Cultura / Sardegna

“Sardegna, il nemico è l’amnesia. Ma c’è chi sta costruendo un sé autobiografico”: un intervento di Fabrizio Palazzari

Riflettere sulla Sardegna, condividere punti di vista. Dopo l’intervento di Salvatore Cubeddu (Un’isola senza il senso della storia. Ma c’è un tempo da compiere, in Sardegna), oggi vi propongo una riflessione di Fabrizio Palazzari, animatore dell’associazione Tramas de Amistade. La troverete anche sui siti Aladin, su quello della Fondazione Sardinia, oltre che, ovviamente, su Tramas de Amistade.

***

Chiunque osservi la società sarda odierna non può non coglierne un paradosso. Mentre da un lato gli indicatori macroeconomici più importanti fotografano ineluttabilmente una crisi che non è congiunturale ma strutturale e sistemica, dall’altro sono evidenti i segnali di una vitalità che, sebbene circoscritta a specifiche nicchie del mondo delle imprese, delle associazioni, dei movimenti, dell’editoria e dell’informazione, testimonia un’inaspettata capacità di questi attori di ribaltare paradigmi consolidati nei settori in cui operano al fine di concretizzare progetti e iniziative spesso altamente innovative.

Infatti, al calo costante del PIL e al tasso di disoccupazione regionale a due cifre, con quello giovanile che ha superato il 40 per cento, fanno da contraltare iniziative imprenditoriali che vedono l’isola come laboratorio di esperienze innovative differenti tra loro ma accomunate da una medesima matrice. Si tratta naturalmente di un elenco non esaustivo, sicuramente non rappresentativo dell’intera economia isolana, ma di sicuro dalla forte valenza simbolica.

È in Sardegna, per esempio, che oggi esiste il più importante polo italiano della bioedilizia grazie a un’ imprenditrice di Guspini che ha saputo re-inventare l’utilizzo della lana di pecora; è sempre nell’isola che è nato, si è consolidato e si sta replicando in altre regioni italiane il più importante circuito di compensazione multilaterale con moneta complementare, grazie all’idea di quattro giovani imprenditori di Serramanna che hanno saputo re-inventare i concetti di credito e di moneta; è sempre in Sardegna che si sperimenta e si innova in agricoltura con le fattorie didattiche e le colture sinergiche, con la reintroduzione di colture del passato, come nel caso della tabacchicoltura in provincia di Tempio, o con la reinterpretazione di un materiale tradizionale come il sughero applicato questa volta come filato ai tessuti. È sempre nell’isola, infine, che troviamo uno dei progetti italiani più avanzati di rete sociale di lettori, scrittori, editori, librai e biblioteche oppure alcuni degli esempi più dinamici, per crescita e reinterpretazione dei modelli di business, nei campi dell’editoria e del giornalismo online.

In realtà il paradosso è soltanto apparente e può essere spiegato sostenendo come in Sardegna sia in corso un processo di costruzione di un “sé autobiografico” che la crisi ha accelerato e che, per adesso, non è ancora diventato un fenomeno collettivo ma sta interessando solo alcune delle fasce più sensibili della società civile isolana; ovvero quelle accomunate dalla stessa forte consapevolezza di re-interpretare il passato, immaginare il futuro e re-inventare il presente.

Il “sé autobiografico”
In uno straordinario paragrafo del libro “La lezione spagnola”, il sociologo Victor Perez-Diaz, nel prospettare l’idea di come nella politica spagnola di fine XX secolo non ci fosse stata una forte inclinazione ad anticipare il futuro, nessuna identità collettiva precisa e nessun senso vigoroso del posto della Spagna nel mondo, stabilisce un’analogia tra il “flusso di coscienza” di un soggetto individuale e il “flusso di storia” di un soggetto collettivo, ed esplora con grande finezza il problema di un soggetto (individuale o collettivo) che cambia in continuazione e nello stesso tempo mantiene la propria identità. Di che identità si tratta?

Riprendendo le tesi del neurofisiologo Antonio Damasio, l’autore descrive come nel flusso di coscienza di un individuo il sé, avanzando nel tempo, cambi continuamente, anche se l’individuo conserva la sensazione che rimanga sempre lo stesso. A suo avviso la soluzione di questa apparente contraddizione si basa sul fatto che “il sé apparentemente mutevole e il sé apparentemente permanente non sono una sola entità ma due”. Il sé che cambia continuamente è il “sé profondo”, mentre il “sé che sembra rimanere lo stesso è il “sé autobiografico” basato su un bagaglio di ricordi di fatti fondamentali in una singola biografia che possono essere parzialmente riattivati e quindi fornire continuità e un’apparente permanenza alla nostra vita”. “Senza questi ricordi autobiografici – conclude Perez-Diaz – non avremmo il senso del passato e del futuro e non ci  sarebbe continuità storica nelle nostre persone”.

Analogamente, anche nel caso di un soggetto collettivo possiamo individuare un “flusso di storia” – una narrazione, per esempio – che fa sì che questo soggetto agente cambi pur mantenendo la propria identità.

Amnesia e conseguenze
Ecco quindi che anche nel caso di un aggregato sociale è possibile immaginare forme di amnesia che, come negli individui, possano portare a forme di conservazione della “coscienza profonda” per gli avvenimenti del qui e ora accompagnate però da un’assoluta incapacità di dare un senso, un’interpretazione a quelle situazioni perché senza una autobiografia aggiornata il qui e ora risulta semplicemente incomprensibile.

Il paradosso richiamato all’inizio potrebbe essere pertanto ricondotto ad una forma di amnesia che continua ad affliggere la nostra regione, sebbene con un’intensità prima sconosciuta, e che si palesa in uno scarso interesse per il passato e il futuro e per un’intensa focalizzazione sui soli aspetti contingenti del qui e ora.

Una delle principali conseguenze è che tutto questo sta facilitando l’affermarsi di un genere di politica che distrae l’opinione pubblica, che le fa perdere la concentrazione distogliendola dalle sfide e dai pericoli di oggi, strumentalizzando gli aspetti emotivi del dibattito pubblico per perseguire interessi personali o di parte. Che cosa possiamo fare?

Che fare?
In assenza di una politica capace di offrire “figure politiche esemplari” occorre trovare uno o più modi per sostenere la costruzione di un solido “sé autobiografico” con il contributo dei soggetti di tutte quelle imprese, associazioni di ogni tipo e organi di stampa indipendenti che oggi, nella nostra isola, rappresentano le avanguardie più sensibili a queste tematiche per via del loro percorso personale di autoconsapevolezza. Un percorso maturato nel ricercare e ritrovare un senso nel passato e nel futuro, sino a determinare straordinari cambi di paradigma nei loro settori di interesse mediante la ri-scrittura del presente.

Fabrizio Palazzari

 

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17 Comments

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  2. C. Paulis says:

    Francamente non capisco l’oggetto del contendere. L’articolo di Palazzari è ottimo e non pone paletti riconoscendo alla Sardegna una vitalità che può renderla davvero protagonista a dispetto della “crisi”.
    Cito: “Che fare?
    In assenza di una politica capace di offrire “figure politiche esemplari” occorre trovare uno o più modi per sostenere la costruzione di un solido “sé autobiografico” con il contributo dei soggetti di tutte quelle imprese, associazioni di ogni tipo e organi di stampa indipendenti che oggi, nella nostra isola, rappresentano le avanguardie più sensibili a queste tematiche per via del loro percorso personale di autoconsapevolezza. Un percorso maturato nel ricercare e ritrovare un senso nel passato e nel futuro, sino a determinare straordinari cambi di paradigma nei loro settori di interesse mediante la ri-scrittura del presente.”
    Dai commenti che ho letto io percepisco una sorta di sciocco antagonismo tra attori ugualmente sensibili. Personalmente, poco alla volta, in base alle mie possibilità, io mi avvicinerò a tutte quelle realtà autenticamente dinamiche locali e non solo che seguano parole d’ordine come: apertura, collaborazion, ospitalità, senso comunitario, solidarietà. Concetti densi di significato che spesso rimangono disattesi.
    Tempo fa, nel riflettere insieme a voi in questo stesso blog, scrissi che gli ingegni non mancano, in Sardegna come in Italia, per l’attuazione di un nuovo Rinascimento in chiave moderna ad ampio raggio d’azione. Tuttavia ora è necessario effettuare i dovuti chiarimenti. Ciò che ci ostacola è un sostanziale individualismo, la prevaricazione, l’incapacità di sedersi attorno ad un tavolo per risolvere i problemi apertamente e costruttivamente attraverso un genuino gioco di squadra che tuttavia non sia il luogo dell’accettazione di decisioni calate dall’alto. La cultura nazionale è affetta da una sorta di rispetto delle gerarchie di matrice sessista a prescindere. Personalmente ritengo che questa organizzazione sociale debba essere seriamente rivista perché sappiamo bene che chi ricopre ruoli di responsabilità, dal ruolo genitoriale a quello imprenditoriale, politico e religioso, spesso non è all’altezza del proprio ruolo. La vera rivoluzione può essere attuata proprio sul terreno culturale ed educativo incentivando lo sviluppo della creatività, la sola che può produrre soluzioni innovative, così importanti anche in campo economico. Non è un caso che, seppure dalle grandi risorse e potenzialità, in Italia, la mancanza del senso dello Stato, ovvero del collettivo, ostacoli non poco molte iniziative culturali e politiche degne di nota.
    Ci riusciremo?

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  4. Pier Franco Fadda says:

    Lìberos non è un partito, ne’ vuole diventarlo.

    Detto questo provo a risponderle, ma solo a titolo personale.
    1: “Da che parte volete stare nell’ambito del percorso di salvaguardia e valorizzazione della lingua e cultura sarda?”
    Dalla parte di chi pensa che la lingua e la cultura sarda si salvaguardino operando in modo da bloccare lo spopolamento delle zone interne. Se muoiono le comunità, muore la lingua e si disperde la cultura.

    2: “Quale posizione sul difficilissimo momento che vive oggi la distribuzione dei libri in Sardegna, soprattutto per le piccole case editrici?”
    Quella di chi, invece di portare solo i libri da vendere per conto terzi o aspettare il finanziamento di mamma regione per la creazione di fantomatici “scaffali sardi” o la stampa di titoli che poi giacciono intonsi in qualche magazzino di Via Trento a Cagliari, porta gli editori che ci credono al Salone del libro di Torino e li fa incontrare con i librai del continente, quelli che dovranno scegliere dalle decine e decine di cedole novità che i promotori editoriali portano ogni mese, o tra le proposte di conto vendita dei piccoli editori mal distribuiti, cosa far entrare in libreria. Questo vale più di qualsiasi finanziamento a pioggia del sistema editoriale. Tra i librari sardi aderenti a Lìberos e gli editori che vi aderiscono anch’essi, naturalmente, il rapporto è naturale e conseguenziale in virtù della comunanza di visione. Lavorare sui librai, sul fargli conoscere ed amare i cataloghi degli editori sardi e, se il prodotto è valido, i frutti si vedranno.

    3: “Quale percorso progettuale per educare i sardi alla lettura, e alla lettura di testi che costruiscano una consapevolezza di popolo, eccetto ovviamente la postura autoreferenziale dei festival (strumento ottimo certo, ma da superare)?”
    I sardi sono già tra i maggiori lettori rispetto alle classifiche nazionali. Io vivo in una città, Nuoro, dove gli indici di lettura sono tra i più alti d’Italia. Ciò non toglie che ci sia molto da lavorare. Una delle scelte di Lìberos, è quella di “decentrare” le iniziative culturali, portandole anche, se non soprattutto, e sempre più, nei centri minori, quelli a rischio spopolamento, ma anche quelli con le più alte percentuali di abbandono scolastico. La valenza sociale di un incontro con un autore in un paese come Nulvi o Bitti rispetto ad una città come Sassari o Nuoro è nettamente superiore. Infine,quali sono i testi che costruiscono la consapevolezza di un popolo? Quali per il popolo sardo? Chi li decide? Noi no di sicuro. Non è un nostro compito quello di redigere cataloghi identitari. Atzeni è più identitario di Lecca? Fois meno di Todde? E la Deledda è identitaria come lo è Dessì? E Niffoi come lo collochiamo? A me piacerebbe che fossimo capaci di proporre strumenti critici di analisi, di conoscenza e di confronto, più che “educare”.

    4: “E infine: siete proprio sicuri che la rivoluzione Liberos sia arrivata ai sardi?”
    Dice di no? C’è tempo,

    • Scusi Fadda, solo una curiosità: e a Cagliari come si difende la lingua sarda? Evitando lo spopolamento delle zone interne?

      • Pier Franco Fadda says:

        Io sono di Nuoro, me lo dica lei che è di Cagliari, o ci vive, come la si difende nel capoluogo, sono curioso.

      • E’ presto detto: a Cagliari la lingua sarda la si difende allo stesso modo che a Nuoro e nel resto dell’isola. Ora risponda lei.

      • Pier Franco Fadda says:

        Abile 😉
        Parlandola, scrivendola, insegnandola. Quale? Come? Ognuno ha le sue idee, e siccome la tentazione di affibiare a Lìberos i pareri personali dei suoi soci pare essere forte, la mia me la tengo per me.

      • 🙂 Comunque siamo d’accordo: parlandola, scrivendola, insegnandola. Altra strada non c’è. A presto.

  5. Angela says:

    “sardo solo nella carta, ma di fatto totalmente distaccato dall’attuale contesto isolano, chiuso com’è nella sua algida residenza trentina” Basta questa frase, per tacere delle altre sciocchezze miste, a qualificare lo spessore di questo intervento. Tutti così i contributi utili, mi raccomando.

    • Massimo Moi says:

      Cara Angela, leggo ora il suo intervento… almeno, per rendere utile la sua replica, motivi il suo intervento, o comunque, il suo marchiare a sciocchezza.
      Grazie.

      • Pier Franco Fadda says:

        Rispondo io, sinteticamente: Lìberos è stato dichiarato da una giuria indipendente e da 5500 votanti sul web il miglior progetto culturale italiano del 2012 su 500 presentati al bando Che Fare della fondazione Doppiozero. I suoi soci dovranno spiegare tante cose, è vero, per esempio, tra 15 giorni, spiegheranno ai presidi del libro in Puglia, invitati da Giuseppe Laterza, come si può fare rete in ambito culturale partendo dal basso. Poi succederà in Veneto, Umbria e Piemonte, lo abbiamo fatto con successo, per una settimana anche al Salone Internazionale del Libro di Torino. I muretti a secco, dietro i quali ci si apposta per dire ponderose, capziose e confuse sciocchezze, caro sig. Moi, noi li abbattiamo, non li costruiamo. Il nostro scopo è aprire i recinti, la nostra narrazione non è autoreferenziale. Basta questa frase “Un’operazione da salotto progressista, quella di Arkadia e Onnis (avallata dai muretti a secco edificati in quest’anno da Liberos e dalla sua “capolista” Michela Murgia), che non solo contribuiscono a separare, e ad approfondire la frattura identitaria della nostra comunità, ma non offrono esiti di svolta, o spunti di comprensione per capire in che modo, quel senso del se sociale, o dell’auto-consapevolezza comunitaria (storicamente fragile nei sardi), possano ricostruirsi.” a dimostrare compiutamente che lei ho non ha capito nulla di Lìberos, ed allora entri nel sito http://www.liberos.it e studi prima di dire fesserie, oppure è in malafede, e guardi che questo potrebbe essere un complimento: se è in malafede vuol dire che ha capito e distorce volontariamente per suoi scopi ideologici. “Lìberos è un’associazione di persone che credono che la lettura in Sardegna sia un elemento di comunità e che le energie e le competenze che si muovono intorno al libro siano fonte di coesione sociale, ricchezza economica e consapevolezza civica.” Alla logica del muretto a secco noi preferiamo quella del nuraghe: da ognuno se ne vedono almeno altri due…
        Pier Franco Fadda

      • Massimo Moi says:

        Gentile Fadda..
        Proprio perché sono in “malafede” mi sia riconosciuto il diritto di non aderire a questa realtà. O di diffidare costruttivamente, perché condivido l’idea della rete come prospettiva.
        La mia distanza nasce da diverse ragioni.
        Primo: il concetto di rete non riguarda un progetto scritto, calato e divulgato da un èlite, com’è Liberos,ma bensì un percorso progettuale che nasce nel tempo da più esperienze differenti e talvolta contraddittorie che decidono di mettersi insieme per un obiettivo.Rete è avvicinare relazioni interpersonali, sostenere (com’è la metafora della rete del trapezista), non inghiottire.
        Secondo: chi dice che tutti (lettori o scrittori) debbano riconoscersi in Liberos? Ognuno ha una propria cultura o una propria concezione di rete, che spesso non coincide affatto con le altre esistenti. Le esperienze di rete nella cooperazione internazionale in Sardegna, ad esempio, dicono molto al riguardo.
        Terzo: che visione ha Liberos della sardità, dell’uso della lingua sarda, dall’appartenenza? Sono tutti aspetti poco chiari.
        Per intenderci: da che parte volete stare? O forse dovremmo credere che Liberos, non abbia l’ambizione (doverosa) di sviluppare quella che Bobbio legittimava come politica culturale? Ribadisco: politica culturale, non politica.
        Grazie.

      • Pier Franco Fadda says:

        Mi scuso per il copia/incolla, ma credo che queste parole siano abbastanza chiare. Se poi non si vuol capire… “L’associazione Lìberos, che ha come scopo primario l’incentivazione della lettura sul territorio sardo, nasce per riconoscere e proteggere le relazioni naturali che esistono già tra chi, per mestiere, passione o incarico istituzionale, si occupa di fare azione culturale intorno al libro.

        Si rivolge pertanto agli autori, agli editori, ai librai, ai bibliotecari, alle associazioni, ai festival, ai professionisti e a tutti gli attori che promuovono attività culturali direttamente o indirettamente legate alla lettura. Per essi ha l’ambizione di rappresentare un prezioso e gratuito strumento di rete, in particolare per i più indeboliti dagli indirizzi di mercato e dalle politiche dei tagli ai fondi pubblici per la cultura.

        L’associazione Lìberos opera quindi sul territorio sardo attraverso la forza di un patto di solidarietà tra gli operatori del circuito. Questa solidarietà è fatta di comportamenti attivi definiti da un codice etico. I mediatori culturali professionali, no profit o istituzionali che vogliono aderire alla comunità di Lìberos si impegnano a condividerne lo spirito e a offrire ai lettori sardi esperienze dove la qualità dell’offerta culturale non sia mai separata dal rispetto delle relazioni di rete.”
        Abbastanza chiaro?

        Noi facciamo politica culturale dal basso, con chi ci sta, per tutti, cercando di rendere economicamente convenienti le buone pratiche.
        Non abbiamo ambizione di ecumenismo, anzi, avendo un codice etico che chi aderisce si impegna a sottoscrivere. E’ tutto chiaro, alla luce del sole, lo abbiamo spiegato decine di volte.

        altro copia/incolla dal sito http://www.liberos.it (per chi fosse curioso di sapere le cose di prima mano)

        “Quando ci si rincontra dopo molto tempo, qui ci si saluta chiedendosi reciprocamente un racconto.
        Non sono la strada o la casa, ma è la domanda ite mi contas? che diventa il luogo dell’incontro, il punto esatto in cui due storie si ascoltano a vicenda e possono riconoscersi l’una come parte dell’altra.
        Ecco perché la Sardegna è l’isola delle storie: siamo figli di un antico racconto orale e quella voce ce la siamo portata dentro fino al giorno in cui è diventata parola scritta. Dai poeti improvvisatori all’ultimo dei romanzieri odierni, nella nostra terra chi sa raccontare bene è stato sempre accolto e ha trovato un orecchio attento e una mano piena di rispetto nel voltare le pagine. Essere un popolo per noi significa prima di tutto essere una comunità narrante e per questo amare i libri significa amare anche le persone che li leggono, quelle che li scrivono, quelle che li fanno bene e quelle che li rendono disponibili a tutti.

        Lìberos nasce come espressione naturale di questa realtà di senso.
        Il libro in Lìberos non è mai solo un oggetto, ma rappresenta la sintesi di tutte le relazioni che lo hanno costruito e incarna la continuità tra la storia che leggiamo e le storie che siamo. Per questo ci piace tanto andare ai festival letterari, per questo fondiamo associazioni culturali dove si parla di storie e per questo continuiamo a preferire librerie e biblioteche, luoghi dove le persone si incontrano e intorno alle storie si riconoscono.

        Sappiamo bene che il libro è anche un oggetto di mercato che obbedisce alle regole dell’economia, ma non crediamo che queste regole per funzionare debbano per forza essere nemiche delle nostre relazioni, calpestare la nostra rete di legami e cancellare la nostra storia di comunità narrante.

        Aderire a Lìberos significa quindi stipulare un patto solidale, un codice di reciproco riconoscimento dove vengono premiati i comportamenti che rispettano le relazioni della comunità del libro e vengono invece escluse tutte quelle prassi che mirano a ridurre il rapporto con le storie a una guerra tra merce e prezzo, persone comprese.

        Aderire a Lìberos significa continuare a investire sulle scritture giovani, proteggere le fragilità editoriali del contesto, rifiutare le logiche cannibaliche del minor prezzo e poter offrire a chi legge il valore aggiunto della comunità. Significa garantire agli altri rispetto e attenzione, anche a costo di fare scelte controcorrente. Significa fare in modo che rispettarsi a vicenda sia non solo eticamente corretto, ma anche economicamente conveniente. Chi aderisce a Lìberos si riconosce in una visione che è antica nello spirito quanto nuova nella forma e che passa esplicitamente per percorsi solidali.

        Questo vuol dire che non tutti potranno o vorranno entrare a far parte di Lìberos, anche se a noi piacerebbe che fosse così.
        Alcuni preferiranno non modificare le proprie prassi perché le ritengono individualmente più vantaggiose. Altri non riconosceranno alle relazioni intorno al libro lo stesso valore di necessità che invece gli attribuiamo noi. Finora molti hanno pensato queste cose perché non c’erano alternative, ma da oggi continuare a pensarle diventerà una scelta.

        Per strada, se ci chiedono ite mi contas?, tutti abbiamo una storia da raccontare.
        Noi abbiamo scelto di essere Lìberos perché crediamo che sia importante anche il modo in cui la racconti.”

        Mi sembra abbastanza semplice da cogliere.
        In chiusura, se un’autrice di Cabras, due librai, uno di Sassari ed uno di Nuoro, un editor neonelese, un agente editoriale di Maracalagonis, una socia di una associazione culturale del Meilogu, una bibliotecaria di Cagliari sono una elìte, allora in Sardegna siamo messi davvero male a livello di vertici culturali. L’elìte, forse, sono le 200 attività che hanno aderito…

      • Massimo Moi says:

        Prendo atto del puntuale copia e incolla che lei fa gentile Fadda. Ma al di là della teoria, da lei ben confezionata per carità, restano ancora senza alcuna risposta le domande che le ho posto. Da che parte volete stare nell’ambito del percorso di salvaguardia e valorizzazione della lingua e cultura sarda? Un esempio: quale politica culturale sul dirigentismo che ha calato dall’alto l’operazione lingua sarda comune? Quale posizione sul difficilissimo momento che vive oggi la distribuzione dei libri in Sardegna, soprattutto per le piccole case editrici? Quale percorso progettuale per educare i sardi alla lettura, e alla lettura di testi che costruiscano una consapevolezza di popolo, eccetto ovviamente la postura autoreferenziale dei festival (strumento ottimo certo, ma da superare)? E infine: siete proprio sicuri che la rivoluzione Liberos sia arrivata ai sardi?
        Pongo domande, i testi che lei mi riporta posso benissimo ritrovarli altrove, per quanto restituiscano il senso di una mission ben ideata.
        Grazie

        Ps: guardi che avere una “capolista” come l’autrice di Cabras, non è mica un male se poi, la stessa, si fa portatrice, sui banchi delle istituzioni, delle rivendicazioni che quel “programma” che lei mi ha perfettamente riproposto, vengono trasformate in atti, su un piano normativo e politico. Ce ne fossero partiti come Liberos.
        Perché, ci piaccia o no, quell’auto-consapevolezza del se di cui parlava Palazzari si afferma con un’evoluzione della politica sarda. Non solo del popolo che essa rappresenta.

      • Walter says:

        Certo che “permettersi” di concedere o meno la patente di sardo a chicchessia non aiuta a definire il suo commento diversamente da come lo ha definito Angela, sciocchezze miste . Ben vengano le “fratture identitarie”,io non mi sento identico a Lei, né a nessun altro sardo pur appartenendo al medesimo popolo.

  6. Massimo Moi says:

    Caro Vito…
    Ci proponi un’analisi di grande stimolo, che è quasi un respiro di indagine psicologica sul se di un popolo come premessa identitaria ad un percorso di progresso che è anzitutto culturale e politico. Sottolineo il valore del testo di Palazzari perché, in contraltare, proprio oggi, Sardegna Quotidiano apre una vetrina su un testo, “Tutto quello che sai sulla Sardegna è falso”, di Omar Onnis, che, pur concepito con un intento contenutistico a mio avviso necessario, risulta invece agghiacciante sul piano del risultato, della comunicazione e, non meno, della proposizione promozionale portata avanti dall’autore (peraltro, permettimi, sardo solo nella carta, ma di fatto totalmente distaccato dall’attuale contesto isolano, chiuso com’è nella sua algida residenza trentina).
    Un’operazione da salotto progressista, quella di Arkadia e Onnis (avallata dai muretti a secco edificati in quest’anno da Liberos e dalla sua “capolista” Michela Murgia), che non solo contribuiscono a separare, e ad approfondire la frattura identitaria della nostra comunità, ma non offrono esiti di svolta, o spunti di comprensione per capire in che modo, quel senso del se sociale, o dell’auto-consapevolezza comunitaria (storicamente fragile nei sardi), possano ricostruirsi.
    Detto altrimenti Vito: ho come l’impressione che qualcuno stia ben lavorando a far tabula rasa sul discorso dell’identità, per pianificare geometricamente una nuova impalcatura culturale ad uso e consumo di una certa intellighenzia progressista sarda, un harem che rifiuta tanto l’uso della lingua (e di tutte le sue varianti), quanto l’idea stessa di una specialità culturale sarda.
    In questo senso, permettimi, il prodotto di Onnis (Fois ne fecce uno simile nel 2008) è solo uno strumento funzionale di un progetto politico e culturale portato avanti già con la creazione di Liberos.
    Mi viene da pensare allora: e chi non si riconosce in quell’idea di sardità, o semplicemente di Sardegna, che fine farà?
    Perché continuare a separarsi in fazioni senza dichiararlo apertamente?
    La Murgia dovrà spiegarci molte cose al riguardo.
    Grazie Vito.

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