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“Addio Mandela, un po’ Pertini un po’ Papa Francesco. Mi ricordo, 27 anni fa, nella spiaggia di Bloeburgstrand…”, di Pietro Porcella

Vorrei condividere con i lettori del blog questo bel ricordo di Nelson Mandela, scritto dall’amico e giornalista Pietro Porcella.

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Uno dei più importanti uomini della storia, Nelson Mandela, un idolo per la mia generazione, se n’è andato. Sarà la Storia nei prossimi decenni a dare il giusto tributo a questo incredibile premio Nobel per la Pace.

Nelson Mandela (Madiba per gli amici) è morto a 95 anni, quasi la metà dei quali passati (ingiustamente) in carcere per difendere la libertà di espressione e i diritti umani contro il regime dell’apartheid.

Mi piace ricordarlo con un flash back pieno di vitalità, quando lo vidi per la prima e unica volta dal vivo nel ’95 nello stadio di Città del Capo, nel mio sesto e ultimo viaggio in Sud Africa.

Aveva 77 anni, era il nuovo acclamatissimo Presidente della Repubblica del Sudafrica, e ballava sorridente, al ritmo degli zulu, vestito con una tunica giallo nera e verde per festeggiare la sua nazionale che vinceva il campionato mondiale del loro sport, il rugby.

Che bel ricordo di quella giornata e che bella immagine tra la folla festante. Un po’ Sandro Pertini un po’ Papa Francesco, ma profondamente e nobilmente africano nei suoi inconfondibili gesti.

Mandela ha in più, rispetto a tutti gli altri combattenti della storia, un background di sofferenza e sopportazione che nessuno prima al mondo aveva mai patito così duramente, lungamente e ingiustamente. Lo ha ricordato anche Obama nella sua recente visita al carcere che lo aveva ospitato per diversi decenni.

Sorprende come Mandela sia poi riuscito a rimanere lucido nei pensieri, nelle parole e nelle azioni una volta scarcerato e divenuto a furor di popolo il presidente della sua grande nazione.

Mandela è diventato un esempio per il mondo intero e vi consiglio di leggere il suo libro autobiografico “Long way to freedom” che potrebbe aiutare anche alcuni nostri politici a capire come far risaltare le proprie idee, con determinazione, con decisione ma col potere della giusta dialettica  e la pacifica partecipazione del popolo.

La prima volta che sentii parlare di lui, 27 anni fa, ero anche io poco più che un pischello. Avevo 27 anni, la metà della mia attuale età, vivevo a Milano dove facevo base per la mia attività di giornalista di windsurf, e “vinsi” un viaggio in quel paese isolato dal mondo chiamato Sud Africa, dove vigeva ancora la legge dell’apartheid, la divisione tra bianchi e neri. Dovevo fare lo speaker (esperto) della prima gara internazionale di windsurf in quel paese.

Andai con tanti pregiudizi, convinto di rischiare di assistere a continue battaglie nelle strade tra bianchi e neri. Scoprii invece un popolo pieno di risorse e dagli enormi potenziali e, strano a dirsi, anche un amore e rispetto (simile a quello che abbiamo noi sardi) tra i professionisti bianchi e la loro servitù di colore.

La spiaggia di Bloeburgstrand, davanti a Città del Capo dove dovevo lavorare, era vietata ai neri. Ma Martin, un ragazzo mulatto che lavorava per il più famoso costruttore di surf locale era ammesso grazie al suo padroncino bianco. Feci subito amicizia con lui e per prima cosa mi indicò l’isoletta difronte a noi: “Vedi quella è Robben Island. La c’è il carcere dove è imprigionato da tanti anni Nelson Mandela!” disse.
“E chi è Nelson Mandela?” chiesi ignorantemente io.
“È l’uomo che combatte per la nostra libertà!” disse Martin.

Cominciai a informarmi e a documentarmi su Mandela e scoprii una enorme popolarità e solidarietà per lui anche tra tutti i bianchi che, seppur in netta minoranza, comandavano e gestivano la nazione. Intanto mi innamorai del Sud Africa come nazione per le sue bellezze naturali.

Due anni dopo, nel 1988, ritornai per lo stesso motivo a Città del Capo ancora sotto apartheid e subito mi sentii a casa in quella nazione che voleva cambiare.

“Ma Mandela sempre dentro?” mi chiesi.
“Si, purtroppo – risposero gli zii di mia moglie dai quali stavo – ma pare che ora President Botha gli voglia dare la grazia se rinuncia a qualsiasi forma di propaganda politica”.

L’annuncio di Botha sulla imminente scarcerazione di Mandela venne sparato in quei giorni in prima pagina nei giornali di regime, quasi come una grande concessione, ma ancor più clamorosa fu la risposta di Mandela: “Esco fuori solo da uomo completamente libero, senza condizionamenti, perché non ho commesso nessun reato. Piuttosto rimango dentro fino a quando a tutti i sudafricani saranno riconosciuti i più elementari diritti umani, come quello di votare e quello di sedere al fianco dei fratelli con un colore della pelle diverso. Botha passerà, i diritti umani non si barattano con la scarcerazione di un leader politico che vuole solo far del bene al proprio paese”.

Mandela rimase dentro e fece salire la pressione interna e quella mondiale in suo favore. Il parossismo dell’esasperazione anche tra i bianchi sciacquò via Botha (noto “the shark”) e venne eletto Frederick De Klerck, l’uomo del trapasso che avrebbe guidato la nazione al rinnovo. Fuori subito Mandela, con le scuse di Stato e via libera alle elezioni col diritto di voto a tutti.

“The long way to freedom” di Madiba fu completata dopo la caduta del muro di Berlino, quando Frederick De Klerck (anche lui Nobel della Pace a braccetto con Mandela) riconobbe le gravi colpe dei governi passati, abolì le leggi sull’apartheid e diede a Mandela la libertà incondizionata con le scuse da parte di chi lo aveva preceduto.

In un Sud Africa finalmente libero e con “one man one vote” la strada verso la presidenza di Mandela e del suo partito ANC (African National Congress) fu spianata. Fu un trionfo a larghissima maggioranza di Nelson Mandela, che anziché indurito dai decenni in carcere, dimostrò una incredibile sagacia politica nel condurre la nazione e nel mischiare al potere e al lavoro i personaggi di talento del proprio paese, creando un fortissimo sentimento popolare e amore per la propria nazione.

Non ha esitato Madiba a mollare Willie Mandela, la donna che lo aveva aspettato, ma che era stata coinvolta come mandante di omicidi vendicativi verso chi gli aveva ammazzato i figli. “La violenza non si combatte con la violenza, ma con l’esempio di rettitudine” fu una delle frasi di Madiba che mi colpirono.

E quando l’età si avvicinava più ai 90 che agli 80 non si è incaponito a stare al potere ma ha generosamente passato la mano continuando il suo impegno carismatico verso la propria nazione che aveva portato ai vertici mondiali.So long Madiba. You gave us the light, God bless you forever.

Pietro Porcella

 

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6 Comments

  1. oh Vito…ma itta anti pappau puntinasa ? Forse non hanno bene letto l’articolo i due inaciditi commentatori….

  2. francescagatti2012 says:

    Concordo solo parzialmente con Simone……anche io sono stanca di questo ritornello su Bergoglio che sta riducendo a banalità il senso del sacro…….Sono però ancora piùstanca dei coccodrilli che scorrono…….in modo acritico e insulso …Parlare di Mandela e tacere dell’eccidio dei boeri èmalainformazione…..Possiamo sopravvivere anche senza icone.

  3. Non ho letto l’articolo a causa del riferimento a Papa Francesco, mi dispiace. Sarebbe ora di finirla con l’hype nauseante intorno a questa figura. Accostarlo a Mandela poi, che tristezza.

    • Sarebbe ora che leggessi l’articolo per capire che l’accostamento era riferito a quel particolare momento di ‘amore popolare’ della folla allo stadio per il proprio leader sorridente…….

      • Ci sono stati tanti altri leader sorridenti accolti da folle in estasi, non c’è bisogno di citare sempre l’ultimo arrivato perché fa trend.

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