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Ci mancava solo il premio allo “Studente dell’anno”! No, no e no: perché la scuola non è il luogo della competizione ma della lotta alle disuguaglianze

Alla fine ci è anche andata bene. Perché questa coglionata del premio allo “Studente dell’anno”, immaginata adesso dal ministro all’Istruzione Profumo per ogni singola scuola, poteva cascarci addosso negli anni di Berlusconi. Anzi, mi stupisco che proprio al Silvione nazionale un’idea così non sia mai venuta in mente, sicuramente ora si starà mangiando le mani, pensando che la genialata gli avrebbe consentito di risollevare le sorti della scuola italiana.

Ma cosa ha pensato il ministro? Ce lo spiega La Repubblica in un articolo dal titolo “Riforma, soldi a scuole e atenei migliori
premi agli studenti più capaci”.

“La questione più visibile del “decreto merito” sarà lo “studente dell’anno”. Ogni istituto superiore dalla prossima stagione lo sceglierà tra chi avrà i voti più alti alla maturità, a partire da 100, tenendo conto della media degli ultimi tre anni, dell’impegno sociale e del reddito familiare. Lo “studente migliore” avrà una riduzione almeno del 30% delle tasse per l’iscrizione al primo anno di università e una borsa di studio aggiuntiva. Con la card “Iomerito” otterrà sconti per musei e trasporti”.

I sindacati e il Pd sono giustamente insorti (e meno male) e io vorrei nel mio piccolo incitarli a non mollare la presa. Perché la scuola dovrebbe essere il luogo in cui le disuguaglianze vengono combattute, non esaltate. Perché la scuola non è il luogo della competizione ma della crescita di un gruppo di giovani che imparano a capire e ad affrontare la complessità della vita e del mondo. Altro che premi.

“Questo è il modello anglosassone”, sentenzia il ministro. E se ne vada nell’anglosassonia, allora.

In questi giorni sto leggendo il libro “La scuola è di tutti” di Girolamo De Michele. L’autore parteciperà sabato prossimo, 9 giugno, alle 19.30 ad un incontro organizzato nell’ambito del festival Leggendo Metropolitano (ci saranno anche Andrea Gavosto e Sergio Toffetti, e io modererò l’incontro).

Libro interessantissimo (15 euro ben spesi, edizioni minimum fax) perché ci spiega tante cose e presenta molti dati. Ad esempio capiamo che:

“il titolo di studio è in buona parte frutto di un retaggio familiare (…) In linea generale, il figlio di un padre che ha conseguito un’istruzione universitaria ha il 20 per cento di possibilità in più del figlio di un non diplomato di raggiungere gli stessi livelli del padre. (…) In Italia la trasmissione ereditaria dell’ignoranza e della disuguaglianza sociale è molto più accentuata rispetto a quasi tutti i paesi europei (siamo secondo dopo l’Inghilterra e precediamo gli Stati Uniti, ndr).

Conclusione:

“Secondo lo studio internazionale “Going for Growth 2010”, “in Italia il figlio dell’ingegnere ha quasi il 60 per cento di possibilità in più di laurearsi come papà rispetto al figlio dell’operaio e oltre il 30 per cento rispetto al figlio del ragioniere”.

Insomma, la scuola italiana di tutto ha bisogno tranne che di questi ridicoli premi.

 

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47 Comments

  1. Anvedi says:

    Oggi il Times ha pubblicato la classifica aggiornata delle Universita’
    http://www.timeshighereducation.co.uk/world-university-rankings/2011-2012/top-400.html
    universita’ italiane disperse oltre il gradino 225, ci sono le condizioni per un premio speciale al Ministro all’Istruzione Profumo?

    • Anonimo says:

      Direi di no, pur con tutte le critiche possibili considerato il fatto che è ministro da pochi mesi e il ranking si basa sulla produzione di qualche anno -come minimo-

  2. Intervengo in merito ad una frase che mi ha realmente colpito: «Non abusiamo di strunzatissimi luoghi comuni (figli cresciuti in fantasmagoriche biblioteche famigliari di 1000 volumi!!!)».
    Non intendo rispondere a Lo Garitmo (sono assai poco interessato a ciò che dice o a come lo dice) quanto commentare lo stereotipo secondo il quale 1000 volumi costituirebbero una biblioteca «ampia».
    Considerando uno spessore medio di 40 mm per volume, 1000 volumi occupano uno spazio lineare di 40 metri; la biblioteca potrebbe agevolmente essere allocata in due scaffali da cinque ripiani di quattro metri di larghezza (2 scaffalix5ripiani=10 ripiani; 10 ripianiX4metri=40 metri!). In pratica, due pareti di una stanza da 16mq.
    Non che l’argomento sia importante, intendiamoci, ma ho l’impressione che spesso si parli senza una cognizione precisa di come è fatto il mondo (intendo in senso fisico), eppure due moltiplicazioni le sanno fare tutti.
    Tutto ciò senza entrare nel merito del problema di cui si discute o del fatto che possedere i libri non implichi necessariamente una cultura di alto livello.
    Solo una nota tecnica insomma, per dire che talvolta è interessante badare al sodo, alla «realtà», prima di abbandonarsi alle metafore.
    Cordialmente,

    • Neo Anderthal says:

      Gabriele, ha effettivamente ragione: “ci puoi contare!”

    • 12aprile70 says:

      Gentile Ainis, magari quelle due pareti in casa Lo Garitmo servivano libere per far stagionare prosciutti o salsicce, dove vogliamo arrivare? metafore ne vuole? magari più che status culturale forse ci si riferiva a quello sociale, ma forse mi sbaglio.
      PS Non condivido neppure io quanto da lui scritto, intendiamoci.
      Saluti

      • Gentile 12aprile70,
        semplicemente al fatto che spesso si parla per stereotipi senza alcun riferimento con la realtà. Una biblioteca di un migliaio di libri non è nulla di particolare (se riferita ad una famiglia che ama la lettura e i cui componenti hanno studiato), come la lattuga biologica non fa meno male (o bene) di una lattuga non biologica, i pesticidi naturali sono ugualmente dannosi di quelli artificiali, il grano duro dei malloreddus è un OGM ma nessuno ci pensa (e tutti si scagliano contro gli OGM senza aver mai letto un lavoro scientifico) e via così. Ci sono mille esempi di frasi gettate là cui non fa riferimento una chiara percezione della realtà. Mi ha colpito la frase sulle biblioteche perché spesso ci troviamo di fronte ad uno scaffale e non realizziamo quanti volumi contenga (nel senso che neppure ci poniamo il problema): ho voluto riflettere sul fatto che pur possedendo (teoricamente) gli strumenti per interpretare la realtà, non li adoperiamo. Peraltro, come faceva notare qualcuno (forse Sovjet) nonostante una dignitosa scolarità, i cittadini italiani hanno forti difficoltà (in media) ad interpretare testi anche di bassa complessità.
        Cordialmente,

      • Acronotau says:

        lattuga biologica e grano duro OGM: GENIALE! ti sei dimenticato di citare Bolognesi e Pintore, il commento sarebbe stato più completo…

        mi puoi dare un link sul grano OGM dei malloreddus? non ho più spazio nella libreria…

      • Gentile Acronotau,
        non sono geniale, semplicemente non sono ignorante come lei.
        Perché dovrei darle il link? La sua ignoranza mi lascia del tutto indifferente e non vedo perché dovrei contribuire a diminuirla. Se proprio è curioso, provi a studiare un poco (salvo controindicazioni mediche, ci sono quelli allergici) oppure cerchi informazioni (anche in rete) sulle varietà di grano duro attualmente coltivate. Sfortunatamente, le info non sono scritte in LSC, quindi Bolognesi non potrà aiutarla e neppure in nuragico, perciò neppure Pintore potrà darle una mano intercedendo presso quel genio enciclopedico di Sanna.
        Contento?
        Cordialmente,
        PS – Acquisti una libreria più ampia, ad esempio di venti centimetri per venti: la sua potrebbe essere troppo angusta.

      • Acronotau says:

        Ceees! O Gabriele! totu custu arrennegu! e poita? poita ca t’apu nau “geniale”?
        est deaici. ses unu maistru intzulleri, unu geniu candu depis spitzulai. ti práxit a jogai cun su ludu, a ddu tzacai po donnya parti. custa borta ti nci ses incaddotzau tui puru, e ti késciat… mi dispráxit! at essi stétiu su nebbiolo? dona atentzioni! ki ndi buffas tropu, pasas de gourmand a imbriagoni…

        mi naras ca seu “ignorante”: nci podis contai! est po-i custu ca liju a tui, o Maistru Intzulleri: po imparai asumancu unu pagheddu…
        e tui ca ses scípiu, ita ti ndi fais de totu custa sciéntzia? dda stujas asuta ‘e su matalafu o dda allogas in su scrusorju? donaddi unu pagu a nosus puru ki no ndi teneus, no fétzasta sa tanalla! O Maistru Intzulleri, de is intzulleris ténis totus is trassas e de is maistrus no as imparau nudda?

        po sa libreria no tenju dinai po dda comporai ni po dda prenni e m’amáncat puru su logu aundi nci dda ponni. Luegu, cun totus is bibriotecas ki nci funti in Casteddu, ita mi ndi fatzu? ki mi bénit sa furighedda ‘e liji librus ddus pigu a gratis… o no?

        A si fueddai cun saludi, Maistu Intzulleri

      • Gabriele Ainis says:

        Gentile Acronotau,
        bravo! Adesso riprovi in sardo.
        Cordialmente,

    • Anonimo says:

      “Non che l’argomento sia importante, intendiamoci”, ecco, bravo.

      • Gentile anonimo,
        come ho avuto modo di dire, possedere e/o leggere dei libri non è necessariamente indice di elevato livello intellettivo e/o intellettuale.
        Cordialmente,

  3. Anvedi says:

    mi pare un’ottima idea, premio doppio al Trota, per il diploma ed anche per la laurea!

  4. Lo Garitmo says:

    Conosco frotte di laureati (i miei tre fratelli per primi) che sono figli di pastori e analfabeti. Io son figlio di contadini doc. Non abusiamo di strunzatissimi luoghi comuni (figli cresciuti in fantasmagoriche biblioteche famigliari di 1000 volumi!!!).
    Il vero lavoro da fare è sugli insegnanti, stop.

    • Neo Anderthal says:

      @Lo Garitmo.
      Se c’è un luogo comune abusato e davvero “strunzatissimo” -complimenti per il raffinato neologismo- è quello di proporre casi, in genere situati decenni fa, di propria conoscenza personale e quindi di sostanziale natura anedottica come paradigmi utili a definire un argomento che è generale.
      Conosco -e ti assicuro, di persona- decine di casi come quelli che citi, e anche più rilevanti, ma non c’entrano nulla. Siamo al livello dei discorsi “il fumo non fa male, nonnu miu est’arribbau a 97 annus fumendi su zigarru a fogu aintru”!
      Naturalmente anche per la scuola ogni incompetente si sente autorizzato a pontificare: d’altra parte a scuola siamo stati tutti, e abbiamo quindi esperienza.
      Se invece vogliamo rimanere alla questione specifica, mi sembra che iniziare ORA un discorso sulla scuola -e in particolare sulla scuola media superiore- con i “premi al migliore alunno” sia un insulto al buon senso, considerate le condizioni generali della Scuola Pubblica, come discutere su un fregio “art noveau” da porre sulla porta di una baracca di cartone e lamiera.

      La formazione degli insegnanti è un problema centrale, su questo siamo d’accordo, ma deve iniziare dotando la scuola di materiali e mezzi e disponibilità molto superiori alle attuali.
      Ancora più fondamentale è un cambio di paradigma nel discorso pubblico: bisogna finalmente rendersi conto che in un paese moderno e che vuole essere democratico la scuola è il motore della vita civile, inclusa quella produttiva, non la sacca di sprechi e inefficienza che si è dipinta in questi ultimi venti anni di furto ai danni dei giovani -e del personale-, se questo avverrà anche la motivazione degli studenti e quella delle loro famiglie sarà migliorata in generale.

      • Neo Anderthal says:

        P.S. luna biblioteca di casa con mille volumi è tutt’altro che “fantasmagorica”, stanne sicuro.

    • Ho letto con estremo interesse gli ultimi post soprattutto perché affrontano il, secondo me, reale problema della formazione. Vorrei sgombrare il campo da alcune questioni d’ordine generale: la formazione nella scuola pubblica (per tutto il personale docente e non docente) è un diritto (Capo VI, CCNL 2006-2009 ancora in essere… risparmio ovviamente i commenti visto che siamo nel 2012) che stabilisce gli obblighi dell’amministrazione rispetto all’esercizio del diritto da parte del personale. Si direbbe, leggendo gli articoli, che il sistema possa essere in grado di soddisfare la legittima domanda di formazione. E sulla carta è così. Restano però due questioni: 1. la formazione è un dovere? 2. Vi è una domanda reale di formazione?
      Riguardo al primo quesito ho l’impressione che il CCNL non citi il concetto di dovere del personale della scuola in ordine alla formazione; ne discende quindi la risposta al secondo quesito, vale a dire che la domanda di formazione da parte del personale della scuola non è necessariamente stringente.

      Ora, lungi dal pensare che la bacchetta magica risolva i problemi, ritengo che introdurre il dovere alla formazione, perché è un diritto da garantire, dia un’opportunità al personale della scuola di attivare dinamiche differenti dalle attuali.

      Ripeto dubito fortemente che la introduzione dell’obbligo alla formazione risolva in sé tutti i problemi e le difficoltà sinora emerse. Può però avviare un processo. E talvolta è necessario per mettere in moto una macchina vecchia darle una, non necessariamente robusta, spinta.

      Il ministro Profumo perché non si preoccupa di avviare una azione in questo campo? Domanda retorica. Un obbligo prevede un impegno di spesa. La scuola costa… (anche le forze amate costano ma sono più belle e produttive), ergo.

      • Neo Anderthal says:

        Le forze amate sono un lapsus di ragguardevole finezza. Bravo EffE

  5. L’idea che tra le mie mansioni dovrà rientrare anche la partecipazione all’individuazione dello studente dell’anno mi offende e mi umilia. Se l’idea di Profumo andasse in porto sarebbe opportuna una campagna di disobbedienza civile.

  6. Alessandro Sabatini says:

    Ma sì, ha ragione Biolchini. La scuola deve combattere le disuguaglianze. Facciamo così: tutti promossi. Tutti con l’8.
    Anche all’università: borse di studio a tutti, ai bravi e ai meno bravi, così li incoraggiamo a fare meglio.

    • silvia says:

      Ma non siamo banali! Nessuno ha detto questo. Si tratta di dare a tutti pari opportunità (come da dettato costituzionale, del resto), non di promuovere tutti con l’8 “a prescindere”. Si tratta di considerare il lavoro di insegnanti e studenti consideranto anche il contesto socioeconomico, le difficoltà oggettive e soggettive in cui si lavora a scuola.
      “Art. 3

      Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

      È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
      Art. 34.

      La scuola è aperta a tutti.

      L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

      I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

      La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”
      Che cosa si sarebbe inventato, di nuovo, il ministro?

    • Di Gesso says:

      Complimenti, un contributo alla discussione sensato e pertinente.

    • Ho letto i commenti di Alessandro Sabatini e Vittorio e ho l’impressione -netta- che non solo in loro ma nella opinione generale vi sia una percezione della scuola pubblica, e della funzione che questa istituzione ha nella società, se non anacronisctica quanto meno non a conoscenza dei dettami della Costituzione che recita (Art. 34):

      “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.

      Senza entrare in una disamina del testo, mi pare di intuire che la legittima valorizzazione degli alunni “capaci e meritevoli” (non i migliori, “oi aristoi” alla greca) è finalizzata non al premio, bensì alla possibilità di raggiungere i gradi più alti degli studi.

      La Costituzione non cita il merito quale obiettivo per il conseguimento di una sorta di “darwinismo” culturale-sociale, affinché possa essere separata la società tra le BRA (Braccia Rubate all’Agricoltura, chissà poi perché si dice così quando l’agricoltura è un nobilissimo lavoro…) e le future classi dirigenti. Parla del merito in relazione alla necessità di offrire a tutti le stesse possibilità

      Penso e sono certo che laddove si liquida un problema (p.e. la inadeguatezza dell’istituzione scolastica sotto il profilo didattico, organizzativo, educativo di fronte alla gestione delle difficoltà che rappresenta la relazione quotidiana con adolescenti in balìa delle onde) senza considerare la complessità dell’istruzione e dei processi ad essa collegati, si corra il rischio (anzi, forse qualcosa di più) di svilire la scuola pubblica al rango di selettore/selezionatore sociale sottraendole la unica sua vera missione: l’essere aperta a tutti e il consentire a tutti di poter aver un’istruzione gratuita e obbligatoria.

      La scuola che boccia è dunque ingiusta perché quando ciò accade (fatti i necessari distinguo in relazione alla mancata frequenza p.e.) ha posto una bella pietra tombale sugli scopi che la Costituzione indica, fallendo (miseramente) la funzione che è stata assegnata all’istruzione pubblica.

      • vittorio says:

        Siamo d’accordo entrambi che lo scopo della scuola debba essere il consentire a tutti di avere una istruzione gratuita e obbligatoria. Semplicemente io credoche questo processo si debba fermare alla scuola media e non arrivare fino all’università

      • Neo Anderthal says:

        Vittorio, nei paesi più sviluppati del nostro l’obbligo arriva ai 18 anni.
        Sarà un caso che questo fatto -per esempio- sia la regola nei paesi del nord Europa che resistono meglio alla crisi?
        In una società semplice e basata sui cicli naturali -agricola o ancora prima, nomade e basata sulla caccia e la raccolta- tutto il sapere era pratico, la civiltà ha richiesto come livello minimo prima l’alfabetizzazione, poi un minimo di saperi tecnici, ora richiede un passo in avanti. Chi è privo di un livello di conoscenze -linguistiche, scientifiche, tecnologiche e culturali- il cui limite minimo non può che essere quello dettato dalla civiltà attuale parte in condizioni di svantaggio e sudditanza.
        L’estensione dell’obbligo è indispensabile.

      • vittorio says:

        In una società ideale probabilemtne ha ragione lei. LA domanda da farci è però questa, siamo in grado di assicurare l’estensione dell’obbligo nella società italiana? Oppure semplicemente facciamo perdere tempo a ragazzi che poi si trovano ad entrare nel mondo del lavoro a 20 anni invece che a 14 anni? Per come è strutturata la scuola adesso crede che realmente costoro imparino qualcosa dai 14 ai 18 anni? Non sarà che forse “pascolino” nelle scuole inutilmente per 4-5 anni?

      • Neo Anderthal says:

        Vittorio, ma a Lei risulta che tutti quelli che abbandonano gli studi dopo la terza media -se pure…- vanno a lavorare a 14 anni? In Sardegna? In Italia?
        Lei ha davvero idea di cosa fanno i ragazzi cosiddetti Neet, non impegnati in lavoro o formazione?
        Se la scuola pubblica fosse finanziata adeguatamente e non un posto mediamente squallido e senza nessuna attrattiva, forse anche pascolare -come dice lei- per qualche altro anno in una scuola che moltiplica l’offerta aiuterebbe i ragazzi che ora si disperdono tra la sveglia a mezzogiorno e le serate di nullafacenza sui muretti e nei bar, campando spesso sulle spalle delle nonne pensionate.
        In ogni caso, anche per come è strutturata la scuola adesso, le assicuro che anche adesso un ragazzo che frequenta anche i più “malfamati” Istituti Professionali fa qualcosa di enormemente più utile che stare in giro a fare nulla, che è l’attività/passività di gran lunga prevalente tra i loro coetanei “a spasso” tranne forse i figli o i nipoti di qualche artigiano che cerca di strapparli alla strada imponendogli e non parlo per sentito dire, sia chiaro- l’apprendistato.

      • Stefano reloaded says:

        Essere in grado di assicurare l’estensione dell’obbligo, o comunque cercare di recuperare chi rimane indietro per poter avanzare più agevolmente tutti, dovrebbe essere l’obiettivo dei governi che volessero far diventare, la nostra, una società ideale. Nel senso di ottimale, di corrispondente alle aspirazioni di chi ci vive. Il discrimine, in questa vicenda del premio, sta appunto nelle differenti aspirazioni che si hanno rispetto alla crescita del nostro paese.

  7. vittorio says:

    Proposta del ministro che non capisco perchè debba generare cosi tante polemiche. Il problema della scuola è un altro. Troppi studenti che a scuola non ci stanno a fare niente. A 14 anni chi non ha voglia di studiare, bisognerebbe che cominciasse ad imparare un mestiere e non continuasse a scaldare le sedie, rendendo parecchio difficile l’insegnamento. Stessa cosa all’università: selezione all’ingresso, tasse più alte, ma ridotte per chi pur bravo ha difficoltà economiche e fuori dall’università chi finisce qualche anno fuori corso

    • Monica says:

      Se la scuola non serve a recuperare quelli che “non ci stanno a fare niente” allora la scuola è totalmente inutile perché agli alunni bravi non servono né strutture né professori, ma dei libri da studiare e basta. Compito della scuola è far venire voglia di studiare a chi non ne ha. E la selezione all’ingresso dell’università premierebbe solo i raccomandati. Quelli bravi se i posti sono pochi non passano. Almeno non qui. Anche i fuori corso non è detto che siano i peggiori. C’è chi per rimanere in corso tenta gli esami uno dopo l’altro e chi per sapere bene le cose perde un po’ più di tempo; ci sono i figli di papà che passano gli esami in regola a prescindere e gli studenti lavoratori che si fanno un culo per mantenersi agli studi e che giocoforza finiscono fuori corso. I burricchi ricchi avrebbero vita ancora più facile con questo tipo di selezioni, almeno in Italia.

      • vittorio says:

        a) Bella concezione dei professori hai se pensi che ai bravi servano solo i libri
        b) Chi non ha voglia di studiare a 13 anni difficilmente la trova a 16-17, se li mandi ad imparare un mestiere fai un favore a loro stessi oltre che alla scuola
        c) e basta con questo continuo lamentarsi dell’Italia dove passerebbero solo i raccomandati, sono proprio curioso di sapere in una selezione per 200-300 posti quanti sarebbero i raccomandati.
        d) gli studenti lavoratori già adesso sono inquadrati diversamente ehanno la possibilità di andare fuori corso
        e) Se l’Università è strutturata per essere terminata in 5 anni, ci puoi impiegare 6-7, non anni. Se hai bisogno di 10 anni vuol dire che non sei portato a fare quel corso di studi.

      • vittorio says:

        e) Se l’Università è strutturata per essere terminata in 5 anni, ci puoi impiegare 6-7, non 10 anni. (mancava un 10 nella frase)

      • Monica says:

        Ho un grande rispetto dei professori che non si limitano a essere orgogliosi dei loro alunni migliori e che si danno da fare per entrare in contatto anche con gli alunni piu` problematici cercando di dar loro una mano per tirare fuori il loro meglio. E questa la ritengo una vera e propria missione. Se una persona viene abbandonata a se stessa quando ha una qualche difficolta`, dificilmente cerchera` di dimostrare di non essere stupida. E dal mio punto di vista e` meglio entrare nel mondo del lavoro, anche se per fare lavori cosiddetti umili, con una preparazione adeguata. Servira` alle persone per essere conscie dei propri diritti e anche dei propri doveri e a far si che nessuno metta loro i piedi in testa. Sono convinta che tutte le persone siano compatibili con lo studio, se adeguatamente e attentamente stimolate. Molte volte quella che viene definita stupidita` magari e` una dislessia, una discalculia o qualcosa di simile. Quello che e` certo e` che e` facile studiare ed essere bravi se si nasce e si vive in un contesto gratificante, meno facile se si nasce e si vive in contesti problematici. E non vorrei nemmeno livellare tutti verso il basso, ma a me e` stato insegnato che l’ essere brava mi permetteva di dare una mano ai miei compagni con piu` difficolta`, non avevo bisogno di essere costantemente seguita. Per quanto riguarda le selezioni la mia esperienza e` questa: pochi posti solo per accozzati. Se questi non si presentano allora si va in base al merito. Molti posti, allora qualcuno bravo entra, dopo gli accozzati. Ho visto i piu` bravi e titolati essere trombati a favore di minchioni incapaci solo perche` non avevano l’ accozzo giusto. Ho visto accozzi per entrare dodicesimi quando i posti a disposizione erano due, con graduatoria stilata prima dei concorsi. E il fatto di laurearsi regolari non sempre e` sinonimo di bravura. E laurearsi molto fuori corso non vuol dire essere incapaci per forza. Chi merita, ma solo se l’ Italia cambia, avra` modo di farsi strada. Ma a scuola si deve fare di tutto perche` tutti ottengano buoni risultati, o almeno la maggior parte. Altrimenti sarebbe come se un medico curasse solo i raffreddori disinteressandosi totalmente di chi e` malato grave

    • Neo Anderthal says:

      Perché il problema della scuola -e dell’Italia in genere- è fare avanzare chi è indietro, non solo permettere a chi è avanti di consolidare il vantaggio, chiaro? Si chiamerebbe progresso, contrapposto a feudalesimo, per esempio.

      • vittorio says:

        Non deve avanzare chi è indietro, cosicchè si è tutti pari e tutti felici e contenti, ma semplicemente chi merita

      • Neo Anderthal says:

        Vittorio, ma il merito si eredita? In parte sì -crescere in una famiglia con i genitori laureati e con una biblioteca di 4000 volumi non è la stessa cosa che crescere in una famiglia di sottoscolarizzati con solo la TV- è innegabile.
        Ammettiamo che far crescere dei figli diligenti e attenti al successo scolastico sia un merito dei genitori -lo è senza dubbio-, per chi ha genitori poco sensibili, magari con problemi di reddito e/o di famiglia disfunzionale o conflittuale deve esserci la condanna all’ignoranza?
        Sai, per fare un esempio, che le differenze di status culturale sono rilevanti già alla scuola materna?
        E che queste differenze non vengono colmate se non in rari casi dalla scuola?
        Sai che per i bambini delle famiglie culturalmente “alte” non fa differenza fare o no il tempo prolungato mentre per i bambini di famiglie di livello culturale/scolastico basso la differenza di risultato tra scuole a tempo prolungato e scuole solo antimeridiane è elevatissimo?
        Sai che in Italia una massa enorme di adulti è incapace di interpretare un testo di media difficoltà -come un articolo di giornale un po’ lungo-?

        La situazione è questa:
        “Solo il 20 per cento degli adulti italiani sa veramente leggere, scrivere e contare
        *Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile.

        Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea.”

        Vittorio, non so se hai l’età per aver fatto la leva militare, io sì e ti assicuro che lo shock principale, per me ragazzo di città e di liceo, era constatare che moltissime delle nozioni che si danno per scontate, banalissime nozioni di storia o geografia, regole basilari di grammatica erano avvolte da una nebbia di ignoranza fittissima per una grandissima parte dei commilitoni, molti dei quali anche se “basici” come cognizioni erano tutt’altro che stupidi.
        Gli interventi seri da fare sono diversi, ma uno importantissimo è sulla “adult education” e sulla formazione continua, altro che incentivi…

        Per chi fosse interessato:
        http://slowforward.wordpress.com/2008/04/13/tullio-de-mauro-analfabeti-ditalia-da-httpinternazionaleit/

        In una situazione come questa focalizzarsi sulla presunta “meritocrazia” dopo avere per decenni sottofinanziato la scuola in modo assurdo, dopo averla spogliata di risorse e di energie -basta guardare all’età media degli insegnanti di ruolo- si parla di premi e di cazzate che tutt’al più fanno “immagine” e “lustro” senza migliorare la situazione in nessun modo,
        Questo è truffare l’opinione pubblica, come ha fatto quella incompetente sciagurata signorina che fu messa a capo del Ministero dell’Istruzione -che una volta era anche Pubblica- per meriti sconosciuti con le coglionate sui “grembiulini” che peraltro il 95% delle scuole elementari aveva mantenuto.
        Sono stanco di cazzate e di petardi mediatici, l’ignoranza degli italiani è un fattore pesantissimo di sottosviluppo civile ed economico, la scuola crolla, le classi scoppiano, si disperde una quantità di alunni incredibile, soprattutto in Sardegna, e si parla di balle spaziali.

      • vittorio says:

        Interessante l’articolo di Tullio de Mauro. Non mi fraintenda NeoAnderthal, condivido le sue osservazioni, ma come già scritto in un altro post ritengo che il processo di scolarizzazione si dovrebbe fermare alle scuole medie. Poi il percorso dovrebbe essere differenziato tra chi ha voglia di studiare e chi invece dovrebbe essere instradato verso il mondo del lavoro, magari anche attraverso delle scuole professionali, che però siano veramente orientate verso l’insegnamento di un mestiere

  8. Monica says:

    Già, quasi un ritorno alle differenziali. Io, che pure con il mio curriculum scolastico sarei rientrata tra i premiati, trovo allucinante che si vogliano premiare i voti e non gli sforzi per migliorare. Ai miei tempi il premio lo avrebbero preso anche gli studenti del Cambosu, noto molentificio dove bastava pagare e il voto veniva confezionato senza tanti fronzoli. E molti istituti a reggenza ecclesiastica regalavano 10 a manetta ai loro studenti, salvo poi una volta approdati nel mondo reale appurare che non conoscevano 1/4 del programma che in classe mia era stato svolto e che a me, studentessa modello, aveva valso la media dell’otto perché per i miei professori all’orale era il voto più alto che si potesse dare. E quegli stessi studenti, tra i quali spiccavano i figli di noti professionisti Cagliaritani, qualcuno proveniente anche da licei pubblici prestigiosi, all’Università non facevano fatica ad avere voti alti perché come disse uno di loro:- Quei professori vengono a mangiare a casa mia un giorno si e l’altro pure, perché non dovrebbero farmi passare l’esame con voti alti?-. Il Genio in questione durante un esame parlò di trapianto di midollo spinale ( e non per un lapsus) al posto di trapianto di midollo osseo, cosa che lasciò sgomenti sia i professori che gli altri esaminandi, ma che valse a tutti un voto più alto per permettere a lui, che con una risposta del genere sarebbe dovuto essere cacciato con ignominia dall’Università, di avere un voto alto. Cotanto Genio naturalmente ereditò lo studio del padre ed esercita con tanto di laurea con il massimo dei voti. Inutile dire che durante quel periodo ci si iscriveva agli esami nelle sessioni in cui era iscritto anche lui, con la sicurezza di passare gli esami con il minimo sforzo. Destinare i fondi in base ai voti porterebbe le scuole ad aumentare i voti e le promozioni solo per non dovere chiudere, con conseguenze facilmente immaginabili. Quello che la scuole dovrebbe fare non è portare avanti i migliori, che non hanno bisogno di aiuti e che ce la farebbero anche da soli, ma aiutare anche chi non ha le stesse risorse sia economiche che intelletttive, a migliorare la propria condizione. Se una scuola posta in un quartiere disagiato frequentata da ragazzi con difficoltà di vario genere vedesse ridotti i propri i propri fondi in base al rendimento scolastico, potrebbe solo peggiorare e e agli studenti non potrebbe essere di nessun aiuto. Invece sono proprio quelle le scuole che devono avere risorse migliori, sia come personale docente che come risorse economiche perché dovrnno faticare di più per riuscire a insegnare e a recuperare i propri studenti. Si deve fare in modo di migliorare talmente quelle scuole da far venire voglia ai genitori degli studenti bravi di iscriverci i figli. Quando io ero piccola esistevano le differenziali. I bambini belli e bravi nelle classi normali, quelli brutti e con difficoltà nelle classi differenziali, con diversi orari d’ingresso e di uscita in maniera tale che non avvenissero contatti tra i due mondi. E già allora ritenevo un mondo che si preoccupa di far andare avanti solo i migliori abbandonando al proprio destino quelli in qualche modo più sfortunati fosse abberrante e da cambiare con urgenza. A meno che non si voglia tornare alle vecchie divisioni sociali, statiche auspicate da un nostro ex premier, affinché il figlio dell’operaio e quello del professionista non arrivino mai a essere uguali.

  9. enrico says:

    Se la lotta alle disuguaglianze si fa livellando verso il basso allora direi che ben venga la competizione, almeno vi è una tendenza verso l’alto.

    • Efis su Santu portentosu! says:

      Uno degli interventi più logici che siano stati fatti! Meno male che c’è ancora del buon senso.

      • Neo Anderthal says:

        Efis: Quello di Enrico -e a ruota il tuo e quello di Sabatini- è uno degli interventi meno centrati, invece, perché -basta leggere- l’intervento di Vito e di altri- non tratta di livellamento “verso il basso”, ma della critica alla -ennesima- trovata propagandistica basata sulla “meritocrazia”, proprio quando il merito non è posto in condizione di manifestarsi.
        Leggere qualche commento e leggersi bene il post pare brutto?

  10. Anonimo says:

    Domanda: un’insegnante ha una classe di alunni con un livello di preparazione medio alto, eccellente sia nel profitto che nel comportamento. Un’altra classe, invece, viaggia su valori ben più bassi, dal punto di vista del profitto, e quasi inaccettabili dal punto di vista del comportamento. Ma alla fine dell’anno si notano dei miglioramenti: alcuni alunni riescono ormai ad avere sempre la sufficienza, e anche il loro comportamento migliora sensibilmente.
    L’insegnante viene premiata. La motivazione è: a) perché le tue alunne della prima son bravissime [bellu sforzu!!!]; b) perché due dei tuoi alunni della seconda, dopo un anno di fatiche e sforzi, studiano e sembrano pure contenti, si comportano meglio, sono migliorati ?
    La domanda che si dovrebbe fare chi tiene i cordoni della borsa è: se questi insegnanti, con pochi mezzi, hanno fatto un buon lavoro con due, con più strumenti riuscirebbero a tirar su tutta la classe?
    E’ più “eccellente” lavorare bene con ragazzi intelligenti, educati, seguiti a casa, che prenderebbero 10 anche con una sedia al posto del docente, o con dei ragazzi “di strada”, con problemi familiari che farebbero paura a molti adulti, con dei problemi psicologici grandi come una casa, che non hanno mai studiato e che dopo un lungo e faticoso anno riescono a seguire e interessarsi alle lezioni?
    Basireddus
    A.

    • Corrector 2 says:

      Esatto, A.
      Anni fa mi capitò di lavorare per un periodo in un prestigioso (così andrebbe detto anche per via di certi giochi di grande prestigio, ma non divaghiamo) Istituto cagliaritano.
      Un collega, durante una discussione su non mi ricordo cosa, disse che avremmo dovuto far pesare presso il pubblico e le istituzioni il nostro livello di eccellenza, forti del fatto che “da noi hanno studiato i dirigenti, i professionisti, e qui abbiamo dei risultati eccellenti, dunque meritiamo”.
      La mia obiezione, più o meno suonava così: “ma grazie al ciufolo, collega carissimo, se tu hai classi in cui oltre la metà se non i tre quarti sono figli di laureati, passabilmente educati, quasi sempre usciti dalle medie con valutazioni almeno discrete, con famiglie attente o ambiziose e comunque motivate e disposte a far seguire ai figli anche costose lezioni private in caso di lieve flessione, l’eccellenza dei risultati è pressapoco il minimo. Prova a insegnare in qualche specie di reparto di punizione, come sono certi Istituti professionali come quello per l’agricoltura, con ragazzi scatenati e problematici con cui lotti anche solo per motivarli alla frequenza. Allora sì, se ci riesci, anche un risultato sufficiente per una parte della classe è una conquista per i ragazzi e un merito per te. O davvero pensi che il tale avvocato o medico che è passato da qui come tuo alunno -e che magari ti ricorda con nomignoli poco affettuosi nelle pizzate di ex alunni- sia andato avanti per merito tuo?”

  11. Carlo Asili says:

    “il titolo di studio è in buona parte frutto di un retaggio familiare (…), eccetera: assolutamente vero, a mio avviso; queste cose le aveva peraltro già scritte in modo esemplare più di quarant’anni fa il grande sociologo Pierre Bourdieu, ne “I delfini: gli studenti e la cultura” (Guaraldi, 1971), il cui titolo originale è, significativamente, “Les heritiers”, “Gli “eredi”; e in “La riproduzione: teoria del sistema scolastico ovvero della conservazione dell’ordine culturale” (Guaraldi,1972) : due libri straordinari che ti raccomando, se t’interessano li trovi alla Biblioteca provinciale di Cagliari.

  12. Insegno da una decina d’anni. E da una decina d’anni a base di Moratti, Fioroni, Gelmini, la latente anglosassonizzazione del sistema dell’istruzione pubblica in Italia (sè dicenti riforme universitarie incluse) si è realizzata nella geniale intuizione del Ministro Profumo.
    Ora, che il signor ministro conosca poco (o non conosca affatto) le difficoltà della scuola pubblica è già poco accettabile. Lo è ancor meno quando nell’immobilismo assoluto di questo ministero il solo rimedio è venire allo scoperto con dichiarazioni inverosimili. Non credo di essere un ingenuo e non credo ancora nella buona fede delle persone, ma proprio non riesco a capire perché Profumo ha detto questa enormità. E non mi basta il retro pensiero delle “armi di distrazione di massa” vale a dire il rintracciare dietro queste dichiarazioni la consapevole volontà di tendere un tranello che, sotto sotto, sottintenda altre finalità (p.e. la parificazione totale tra pubblico e privato che già non è molto lontana). Ciò che vedo è molto peggio: si tratta della assoluta inconsistenza dei ministri dell’istruzione (ormai non più pubblica neanche nel nome) che con la più ferrea mediocrità “riformano”, “usano il cacciavite”, “ritornano-al-che-bello-maestro-unico”. La vera iattura della scuola italiana sono quegli individui che mossi più dalla banalità che dalla volontà si lanciano in azioni e dichiarazioni quando va bene inefficaci, quando va male pericolose almeno quanto la loro incosistenza. A questo punto rilancio al sig. ministro: perché non istituire il premio “miglior insegnante dell’anno”, o quello “migliore scuola dell’anno”, o “miglior dirigente scolastico dell’anno”, financo “miglior collaboratore scolastico” o “miglior DSGA” o miglior qualcosa dell’anno tanto qualcosa di migliore c’è sempre?
    Purtroppo la banalità si sposa a pennello con la pancia delle persone. E già vedo i colleghi che annuiscono domani nel leggere il giornale con uno scaltro “perché no…” o gli acuti dirigenti che già predispongono “modalità atte alla valorizzazione delle eccellenze” con Collegi dei Docenti assenti/consenzienti.
    La cosa però – a dire il vero – non mi stupisce neanche un po’. D’altra parte non è del resto accaduto così anche in passato quando i genitori si informavano nella provincialissima Cagliari per inserire i figli (generazione dei nati tra gli anni ’70 e gli ’80) nella sezione “buona” con i professori “bravi”? Non accade ancora adesso quando gli allora figli, ora genitori, ripercorrono gli stessi sentieri dei loro genitori?
    Sin tanto che non si afferra che nessuno deve restare indietro, sin quando non si cessa di bocciare (pudicamente detto anche “non ammettere alla classe successiva”) per depurare o purgare le classi dalla zavorra (definizione spesso ricorrente in taluni consigli di classe), sin quando si ritiene che la scuola ha il compito di “selezionare”, sin quando impocritamente ci si riempie la bocca di parole come “integrazione dei soggetti svantaggiati” o dei “diversamente abili, perché loro hanno abilità diverse” salvo poi relegare il/gli alunni nelle “aule di sostegno” con i rispettivi docenti, non si potrà che avere che quei ministri e questa razza di scuola.
    La soluzione (e questa la do al ministro gratis) è: formazione obbligatoria per i docenti; ripristino delle compresenze e dei moduli; lavoro di equipe con altri operatori;
    e infine: prima pensare poi parlare o almeno cercare qualcuno che lo faccia al posto suo e che gli dia la dichiarazione giusta.

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