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Sardegna, isola militare! Il ministro Mauro mette tutti sull’attenti nel silenzio (quasi) assoluto della nostra politica

La vitalità di un’opinione pubblica la si registra anche in base alla sua reattività. Qualche giorno fa il ministro della Difesa Mario Mauro è venuto in Sardegna e ha ribadito con forza il ruolo “servile” della nostra isola, ha prospettato un potenziamento della base di La Maddalena, ha spacciato il ministero della Difesa come “il primo è più importante datore di lavoro della comunità isolana”, ha annunciato con orgoglio il potenziamento della Brigata Sassari, e di fronte alla necessità di riequilibrare il peso delle servitù militari ha ritirato fuori l’argomento dell’”interesse supremo della difesa nazionale”. Così, come se niente fosse: e questo è l’articolo uscito sulla Nuova Sardegna (“La Difesa è il principale datore di lavoro nell’isola”) nel caso in cui ve lo foste persi.

Le uniche reazioni sono state quelle del leader di Sardigna Natzione, Bustianu Cumpostu (“Militari occupanti”) e del consigliere regionale del Pd Mario Bruno («Le parole del ministro della Difesa Mauro in visita a Cagliari sono deludenti e e preoccupanti”): per il resto, silenzio totale.

Eppure del rapporto fra la Sardegna e i militari bisognerebbe riprendere a parlare, se non altro perché la presenza massiccia di basi nel nostro territorio era un tassello importante di quel modello di sviluppo adottato nel secondo dopoguerra e che oggi tutti, a ragione, contestano e rigettano.

Il no alle basi non è dunque (solo) un no ideologico ma è dettato dalla necessità di utilizzare il territorio isolano in maniera diversa, più produttiva: perché le servitù militari non portano lavoro praticamente a nessuno e lasciano in eredità inquinamento e territori devastati.

Nei programmi che i candidati alla Regione presenteranno presto agli elettori che spazio ci sarà per questo tema? Su quali basi centrodestra, centrosinistra, sovranisti, indipendentisti e M5S chiederanno o pretenderanno dallo Stato una riduzione delle basi militari?

Purtroppo la situazione geopolitica non è favorevole. Le terribili tensioni che stanno investendo il nord Africa pongono la Sardegna in una linea di confine molto calda che favorisce le posizioni strumentali del governo romano. Lo scorso 28 aprile, intervenendo a Cagliari all’iniziativa organizzata per Sa Die de Sa Sardigna, il sociologo Nicolò Migheli aveva ricordato il ruolo essenzialmente militare della Sardegna negli equilibri italiani. La nostra isola a questo serve oggi all’Italia e non a molto altro. Ecco perché di tutte le servitù quella militare è la più difficile da cui liberarsi.

Ed è su questo tema che soprattutto gli indipendentisti si giocano la loro credibilità: perché non basta dire di volersi sganciare dall’Italia, in questa condizione serve anche la definizione una precisa politica estera che metta la Sardegna dai rischi di un conflitto che è veramente alle porte. Gli indipendentisti ce l’hanno? E qual è?

Se le basi sono le nostre servitù militari, poi c’è la servitù militare intesa come predominanza nell’opinione pubblica isolana di un militarismo diffuso che trova nell’esaltazione identitaria della Brigata Sassari il suo culmine. È una vecchia storia che parte da lontano e che ha trovato in Francesco Cossiga il suo indiscusso campione. Una cosa è certa: se non iniziamo a mettere innanzitutto in discussione il militarismo rappresentato dalla Brigata Sassari, il suo ruolo culturale egemone nella Sardegna di oggi, delle basi non ce ne libereremo mai. Perché poi ci sarà sempre qualcuno (come il ministro Mauro) che ci dirà con grande faccia tosta che i militari “portano lavoro” e nessuno di noi avrà la forza e il coraggio di mandarlo affanculo. Politicamente parlando, ovviamente.

 

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28 Comments

  1. sardo vero says:

    Ma vai a quel paese.gaglioffo.i sardi sono morti a migliaia x fare l’italia.w la brigata sassari.sardi veri!e sono 2500 sardi nella brigata,ke lavorano,grazie a voi?ke prospettive di lavoro gli avete dato?ZERO!se continuerete a creare zero,altri si arruoleranno.mai riuscirete a estirpare la sassari dal cuore dei sardi.ora aprirá,anche nuoro,450 posti di lavoro.teulada crescerá.ficcatevelo in testa.

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  6. Avrei bisogno di un chiarimento: esistono studi che suffraghino la tesi sostenuta dal ministro sul fatto che la presenza dei militari in Sardegna (o se vogliamo le forze armate nella loro interezza) siano una reale risorsa economica? Quanto produce in termini di PIL nell’isola? Quali effetti ha sull’indotto? ecc.. Il ministro pecca almeno di supercifialità, credo

    Temo che i sostenitori dell’equazione ESERCITO=POSTI DI LAVORO=RICCHEZZA sono vittime (consapevoli o non, forze più non consapevoli) di un ricatto – ben illustrato (Simone) e che sento di condividere.

  7. Caro Vito deve esserti sfuggito questo mio intervento del 10 agosto con l’approssimarsi delle vacanze 🙂
    http://cagliari.globalist.it/Detail_News_Display?ID=83792

  8. Ti è sfuggita anche la campagna ServiTu di ProgReS, per il recupero e il riutilizzo delle servitù militari dismesse. Bell’articolo, ma non bastano poche righe per centrarlo al meglio.

    • Beh, non è che mi è sfuggita, diciamo pure che è un altro tema rispetto a quello relativo alle dichiarazioni del ministro. 🙂
      Comunque il tema recupero delle servitù dismesse è centrale, perché finché non vedremo un utilizzo alternativo non avremo la necessaria convinzione per richiedere lo smantellamento delle basi ancora operanti. Sotto questo aspetto l’azione politica di Progres a Cagliari (ad esempio) è stata ed è importantissima.

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  10. riccardo says:

    zazen tenis arrexoni, e a dolu mannu tocat a nai ca funti sardus puru is chi apicant fogu a is padentis, sardus chi no stimant sa sardigna ma po unu pag”e dinai dda sciusciant.

  11. Secondo me, la questione della militarizzazione del territorio sardo è ben riassunta in un passaggio de “Lo sa il vento: il male invisibile della Sardegna” (Porcedda, Brunetti- 2011):

    “Qui, in Sardegna, per quanto incredibile a dirsi, trovi sempre qualcuno convinto che e’ meglio un morto in casa che la disoccupazione alla porta, che ti spiega che e’ meglio morire di lavoro che morire di fame. E’ il ricatto che subisce la cavia di qualsiasi esperimento dove la disponibilita’ di cibo e’ legata alla partecipazione. Accettando l’esperimento rischiera’ di morire, non partecipando morira’ di sicuro di fame. I poligoni e l’industria in Sardegna sono un po’ come su casu mrazzu, il formaggio coi vermi. E’ qualcosa che e’ andato a male, non e’ certo bello a vedersi, pero’ spalmato sul pane e accompagnato da olive, puo’ anche sfamare. Se poi ci si aggiunge un bicchiere di vino, magari si trova qualcuno che e’ disposto a far festa. ”

    E’ una commistione di economia e cultura.
    Per quanto riguarda l’economia, sappiamo bene che la Sardegna presenta ancora oggi un modello di sviluppo alquanto instabile. Numerose aree sono state concepite per soddisfare un solo modello, e quando questo è venuto a mancare l’intera area ne ha risentito: il Sulcis e l’area di Ottana sono un esempio. In altre aree questo modello è stato quello dell’economia militare, come ad esempio La Maddalena. La Maddalena, con la presenza del deposito NATO e della base-appoggio statunitense a Santo Stefano, aveva concepito il suo futuro in quella direzione, investendo numerosi capitoli per soddisfare la presenza dei militari e delle famiglie. Un’importanza porzione del settore immobiliare e di quello turistico vivevano di quella presenza, del passaparola tra militari, famiglie, amici e conoscenti: insomma, un mercato in espansione. Tra il 2005 e il 2008 – anno dell’ufficializzazione della chiusura della base-appoggio e della chiusura ufficiale – la fuga di capitale umano e finanziario ha generato una crisi profonda a La Maddalena e in un parte della Gallura settentrionale, e ancora oggi soprattutto la prima ne paga le conseguenze. Certo, La Maddalena gode anche di un turismo non legato alle stellette, ed è questo che l’ha tenuta a galla, ma il tracollo è sempre dietro l’angolo. Questo fu evidente anche con l’affaire G-8, dovuto soprattutto un crollo di importanza e di visibilità dell’arcipelago, prima fiore all’occhiello della politica italiana e ora merce di scambio.
    L’area di Quirra è un altro esempio, testimoniato dalla contrarietà di una buona parte di popolazione alle indagini del Procuratore Domenico Fiordalisi o alle denunce del Comitato Gettiamo le Basi.

    La parte culturale è ben riassunta da Vito nella chiusura dell’articolo, con il riferimento alla Brigata Sassari. Naturalmente, il legame con la questione economica è fortissimo, perché intere famiglie sarde portano in eredità le stellette, figli e figlie trovano lavoro nell’industria bellica (utilizzo il termine per coprire l’intero settore, dai militari sul campo alla ricerca scientifica) e così via. E’ un processo di mitizzazione che si realizza nelle surreali suonerie per il cellulare di “Dimonios” o nell’esibizione di modelli di aerei da guerra e altri orpelli presso alcuni pub di Cagliari, perché gestiti da ex-piloti presso la base di Decimomannu.

    Le parole di Mauro si fanno forti di questo contesto servile e reverenziale, condito da una retorica bellica e geopolitica che vede l’altro come nemico. Nel 2005, il Ministro della Difesa italiano Martino affermò che la presenza militare a La Maddalena non era più necessaria, proprio perché lo scenario geopolitico era mutato: il focus era nel Medio-Oriente, in Asia Centrale e nel Pacifico. Pochi anni più tardi le cose sono cambiate: quanto accade in Nord-Africa e Vicino-Oriente è visto con le lenti dell’opportunità e del dominio, e la Sardegna è una pedina fondamentale. Lo si è visto con l’attacco NATO alla Libia, dove la base di Decimomannu lavorava a pieno regime. Si preme per la creazione di una Fortezza Europa, e il confine passa proprio nel Mediterraneo: un confine composto di basi militari e radar. Proprio i radar svolgono il duplice ruolo di vedetta militare e vedetta di frontiera, pronti a segnalare l’attraversamento del “confine” dei natanti di migranti e/o richiedenti asilo, anche loro nuovi nemici e questione emergenziale. In quest’ottica è da inquadrare l’agenzia Frontex.
    A questo bisogna aggiungere le rinnovate tensioni tra i due principali attori del nostro mare: gli Stati Uniti e la Francia. L’interventismo francese ha stizzito Washington, non solo in Libia ma anche in Costa d’Avorio e in Mali; si ripropone così l’antagonismo che aveva portato all’installazione della base di Santo Stefano, ed è per questo che negli ultimi mesi si parla di una sua riapertura.

    Da pacifista e oppositore alla risoluzione violenta dei conflitti, l’opposizione ideologica alla militarizzazione del nostro territorio è l’unica che posso concepire, perché le questioni politiche sono strettamente collegate alla cultura e ai modelli (anche economici) che utilizziamo per leggere la realtà: questi si affrontano con le idee. Solo così si potrà confrontare una società – non solo quella sarda – che non vede differenza tra la presenza civile e quella militare in un teatro bellico o in un ambito “di pace”.
    Per dirla con le parole di Tiziano Terzani: “Vogliamo eliminare le armi? Bene: non perdiamoci a discutere sul fatto che chiudere le fabbriche di fucili, di munizioni, di mine anti-uomo o di bombe atomiche creerà dei disoccupati. Prima risolviamo la questione morale. Quella economica l’affronteremo dopo. O vogliamo, prima ancora di provare, arrenderci al fatto che l’economia determina tutto, che ci interessa solo quel che ci è utile?” (Lettere contro la guerra – 2002)

    Ecco perché ci si deve opporre a una retorica presente anche in alcuni dei commenti all’articolo, con parole che considerano la presenza militare come giusta se è “un po’”, “nella giusta misura” o “passaggio di consegne di doveri”. Nessun “po’” o “doveri”, la Sardegna dovrebbe essere un territorio completamente demilitarizzato, bonificato e di pace.

  12. anonimo says:

    Bachis Efis, ma quali offese ai sardofoni? Personalmente mi offenderei se mi dessero del sardofono. Mi accontento di saperlo parlare e leggere, di praticarlo e perfino di scriverlo. Ma una parola brutta come “sardofono” suona come una parolaccia. Quanto alle basi mi importa poco che siano sarde, mi suscitano la stessa reazione gli americani dal Dal Molin oppure quelli del Muos e riesco perfino a produrre qualche pensiero sulle basi fuori d’Italia. Non si potrebbe uscire dalla visione del proprio ombelico, almeno per un po’?

    • bachis efisi says:

      Hai ragione o anonimo, in effetti sardofono è una parola italiana bruttina; fai benissimo a praticare il sardo, parlarlo e leggerlo, e impegnandoti un pò anche a scriverlo. Hai ragione anche sull’ombelico; in democrazia uno, anche tipo te ad esempio, potrebbe girare lo sguardo dove vuole e persino puntarsi il suo didietro.

  13. Ci vuole un ridimensionamento ( su troppu istrupiada )
    Che la presenza militare in Sardegna sia anche primo datore di lavoro é fesseria cosmica, universale.
    Anche in vista di una probabile secessione: ovvero, non dico totale, ma in un contesto di maggiore autonomia nella gestione delle risorse isolane, i punti strategici basilari di presenza militare devono essere garantiti. Nella misura impostata da Roma é chiaro si va oltre le forze necessarie. La base interforze poi mi pare che abbia dato piú fastidi e grossi problemi che di introiti distribuiti nel territorio.
    La Sardegna non ha bisogno di forza militare oltre misura sul suo territorio.

  14. paolo55 says:

    Servitù militari solo a Cagliari c’è ne sono 58 ecco l’elenco http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=demanio%20militare%20di%20cagliari&source=web&cd=1&cad=rja&ved=0CC8QFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.regione.sardegna.it%2Fdocumenti%2F1_26_20061113125813.pdf&ei=38oTUvP5ELH14QSG5oDoDQ&usg=AFQjCNHmzJOD7TPG4wChSXVuiU8vurgQ-A molti già dismessi ed in totale abbandono per esempio a monte urpinu c’è ne sono quattro , finche la classe politica regionale, provinciale e comunale non fa un passo in avanti e come affidarli un tesoro ed anziché valorizzarlo ci siede sopra…. https://www.facebook.com/media/set/?set=oa.589249544438717&type=1 ……..

  15. antonello gregorini says:

    Ti è sfuggito il comunicato di Casa Sardegna, montato anche con il contributo di Mariella Cao.
    Sulla questione basi, la loro riduzione e le bonifiche dovute ci giochiamo la nostra dignità.
    Ma anche a Cagliari non ti sarà sfuggita l’arroganza con cui il comandante ha riaffermato la necessità delle caserme ma anche… di quella porcheria giuridica degli stabilimenti balneari, basi d’addestramento. Nel silenzio delle istituzioni locali con unico risibile risvolto il litigio pubblico interno ai riformatori fra il militare e me medesimo.
    Bisogna invece tenere il ferro sempre caldo per ottenere bonifiche a mare e a terra di Quirra e Teulada, con conseguente rilascio dei terreni sequestrati ai civili

  16. Riccardo76 says:

    Inizio dalla fine : che gli indipendentisti abbiano una definizione di politica estera o meno non ha alcuna rilevanza, stante la loro irrilevanza politica ( nei loro numeri, sulle loro idee invece ciascuno è libero di condividerle o meno). La massiccia presenza di territori sardi adibiti a basi militari, retaggio della guerra fredda, è ormai anacronistica anche se si considera l’instabilità del nord Africa. Ma è molto comodo per il governo mantenere la situazione in Sardegna così com’è : la popolazione non si lamenta più di tanto per la presenza militare (anzi quasi non vi è segno alcuno di proteste), perciò si evita di trasferire sul Continente le basi e si evitano le lamentele delle popolazioni che dovrebbero ospitare le nuove ipotetiche installazioni militari. Ecco il punto, perchè in Sardegna non ci si indigna per tutto questo? L’Isola ha fatto il proprio dovere per 60 anni, sarebbe ora che altre parti d’Italia contribuissero ad alleggerire il peso di tante servitù militari. Ma se il popolo tace, perchè il governo dovrebbe cambiare politica riguardo le basi in Sardegna? Non pare vero a Roma, un problema in meno. Ma perchè, si diceva, i sardi accettano tutto ciò? Non lo capisco. Però per uno stadio di calcio che si costruisce o non si costruisce si riempiono le pagine dei giornali locali, si fanno cortei , si aprono gruppi di protesta su Facebook, si muovono presidente della Regione, Sindaci e parlamentari: per uno stadio! Mentre la città di Cagliari è ancora recintata da filo spinato : al porto, sul colle S.Elia, a S.Bartolomeo, nel viale Poetto, alla Sella del Diavolo, a Calamosca, a Marina Piccola, solo per fare pochi esempi. Lì sembriamo fermi agli anni ’50! Eppure nulla si smuove, ormai si considerano questi lasciti della guerra fredda come parte integrante del paesaggio! Ecco, l’imperatore Carlo V ha fatto la fotografia di noi sardi con le sue celebri parole : “pocos, locos y male unidos”. Dopo 500 anni sono più che mai valide. Finchè i sardi si mobiliteranno solo per le stupidaggini non ci sarà nè futuro nè speranza per l’Isola. La Sardegna è, ora, quel che si merita.

    • Sfatiamo un mito: “pocos, locos y mal unidos” fu una frase proferita dall’arcivescovo spagnolo di Cagliari Antonio Parragues de Castillejo.

      • anonimo says:

        Caro Simone, il punto non è chi ha detto che siamo “pochi, matti e disuniti”, il punto è che questa è una delle espressioni che ci definisce meglio. O no?

      • Secondo me no. Inoltre non vedo perché ci dovremmo aggrappare ancora a un luogo comune proferito più di 500 anni fa. Ma questa è un’altra questione. Un salutu

      • anonimo says:

        Non siamo noi che ci aggrappiamo a quel detto, è il detto che si è aggrappato a noi. Pensi ai nostri indipendentisti come sono divisi e pochi.

  17. Emanuele says:

    “il ministro dei temporali in un tripudio di tromboni auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni”

  18. bachis efisi says:

    Ottimo post, Vito.Una vergogna,altro che indipendentismo. Però bisognava accorgersi anche delle offese ai movimenti sardofoni e di conseguenza ai sardi da parte del segretario italiano del Grande sindacato Bonanni; non solo nessuno ha reagito ma gli ascari nostrani lo hanno portato a dispetto in sardegna perchè fosse portato in trionfo. Scommetto che qualcuno di quegli ascari ce lo ritroveremo candidato in un movimento sardofono.

  19. Finché ci saranno sardi che giustificheranno la loro italianitá in base al sacrificio dei loro nonni sarà difficile sganciarsi dal militarismo nazionalista italiano.

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