sarebbe in corso di definizione un nuovo accordo tra Ente Parco e Difesa, la cui base è legale è data proprio dalle norme dell’ordinamento militare che dettano alcune regole dal punto di vista della compatibilità delle attività addestrative con la finalità di tutela. A tal fine è essenziale per i rappresentanti del Parco che da un punto di vista gestionale vi sia un approccio valutativo congiunto ed è fondamentale il ruolo che sarà svolto dalla Regione all’interno del COMIPA.

 

2.4. Il caso esemplare della Regione Friuli Venezia Giulia.

La Regione Friuli Venezia Giulia, a sua volta firmataria di un Protocollo d’intesa con il Ministero della difesa in occasione della sopra citata Conferenza nazionale – in ragione della sua collocazione storica e geopolitica rappresenta un caso esemplare in tema di servitù militari che si connota per talune questioni, secondo la rappresentazione data dall’assessore Santoro.

La premessa è che in Friuli Venezia Giulia le Forze armate utilizzano strutture ancora oggi spesso sovradimensionate, e ciò in conseguenza della sospensione della leva obbligatoria.

Inoltre, molti spazi operativi sono stati ceduti all’Amministrazione regionale e da questa agli enti locali attraverso dei bandi. Tuttavia, tali spazi non sono ancora destinati all’utilizzo civile e rappresentano in buona parte elementi da bonificare, anche ai fini, ad esempio, dello smaltimento dell’amianto. Sarebbero ancora centinaia le ex strutture militari inutilizzate, tra cui prevalentemente caserme dismesse.

Quanto al tema delle servitù militari, il protocollo d’intesa con il Ministero della difesa è incentrato sulla mappatura rigorosa delle servitù militari sul territorio, con riferimento ai poligoni e alle aree addestrative caratterizzate da un elevato livello sul piano quantitativo e qualitativo.

Peraltro, nell’analisi dei rappresentanti delle istituzioni regionali, tali servitù hanno effettivamente permesso il mantenimento di habitat naturali, consentendo il riconoscimento dei luoghi su cui insistono come siti di interesse comunitario.

Inoltre, ai sensi del protocollo, sarà prevista una revisione dei disciplinari d’uso vigenti ed è in corso la raccolta di osservazioni da parte degli enti locali ai fini della definizione delle modalità e dei protocolli di utilizzo.

Il percorso su cui è avviata la Regione riguarda la individuazione di attività di ricerca da collocare e svolgere all’interno di queste aree soggette a servitù militari.

Ciò avviene con il coinvolgimento delle maggiori realtà accademiche locali, di enti di ricerca e dei consorzi industriali.

In tal senso il Ministero della difesa si è manifestato favorevole al potenziamento del settore della ricerca, con particolare riferimento alle tecnologie duali polifunzionali, anche al fine di consentire all’Italia la partecipazione a bandi europei.

Se, dunque, le servitù militari resteranno, si provvederà a consentirne l’utilizzo da parte di istituti di ricerca e di università che potranno in questo modo contare su territori protetti e tutelati per lo svolgimento di attività di tipo confinato.

È stata accolta, al riguardo, una proposta di studio e sviluppo di sistemi per la protezione di unità militari in teatro di operazioni e controllo del territorio regionale ai fini di protezione civile da parte dell’Università degli Studi di Trieste, ma anche un progetto dell’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale di Trieste per attività di sperimentazione geofisica e caratterizzazione biologica.

In tal senso il protocollo rappresenta un primo passo verso un chiarimento sul programma di dismissione e di razionalizzazione. Infatti, le aree abbandonate dall’utilizzo reale pongono il tema della dismissione, mentre per le attuali strutture si pone un problema di ottimizzazione, di adeguamento e di riutilizzo in loco. Occorre anche un coordinamento tra Ministero ed enti locali per sopperire al bisogno abitativo sociale.

L’assessore Santoro ha osservato che, in un tempo in cui si insiste sul tema risarcitorio e della compensazione, occorre, invece, porre il tema con realismo e pragmatismo e cioè in termini di utilizzo e di valorizzazione: le bonifiche sono assai onerose e non vi sono enti locali in questo momento storico che abbiano la possibilità di procedervi, né il mercato immobiliare è in grado di assorbire questa esigenza di riqualificazione.

Quindi, in questa fase è essenziale potere procedere a definire un programma condiviso tra Stato e Regioni ed enti locali. Al Nord Est il progetto di difesa nazionale è stato declinato tenendo conto del contesto storicamente specifico, condizionato dalla «cortina di ferro» e caratterizzato da un surplus molto evidente derivante dalla posizione geopolitica.

In sede di dibattito è stato posto dall’onorevole Zanin del Partito Democratico il tema già affrontato con un’interrogazione a risposta scritta che non ha ancora avuto riscontro (n. 4-03062) sulla contaminazione da torio nel poligono permanente di Cellina-Meduna. Un tema essenziale è quello della compatibilità tra ricerca scientifica e salvaguardia ambientale, non secondario rispetto ai programmi per il reimpiego dei beni dismessi e da affrontare con la partecipazione piena della cittadinanza.

L’intervento dell’onorevole Artini per il Movimento Cinque Stelle ha posto l’accento sulla opportunità di guardare al caso del Friuli Venezia Giulia per individuare delle best practice nella definizione dei piani di dismissione. Vi è, poi, il tema centrale della modifica delle destinazioni urbanistiche.

L’assessore Santoro, nel descrivere il modello friulano, ha evocato la scelta sul consumo «zero» di suolo e sul Piano paesaggistico. In tema di dismissioni, che sono apparse il tema più qualificante dell’audizione insieme a quello relativo sul rilancio degli usi civili, da un punto di vista procedurale si sono evidenziate difficoltà nel tenere insieme l’aspetto sostanziale con quello formale.

Ci sono esempi positivi, quale quello di Sacile che è divenuto un parco fotovoltaico o quello di San Vito dove è stato possibile dare soluzione all’emergenza carceraria grazie alla collaborazione con il Ministero della giustizia. La questione di fondo non è, tuttavia, tanto individuare delle destinazioni alternative e nuove, ma conoscere la reale disponibilità per i comuni delle aree che saranno soggette dismissione.

L’assessore Santoro ha quindi descritto la particolare situazione dei siti militari dismessi che non rappresentano delle servitù ma beni di proprietà militare su cui sono intervenuti due decreti legislativi nel 2001 (5) e nel 2007. Si è trattato di norme in attuazione dello Statuto speciale in materia di trasferimento alla Regione di un bene immobile dello Stato. Nel descrivere l’impatto dei due provvedimenti, ha evidenziato come il passaggio tra Ministero della difesa e demanio sia adesso caratterizzato dall’influenza esercitata da Difesa SpA, per cui alcuni beni potrebbero essere messi in disponibilità direttamente dal Ministero della difesa senza l’intermediazione del demanio.

Quanto alla finalizzazione dei beni oggetto di dismissione nei provvedimenti citati le segnalazioni che gli enti locali hanno fatto, saranno state tenute da conto ma partendo dall’esigenza primaria di procedere alla dismissione e non solo dalla considerazione della destinazione finale

 

3. I contributi dei comitati di cittadini e delle associazioni ambientaliste. 

3.1. I Comitati NO MUOS.

In un’ottica di ascolto dei territori, delle popolazioni e degli aggregati sociali che sintetizzano a livello locale le questioni più avvertite in tema di servitù militari, la Commissione ha valutato di accogliere l’istanza avanzata dal Movimento Cinque Stelle per un approfondimento sulla struttura, denominata MUOS (Mobile User Objective System).

Il MUOS è un moderno sistema di radio-telecomunicazioni satellitari ad altissima frequenza della marina militare statunitense, dotato di satelliti geostazionari e stazioni di terra. Sarà utilizzato per coordinare in maniera capillare tutti i sistemi militari statunitensi dislocati in ogni parte del globo e per guidare sistemi d’arma quali gli aerei privi di pilota. Destinato principalmente ad utenti mobili (piattaforme aeree e marittime, veicoli di terra e soldati), il MUOS trasmetterà la voce degli utenti, i dati e le comunicazioni video tramite l’installazione di antenne paraboliche ad emissioni elettromagnetiche in grado di comunicare in ambienti svantaggiati (come, ad esempio, regioni altamente boscose).

Il MUOS comprenderà quattro impianti di stazione a terra. Le selezioni per la scelta dei siti terrestri sono state completate nel 2007 con la firma di un «Memorandum of Agreement» (MOA) tra la marina degli Stati Uniti e il Dipartimento della difesa australiano. Le quattro stazioni di terra, ognuna delle quali serve uno dei quattro satelliti attivi, saranno ubicate presso: l’Australian defence satellite communications station a Kojarena a circa 30 chilometri a est di Geraldton, nel sud-ovest dell’Australia; all’interno del Naval Radio Transmitter Facility (NRTF) a Niscemi, a circa 60 chilometri dalla US Naval Air Station di Sigonella, in Sicilia; nel sud-est della Virginia (sito non specificato); nel Naval Computer and Telecommunications Area Master Station Pacific nelle Hawaii.

La stazione terrestre posta nell’area del Mediterraneo, in un primo momento, era prevista all’interno della base militare americana di Sigonella. Ma, a seguito dei risultati di uno studio sull’impatto delle onde elettromagnetiche generate dalle antenne (Sicily RADHAZ Radio and Radar Radiation Hazards Model), eseguito da due aziende private, AGI – Analytical Graphics Inc (con sede a Exton, in Pennsylvania) e Maxim Systems (San Diego, in California), il progetto è stato spostato a Niscemi.

Nello specifico, fu elaborato un modello di verifica dei rischi di irradiazione sui sistemi d’armi, munizioni, propellenti ed esplosivi (il cosiddetto HERO – Hazards of Electromagnetic to ordnance), ospitati nella grande base siciliana. Una simulazione informatica del sistema MUOS, fornita dai consulenti di Maxim Systems, dimostrava la reale esistenza di rischi connessi al regolare funzionamento dell’impianto. Si prevedeva l’emissione di fasci di onde elettromagnetiche di portata tale da interferire con le apparecchiature poste sugli aeromobili in volo in quella zona per i vicini aeroporti civili di Comiso e di Fontanarossa e, in loco, per quello militare di Sigonella. Si presuppone il fondamento di questa relazione in quanto i vertici militari americani si convinsero a spostare la stazione MUOS a Niscemi, nella base NRTF-8 già all’epoca sotto il comando di Sigonella.

L’impianto di Niscemi, il cui completamento è previsto per il mese di settembre 2014 con entrata in funzione a partire dal 2015, rappresenta quindi una delle quattro stazioni di terra, situate in altri punti del pianeta, che collaborano tutte insieme all’obiettivo del controllo delle telecomunicazioni globali in funzione di tutela della sicurezza e difesa rispetto a minacce di carattere terroristico provenienti quanto all’impianto collocato in Sicilia dal quadrante africano e mediorientale.

Il confronto con i comitati di cittadini sorti a livello locale è stata introdotta da un approfondimento di carattere tecnico, fornito dal professor Massimo Zucchetti, ordinario di impianti nucleari, cattedra di «protezione dalle radiazioni» presso il Politecnico di Torino, che ha sintetizzato gli esiti dello studio condotto, insieme ad altri esperti, su incarico del comune di Niscemi e della Regione Sicilia.

In tale contesto sono state evidenziate le problematiche di carattere ambientale e salutistico, connesse a questa infrastruttura, innanzitutto in quanto collocata a breve distanza da Niscemi e all’interno della Zona A della riserva naturale orientata Sughereta di Niscemi, dichiarata sito di importanza comunitaria (SIC-ITA-5007), che sarebbe stata significativamente intaccata dai lavori di ampliamento della base preesistente. Inoltre, il MUOS di Niscemi ricadrebbe in un’area ad elevato rischio ambientale, derivante dalla prossimità con il complesso petrolchimico di Gela, includente una raffineria e una centrale termoelettrica ad alto impatto ambientale. Si tratta, peraltro, di un’area caratterizzata da elevato rischio sismico.

Quanto all’impatto elettromagnetico, il MUOS insiste su un’area in cui operano dal 1991 numerose antenne a bassa frequenza, di cui è stato comprovato dall’ARPA il superamento dei livelli stabiliti dalla legge italiana. La valutazione del MUOS da questo punto di vista deve, pertanto, avvenire in modo sinergico e integrato rispetto alle strutture preesistenti, oltre che ai citati siti industriali.

Il professor Zucchetti ha richiamato, a rafforzamento delle sue tesi, la relazione del verificatore del TAR, professor Marcello D’Amore, che ha evidenziato come per il MUOS sia mancata una valutazione effettiva, secondo le norme e direttive del Comitato elettrotecnico italiano. Tali norme avrebbero previsto la stesura di un modello previsionale che è mancato sia nel percorso autorizzatorio, svolto nel 2011, sia nella relazione dell’Istituto Superiore di Sanità. Non sarebbe, inoltre, mai stata effettuata un’analisi incidentale del rischio, connessa ad eventuali errori di puntamento, né un’analisi costi benefici.

Sembrerebbe, pertanto, non essere stato compiutamente misurato l’impatto della nuova installazione, da valutare in modo combinato rispetto alle precedenti installazioni, di cui è invece comprovata la non conformità rispetto alle norme e ai valori di tollerabilità. La valutazione costi benefici sarebbe, secondo Zucchetti, sicuramente negativa, anche combinando i profili scientifici con quelli di natura politica, trattandosi di struttura che corrisponde, a suo personale avviso, a benefici trascurabili per la popolazione italiana e siciliana e i cui rischi sono difficilmente quantificabili al momento.

Il professor Zucchetti ha conclusivamente dichiarato che la costruzione del MUOS ricade, per le strutture preesistenti altamente impattanti, in un contesto di grave inquinamento ambientale in fase di bonifica, che non può andare incontro ad ulteriore aggravio derivante da nuove installazioni.

Premesse queste valutazioni, i contributi assicurati dalle rappresentanti del Comitato NO MUOS e del Comitato «Mamme NO MUOS» hanno riguardato innanzitutto un richiamo alla cornice giuridica, in cui si inserisce la realizzazione del MUOS, con riferimento al quadro di accordi regionali e bilaterali tra Italia e NATO e tra Italia e Stati Uniti.

In particolare, sono stati richiamati nel Technical Agreement su Sigonella, siglato il 6 aprile del 2006, un precedente memorandum d’intesa tra Ministero della difesa italiano e Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del 1995, relativo alla installazione di infrastrutture concesse in uso alle forze statunitensi in Italia. Secondo l’accordo del 2006, il MUOS sarebbe qualificato come infrastruttura di natura tecnica, laddove gli auditi ne hanno rivendicato la valenza bellica in quanto parte di un sistema geostazionale satellitare, con cui gli USA controlleranno a livello globale le telecomunicazioni in funzione militare.

Ad avviso delle audite, trattandosi di accordi di natura non squisitamente tecnica ma politica, si sarebbe dovuto procedere ai sensi degli articoli 80 e 87 della Costituzione, mediante cioè autorizzazione con legge alla ratifica dell’Accordo e dunque con coinvolgimento del Parlamento.

La richiesta dei Comitati, costituitisi nel frattempo anche al di fuori del territorio niscemese, è complessivamente quella della sospensione dell’esecuzione dell’accordo del 2006 e la presentazione di un disegno di legge di ratifica che consenta un approfondito dibattito parlamentare, secondo quanto prospettato dalle mozioni presentate alla Camera del Movimento Cinque Stelle e dal cosiddetto Intergruppo per la pace, approvate nella seduta del 25 giugno 2014 (6).

L’apporto dei rappresentati dei Comitati ha, inoltre, fatto emergere significativi profili connessi al compromesso rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini, sia a livello locale, che regionale e centrale, in ragione della carenza di informazioni fornite con tempestività e trasparenza alla popolazione locale, dell’assenza di un meccanismo ordinato ed inclusivo della popolazione locale nel circuito decisionale finalizzato all’autorizzazione, della gestione antagonista del rapporto con la popolazione locale sia da parte delle istituzioni italiane che da parte dei responsabili della base, in assenza di iniziative che aiutino a fare adeguata chiarezza sul piano scientifico, sgomberando il campo da pregiudizi e falsi convincimenti, a ripristinare un clima di reciproca fiducia, fondato sull’attenzione ai beni dell’ambiente e della tutela della salute umana e su una gestione dei temi connessi alla difesa e alla sicurezza compatibile con altri non secondari interessi di carattere generale.

Un preoccupante aspetto che è emerso è quello relativo alla percezione che la popolazione locale va guadagnando di sé come unico ed isolato difensore della legalità in contrasto a presunti cinici poteri locali ed internazionali, che avrebbero in spregio le questioni della salute pubblica e della prevenzione dell’inquinamento ambientale in nome di interessi egoistici di prevalente natura economica. La collettività, che sente di preservare la legge e la legalità contro istituzioni controinteressate, si sente colpita dalle misure repressive che sono state irrogate a fronte di una linea di tolleranza rispetto alle autorità statunitensi e di ridotto controllo rispetto ad imprese che collaborano alla realizzazione del MUOS, che sarebbero prive della certificazione antimafia.

Il complesso di tali percezioni sembrerebbe alimentare la diffusione di un sentimento antistatunitense, che va radicandosi anche nelle più giovani generazioni, secondo quanto testimoniato dalle audite. Lo stato di allarme e tensione sociale, la paura dell’ignoto, l’avversione per le istituzioni nel loro complesso rappresentano aspetti focali, da affrontare, al fine di scongiurare un deterioramento della qualità della sicurezza a livello locale.

Nel corso del dibattito, i parlamentari hanno espresso considerazioni perplesse in ordine alla persistente incapacità delle istituzioni di sapere conciliare istanze essenziali, quali la sicurezza e la difesa alla tutela dell’ambiente o della salute pubblica, seguendo i percorsi giuridici, sia sul piano costituzionale che amministrativo, più idonei a preservare un sereno contemperamento delle diverse istanze e un rapporto di fiducia e solidale collaborazione con i cittadini.

Peraltro, anche con il contributo dei rappresentanti del Movimento Cinque Stelle è stato prospettato ai rappresentanti dei Comitati l’estraneità o quanto meno la non esclusiva incidenza da parte del MUOS rispetto ai valori elevati di onde elettromagnetiche che deriverebbero derivanti dalle preesistenti antenne e dalla cui dismissione potrebbero, forse, derivare vantaggi, senza con ciò precludere la realizzazione di una infrastruttura assai rilevante per la tutela di un quadro di sicurezza che comunque include anche il nostro Paese. Tuttavia, secondo il professor Zucchetti, tale prospettiva non appare realistica se si considerano i recenti interventi di manutenzione apportati alle antenne preesistenti, che confermano la volontà di mantenerle, e il fatto che esse integrano e non sostituiscono il MUOS, in quanto necessarie ad intercettare le comunicazioni a breve raggio con sottomarini o altre unità militari.

Infine, il raffronto con le altre tre strutture, situate in Virginia, alle Hawaii e in Australia, soggette alla normativa statunitense in tema di elettromagnetismo, non fornisce elementi a supporto della battaglia condotta dai Comitati italiani in quanto la legge USA non riconosce gli effetti ritardati delle onde elettromagnetiche, prevede limiti di legge notevolmente superiori ai nostri e, in assenza di evidenze scientifiche univoche, non opta come fa la legge italiana il principio di precauzione. Inoltre, secondo Zucchetti, rispetto alle altre tre strutture il MUOS di Niscemi non mira verticalmente al satellite, ma interagisce con il contesto circostante producendo una radiazione diffusa con un alzo sull’orizzonte di 17 gradi, suscettibile di incremento a seguito di fenomeni tellurici, anche lievi.

 

3.2. Le associazioni ambientaliste.

Per i rappresentanti delle associazioni ambientaliste, in generale il cambiamento del quadro geopolitico a partire dal crollo del Muro di Berlino impone una riconsiderazione delle problematiche relative al servizio essendo mutati i concetti di frontiera e di nemico. Una prima istanza concerne, quindi, la necessità di estendere la nozione di servitù militare oltre il concetto dei poligoni e la richiesta che segue è quella della restituzione dei siti alla comunità civile. Occorre poi tenere conto delle diverse qualità tra le diverse servitù militari a cui deve corrispondere una diversa destinazione in un’ottica di priorità per finalità di carattere sociale e nell’ottica di una riduzione del consumo del suolo.

In questo quadro Movimento Azzurro ha auspicato una gestione a livello statale dei siti dismessi, da parte del Ministero dell’ambiente e del Ministero dei beni e attività culturali, e ciò al fine di scongiurare che la gestione da parte delle istituzioni locali comporti il prevalere di dinamiche speculative non adeguatamente rassicuranti sul piano della tutela ambientale o architettonica. Movimento Azzurro ha evidenziato talune contraddizioni tra chi in Parlamento e a livello locale propone l’abolizione delle servitù militari, pur lasciandone la fruibilità alla popolazione locale, alla luce del caso negativo de La Maddalena, che suggerisce invece di praticare percorsi di positiva coabitazione. Emerge, infatti, in alcuni casi come il demanio militare e le connesse servitù abbiano svolto la sostanziale funzioni indiretta di tutela paesaggistica per cui la liberazione dalle servitù militari deve avvenire a certe condizioni a partire dalla gestione delle dismissioni a livello nazionale.

Ulteriori condizioni sono la partecipazione delle associazioni ambientaliste alla gestione anche economica dei siti dismessi e l’esecuzione di analisi ambientali per individuare progetti di risanamento e campagne di bonifica da effettuarsi con personale locale.

Un’emergenza evidenziata dei rappresentanti di Legambiente riguarda la necessità di sospendere senza ritardo l’effettuazione di esercitazioni a fuoco nelle aree protette e nei cosiddetti siti «Natura 2000», in cui tale attività è assolutamente vietata ed è svolta secondo quanto risulta dalle Forze armate italiane e in ambito NATO senza informazione previa.

Un’ulteriore richiesta è quella della istituzione di un tavolo di concertazione tra Ministero della difesa e Ministero dell’ambiente, tenuto conto che richiamati siti Natura 2000 sono tutelati a livello comunitario e l’Italia risulta fra gli Stati membri dell’Unione europea con il maggior numero di infrazioni in campo ambientale per il mancato rispetto delle direttive che istituiscono tali siti Natura 2000 (le direttive 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche e la direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 concernente la conservazione degli uccelli selvatici). È stata richiamato il caso di un’esercitazione a fuoco, svolta ad Agrigento, in cui a fronte della mancata informazione degli organi territoriali è stato opposto il segreto militare in quanto esercitazioni in ambito NATO.

La questione di maggior rilievo, condivisa da tutti gli auditi, attiene la mancanza di dati oggettivi e disponibili laddove, invece, occorre una ricognizione del numero di aree, dell’utilizzo che se ne fa e della loro compatibilità con le esigenze di tutela ambientale e culturale. I dati ad oggi disponibili non sono ufficiali e non sono sempre coerenti tra loro. Un’istanza condivisa dalle associazioni ambientaliste per il prossimo futuro riguarda sicuramente l’attivazione di tavoli di partecipazione ai quali potere partecipare insieme ai rappresentanti della cittadinanza e con il primo obiettivo della bonifica, come avvenuto ad esempio presso la Chemical City del lago di Vico.

I rappresentanti di Legambiente hanno inoltre individuato quattro profili critici il primo dei quali riguarda l’interazione tra servitù militari e aree parco; il secondo concerne il tema delle bonifiche e della restituzione delle aree alle comunità locali, alla luce dei dati che evidenziano lo stato di contaminazione in cui versano alcune aree militari, soprattutto i poligoni, i rischi per l’ambiente e per la salute. Partendo dalla Relazione sui poligoni licenziata al Senato nella scorsa legislatura, poiché essa non è stata attuata, l’auspicio delle associazioni ambientaliste è che dall’indagine conoscitiva potesse derivare una nuova ricognizione e uno studio con l’indicazione degli interventi concreti che il Parlamento dovrà mettere in atto.

Un terzo profilo attiene alla restituzione delle aree militari ad uso civile convertendole per ricostruire l’economia dei territori. Le servitù militari chiamano in causa competenze diverse e quindi occorre creare coordinamento tra diversi soggetti amministrativi per conseguire tale finalità.

Un ulteriore profilo è rappresentato dalla convivenza delle comunità con le basi militari, come ad esempio a Vicenza, dove l’impatto soprattutto dal punto di vista idraulico e della sicurezza ha rappresentato un profilo particolarmente rilevante, giacché la base è stata costruita al di fuori della valutazione di impatto ambientale della valutazione di incidenza ambientale e di altri vincoli previsti dalla legge Galasso.

Tutto ciò ha assunto rilievo in occasione dell’alluvione del 2010 a Vicenza e provincia e dalla consapevolezza che in tale zona esiste una falda di acqua potabile a bassa profondità. Dunque, le basi militari non possono derogare alla normativa ambientale e devono essere soggette ad interventi di monitoraggio regolare e ad un processo di rigorosa informativa alla popolazione, come previsto nel caso di Vicenza dal progetto di realizzazione della base.

Il quarto profilo concerne il recupero delle aree militari in stato di abbandono o inutilizzate, come nel Friuli Venezia Giulia, un tempo fortezza e reti di caserme e presidi militari. Tali strutture possono essere trasformate in infrastrutture di servizio sulla base di un coordinamento forte tra i ministeri.

Le associazioni ambientaliste, che hanno manifestato condivisione e sostegno alla già richiamata proposta di legge dell’onorevole Duranti per la revisione del Codice dell’ordinamento militare sul rapporto tra aree protette e aree addestrative, sono state richieste di una quantificazione delle risorse necessarie per le bonifiche, nel richiamo al pregevole lavoro che in taluni casi le stesse Forze armate stanno svolgendo, che però non ha impedito che alcune zone fossero dichiarate irrecuperabili.

In sede di dibattito, l’intervento dell’esponente del Partito Democratico, onorevole Gian Piero Scanu, ha definito alcune questioni di carattere politico, ribadendo che l’azione politica deve muovere verso la liberazione della maggior parte se non di tutte le aree sottoposte a vincolo in modo compatibile con le esigenze dell’amministrazione e secondo la visione dinamica condotta sul versante degli impegni europeo e non più strettamente nazionale, all’insegna della interoperabilità e con la primazia assoluta riguardante la salubrità del territorio.

È da ritenere infondato e superato pensare che una servitù militare sia lo strumento per tutelare il territorio, come se per tutelare il territorio fosse necessario metterlo «in galera», evidenziando che occorre che siano soprattutto i politici e gli amministratori a rispettare il territorio.

Il gruppo della Lega Nord Padania ha posto il tema della istituzione delle aree protette su servitù militari preesistenti e quindi la necessità di una valutazione in prospettiva storica della questione. Ha condiviso la visione del Partito Democratico relativa all’interesse a livello europeo e la valutazione delle servitù militari in particolare di quelli dei poligoni in un’ottica di difesa europea, non potendosi prescindere dall’attività di addestramento e di sperimentazione. In questo contesto è stato evidenziato che il decreto istitutivo del Parco dell’Alta Murgia contiene una norma volta a salvaguardare le attività militari fino a quando non sarà definito il Piano del Parco. In tale caso si è comunque voluto tutelare l’ambiente in una prospettiva di gestione della coabitazione con l’elemento militare.

 

4. Il punto di vista dello stato maggiore della Difesa.

La presa di posizione dello stato maggiore della Difesa, descritta dall’Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ha incluso da subito una dichiarazione favorevole allo svolgimento più regolare della Conferenza nazionale sulle servitù militari, e ciò al fine di superare la cultura localistica che al momento sembra caratterizzare le trattazione della materia e in vista di un concetto di più ampio respiro.

La finalità condivisa deve essere quella del rilancio delle attività di sviluppo delle comunità locali, nel segno della collaborazione interistituzionale e con il tessuto socio-economico, in una visione che guardi alle servitù militari come opportunità di crescita e concordi sulla necessità di superare talune procedure e di migliorare i rapporti all’interno degli organi di consultazione interistituzionale.

L’obiettivo è anche individuare un punto di equilibrio, una chiave di compatibilità tra le insopprimibili esigenze addestrative di Forze armate interoperabili con la tutela della sicurezza, dell’ambiente e dell’economia a livello locale.

I lavori dell’indagine conoscitiva avrebbero fatto emergere, secondo lo stato maggiore della Difesa, problematiche locali connesse per lo più ai tempi e ai modi di erogazione e quantificazione degli indennizzi, con conseguente negativa percezione del tema nella sua complessità.

Premessa la doverosa disponibilità al dialogo da parte delle Forze armate, non può essere messa in discussione la funzione dei poligoni a fini di addestramento ma anche per le sperimentazioni di mezzi e materiali da parte dell’industria della Difesa. Questi profili non sembrano rappresentare degli elementi di dubbia o discorde valutazione, sono i modi di gestione a rappresentare le criticità.

Secondo lo stato maggiore della Difesa occorre innanzitutto un superamento lessicale: «servitù militare», per quanto rappresenti una definizione corretta sul piano giuridico, è espressione oggi non adeguata alle esigenze della comunicazione. Occorre individuare una terminologia che evidenzi che le servitù militari sono quell’insieme di limitazioni poste innanzi tutto a salvaguardia della popolazione civile, laddove per l’attività e la presenza di installazioni militari occorrono misure di sicurezza particolari, come peraltro viene anche in prossimità di installazioni a carattere civile.

Dal punto di vista militare le servitù sono concordate con le amministrazioni locali su base quinquennale nell’ambito dei Comitati misti paritetici istituiti al fine di armonizzare le esigenze civili con quelle militari. Si tratta, pertanto, di un processo dinamico che ha evidenziato tra il 2010 e il 2013 un trend decrescente pari al 40 per cento, che va di pari passo con l’evoluzione dello strumento militare e le corrispondenti esigenze addestrative, nonché con il prosieguo del processo di dismissione immobiliare e con la chiusura di aree addestrative non più funzionali.

Si tratta di un trend condizionato innanzitutto da esigenze di carattere finanziario, connesse all’esigenza di ridurre i costi di trasporto del personale dei mezzi e dei materiali. D’altra parte in luoghi caratterizzati dalla protratta presenza dei poligoni, il rapporto tra popolazione civile ed elemento militare è culturalmente caratterizzante, come ben dimostra l’affezione che lega la popolazione civile sarda nei confronti della Brigata Sassari.

Quanto alla tutela dell’ambiente, questa è un valore per il mondo militare, in taluni casi anche più che per il mondo civile.

Quanto alla natura strategica dei poligoni esistenti, occorre valutarli anche tenendo conto che essi sono la condizione per la sicurezza del personale militare. Peraltro, proprio al fine di alleggerire le conseguenze ambientali delle attività addestrative si lavora ad incrementare sempre di più il ricorso a strumenti simulativi e sostitutivi delle esercitazioni fuoco, e ciò anche fini di risparmio. Si tratta, però, di attività integrative e non interamente sostitutive poiché l’addestramento reale sul terreno resta essenziale.

Quanto all’addestramento all’estero, esso comporta dei costi di locazione, di approntamento e di trasporto assai ingenti. Inoltre, anche qualora le risorse finanziarie non dovessero rappresentare un condizionamento, il solo addestramento all’estero comporterebbe dipendenza dalla disponibilità degli altri Stati e dalle relative scelte di politica estera con perdita di sovranità o in termini di segretezza e affidabilità nell’interesse della vita dei militari.

Le proposte riguardanti il trasferimento degli attuali poligoni in altre aree del Paese devono confrontarsi con l’alto tasso di urbanizzazione del territorio nazionale, oltre alla tendenza riassunta nella formula inglese not in my back yard.

Si tenga anche nella giusta considerazione che chiusura e riqualificazione dei poligoni significa impatto sul piano occupazionale qualora a tali processi non si accompagni una progettualità su forme di sviluppo alternativo.

La Difesa avrebbe inoltre già operato positivamente ai fini di ampliare la chiusura estiva dei poligoni sardi e ciò attraverso lo strumento dialettico dei comitati misti paritetici. Vi sono poi degli interventi normativi significativi già vigenti, tra cui il decreto ministeriale 22 ottobre 2009 sulla gestione materiale dei rifiuti e bonifica dei siti e delle infrastrutture destinate alla difesa e alla sicurezza nazionale, adottato in attuazione del decreto legislativo n. 152 del 2006 (Testo unico ambiente).

Lo stato maggiore ha poi elaborato una direttiva, denominata «Politica programma direttive ambientali della Difesa» nel 2013 in seguito alla direttiva «Linee di intervento e di indirizzo in materia di gestione dei poligoni militari di tiro all’aperto». Si tratta di strumenti finalizzati ad una gestione ecocompatibile delle attività di addestramento, sui divieti precauzionali dell’accesso dei civili e del bestiame nei poligoni interessati, ma soprattutto tali strumenti prevedono la registrazione e conservazione da parte degli enti gestori dei poligoni della documentazione dettagliata sul munizionamento impiegato e sull’attuazione di un disciplinare per la tutela ambientale, adottato di iniziativa della Difesa ad integrazione dei disciplinari d’uso discussi con i comitati paritetici per i profili ambientali.

Si tratta di documentazione a carattere generale e particolare che integra e fornisce agli operatori tutti gli elementi utili per una gestione delle armi e del munizionamento impiegato. Tali norme, oltre fissare le procedure operative, fissano anche dei limiti quantitativi e dispongono l’analisi periodica dei parametri ambientali. È, inoltre, istituita la figura dell’esperto ambientale quale consulente che affianca i comandanti.

Infine, con risorse tratte dal bilancio ordinario della Difesa, la doverosa attività di prevenzione va di pari passo con quella finalizzata alla bonifica, e ciò in attesa che a livello nazionale sia elaborato un piano nazionale e finanziario a sostegno delle bonifiche ambientali.

Guardando nello specifico ai poligoni sardi, l’Ammiraglio Binelli Mantelli ha evidenziato che se presso Capo Frasca si svolgono attività addestrative connesse all’impiego di munizionamento inerte, a Capo Teulada i monitoraggi ambientali hanno rivelato una contaminazione da torio per la quale saranno avviate bonifiche adeguate. Peraltro l’autorità giudiziaria non ha autorizzato l’Esercito italiano ad avviare le opere di bonifica in quanto il territorio sarebbe sottoposto a sequestro preventivo per un ipotesi di reato di inquinamento ambientale. Quanto a Salto di Quirra, sono state adottate misure di sicurezza per evitare accesso a persone e animali nei luoghi in cui il superamento dei valori di soglia sia stato accertato. Sono, peraltro, sospese le attività a fuoco e sono stati avviati piani di caratterizzazione approvati dalla Conferenza dei servizi convocata dalla Difesa. La condizione in cui versa attualmente Salto di Quirra induce certamente le Forze armate e l’industria nazionale a ricorrere sempre di più a poligoni esteri.

Sarebbe in corso di completamento la realizzazione di un sistema di centraline per la rilevazione continua dei livelli di intensità di radiazioni ionizzanti e di campi elettromagnetici e per il campionamento delle polveri aerodisperse.

Quanto ai rapporti con i cittadini e con i soggetti interessati a conoscere i dati di monitoraggio, secondo quanto richiesto da molti sindaci è stato istituito un sistema informativo per fornire tali dati sulla piattaforma web specifica. A tal fine è stata anche coinvolta l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Sardegna (ARPAS) con l’avvio di un tavolo tecnico. È stata anche avviata una campagna cerca di residuati nei fondali di Capo San Lorenzo.

Alla luce di quanto rappresentato, anche la Difesa ha avanzato richieste specifiche alla Commissione, a partire dalla necessità di istituzionalizzare la consultazione obbligatoria dei Comitati misti paritetici anche in vista della istituzione di nuovi siti di interesse comunitario, considerato che le amministrazioni locali a tali fini possono disporre di aree in cui sono svolte attività militari e ciò senza aver dato preventiva comunicazione in sede di comitato.

La necessità di una più accurata ponderazione delle esigenze della Difesa è avvertita anche in occasione della istituzione di aree naturali e parchi protetti ai sensi della legge n. 394 del 1991, prevedendo una modifica all’articolo 8 di tale legge, in cui inserire la concertazione con il Ministro della difesa nella fase di istituzione qualora i territori ricadano su siti d’interesse militare (7).

Per il resto le Forze armate condividono in pieno la visione di favore rispetto ad una conversione dei poligoni a fini di utilizzo duale con il coinvolgimento di enti di ricerca e di università e con il rilancio dell’economia e del livello occupazionale a livello locale. Da tale rilancio può d’altra parte trarre vantaggio anche la stessa Difesa alla luce del processo in atto di riduzione delle spese.

I poligoni, come già detto, assicurano la sicurezza e l’operatività delle nostre Forze armate impiegate sul territorio nazionale e all’estero e la loro disponibilità ha garantito in questi anni il contenimento degli incidenti. In sintesi, da parte dello stato maggiore della Difesa sussiste massima disponibilità al dialogo, maggiore cooperazione a fini di sostegno allo sviluppo economico ed occupazionale a livello locale in un’ottica che guardi le servitù militari non come limitazioni ma come risorsa condivisa da valorizzare e come volano nel settore della ricerca e dello sviluppo di tecnologie duali e polifunzionali.

In sede di dibattito, al quesito posto dall’onorevole Artini del Movimento Cinque Stelle se la diminuzione dell’impegno fuori area trovi corrispondenza in un calo delle esigenze addestrative, l’Ammiraglio Binelli Mantelli ha sottolineato che occorre comunque le Forze armate non utilizzate abbiano il necessario grado di prontezza e a ciò si fa fronte mediante fondi di esercizio ordinario, che hanno subito drastici tagli, anche fino al 50 per cento. È un tema che la NATO sta affrontando poiché inadeguate forme di finanziamento comportano perdita di credibilità e di interoperabilità per l’Alleanza stessa. Si sta cercando di porre rimedio a questo rischio mediante il ricorso a grandi esercitazioni annuali in ambito NATO, la prossima delle quali avrà luogo nel 2015 in area mediterranea.

Sempre nel corso del dibattito l’onorevole Piras del gruppo di SEL ha proposto che l’indagine conoscitiva acquisisca gli esiti della perizia disposta dal tribunale di Lanusei per ipotesi di reato di disastro ambientale. Tale perizia, se attesta da un lato che disastro ambientale non sussiste, dall’altra però accerta la presenza di quantità rilevanti e sovrabbondanti di veleni non tutti riferibili alla radioattività naturale del territorio. Questo smentirebbe la definizione di non bonificabilità data a taluni territori, tra cui Teulada, e anche l’idea che l’attività addestrativa sia priva di impatto ambientale del tutto.

Binelli Mantelli anche prospettato l’ipotesi di possibile riperimetrazione dei poligoni sardi, tenuto conto che tale perimetrazione è stata operata nel 1956 e molto probabilmente corrispondeva a esigenze che in parte possono essere mutate; tuttavia le dimensioni attuali dei poligoni contemplano la previsione delle cosiddette «campane di sicurezza», necessarie a preservare la popolazione civile da danni derivanti da sistemi d’arma ad impatto superiore a quelli che potevano essere utilizzati proprio alla fine degli anni ’50.

Sul tema della compatibilità tra aree addestrative e aree protette, Binelli Mantelli ha affermato che nelle aree protette le esercitazione a fuoco sarebbero vietate e vi si svolgono soltanto attività addestrative così dette «a freddo», movimenti di truppe, simulazioni di guerra senza impatto ambientale, vale a dire senza dispersione di materiale. Proprio per queste ragioni è comunque necessario che vi sia una consultazione della Difesa quando si procede ad istituire nuove aree protette in zone dove si esplicano attività di carattere militare.

Un intervento dell’onorevole Pili, membro della Commissione ambiente e del gruppo Misto, ha sollevato una polemica riferita a Capo Teulada, che insiste per intero su un sito di interesse comunitario e archeologico, e come pertanto si debba ipotizzare il reato di distruzione o deterioramento di habitat, ai sensi dell’articolo 733-bis del codice penale, introdotto nel 2011 (8), ma anche gli estremi di danneggiamento del patrimonio archeologico per la presenza di ben sedici nuraghi e di tracce delle civiltà nuragica all’interno del territorio del poligono, gravemente danneggiati in parte anche distrutti dalle attività militari.

Sarebbero inoltre accertate circostanze in cui ai componenti del Comitato misto paritetico non è stato permesso entrare nell’area del poligono per effettuare verifiche relative a tali questioni. In risposta l’Ammiraglio Binelli Mantelli ha auspicato l’intervento della magistratura qualora gli episodi riferiti dall’onorevole Pili si dovessero rivelare come circostanze reali e provate.

Secondo l’onorevole Scanu la prospettiva dello stato maggiore della Difesa conferma un atteggiamento dirigista e tendenzialmente rigido, che contraddice la disponibilità dichiarata rispetto ad una nuova conferenza nazionale sulle servitù militari. A tali rilievi Binelli Mantelli ha rinviato all’audizione del Ministro per i profili politici attinenti al tema delle servitù che lo stato maggiore affronta sul piano tecnico e delle disponibilità finanziarie rispetto alle varie opzioni disponibili. Comunque è innegabile, a suo avviso, una ripresa dei rapporti non solo a livello di comitati paritetici ma anche come con le comunità locali, come attesta il caso del comune di Perdasdefogu.

 

5. La visione strategica del Ministro della difesa.

Intervenendo a pochi giorni dalla Conferenza nazionale sulle servitù militari, il Ministro della difesa ha individuato tre elementi salienti, emersi dai lavori della Commissione:

1) la richiesta di un maggior dialogo da parte delle comunità locali nei confronti dell’Amministrazione centrale, ad oggi vissute come lontana dai problemi della popolazione e degli amministratori;

2) il sostegno agli aspetti occupazionali e di sviluppo economico;

3) il rispetto delle norme ambientali da parte delle attività militari.

Questi tre fattori, pur problematici, comunque si inseriscono in un contesto che rivela comunque apertura e disponibilità nei riguardi della presenza militare.

Ha auspicato un cambiamento di mentalità a partire da un mutamento della terminologia evidenziando che la nozione di servitù militari è comunque da riferire ad aree non incluse nel demanio militare ma ad esso adiacenti ed istituite a fini di salvaguardia dei cittadini.

Inoltre, nel tracciato definito dal Ministro della difesa Mario Mauro nel maggio 2013, ha richiamato che anche per le servitù militari vale l’impegno delle «tre erre»: ripensare, rivedere e ridurre.

Quanto alla Conferenza nazionale essa è da intendersi come evento a carattere tecnico, finalizzato ad individuare un percorso condiviso di carattere metodologico e specialistico.

Quanto nuova strategia del Governo, essa mira a fornire risposte immediate facendosi parte attiva anche con altri Dicasteri e con le realtà centrali e periferiche, come le università gli enti di ricerca o il tessuto industriale.

La questione delle servitù militari è parte di un concetto di difesa che troverà la propria sintesi del Libro Bianco. La questione muoverà dal presupposto secondo cui la tutela della popolazione e la domanda di sicurezza della comunità internazionale richiedono Forze armate adeguate, secondo il dettato costituzionale.

Dunque la questione si pone sul piano della salvaguardia, da una parte, delle esigenze della difesa e dall’altra delle comunità locali. In tal senso la Conferenza deve muovere verso finalità quali: la stesura di nuovi disciplinari per la tutela ambientale relative ai poligoni e alle aree addestrative; la valorizzazione delle potenzialità rappresentate dagli stessi poligoni; lo svolgimento di attività di ricerca congiunta al territorio; lo snellimento delle procedure finalizzate alla erogazione degli indennizzi; la ridefinizione dei periodi di sospensione delle attività addestrative; la valorizzazione dei Comitati misti paritetici come sede per la discussione sui siti di importanza comunitaria; la mappatura delle servitù militari. Sulla cifra tecnica della conferenza ha riferito che si tratta di un evento non conclusivo di un percorso, ma è un punto di situazione, un cantiere che resta aperto.

L’obiettivo complessivo è quello di guardare le servitù militari come risorsa condivisa.

Per fare ciò la Difesa avanzerà proposte in tema di ricerca, lavorerà a procedure per il couso nei periodi di inutilizzo a vantaggio di centri di ricerca con il pieno coinvolgimento della Conferenza delle Regioni con cui formalizzare un’intesa specifica.

Quanto alle proposte di mitigazione provenienti dal presidente della Regione della Sardegna, il Ministro intende muovere nella direzione di forme di collaborazione tra enti territoriali per la creazione di presidi locali accentrati, ai fini di attività di protezione civile, a difesa dell’ambiente nella lotta agli incendi e in generale per il controllo del territorio.

L’Amministrazione è impegnata sul piano tecnico per snellire le procedure di erogazione degli indennizzi.

Sul piano della tutela ambientale potranno essere formalizzate con tutte le regioni forme di sviluppo di sistemi di bonifica naturali di fitorimediazione, di desalinizzazione dell’acqua, di colture intensive di attività da sviluppare in sinergia con le realtà locali e il Dicastero.

Quanto alla richiesta di dati, si procederà ad un censimento dettagliato e alla condivisione delle risultanze con gli enti locali sottolineando che i dati già disponibili delineano un quadro positivo ed evidenziano margini di trattativa, il tutto nella condivisione della necessità di una Difesa competente, professionale che ha bisogno di poligoni e di aree dedicate.

Il tema dello spostamento delle aree addestrative all’estero, oltre a presentare dei gravi problemi di natura finanziaria, è limitato dal fatto che all’interno dell’Unione europea non sono state istituite aree comuni idonee a tal scopo, oltre a quanto già evidenziato dallo stato maggiore della Difesa sui profili della affidabilità e della continuità. La revisione dello strumento militare, oltre a valorizzare ciò che esiste, consentirà di rivedere confini demaniali e servitù associate, di prevedere laddove necessario e possibile una riperimetrazione graduale dei territori.

L’intervento del Ministro Pinotti ha destato perplessità da parte dell’onorevole Cicu che ha sottolineato come in Sardegna le servitù siano tutte confermate, con le note conseguenze negative in termini di inquinamento e di riduzione dei diritti di prospettive di crescita per le comunità locali, che sono state rappresentate nel corso dell’indagine. Ha inoltre richiamato il tema caso dello spostamento di investimenti di ricerca tecnologica da Salto di Quirra a Bari.

Quanto al concetto di riequilibrio, l’onorevole Cicu lo ha declinato non all’esterno dei confini nazionali ma all’interno di essi, non potendosi diversamente comprendere in che cosa possa consistere.

Il gruppo di SEL, per iniziativa dell’onorevole Duranti, ha aggiunto alla questione del riequilibrio quella della incompatibilità tra poligoni e aree protette e parchi naturali, contestando la dichiarazione del capo di stato maggiore della Difesa, secondo cui nei parchi naturali ad oggi non si svolgerebbero esercitazione a fuoco e ha auspicato che la Conferenza si occupi di tale tema, come di quello connessa alla presenza di basi straniere basi ad uso NATO sul nostro territorio. Inoltre, ha obiettato sul fatto che la Conferenza possa essere declassata ad evento di carattere tecnico poiché la stessa indizione della conferenza rappresenta una scelta di carattere politico.

Per il Partito Democratico l’onorevole Zanin ha chiesto che le «tre erre» possano essere declinate in chiave europea in vista del semestre europeo. L’onorevole Bolognesi ha evidenziato le contraddizioni tra le opinioni delle associazioni dei cittadini e delle associazioni ambientaliste quanto alla mancata collaborazione da parte della Difesa sui temi della salute, dell’ inquinamento e della mancata bonifica, laddove è davvero tempo di inaugurare una nuova stagione di collaborazione e di ascolto.

Da parte del Ministro vi è consapevolezza sulle criticità irrisolte in Sardegna, regione con cui non è stato possibile addivenire alla sigla di un protocollo d’intesa in ragione di una contingenza legata alla stagione elettorale che la Sardegna ha attraversato nei mesi scorsi.

Sulla questione di Salto di Quirra e Bari il Ministro ha dichiarato che non vi è nulla di definito e che sicuramente l’Italia ha sviluppato una specifica capacità nel campo dei droni. Nel frattempo il Ministero ha però risolto talune tematiche connesse alla mancata erogazione di indennizzi ai pescatori della Sardegna e ciò grazie ad una imposizione di volontà politica anche rispetto ad altre amministrazioni competenti.

Quanto alla difesa europea, è prematuro anche se è possibile avviare delle proposte di cooperazione rafforzata con eventuale coinvolgimento anche della parte addestrativa.

Infine, quanto alle problematiche segnalate dalle associazioni dei comitati di cittadini si tratta a volte di errori di comunicazione poiché indubbiamente occorre fornire dati fondati su basi scientifiche, ma anche individuare i soggetti titolati ad esprimere valutazioni e a dare certificazioni rispetto ai rischi che postano tranquillizzare le popolazioni laddove ciò è possibile. In tale questione rientra anche il tema del MUOS, per quanto tale struttura attenga all’attuazione di accordi internazionali e bilaterali tra Italia e Stati Uniti.

 

6. Dalla II Conferenza nazionale sulle servitù militari (Roma, 18-19 giugno 2014) alle linee guida del Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa.

Richiamando la seduta dedicata agli esiti della II Conferenza nazionale sulle servitù militari, in questa sede ci si limita a rappresentare i contenuti delle lettere di intenti e dei protocolli siglati in occasione della Conferenza.

 

Documento di intenti, siglato il 12 giugno 2014, dal Ministero della difesa e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

Il Ministero della difesa e la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, in vista della Conferenza nazionale sulle servitù militari, nella premessa che è di interesse comune il raggiungimento del necessario equilibrio tra attività addestrative, presenza sul territorio, sviluppo delle attività locali, tutela e valorizzazione dell’ambiente, hanno convenuto di istituire specifici tavoli tecnici, alle dipendenze dei singoli Comitati Misti Paritetici (Co.Mi.Pa) per l’esame delle situazioni e degli assetti regionali, militari e civili, per lo studio di percorsi condivisi di efficientamento e ottimizzazione delle attività addestrative, nonché di tutela dell’ambiente.

In tali tavoli tecnici siederanno la Difesa mediante l’Area Tecnico Operativa (Forza armata a cui afferisce l’attività di specifico interesse) e l’Area Tecnico Amministrativa (SGD/DNA), le Regioni mediante i Dipartimenti/Aree che hanno competenza in materia di governo del territorio, ambiente e salute.

Saranno individuate ed avviate specifiche collaborazioni per la definizione di iniziative sul territorio, tese alla tutela e valorizzazione dell’ambiente e allo sviluppo territoriale, che vedano coinvolte Difesa, altri Dicasteri (Ambiente, Sviluppo economico e Beni culturali), enti locali, università, centri di ricerca, piccole e medie imprese mediante la stipula di appositi protocolli e accordi di programma.

Inoltre, Difesa e Conferenza delle Regioni si prefiggono di collaborare per individuare attività di ricerca scientifica e tecnologica in materia ambientale e sanitaria, per lo sviluppo di tecnologie duali o polifunzionali, anche per progetti da candidare ai bandi del Programma Quadro europeo per la Ricerca e l’Innovazione (2014 – 2020), nell’ambito del Piano Nazionale per la Ricerca Tecnologica Militare (PNRM) e della nuova Programmazione Comunitaria 2014-2020. 
 Sarà demandato a successivi Protocolli, da sottoscrivere tra Difesa e singole Regioni, la definizione di specifici percorsi di collaborazione bilaterale per azioni comuni di tutela e valorizzazione dell’ambiente, di tutela della salute e di sviluppo territoriale.

 

Il Protocollo d’intesa tra il Ministero della difesa e la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per il coordinamento comune delle attività militari presenti nel territorio della regione, siglato il 19 giugno 2014.

Il Protocollo relativo al Friuli Venezia Giulia, siglato dal Sottosegretario Rossi e dalla Presidente della Regione, Deborah Serracchiani, esordisce con la premessa secondo cui in Friuli Venezia Giulia le attività militari costituiscono un riferimento strategico e che la collaborazione con l’Amministrazione della Difesa rispetto alle «limitazioni di beni ed attività private necessarie all’espletamento di esercitazioni militari che prevedono occupazioni e sgomberi di immobili o di specchi d’acqua». Inoltre, tale collaborazione è necessaria per ottimizzare la destinazione delle risorse con riferimento alla possibile fruizione delle aree militari da parte della collettività locale anche mediante finanziamenti regionali indirizzati alla ricerca e alla fruizione collettiva di beni. Il Protocollo si caratterizza per un evidente accento posto sul tema del rilancio delle attività scientifiche a beneficio della popolazione e dell’ecosistema locale, con particolare riferimento alle tecnologie duali o polifunzionali per consentire la partecipazione dell’Italia a bandi europei specifici (ad esempio HORIZON 2020).

Il Protocollo prevede pertanto azioni finalizzate a reperire risorse per progetti di studio e ricerca connessi alle attività militari anche mediante il conferimento di fondi da parte di soggetti attuatori terzi. Il Ministero si impegna, compatibilmente con le norme vigenti e con le esigenze istituzionali militari, a verificare la possibilità di rendere fruibili le aree militari sul territorio e a modulare l’incidenza delle limitazioni e vincoli militari al territorio.

Il Protocollo con il Friuli Venezia Giulia si caratterizza per un corposo Allegato tecnico, relativo a sei progetti già individuati per le attività di collaborazione e ad ulteriori cinque proposte di attività che potranno integrare in futuro il protocollo.

I sei progetti già valutati, da realizzare in collaborazione con l’Università di Udine, con l’Istituto Nazionale di Oceanografia di Geofisica Sperimentarle – OGS e con Elettra-Sincrotrone Trieste, riguardano:

la riqualificazione dei poligoni militari: recupero di residui di munizioni e utilizzo delle aree per test e sperimentazioni scientifiche;

studio e sviluppo di un sistema UAV per la protezione di unità militari in teatri di operazioni e per il controllo del territorio regionale ai fini di protezione civile, prevenzione ambientale e analisi fitosanitarie;

studio e sviluppo di una applicazione mobile basta su realtà aumentata per la visualizzazione dei punti di interesse in aree militari e aree turistiche;

sviluppo di un sistema smart mobile per il riconoscimento e la classificazione di ordigni bellici inesplosi in aree civili e di materiali bellici inquinanti in aree militari;

utilizzo delle servitù militari per attività di sperimentazione geofisica e caratterizzazione geologica;

fitorimediazione assistita da tecniche analitiche con luce di sincrotrone.

Ulteriori progetti da esaminare riguardano:

la valorizzazione di strutture ipogee;

la creazione di percorsi tematici sentieristici;

progetti di coltivazione in assenza di irrigazione di cereali minori e studio di nuove metodologie anti microtossine;

valutazione di particolari microclimi per affinamento metodologie di stagionatura di prodotto alimentari;

Situation Awareness e Smart Security di infrastrutture e aree militari/Civili (SAS2) mediante cooperazione di reti intelligenti di sensori e cybersecurity.

 

Il Protocollo d’intesa tra Ministero della difesa e la Regione Puglia per il coordinamento comune delle attività militari presenti nel territorio della regione, siglato il 19 giugno 2014.

Quanto alla Regione Puglia, il Protocollo d’intesa che reca la firma del Sottosegretario di Stato, Domenico Rossi, e del Presidente della Regione, Nichi Vendola, dichiara la volontà delle parti di collaborare reciprocamente per individuare azioni comuni utili all’implementazione di attività, opere e servizi sociali, socioculturali ed ecosistemici nel territorio della Regione Puglia sulla quale sono svolte attività militari incidenti maggiormente sull’uso del territorio, sulla conservazione della natura e sui programmi di sviluppo economico e sociale.

A tal fine le parti avvieranno ogni possibile azione volta al reperimento delle risorse per la realizzazione dei progetti di studio e ricerca per gli scopi di sviluppo del territorio e dell’ecosistema locale, anche attraverso il possibile conferimento di fondi da parte dei soggetti attuatori terzi appositamente individuati, limitatamente alle aree che saranno in seguito specificate in apposite Convenzioni attuative, da sottoscriversi a cura delle Amministrazioni interessate.

Il Ministero della Difesa, nei termini e modi consentiti dalle norme vigenti e compatibilmente con le esigenze istituzionali militari, intende in tale contesto collaborare con la Regione Puglia mediante la condivisione della propria rete di contatti tecnico-scientifici in ambito militare e civile per verificare la possibilità di rendere fruibili a favore della collettività locale le opportunità di finanziamento, in ambito europeo e/o nazionale, di progetti di ricerca congiuntamente identificati, con particolare riguardo a quelli volti a rafforzare le attività di conoscenza e monitoraggio del territorio, e, contestualmente, di valorizzare a livello nazionale ed internazionale le eccellenze locali.

Il Ministero della difesa, nei termini e modi consentiti dalle norme vigenti e compatibilmente con le esigenze istituzionali militari, intende in tale contesto collaborare con la Regione Puglia per verificare la possibilità di rendere fruibili a favore della collettività locale le aree militari presenti sul territorio, nonché modulare l’incidenza delle attività, delle limitazioni e dei vincoli militari gravanti sul territorio della Regione per il raggiungimento degli obiettivi di concerto – ove necessario – con l’Amministrazione finanziaria.

I contenuti dell’intesa potranno essere integrati nelle singole convenzioni attuative, con particolare riguardo: agli impegni della Regione e di altre Amministrazioni che successivamente potranno intervenire; alle aree ed attività militari che saranno interessate dalle finalità oggetto della presente Intesa e delle relative convezioni; ai tempi e alle modalità di realizzazione dell’iniziativa, relativamente alla tempistica delle attività sia procedurali, sia tecnico-amministrativa di rispettiva competenza delle Parti firmatarie; ai mutati scenari operativi od a nuove esigenze istituzionali eventualmente rappresentate dall’Amministrazione militare e dalla Regione Puglia; infine, alle modalità di collaborazione in attività di conoscenza e monitoraggio del territorio.

Le Parti si impegnano ad attivare un tavolo tecnico che entro sei mesi dalla sottoscrizione del Protocollo concluda lo studio di valutazione di incidenza ambientale delle attività esercitative svolte nei poligoni ricadenti in aree protette presenti nel territorio regionale, propedeutico alla sottoscrizione con la Regione e gli enti gestori di dette aree, entro i tre mesi successivi all’emissione del provvedimento di valutazione, di singole convenzioni attuative, le quali stabiliscano programmi e disciplina delle attività esercitative in coerenza con le conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito e tali da perseguire lo standard di mantenimento dello stato di conservazione dell’habitat naturale fissato dal decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

 

Le Linee Guida verso il Libro Bianco della Difesa.

A conclusione del percorso, il 25 giugno 2014, il Ministro della difesa ha trasmesso al Parlamento un documento recante le Linee Guida finalizzate ad un «Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa», che in 90 punti individua taluni interrogativi ed elementi di riferimento sottesi alla sicurezza e difesa nazionale ed al futuro delle Forze armate che spetterà al Libro Bianco affrontare.

Il documento è di ampio respiro e reca un inquadramento di scenario correlato al contesto globale, al ruolo dell’Italia nel sistema internazionale, all’incertezza degli scenari futuri, ai conseguenti compiti e configurazione delle Forze armate come struttura organizzativa e come risorse umane. Il documento conferma, tra l’altro, che «non si può prescindere dalla constatazione che, nel prossimo futuro, persisterà un notevole livello d’incertezza circa i potenziali rischi o minacce alla sicurezza, la forma che tali rischi e minacce potrebbero prendere, i tempi cui si potrebbero concretizzare, nonché le necessità e le modalità di intervento che potrebbero risultare indispensabili».

Per il futuro è da attendersi che «eventuali forze opponenti tenderanno a ricorrere a forme di contrasto non convenzionali e non simmetriche, anche sfruttando domini nuovi quali quello cibernetico». «Lo sfruttamento di nostre vulnerabilità, l’imprevedibilità delle azioni portate anche in aree non di operazioni, il diretto coinvolgimento sovente passivo, ma talvolta anche attivo delle popolazioni civili, costituiranno forme di contrasto cui dovremo essere preparati in un’ottica che garantisca la massima sicurezza possibile per le nostre forze e per il nostro territorio, garantendo al contempo la possibilità di crescita ed affermazione delle realtà locali cui portiamo supporto».

Quanto al tema oggetto dell’indagine conoscitiva e in un’ottica di prospettiva per i lavori parlamentari, «in relazione al possibile impiego dello Strumento militare nell’ambito dei futuri scenari possibili ed in stretto rapporto a quanto prevede il dettato costituzionale e normativo, emerge la necessità di interrogarsi su quali saranno le indispensabili capacità umane, culturali e professionali che saranno richieste al personale militare e civile della Difesa e che ne caratterizzeranno lo status ed i percorsi formativi ed addestrativi».

 

7. Conclusioni e proposte.

Sulla base degli elementi acquisiti, di cui si è dato conto nelle pagine precedenti, la Commissione è pervenuta a talune considerazioni conclusive e alla formulazione di proposte di lavoro. Tali considerazioni e proposte sono finalizzate al maggiore obiettivo dell’indagine conoscitiva, relativo all’individuazione di un punto di equilibrio tra esigenze addestrative, tutela della sicurezza e della vita degli uomini e delle donne in divisa, da un lato, e, dall’altro lato, tutela della salute, dell’ambiente e delle prospettive di sviluppo per i territori e le popolazioni interessate dalle servitù militari.

Ulteriori valutazioni concernono eventuali correttivi da apportare alla normativa vigente e ipotesi di lavoro per un riequilibrio dei carichi addestrativi, eventualmente da conseguire in ambito nazionale e, in prospettiva, anche in ambito europeo.

In generale, in questa parte finale del documento conclusivo si intende portare a sintesi l’ingente patrimonio di proposte costruttive raccolte, che è frutto di una visione condivisa dai gruppi di maggioranza e di opposizione e che presenta numerosi elementi di contatto con quella portata dal Governo e dagli stessi rappresentanti dei vertici militari nel corso dei lavori, a testimonianza di una cultura sostanzialmente diffusa ed acquisita sui temi della salute, dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile, ma anche della difesa e dell’efficacia dello strumento militare, come fattori di una politica complessiva, finalizzata al benessere e alla sicurezza dei cittadini.

1) In linea con i principi generali che informano il nostro ordinamento, la Commissione ritiene, innanzitutto, che la tutela di un diritto fondamentale, quale la salute umana (articolo 32 Cost.), e di beni costituzionalmente garantiti, come l’ambiente e il paesaggio (articolo 9 Cost.), rappresentino un prius rispetto all’esigenza di assicurare le necessarie attività addestrative e sperimentali dello strumento militare, pur se finalizzate al «sacro dovere del cittadino» di difesa della Patria (articolo 52 Cost.). Tale ordine di priorità deriva, peraltro, dalla ponderazione degli ulteriori valori costituzionali, consacrati negli articoli 2, 3, 41, 42 e 44 della Costituzione, e nelle norme del Trattato dell’Unione europea, oltre che della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

2) Ciò premesso, appare improcrastinabile – anche alla luce del processo di spending review che investe tutti gli ambiti dell’Amministrazione dello Stato, incluso quella della Difesa, ma che mostra di non avere ancora intaccato l’apparato esistente di servitù militari e soprattutto dei poligoni addestrativi – una ricognizione e rivalutazione sulla quantità e qualità dell’assetto attuale di servitù militari esistenti sull’intero territorio nazionale, concepito all’indomani del secondo conflitto mondiale e rispondente ad esigenze di difesa e ad impegni allora sottoscritti con gli Alleati finalizzati ad un quadro di minacce e di equilibri internazionali che è oggi radicalmente diverso e superato da tutti i punti di vista.

3) Sul piano metodologico tale rivalutazione si declina, nel lungo termine, nell’obiettivo del riequilibrio e, nel breve e medio termine, nella mitigazione del problema attraverso il ricorso a strumenti correttivi e a misure finalizzate a conseguire fin da subito condizioni di sostenibilità sul piano della salute, dell’ambiente e dell’avvio di programmi di sviluppo alternativo.

4) La citata rivalutazione si rivela urgente ed essenziale soprattutto in Sardegna. Tale regione, che ai tempi della «cortina di ferro» rappresentava un contesto di retroterra operativo protetto, sopporta ancora oggi oltre il 60 per cento delle servitù militari complessive, pur collocandosi al centro del Mediterraneo, lungo la linea del confine continentale che, verso sud, guarda al contesto altamente instabile del Nordafrica. L’indagine conferma la validità degli obiettivi della dismissione dei poligoni di Capo Teulada e di Capo Frasca e della riqualificazione del poligono di Salto di Quirra, già individuati al Senato nella scorsa legislatura dalla Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito con l’approvazione della Relazione intermedia sui poligoni di tiro e con la già citata mozione n. 1-00582 Scanu.

5) Nella piena consapevolezza circa lo stretto legame che intercorre, soprattutto in Sardegna ma non solo, tra le strutture addestrative e gli adiacenti enti locali in termini occupazionali, produttivi, di erogazione di servizi, è necessario che gli interventi finalizzati alla dismissione o alla riqualificazione dei poligoni procedano di pari passo a programmi di rilancio e di riconversione delle economie locali, lasciando impregiudicati i livelli occupazionali e valorizzando, laddove possibile, la vocazione turistica o produttiva di tali insediamenti.

6) Se «servitù militare» deve significare opportunità e non disagio, allora tali programmi di rilancio e riconversione dovranno necessariamente contemplare la destinazione delle aree non più soggette a servitù militari allo sviluppo di attività attinenti alla protezione civile, ad esempio con riferimento alla prevenzione degli incendi, oppure alla ricerca scientifica e tecnologica in settori innovativi. Per le servitù destinate ad essere riconfermate occorre che tali programmi siano fondati sulla prospettiva di uso duale delle servitù, valorizzando la loro capacità di attrarre investimenti in ricerca ed innovazione.

7) Sul piano della tutela della salute, data la stringente normativa europea sulla materia, non sono ammissibili deroghe ai limiti di concentrazione stabiliti come valori soglia per specifiche sostanze, superati i quali potrebbe risultare compromessa l’integrità dell’ambiente e la salute delle persone.

Ne deriva l’esigenza di assicurare priorità, anche sul piano del reperimento delle necessarie risorse finanziarie necessarie, all’avvio di un programma nazionale di bonifica dei poligoni militari, anche in riferimento alle attività di sperimentazione industriale che si svolgono al loro interno. A tal fine occorre predisporre un quadro particolareggiato delle esigenze finanziarie, da mettere a punto con la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti, incluse le associazioni ambientaliste, e che non diminuiscano rispetto a quanto fino ad oggi previsto. Inoltre, si ritiene che la qualità e la quantità degli agenti inquinanti nei poligoni sconsigli di paragonare gli stessi ad aree industriali, elevandone magari, per questa via, il livello di inquinamento consentito.

8) Emerge, in generale, l’esigenza di procedere ad una seria indagine sanitaria a livello nazionale, con la collaborazione tra Ministero della difesa e Ministero della Salute, mirata ad una valutazione circa l’incidenza di malformazioni o di patologie, soprattutto tumorali, sia sulla popolazione umana che su quella animale, nelle aree caratterizzate dalla presenza pluridecennale di poligoni addestrativi ed aree comunque soggette a servitù militari quale eventuale fattore aggravato di rischio allarme sanitario, anche alimentate dagli organi di informazione a livello nazionale e locale, e ciò anche al fine di affrontare e risolvere positivamente eventuali infondate percezioni e non penalizzare iniziative di ripresa economica, legate alla filiera agroalimentare e al settore della pesca.

9) Ricognizione delle servitù, bonifiche, indagine sanitaria sono presupposti per assicurare il sereno svolgimento e la praticabilità delle esercitazioni nei poligoni, da subordinarsi alla formulazione di un «indice di rischio» per l’ambiente, per gli operatori e per le popolazioni mediante strategie e strumenti di gestione del contenimento dei rischi. L’insieme di queste misure potrebbe, peraltro, tradursi favorevolmente per l’Amministrazione della difesa, in valutazioni e percezioni non contrarie o ostative rispetto alla ulteriore permanenza delle attività militari sui territori.

10) Sussiste l’esigenza di sviluppare ulteriormente una cultura e rispetto delle regole in tema di tutela del lavoratore, militare e civile, che opera nelle aree soggette a servitù militari, con particolare riferimento alle esigenze di informazione, formazione e addestramento sufficienti ed adeguati. A tal fine l’Amministrazione della Difesa nel suo complesso è tenuta ad una caratterizzazione dei rischi, ad approntare un sistema funzionante di prevenzione e protezione per i lavoratori, di cui i comandi dei poligoni siano messi nelle condizioni di potersi avvalersi.

11) In questo contesto generale si inserisce l’esigenza costantemente segnalata nel corso dell’indagine di dati scientificamente affidabili, prodotti da osservatori ambientali indipendenti, istituiti presso ogni poligono, con la collaborazione leale e trasparente da parte del Dicastero delle difesa. Si sottolinea in tal senso l’opportunità, evidenziata anche durante la Conferenza Nazionale sulle servitù militari, che tale ricognizione venga effettuata nei diversi territori nazionali con modalità e indicatori di misurazione omogenei. Ciò al fine di favorire: in primo luogo la riduzione della spesa strumentale e metodologica della ricognizione medesima; in secondo luogo la immediata comparabilità dei dati raccolti, indispensabile all’opera di rivalutazione e per assicurare la necessaria trasparenza verso i cittadini e nelle relazioni con gli interlocutori pubblici e privati coinvolti.

Da questo punto di vista, le servitù militari appaiono oggi un capitolo non secondario del compromesso rapporto di fiducia tra Stato e cittadini. La vicenda MUOS ha contribuito ad evidenziare, infatti, le perduranti lacune comunicative e metodologiche che contraddistinguono l’operato delle istituzioni centrali rispetto ad infrastrutture di carattere militare e strategico ad alto impatto. Il recupero di un rapporto positivo tra cittadini e Stato, in particolare sul delicato terreno delle politiche di difesa, si fonda più che in altri settori sulla trasparenza, sulla disponibilità di elementi informativi affidabili, sulla programmazione degli interventi con il coinvolgimento delle istituzioni locali e della cittadinanza, a dimostrazione di una capacità gestionale e di conciliazione di istanze apparentemente contrapposte quali difesa e sicurezza e tutela della salute pubblica e dell’ambiente.

12) In merito al MUOS, si ribadisce che il territorio di Niscemi, in particolare quello della base NRTF, data in concessione esclusiva alla US NAVY, ricade, insieme ai comuni di Gela e Butera, in un’area a elevato rischio di crisi ambientale, dichiarata con deliberazione del Consiglio dei ministri a causa della presenza del complesso industriale petrolchimico di Gela. Vi sono, tra l’altro, una raffineria e una centrale termoelettrica, unica in Italia a essere autorizzata all’incenerimento di petcoke, un particolare tipo di combustibile alquanto inquinante. Da ultimo, anche il rischio sismico è rilevante, perché il comune di Niscemi è classificato in zona 2, a elevata pericolosità, sulla base di un decreto della Presidenza della Regione Sicilia. La sismicità può essere causa, ovviamente, di incidenti in seguito a sisma nel funzionamento dell’installazione MUOS.

In sintesi si ritiene che la servitù militare di Contrada Ulmo a Niscemi, data in concessione esclusiva alla US NAVY, sito di costruzione del MUOS, già utilizzata come base radio NRTF ad uso americano presenti diverse criticità: zona ad alto rischio ambientale; area ricadente in una riserva naturale orientata; zona a rischio sismico;  zona ad alto inquinamento elettromagnetico causato dalle 41 antenne attive nel sito; 
 zona a rischio di altro inquinamento elettromagnetico determinato dalla messa in funzione del MUOS.

Valutate l’insieme di tali circostanze, è necessario prevedere l’obbligo di controllo da parte delle competenti autorità nazionali sulle condizioni di impatto ambientale e di rischio per la salute. Sa tal fine non è da escludere per il futuro una revisione dei trattati internazionali relativi alla realizzazione di tale infrastruttura che tenga nel debito conto le problematiche fin qui segnalate.

13) Occorre inoltre operare ulteriormente affinché lungo tutta la catena gerarchica militare siano acquisite e divengano parte del patrimonio di competenza le buone pratiche maturate nel campo della materia ambientale e di sicurezza del lavoro, pur dovendosi riconoscere numerosi meriti all’Amministrazione militare in tale ambito, che fa già parte di una strategia di formazione del personale di comando.

14) Una Conferenza nazionale sulle servitù militari da convocare periodicamente potrà rappresentare la principale piattaforma di verifica e confronto aperto tra Governo e Parlamento, tra Amministrazioni centrali e periferiche, con il coinvolgimento di operatori economici, del mondo dell’associazionismo ambientalista e delle realtà associative, cui partecipano i territori e i cittadini, insieme alle realtà accademiche e specialistiche, così da promuovere una sinergia nazionale, a forte carica propositiva, fondata sulla conoscenza dei dati e sulla condivisione degli obiettivi.

 

Premesse queste considerazioni di ordine generale, si segnalano le azioni rientranti nel percorso di mitigazione del problema:

– sospensione immediata delle esercitazioni a fuoco nelle aree protette e loro diminuzione generalizzata in tutti i poligoni con il ricorso più ampio possibile a strumenti simulativi;

– avvio immediato di una nuova mappatura delle servitù militari con pubblicazione delle evidenze e dei risultati nelle forme e nelle modalità consuete a tutti i settori della Pubblica Amministrazione;

– analisi del nuovo contesto internazionale, anche in occasione della predisposizione del Libro Bianco sulla difesa, con conseguente valutazione delle nuove esigenze addestrative da esso derivanti, nella considerazione che l’addestramento rappresenta comunque il primo presupposto per la tutela della vita del personale militare;

– successiva riperimetrazione graduale delle servitù, soprattutto in Sardegna, pur considerando la necessità non prevista all’origine di contemplare «campane di sicurezza», necessarie a preservare l’incolumità della popolazione civile rispetto ad esercitazioni con sistemi d’arma ad impatto più ampio che in passato;

– rilascio immediato delle aree di pregio turistico ambientale, qualificate come siti di interesse comunitario (SIC), con particolare riferimento, quanto alla Sardegna, a Porto Tramatzu e al sito denominato «Sabbie bianche»;

– ampliamento della finestra temporale libera da esercitazioni dal 1 giugno al 30 settembre di ogni anno;

– rivalutazione degli indennizzi destinati ai comuni sui cui territori sorgono servitù militari, ripristinando condizioni di regolarità nella loro erogazione;

– erogazione degli indennizzi su base annuale e non quinquennale con svincolo dal patto di stabilità;

– riavvio del processo di dismissione di acquisizione al patrimonio regionale di bei immobili rientranti nel demanio militare non più in uso o non più necessari, con la previsione di uno specifico cronoprogramma;

– coinvolgimento delle associazioni ambientalista nella gestione dei siti dismessi a fini di tutela contro possibili forme di speculazione;

– promozione di accordi tra poligoni e territori, soprattutto ai fini delle attività della filiera agroalimentare;

– promozione della collaborazione tra autorità centrali e locali e tra enti territoriali per la creazione di presidi locali accentrati a fini di protezione civile, a difesa dell’ambiente e in generale per il controllo del territorio;

– quanto ai poligoni in aree protette, rigoroso rispetto del Codice dell’ordinamento militare con riferimento alla valutazione di incidenza delle esercitazioni.

 

Nel frattempo si potrà procedere:

– ad una quantificazione dei costi derivanti dal mancato sviluppo alternativo delle comunità ed economie locali e dal consumo incontrollato di territorio, risorsa naturale erroneamente considerata disponibile in abbondanza;

– ad una riflessione sulla disciplina e sul ruolo svolto dai Comitati misti paritetici (COMIPA), di cui occorre al più presto accrescere il grado di trasparenza, con riferimento alla pubblicità dei lavori e degli atti prodotti;

– all’avvio di un tavolo di concertazione tra Ministero della difesa e Ministero dell’Ambiente.

Più strettamente sul piano dell’aggiornamento della disciplina vigente le specifiche proposte emerse hanno riguardato:

– il già richiamato ampliamento della finestra temporale libera da esercitazioni dal 1o giugno al 30 settembre di ogni anno: la revisione della normativa relativa al conferimento di appalti da parte dei comandi dei poligoni in modo da privilegiare in prima istanza aziende e ditte a livello locale;

quanto ai poligoni che sorgono sul terreno di parchi ed aree protette, è stata già richiamata la proposta per la revisione dell’articolo 357 del Codice dell’ordinamento militare ed è stata invocata, anche da parte dello stato maggiore della Difesa, un aggiornamento della legge n. 394 del 1991 laddove non cura adeguatamente il rapporto tra aree addestrative e obiettivi di tutela ambientale (con riferimento in particolare all’articolo 8);

infine, si è proposto un superamento culturale, fondato su un rinnovo anche lessicale del termine servitù militari che riesca a valorizzare l’idea positiva di un «limite» istituito come fattore di salvaguardia della popolazione civile.

 

Realizzati questi obiettivi di breve e medio termine, il riequilibrio completo potrà essere conseguito mediante:

– l’avvio di un confronto con tutte le regioni italiane al fine di prevedere forme di redistribuzione dei carichi addestrativi all’interno del territorio nazionale;

– l’avvio di un confronto in sede europea per promuovere oltre forme di riequilibrio delle servitù militari e proporre l’individuazione di un’area polifunzionale che garantisca l’interoperabilità, pur tenendo conto che su tale terreno sussistono nodi irrisolti sul piano finanziario e anche dell’opportunità, in ragione delle esigenze di continuità e di autonomia connesse allo svolgimento delle attività addestrative;

infine, secondo la proposta avanzata dallo stesso Ministro della difesa, l’avvio di proposte di cooperazione rafforzata in sede europea con eventuale coinvolgimento anche di profili di carattere addestrativo.

 

 

NOTE:

(1) La risoluzione, approvata il 18 dicembre 2008 ha impegnato il Governo «ad assumere le necessarie iniziative per organizzare, possibilmente a Cagliari, nel quadro del processo di riorganizzazione dello strumento militare – e comunque non oltre il 31 dicembre 2009 – una II Conferenza nazionale sulle servitù militari a cui partecipino istituzioni centrali e locali al fine di fare il punto sullo stato attuale delle citate servitù e di proporre eventuali correttivi alla disciplina vigente, anche in vista di un possibile riequilibrio dei vincoli sul territorio nazionale».

 

(2) La mozione ha impegnato il Governo:

«1) a predisporre, in base a tali presupposti, la realizzazione, entro 3 mesi, di un piano di progressiva riduzione delle aree della Regione Sardegna soggette a servitù militare, di dismissione dei Poligoni di Capo Teulada e Capo Frasca, e riqualificazione del Poligono di Salto di Quirra, procedendo comunque all’eliminazione di tutte le attività che, sulla base della valutazione dei rischi, effettuata ai sensi della legislazione vigente, risultino suscettibili di produrre danni gravi ed irreversibili alla salute umana ed animale, ed all’ambiente;

2) a procedere, d’intesa con la Regione Sardegna e fatte salve le sue prerogative di autonomia, alla bonifica e contestuale riqualificazione delle aree non più soggette a vincolo, garantendo:

a) la perimetrazione delle aree già sottoposte ad intensa attività militare e la redazione di «carte di pericolo» e di «carte d’uso del territorio» finalizzate a verificarne la compatibilità con l’esercizio in sicurezza delle attività produttive, in primo luogo quelle agrozootecniche già in essere, come suggerito nella citata relazione finale della Commissione di esperti per l’area di Salto di Quirra;

b) la bonifica delle aree perimetrate ispirata a criteri di recupero e risanamento del territorio;

c) il finanziamento, la progettazione e l’insediamento di attività alternative di adeguato livello qualitativo, che garantiscano il mantenimento degli attuali livelli occupazionali e, in prospettiva, il loro incremento. In tale ambito possono essere sviluppate:

1) attività attinenti, in ambito regionale, alla protezione civile o nazionale per la formazione e l’addestramento del personale militare destinato a svolgere attività di assistenza alla popolazione civile nell’ambito delle missioni internazionali di pace;

2) attività relative allo sviluppo tecnologico ed all’innovazione nel campo della radaristica, microelettronica e robotica;

3) attività di ricerca e sviluppo di tecnologie e sistemi della filiera delle energie rinnovabili; 4) attività di ricerca e sviluppo in campo meteorologico;

5) attività collegata agli esperimenti del consorzio CIRA (Consorzio Italiano Ricerche Aerospaziali), dell’ASI (Agenzia spaziale italiana) e dell’ESA (European Space Agency) anche in collegamento con le università della Sardegna;

6) sperimentazione aerei UAV;

7) forme di sperimentazione e monitoraggio finalizzate alla predisposizione di protocolli inerenti alle condizioni di sicurezza dei militari impegnati nelle missioni internazionali;

d) la tutela delle iniziative imprenditoriali e competenze tecniche e professionali sviluppate nei territori interessati, anche correlate alle attività dei poligoni, e riconducibili a forme di riorganizzazione e riorientamento coerenti con le ipotesi di revisione e riorientamento delle attività dei poligoni stessi;

3) ad assicurare la disponibilità a riferire in Senato, entro 3 mesi dall’eventuale approvazione del presente atto di indirizzo, sullo stato di attuazione di tali misure».

 

(3) Si tratta di una questione trattata dall’interrogazione a risposta immediata presentata dall’onorevole Domenico Rossi n. 3-00615, finalizzata ad ottenere la sopra citata estensione al fine di evitare il declino dell’intera comunità. Richiamando il contenuto della risposta fornita dal Governo nella seduta del 5 febbraio 2014, il sottosegretario allo Sviluppo economico Zanonato ha rappresentato che l’estensione delle agevolazioni fiscali anche al comune di Teulada incontra l’ostacolo dell’articolo 37, comma 4-bis, del decreto-legge n. 179 del 2012 che prevede l’estensione in via sperimentale delle agevolazioni disposte per le zone franche urbane in favore dei comuni della provincia di Carbonia-Iglesias, tra i quali non rientra il comune di Teulada, seppur più storicamente ricompreso nell’area Sulcis Iglesiente. Tuttavia, poiché Teulada, «benché ricompreso dal punto di vista amministrativo nella provincia di Cagliari, rientra nell’area del Sulcis Iglesiente e condivide con gli altri comuni compresi in tale sub-area le stesse vocazioni produttive, un intenso interscambio di imprese nonché le medesime difficoltà sociali ed economiche» il sottosegretario ha dichiarato di farsi promotore al fine di valutare una modifica normativa volta ad ampliare l’ambito territoriale della zona franco urbana che si allarghi anche al comune di Teulada. Sul punto anche l’onorevole Cicu è intervenuto nello stesso contesto sottolineando l’urgenza di tale intervento poiché la comunità che non può più aspettare in quanto «il comune di Teulada vive una servitù militare che già ne comprime le potenzialità e la prospettiva di sviluppo» e che l’inclusione è un rimedio a fronte di una regione che «oggi vive una situazione drammatica senza eguali», come anche il presidente uscente della Regione, Ugo Cappellacci, ha sollecitato più volte».

 

(4) C. 2328 Modifica all’articolo 357 del codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in materia di divieto di localizzazione delle aree addestrative non demaniali e dei poligoni semipermanenti od occasionali in aree naturali protette, presentata il 29 aprile 2014 e assegnata alla Commissione Difesa.

 

(5) L’attuazione del decreto legislativo 24 aprile 2001, n. 237, recante « Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, recanti il trasferimento alla regione di beni immobili dello Stato» avrebbe comportato il trasferimento dallo Stato alla Regione di circa 160 compendi dislocati in 79 comuni del territorio regionale. L’operazione si è sviluppata nell’arco di cinque anni. Con il successivo decreto legislativo 2 marzo 2007, n. 35, recante «Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, concernenti integrazioni al decreto legislativo 24 aprile 2001, n. 237, in materia di trasferimento alla Regione di beni immobili dello Stato» si è compiuto un secondo trasferimento di 35 compendi.

 

(6) Si tratta della mozione n. 1-00513 Scanu e altri (PD), abbinata alle mozioni n. 1-00344 Palazzotto e altri (M5S) e n. 1-00511 Bianchi e altri (NCD), che impegna il Governo: 
 «a prevedere l’obbligatorietà per le autorità nazionali di condurre valutazioni periodiche per verificare l’impatto ambientale degli impianti MUOS e gli effetti sulla salute per le popolazioni, garantendo che le verifiche siano condotte in piena autonomia e sotto la responsabilità delle autorità italiane; 
 a rispondere con sistematicità, trasparenza ed accuratezza alle gravi perplessità insorte a causa della costruzione del MUOS e manifestate dai cittadini, veicolando una corretta informazione; 
 ad adottare ed accelerare le misure per l’adozione di un sistema di monitoraggio continuo dei campi elettromagnetici, secondo quanto già previsto dal protocollo d’intesa del 1o giugno 2011, tra il Ministero della difesa e la Regione siciliana, coinvolgendo il sistema pubblico, nel rispetto dei limiti delle emissioni previsti dalla legge;

a valutare e sostenere, nel rispetto delle previsioni disciplinate dal protocollo d’intesa del 1o giugno 2011 citato, la fattibilità di un programma sistematico comprendente, tra l’altro:

a) il monitoraggio e la caratterizzazione delle emissioni dell’impianto MUOS;

b) campagne ambientali di misura dei campi elettromagnetici da radiofrequenze nell’area, orientate a produrre stime affidabili dei valori puntuali dei livelli di esposizione della popolazione nel tempo e nello spazio, anche applicando adeguati metodi di modellizzazione, utili nel futuro per contribuire a produrre conoscenze sugli effetti sulla salute;

ad assicurare la riuscita del predetto programma attraverso un percorso che coinvolga anche enti e istituzioni competenti ed autonomi;

a far rispettare il protocollo d’intesa tra il Ministero della difesa e la Regione siciliana del 1o giugno 2011 che prevedeva, tra gli altri, i seguenti impegni da parte del Ministero della difesa: la riduzione delle emissioni a radiofrequenza grazie all’installazione di un sistema di trasmissione interrato a fibre ottiche, per mitigare l’esposizione ai campi elettromagnetici generati dagli apparati di trasmissione già esistenti; la fornitura di strumentazione necessaria all’installazione di un sistema di monitoraggio in continuo dei campi elettromagnetici, da integrare nella rete regionale di monitoraggio dell’Arpa della Sicilia, che ne curerà la gestione e l’elaborazione dei dati, i quali saranno resi sempre disponibili all’amministrazione di Niscemi; la rimozione tempestiva delle antenne in disuso, privilegiando tecnologie di trasmissione alternative ed innovative e tali da ridurre i consumi energetici e le emissioni;

a mettere in atto da subito l’azione, prevista al punto 3.6 del protocollo d’intesa, di supporto agli organismi territoriali per la promozione del prodotto agro-alimentare dell’area di Niscemi non solo sul territorio nazionale, ma anche su quello internazionale, avvalendosi anche dell’Ice;

a prevedere l’immediata interruzione del sistema laddove, dal monitoraggio, emergessero risultati nocivi per la popolazione, come previsto dall’accordo del 2011;

a valutare l’opportunità che le attività di controllo e di prevenzione del rischio ambientale e sanitario nell’area di Niscemi vengano svolte anche mediante l’impiego del locale distaccamento dei volontari dei vigili del fuoco, con una copertura dei relativi servizi sulle 24 ore, e che i costi per la realizzazione di tali servizi siano posti, nell’ambito di un apposito atto convenzionale, a carico del soggetto responsabile della gestione amministrativa della centrale di radiotrasmissione in cui è ubicato il MUOS;

a presentare annualmente al Parlamento una relazione sintetica, ma esaustiva, delle azioni realizzate e del percorso compiuto in adempimento di quanto previsto dal presente atto di indirizzo.

 

(7) Allo stato l’articolo 8 della legge quadro sulle aree protette 6 dicembre 1991, n. 394, prevede che l’istituzione dei parchi e delle riserve naturali protette avvenga su iniziativa del Ministero dell’ambiente, sentita la regione.

 

(8) L’articolo 733-bis, introdotto dal decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 121, riguarda la «Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto» e stabilisce che «1. Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge un habitat all’interno di un sito protetto o comunque lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione, è punito con l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda non inferiore a 3.000 euro. 2. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 727-bis del codice penale, per specie animali o vegetali selvatiche protette si intendono quelle indicate nell’allegato IV della direttiva 92/43/CE e nell’allegato I della direttiva 2009/147/CE. 3. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 733-bis del codice penale per “habitat all’interno di un sito protetto” si intende qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona a tutela speciale a norma dell’articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva 2009/147/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE».

 

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2 Comments

  1. Pingback: Basi e poligoni in Sardegna: ma il presidente Pigliaru fa il gioco dei militari? - vitobiolchini

  2. Relazione lunga ma interessante dovrebbero leggerla tutti a cominciare dai consiglieri regionali a seguire i sindaci e i consiglieri comunali ….una profonda riflessione dovrebbero farla anche i parlamentari sardi che hanno votato in parlamento a favore la legge che equipara i siti militari inquinati alle zone industriali per risparmiare i soldi delle bonifiche…..infine una domanda…. quanti soldi dei fondi Europei 2014 – 20120 la regione Sardegna intende utilizzare per la riconversione delle Servitù Militare dismesse che solo nel comune di Cagliari sono almeno una decina?…. rispondendo a questa semplice domanda forse riusciamo a capire dove vogliamo andare…….

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