Politica / Sardegna

“E se domani, all’improvviso, chiude la Saras?”. Ecco perché alla Sardegna serve una vera politica industriale. Subito

Stamattina ho coordinato a Capoterra una tavola rotonda organizzata dai sindacati sul tema della raffinazione. Al tavolo c’erano i due responsabili nazionali di Cgil e Cisl del settore energia, un sindacalista nazionale della Uil e un rappresentante di Confindustria Energia, esponente del mondo dei petrolieri.

Quattro rappresentanti di spicco di un settore strategico per il nostro paese. Ad un certo punto uno di loro (Sergio Gigli della Cisl) ha detto: “Ma cosa succederebbe in Sardegna se all’improvviso, da domani, chiudesse la Saras?”. In sala è sceso il silenzio. “Non immaginatevi di riconvertire l’area con alberghi e strutture turistiche, perché prima servirebbero cent’anni per bonificare”.

Sì, ma perché dovrebbe chiudere la Saras? L’ipotesi ovviamente non è dietro l’angolo. Ma il settore raffinazione nel nostro paese è in fortissima crisi (nell’ultimo anno la produzione nazionale è crollata del dodici per cento!), e in qualcuna delle altre quindici raffinerie italiane le grandi società stanno iniziando a mettere i dipendenti in cassa integrazione.

In una lettera inviata due mesi fa al presidente Monti e al ministro Passera, Confindustria e i sindacati hanno chiesto, tra le altre cose, di concordare una linea di riconversione per le raffinerie che rischiano di chiudere. Il governo non ha risposto.

I sindacati sono preoccupati e, soprattutto in Sardegna, stanno spingendo perché per l’area di Sarroch si immagini un futuro diverso, ma sempre sotto il segno dell’industria. Perché sarebbe folle buttare al vento cinquant’anni di cultura imprenditoriale e operaia. Perché non tutti i posti di lavoro sono uguali. E quelli dell’industria sono i migliori sotto il punto di vista del salario e delle tutele contrattuali.

Nel suo intervento la ricercatrice dell’Università di Cagliari Lilli Pruna ha messo in evidenza l’importanza spesso sottovalutata del fattore tempo. Bisogna agire subito, senza esitazioni, per immaginare un futuro nuovo. Perché scelte che possono essere buone ora, se attuate fra cinque anni potrebbero non sortire alcun effetto.

Non si sa quando, non si sa come, ma sappiamo con ragionevole certezza che in arco di tempo non troppo lungo la raffineria Saras di Sarroch correrà il rischio di essere chiusa. Prima la politica, le imprese e in sindacati si immaginano un’alternativa industriale differente dall’attuale monocultura petrolifera, meglio è. La Sardegna può fare a meno delle fabbriche che inquinano, ma non può fare a meno delle fabbriche. E prima l’opinione pubblica sarda prende coscienza che senza le industrie la nostra economia collassa, meglio è.

Prima facciamo tutte queste cose, meglio sarà per tutti. Altrimenti ci resterà solo l’inquinamento. Insieme a migliaia di disoccupati senza speranza.

 

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83 Comments

  1. Roberto says:

    Troll programmato da Saras s.p.a.

  2. sarein says:

    BASTA ma quando chiude questa SARAS ….
    Perchè la Regione Sardegna paga anche per i trasporti degli operai che già hanno un lavoro come tanti altri, a parte che i bus poi viaggiano sempre vuoti, SARDEGNA sprecona

    • Acronotau says:

      SVEGLIAAAAAAAAAAAAAA!!!

    • povero mondo says:

      sarein… prima di postare prova semplicemente a “informarti” anzichè scrivere a vanvera da classica demagoga che non vuole le industrie ma che vuole farsi portare in giro sicuramente non in bicicletta ma con un mezzo “a motore” e che sicuramente vuole avere i soldini anche per permettersi una connessione per scrivere questi post stupidi… si, perchè se chiudono le industrie e stabilimenti gli indotti di persone che non potranno far piu girare l’economia saranno talmente alti che incideranno pure sul nostro già misero patrimonio, basta vedere che succede nel sulcis… accendi la tv e prova a guardare anche i tg oltre che maria e beautifull!
      comunque… detto questo sappi che la regione sardegna non paga assolutamente nulla, ma è la societa che li paga… e si parla di una societa privata quindi non soldi pubblici… e ciò è fatto per tre principali motivi… evitare un flusso di macchine su quella strada che potrebbero procurare grossi ingorghi, per evitare che gli operai che smontano stanchi dai turni di lavoro possano addormentarsi alla giuda recando danni a loro stessi oltre che magari a te che stai andando con la tua bella macchinina al mare e infine anche per salvaguardare l’ambiente… si perchè una corriera che trasporta tantissimi operai alla volta inquina sicuramente molto di meno di tantissime macchine di operai tutte in una volta!
      Sardegna sprecona suona tanto come lo slogan Roma ladrona… e poi si è visto da che pulpito partivano le voci… sarein mi fai molto pensare te… ricorda che le corriere a disposizione non sono “arst” e tantomeno auto blu pagate anche da te e da me e da altri, quindi ripeto, sfrutta bene i soldini che spendi per la tua connessione o se non lo fai che m’importa, tanto come per il discorso delle corriere…non è pagata anche da me! 🙂
      Il lavoro nobilita l’uomo… e gli da la dignita, quindi ben venga il lavoro, più ce ne e meglio è… meno gente come te c’è sarein e meglio è, lasciatelo dire!

      • Sarein says:

        Ma smettila di nominare trasmissioni come quella di maria e beautiful (non lo sai neppure scrivere mettici altre 5 L se vuoi). Praticamente non hai scritto nulla di interessante, se vuoi leggiti tanti libri che hanno scritto sulla Saras magari capisci qualcosa.
        Vai a leggere cosa c’è scritto sui bus che portano i dipendenti Saras e Polimeri …c’è scritto acquistati con contributo regionale in più la regione paga parte del trasporto e sono linee regionali non della Saras, ma concesse a noleggiatori privati, cosa vai inventando, lo spreco sta nel fatto che la maggior parte dei bus viaggiano vuoti perchè molti operai preferiscono viaggiare in auto.

        Vai a leggere quanti aiuti di stato alla Saras ci sono stati:
        http://www.cadoinpiedi.it/2012/01/07/la_saras_campa_alle_spalle_dello_stato.html

        E non parliamo di inquinamento e sicurezza sul lavoro.
        Nel gennaio 2009 esce il film-inchiesta Oil, prodotto e diretto dal regista Massimiliano Mazzotta che denuncia l’inquinamento dello stabilimento di Sarroch e la mancanza di sicurezza per gli operai, con la complicità dello Stato e il silenzio della stampa.
        Il 13 dicembre 2010 la famiglia “Moratti”, proprietaria dello stabilimento intraprende azioni legali contro il libro inchiesta di Giorgio Meletti “Nel paese dei Moratti. Sarroch-Italia. Una storia ordinaria di capitalismo coloniale” edito da Chiarelettere.

        Fatti non parole come le tue che sei di parte e hai tempo anche di sprecare parole per programmi televisivi.
        Non commentare ancora, anzi devi avere rispetto perché a Sarroch ci si continua ad ammalare e si continua a morire a causa dell’inquinamento ambientale, ma a dispetto delle tragiche evidenze non sembra essere in atto alcun intervento a tutela della salute dei cittadini.

      • A Sarein
        Cosa si intemde per pulman vuoti ???? Come fai a saper che gli operai viaggiano in macchina ???
        Ti hanno forse fatto vedere il contratto d’cquisto dei pulman o Te la detto forse Gesù Bambino. Se non sei informata bene faresti bene a non infangare e sopratutto non accusare nessuno. Te lo dico per tè.

  3. Gentile Garzia,
    sì, anche l’accusa di trollaggine non è nuova.
    Tuttavia, mi lasci riscontrare il fatto che di fronte a domande argomentate (ma il debito pubblico non le pare un argomento serio? E le accise? Il fatto che meno di un quarto del reddito provenga da attività produttive?) si finisca per parlare di queste coglionaggini.
    Potrebbe provare ad imbastire uno straccio di conto economico e invece, arrivati al dunque, scatta l’accusa di trollaggine!! Mi direbbe invece come farebbe la Sardegna a sopravvivere? (Tanto per spammare un pochettino, ho pubblicato il post su Sedda, così può vedere altre due informazioni sulle sciocchezze che dice).
    Per il link che segnala, mi verrebbe voglia di non rispondere, però, ritenendo che lei sia in buona fede (ma guardi che non è un complimento) la informo che, se volessi, potrei aprire un numero elevato a piacere di blog col suo nome, con quello di BS o di Einstein, scrivendo che lei proviene da Marte è dotato di pseudopodi e respira come le oloturie. Ciò non la trasformerebbe in un mollusco alieno (o almeno credo; se è interessato si potrebbe provare: io non sono diventato quello del link). Il link che ha scovato è uno dei tantI (e neppure il peggiore, pare che io scateni la fantasia di molti!). Se aspira ad essere un mio esegeta, almeno completi la bibliografia: nessuno ha ancora scritto che io sia un pedofilo, ma non dubito che accadrà.
    Cordialmente,

    PER BIOLCHINI: IL BLOG NON CONSENTE ULTERIORI REPLICHE A GARZIA, PER CUI HO POSTATO IN TESTA
    GRAZIE

    • Da oggi “ArcheoloGGia NuraGGica” è nel blogroll dei siti amici di CAGLIARIFORNIA.

    • Ciao Gabriele, scusa se ti do del tu, mi trovo meglio cosi, se però non è accetto ti chiedo scusa in anticipo. Vorrei provare a dirti la mia sulle questioni che sollevi su Sedda, posso? Ma, ti anticipo, se usi gli stessi toni con cui rispondi normalmente ti mollo, senza se ne ma.
      QUESTIONE DEL “CHI INQUINA PAGA”, dici che è contorto e che generalmente non porta a nulla, bene, certo che si, se si continua a procede come si sta procedendo si. Aspettando che le società responsabili ( vedi Sardinia Gold Mining) scappino via prima che gli sia imputata alcuna colpa e conseguente blocco dei beni, non avremo sicuramente mai la possibilità di spuntarla una volta che spariscono. La questione dell’Alcoa è chiara, gli si blocchino tutti i beni, immobili e liquidi, ora, non dopo che saranno andati nei paesi arabi, e credo tu sappia che non è un luogo a casaccio.
      E ti consiglio questa lettura dopo aver letto le tue osservazioni sul dopo bonifica:
      http://www.corriere.it/esteri/09_settembre_10/io_donna_pittsburgh_66660620-9e2a-11de-8f8c-00144f02aabc.shtml
      ti ricordo che quelle persone, quelle che hanno messo in atto una trasformazione del genere e per quanto possa sembrarti assurdo, sono donne e uomini come noi, con due braccia, due gambe e tutto il resto.
      LE PENSIONI:
      Mi permetto di spiegartelo visto che mi hai dato l’impressione di non saperlo. La previdenza pensionistica non è un fondo una slot machine, è un sistema previdenziale, è un contratto tra contribuente e un ente che in questo caso è di stato, ma nulla vieta, come in molte nazioni, di averle del tutto private. Questo è un contratto vero e proprio, dove si versa un tot corrispondente ad una maturazione, e in cambio un tot di erogazione. Non è una libera scelta, è un contratto. Chiunque dopo la sua vita lavorativa e contributiva regolare può andare a vivere dove gli pare e ricevere li la sussistenza pensionistica, vedi coloro che decidono di passare la vecchiaia in paesi esotici in cui il costo della vita è bassissimo. Questo sarà quello che succederà il giorno in cui saremo indipendenti, pari pari, a meno che non ti ritenga sfigato, credere che a te non sia riconosciuto un diritto, ma questo è solo una tua condizione, non un dato di fatto.
      DEBITO PUBBLICO:
      se quel giorno a concordare “ i passaggi di consegne” tra la le due RES ci saranno questi politici si, certo, tutto andrà come dici tu, ma se solo ci saranno persone normali, non speciali, ma che abbiano a cuore le sorti del suo popolo, allora le cose cambieranno e parecchio. Lo stato IT sarà chiamato a dare conto di come e dove sono stati spesi ben 2000 miliardi di euro e a favore di chi. Se vuoi divertirti cerca pure gli investimenti devoluti alla Sardegna negli ultimi 30 anni e poi rifalli considerando quanto abbiamo lasciato all’Italia in tutto ciò che va calcolato: servitù militari ( incassi di affitti, di danni ed occupazione), grandi percentuali di tributi come da statuto, ma comunque dati, tributi nostri incassati e mai resi, oltre agli interessi che a qual punto vorrei calcolare in oltre 20 anni se applico le percentuali che lo stesso stato ha applicato con la sua agenzia di riscossioni. Nel diritto internazionale, il primo caso, è chiamato “debito indecente” e l’applicò per prima l’America, la tanto amata America di questo governo attuale.
      LE ACCISE:
      Le accise, Gabriele, sono un dato a se, il discorso del diritto tributario su questa questione è un po lunga, ma sappi che alla Saras ed ad altre società, è stato concesso, ma non è concesso dal diritto di sopra, ne dallo statuto, di infrangere anche quello definito “ abuso di diritto”, ma di questo ne parleremo a breve con più dettagli.
      LA SLOVENIA:
      perdonami la battuta, ma pare che tu legga solo quei fumetti che imputi a Sedda. Dove hai mai letto che l’unico dato che si deve considerare tra stati è la busta paga media? Si, l’ho letto anch’io, in un fumetto di Paperino! Gabriele, torniamo seri. Il rapporto di benessere tra le nazioni si basa sui servizi e sull’accesso che ne hanno i cittadini, e la “busta” ne è solo una parte. Uno stipendio di 500 euro non è segno di arretratezza se con quello ci campi ed hai sanità, trasporti, istruzione e ci vivi per le tue cose, tutte.
      ORA PERO’ ti chiedo:
      “se” pure tutto ciò che dici ed asserisci fosse vero, mi stai dicendo che la nostra ancora di salvezza sarebbe “questa” Italia? Se dici di si, scusa, potevo farmi un riposino pomeridiano anziché perdere tempo a risponderti.
      Cari saluti
      Giuliu Crechi ( è il mio vero nome … a buon intenditor ..)
      PS
      Gli sviluppi che possono derivare da una sovranità fiscale hanno il solo limite che ha colui che legifera. E’ lo strumento madre di tutto, se lo sai utilizzare bene e con coscienza è quello che ti consente uno sviluppo, e non ci sono territori, isolamenti o sfighe che tengano.

    • Giuliu says:

      Ciao Gabriele, scusa se ti do del tu, mi trovo meglio cosi, se però non è accetto ti chiedo scusa in anticipo. Vorrei provare a dirti la mia sulle questioni che sollevi su Sedda, posso? Ma, ti anticipo, se usi gli stessi toni con cui rispondi normalmente ti mollo, senza se ne ma.
      QUESTIONE DEL “CHI INQUINA PAGA”, dici che è contorto e che generalmente non porta a nulla, bene, certo che si, se si continua a procede come si sta procedendo si. Aspettando che le società responsabili ( vedi Sardinia Gold Mining) scappino via prima che gli sia imputata alcuna colpa e conseguente blocco dei beni, non avremo sicuramente mai la possibilità di spuntarla una volta che spariscono. La questione dell’Alcoa è chiara, gli si blocchino tutti i beni, immobili e liquidi, ora, non dopo che saranno andati nei paesi arabi, e credo tu sappia che non è un luogo a casaccio.
      E ti consiglio questa lettura dopo aver letto le tue osservazioni sul dopo bonifica:
      http://www.corriere.it/esteri/09_settembre_10/io_donna_pittsburgh_66660620-9e2a-11de-8f8c-00144f02aabc.shtml
      ti ricordo che quelle persone, quelle che hanno messo in atto una trasformazione del genere e per quanto possa sembrarti assurdo, sono donne e uomini come noi, con due braccia, due gambe e tutto il resto.
      LE PENSIONI:
      Mi permetto di spiegartelo visto che mi hai dato l’impressione di non saperlo. La previdenza pensionistica non è un fondo una slot machine, è un sistema previdenziale, è un contratto tra contribuente e un ente che in questo caso è di stato, ma nulla vieta, come in molte nazioni, di averle del tutto private. Questo è un contratto vero e proprio, dove si versa un tot corrispondente ad una maturazione, e in cambio un tot di erogazione. Non è una libera scelta, è un contratto. Chiunque dopo la sua vita lavorativa e contributiva regolare può andare a vivere dove gli pare e ricevere li la sussistenza pensionistica, vedi coloro che decidono di passare la vecchiaia in paesi esotici in cui il costo della vita è bassissimo. Questo sarà quello che succederà il giorno in cui saremo indipendenti, pari pari, a meno che non ti ritenga sfigato, credere che a te non sia riconosciuto un diritto, ma questo è solo una tua condizione, non un dato di fatto.
      MENO DI UN QUARTO DAL PRODUTTIVO:
      Questa è la realtà odierna, non quella che possiamo avere noi da indipendenti. Ci sono settori che vogliamo sviluppare e che possiamo incentivare, sarà lavoro di produzione.
      DEBITO PUBBLICO:
      se quel giorno a concordare “ i passaggi di consegne” tra la le due RES ci saranno questi politici si, certo, tutto andrà come dici tu, ma se solo ci saranno persone normali, non speciali, ma che abbiano a cuore le sorti del suo popolo, allora le cose cambieranno e parecchio. Lo stato IT sarà chiamato a dare conto di come e dove sono stati spesi ben 2000 miliardi di euro e a favore di chi. Se vuoi divertirti cerca pure gli investimenti devoluti alla Sardegna negli ultimi 30 anni e poi rifalli considerando quanto abbiamo lasciato all’Italia in tutto ciò che va calcolato: servitù militari ( incassi di affitti, di danni ed occupazione), grandi percentuali di tributi come da statuto, ma comunque dati, tributi nostri incassati e mai resi, oltre agli interessi che a qual punto vorrei calcolare in oltre 20 anni se applico le percentuali che lo stesso stato ha applicato con la sua agenzia di riscossioni. Nel diritto internazionale, il primo caso, è chiamato “debito indecente” e l’applicò per prima l’America, la tanto amata America di questo governo attuale.
      LE ACCISE:
      Le accise, Gabriele, sono un dato a se, il discorso del diritto tributario su questa questione è un po lunga, ma sappi che alla Saras ed ad altre società, è stato concesso, ma non è concesso dal diritto di sopra, ne dallo statuto, di infrangere anche quello definito “ abuso di diritto”, ma di questo ne parleremo a breve con più dettagli. Comunque sappi che quella cifra (citata da Sedda) è quella reale che abbiamo perso da più di 30 anni a questa parte per una legge che consente alla Saras di delocalizzare, come luogo e come tempo, l’assolvimento del tributo.
      LA SLOVENIA:
      perdonami la battuta, ma pare che tu legga solo quei fumetti che imputi a Sedda. Dove hai mai letto che l’unico dato che si deve considerare tra stati è la busta paga media? Si, l’ho letto anch’io, in un fumetto di Paperino! Gabriele, torniamo seri. Il rapporto di benessere tra le nazioni si basa sui servizi e sull’accesso che ne hanno i cittadini, e la “busta” ne è solo una parte. Uno stipendio di 500 euro non è segno di arretratezza se con quello ci campi ed hai sanità, trasporti, istruzione e ci vivi per le tue cose, tutte.
      ORA PERO’ ti chiedo:
      “se” pure tutto ciò che dici ed asserisci fosse vero, mi stai dicendo che la nostra ancora di salvezza sarebbe “questa” Italia? Se dici di si, scusa, potevo farmi un riposino pomeridiano anziché perdere tempo a risponderti.
      Cari saluti
      Giuliu Crechi
      PS
      Gli sviluppi che possono derivare da una sovranità fiscale hanno il solo limite che ha colui che legifera. E’ lo strumento madre di tutto, se lo sai utilizzare bene e con coscienza è quello che ti consente uno sviluppo, e non ci sono territori, isolamenti o sfighe che tengano.

      • Giuliu, you’re done it yourself, ovvero: fatta ti d’asi! Ihihih!

      • Giuliu says:

        😉 Mario, se Ainis rimane nei toni della comune dialettica ci sto, so ben cosa dico e sono tutti suffragati dai dati ufficiali ( cosa che ancora non ho rilevato nei suoi appunti, ma solo pareri personali, che, fino a prova contraria sono suoi e basta) non da interpretazioni in solitaria o che tendono ad attaccare un personaggio o chicchessia, io asserisco cioè che le analisi dei dati ufficiali mi consentono di poter esprimere. Poi certo, possiamo parlarne, ma su dati certi, non per sentito dire o per parte presa.

      • Ainis non è una persona reale che fa il blogger. Ainis è un personaggio di fantasia inventato da un blogger. Un blogger, a mio avviso, geniale. Se non si capisce questo dettaglio importante, non si capisce il perché è inutile cercare un dialogo con Ainis. Non si può dialogare con un personaggio. Sarebbe come voler dialogare con il personaggio di un film. Si può dialogare con l’attore, non con il suo personaggio. Si può dialogare con Robert De Niro, non con Travis Bickle di Taxi Driver.

        Il blogger è l’attore (oltre che l’autore) del personaggio Ainis. Il personaggio Ainis non è stato inventato per dialogare, ma per fare satira tagliente all’interno nel blog “ArcheoloGGia NuraGGica”, insieme agli altri personaggi (Boicheddu Segurani, Desi Satta e tutti gli altri…).

        Purtroppo il personaggio Ainis, che nel suo blog è un personaggio divertente (e che per altro attraverso la satira dice anche un sacco di verità), nel blog di Biolchini (dove in genere chi commenta è più o meno aperto al confronto e cerca di argomentare dei ragionamenti), per le caratteristiche intrinseche al personaggio (come per esempio quella di argomentare “ad hominem”), diventa inevitabilmente un troll. Un troll colto, intelligente e raffinato (d’autore mi verrebbe da dire) ma pur sempre un troll.

        Perché, come ho già detto, secondo la definizione di troll fornita da Wikipedia, interagisce «con gli altri utenti tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l’obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi».

      • Sovjet says:

        Gabriele Ainis non è un personaggio di fantasia, esiste, scrive e si confronta anche fuori dai blog. Vive fuori Sardegna e attualmente è nell’isola in ferie.
        E non è neppure un troll nel senso di wikipedia, anche se non nego che possa essere “irritante e provocatore”, ma non è mai fuori tema o senza senso nei suoi commenti.
        Poi può piacere, non piacere, si può essere d’accordo oppure no. Però assicuro che è persona reale.
        Ah, Gabriele Ainis mi ha detto che qualcuno pensa addirittura che dietro quel nome in realtà ci sia io…sbaglia! E poi, Ainis litiga con Gianluca Floris, di cui io sono molto amico e grande estimatore!

  4. A. Mongili says:

    Su una cosa sono purtroppo d’accordo con Ainis, i cui interventi considero terrificanti per altri versi e per il quale seguito a pregare: della realtà industriale si sa pochissimo. Vorrei raccontare una mia esperienza. L’estate scorsa organizzammo una Summer school internazionale per dottorandi qui in Sardegna, che prevedeva una giornata dentro uno dei maggiori stabilimenti petrolchimici sardi. Io stesso negoziai l’accesso di un gruppo di dottorandi provenienti da diversi paesi, la visita agli impianti, la presentazione della loro storia (difficilissimo trovare uno storico dell’industria sarda!), e la presentazione di un paio di interventi sul rapporto fra impianti petrolchimici e il territorio (in Sardegna, in Louisiana ecc.). Tutto è andato abbastanza bene, ma non è questo importante. La cosa importante è stata l’accoglienza e quasi la sorpresa dei dirigenti, che alla fine mi hanno confessato esplicitamente che “da vent’anni non vedevamo nessuno dall’Università”. Non è partendo da quattro dati Istat che si possono immaginare nuove politiche. E sicuramente nelle università sarde non vedo competenze, ma solo, come è stato scritto, ambizioni mal riposte.

    • Gentile Mongili,
      la ringrazio per le preghiere ma la pregherei di considerare la Sardegna al mio posto: con professori come lei ne ha un gran bisogno.
      Cordialmente,
      PS Non è vero che della realtà industriale “si sa” pochissimo: “lei” ne sa pochissimo assieme ai suoi colleghi, fatto sul quale mi dà ragione, anche senza mainstream.

      • A. Mongili says:

        Ainis, lei è veramente un po’ ossessivo, ma ha ragione, non sono un grande studioso della realtà industriale sarda, infatti ho solo testimoniato di un episodio che mi sembrava indicativo della distanza fra questa realtà e le università sarde. Peraltro, io non lavoro più in Sardegna, ma continuo a pregare per lei e per il miglioramento della sua ironia, per ora veramente terrificante. Pesante.

      • Gentile Mongili,
        le sue preghiere sarebbero leggere?
        Guardi, se il mio linguaggio le pare ossessivo (per lei) smetto l’ironia. Le posso dire, pacatamente e con garbo, che il suo linguaggio è quanto di più irritante possa esistere? Ha idea di quanto prenda alle palle trovarsi il professore che passa da un “mainstream” all’altro? Per averne un’idea rilegga uno dei miei commenti (che tanto la irritano) e ne avrà un’idea.
        Tornando a noi: ho semplicemente sottolineato un fatto di cui lei mi dà atto e precisamente che l’ambiente intellettuale isolano è quanto di più lontano esista dalle problematiche industriali; poichè è lo stesso ambiente che produce la classe politica, si chiude il cerchio che è causa dell’attuale situazione.
        Se la cosa l’annoia, me ne dispiaccio, ma finché Biolchini avrà la pazienza di pubblicare i miei commenti, continuerà a sentirmelo dire: ciascuno di noi è fissato, io ho la fissa dell’industria, lei del mainstream!
        Cordialmente,

      • A. Mongili says:

        Uso mainstream per dire “paradigma dominante”, nient’altro: è un termine molto usato, ma lei con quale termine mi consiglierebbe di sostituirlo?

      • Gentile Mongili,
        mai pensato di usare hauptrichtung?
        Molto più figo ed altrettanto comprensibile (se non parla tedesco, provi con Google, non sarà Herman Hesse, ma non siamo tutti affetti da paradigna dominante; è una sindrome, vero?)
        Cordialmente,

        PS “Termine molto usato” da chi, a parte lei?

    • A.Mongili: ”Nelle università sarde vedo solo ambizioni mal riposte”.
      Probabilmente le cose stanno proprio così. Continuerò ad illudermi dell’opposto, non costa nulla e conta relativamente poco, pochissimo.
      Bene, escludiamo pure questa opzione, ciò nonostante ”alla Sardegna serve una vera politica industriale. Subito.”
      Forse sbaglio nel essere piuttosto scettico circa le reali competenze della attuale classe dirigente, ma a chi altri dovrebbero rivolgersi?
      Ripeto, a me non sembra che la politica stia pressando i vertici della azienda per una vera riconversione, addirittura non credo ci abbiamo mai pensato.
      E’ quindi questione di ( non ) volontà ancor prima che competenza, ma qui sarebbe troppo facile e poco costruttivo sbottare con un vago ”c’è da rifondare la politica in generale per intervenire seriamenete sulla questioni specifiche che riguardano l’industria e tutti gli altri grandi temi”.
      Ecco, se foste assessori, consiglieri o dei noti politici, a chi vi rivolgereste per gettare le basi per dare concretezza ai vostri propositi?

      • A. Mongili says:

        Forse a chi ha studiato e studia il problema, indipendentemente dal fatto che lavori in Sardegna o meno.

      • Sia chiaro, la mia non è lettura localista. Semplicemente pongo il dubbio su alcuni punti: 1) la saras vuole bonificare o riconvertire la zona. Perchè lo si da per scontato? 2) credo che i politici sardi debbano prendere iniziativa, a prescindere dal fatto che vogliano attingere competenze dall’estero o meno 3) non vorrei che si ripetessero gli errori del passato, mi riferisco al piano di rinascita. Vorrei che nell’immaginare le nuove politiche industriali tanto auspicate si tenesse conto del contesto socio-economico e della vocazione dei territori limitrofi.
        Cun Amistadi.

  5. direkteur says:

    Reblogged this on Il Sanlurese.

    • Molto interessante, grazie.
      Un polo logistico per il nord italia a Cremona funzionerà senz’altro.
      Ma uno a Sarroch? Non so, per chi?
      Soltanto ricercatori e esperti del settore che conoscono bene la nostra isola potrebbe indicarci delle soluzioni. L’Università di Cagliari dista 30km, è probabile che qualcuno abbia più di un’idea a riguardo…

      Apprezzo molto il tuo pezzo e i commenti di Mario Garzia non sono da meno, però è tutto così campato in aria, così vago.
      Ho la sensazione che non conosciate nè Sarroch e nè il polo industriale e indotto.
      Perchè dovreste? In fondo fate il vostro lavoro, e lo fate bene.
      Pensate però che domani Moratti e compagnia investiranno per riconvertire gli impianti?
      In effetti uno nuovo è in fase di realizzazione, ma cambierà poco. Forse si inquinerà un po meno, forse. Ma è poco. Troppo poco.
      E comunque non sembra che la politica stia pressando i vertici della azienda per una vera riconversione, anzi fino a poco tempo fa preferivano dedicasi a raccomandare giovani figli di amici di amici per scopi elettorali. Adesso un pò meno ma questo merita un discorso a parte, trattasi di gestione degli appalti.
      Inolte, l”ipotesi che la Saras e altre società legate ad essa vengano cedute a breve non è affatto campata per aria.

      Mi fermo qui, non sono un esperto.
      Scusate se mi ripeto nuovamente se ribadisco che urge uno studio approfondito. La politica ( destra, sinistra o indipendentisti non importa ) si attivi per fa si che un pool di scienziati possano elaborare progetti realizzabili. Tenere presente il quadro legislativo perchè dubito che la Regione Autonoma della Sardegna abbia strumenti a sufficienza per intervenire con efficacia. RAS perchè non sarà di certo lo stato centrale ad attivarsi, nè credo sia saggio confidare nella lungimiranza della attuale amministrazione saras o dei nuovi possibili acquirenti. Non vedrei male una Authority o una Agenzia per l’energia per la Sardegna.
      Politica sarda, se ci sei batti un colpo.

    • Gentile Biolchini,
      attenzione al “copy/paste” da altre realtà. Ciò che si può condividere è senz’altro il principio generale, e precisamente che conviene impiantare nuove realtà negli stessi luoghi occupati in precedenza da quelle dismesse (cosa che ho già rimarcato) in modo tale da non sprecare il territorio (e risparmiare sulla “bonifica”). Per il resto, si deve partire necessariamente dalle necessità industriali.
      Su ciò che dice miali («Soltanto ricercatori e esperti del settore che conoscono bene la nostra isola potrebbe indicarci delle soluzioni. L’Università di Cagliari dista 30km, è probabile che qualcuno abbia più di un’idea a riguardo…») in riferimento all’università, mi permetto di esprimere più di un dubbio. Uno dei problemi più gravi dell’Isola è proprio l’incapacità dell’università di calarsi in tematiche industriali attinenti il territorio. Invito a considerare i numeri dei brevetti prodotti in Sardegna in confronto alle altre regioni italiane (http://exxworks.wordpress.com/2012/04/13/industria-sarda-che-pena-i-brevetti/). A parte le notizie sparse che ogni tanto magnificano il lavoro dei ricercatori isolani (per la verità un po’ deprimenti, ad esempio le case su Marte di Pili-Spock) la situazione è desolante.
      Cordialmente,

  6. S'avatar rei says:

    Saras non e’ destinata a chiudere per almeno i prossimi cinquant’anni,verra’ forse venduta ai russi o a i libici,il convegno citato da Vito aveva come scopo quello di capire come si poteva gestire in un territorio dove manca il lavoro un ulteriore flesso occupazionale,quali strumenti abbiamo oggi per gestire questo processo?Gigli oltre a porre questa domanda ha detto che la saras e ‘una raffineria che dal punto di vista tecnologicoe all’avanguardia a livello mondiale e’una delle poche che ha investito tantissimo in ambiente e sicurezza e per questo ha tutte le carte per continuare a produrre i raffinati dal petrolio energia elettrica compresa.
    Pensare di sostituire un’industria come questa con l’agricoltura o con altre iniziative turistiche o similari e’ legittimo ma secondo me utopistico.Si spenderebbe tanti soldi per la trasformazione ma ci sarebbe in quarto degli occupati,bisogna pensare di tenerla a tutti costi individuando nuovi processi produttivi che diano prospettiva a quall’azienda e questo l’avremmo dovuto fare per tuttele aziende sarde…”…

    • Gentile S’avatar rei,
      «Saras non e’ destinata a chiudere per almeno i prossimi cinquant’anni»
      Non ne sarei così sicuro. Pochi anni addietro è stata valutata l’ipotesi di andare in Spagna e non se n’è fatto nulla perché gli spagnoli hanno deciso per un altro tipo di sviluppo (sbagliando). Se si normalizzasse la Libia, ad esempio, SARAS starebbe molto meglio laggiù.
      Le considerazioni di Gigli sono un’opinione. Proprio la parte di produzione d’energia andrebbe invece valutata con molta attenzione.
      Che poi si possa pensa pensare di sostituire SARAS con turismo e/o agricoltura è del tutto fuori dal mondo.
      Cordialmente,

  7. Ma che cosa volete che ne sappiano i sindacalisti di queste cose… Non scherziamo. In un ventennio è stato possibile bonificare e riconvertire la Rhur in Germania, Birmingham in Inghilterra e Pittsburg (la città dell’Alcoa) negli Stati Uniti (solo per citare tre casi clamorosi ed eclatanti), figuriamoci se non è possibile bonificare e riconvertire Sarroch. Dico: Sarroch! O il Sulcis… Abbiamo idea delle proporzioni?

    Ah! Già! Dimenticavo: da noi è diverso! Da noi è sempre diverso! Noi siamo diversi! Quello è il mondo, mentre noi siamo soltanto la Sardegna che come è noto non ne fa parte. La Sardegna è chiaramente un altro pianeta abitato da una specie di esseri viventi chiamati sardi, molto diversi dalla specie homo sapiens!

    La verità è che il problema è di natura culturale ancor prima che politico (di volontà politica). Fino a quando continueremo a credere di essere “diversi” o “speciali” e non ci rassegneremo all’idea di essere esseri umani normodotati come tutti gli altri, non smetteremo mai di pensare, dire e fare cose ridicole. E quindi di essere ridicoli.

    • Stai auspicando che la Z.I di Sarroch venga bonificata? Quando? Adesso?
      Cosa pensi si debba fare oggi? Quali sono le priorità?

    • Gentile Cagliarifornia,
      che sia un problema principalmente culturale è verissimo (sul quale si innesta il resto). Bisognerebbe capire come uscirne e questo è davvero arduo perché da tempo abbiamo chiuso il cerchio tra cultura, politica e informazione (non solo in Sardegna, però, non facciamoci troppo male). Tanto per essere chiari, possiamo anche dire che Cappellacci è un disastro, ma Soru (per quanto riguarda le politiche di indirizzo industriale) non ha fatto meglio, né vedo chi (tra intellettuali e informazione) possa dare uno straccio di indirizzo, indicare una strada. Guardiamo alle azioni politiche in vista delle vicine elezioni: cosa si vede di differente da un generico richiamo al localismo, tipo: «Da soli possiamo fare meglio!» ? Ce n’è uno che a parte questo provi a dire «cosa» fare?
      Cordialmente

      • Gentile Ainis

        Qualcuno (rarissimi) che accompagna il «da soli possiamo fare meglio!» a proposte serie, in realtà c’è, ma purtroppo si confonde tra le tante gocce nel mare mignon di partitini e movimentelli guidati dai vari ducetti “de noantri”.

        Detto ciò, per quanto sia possibile compiere dei distinguo, il mio giudizio nei confronti della cultura politica (e della cultura tout court) espressa complessivamente dall’indipendentismo in Sardegna, è fortemente negativo. Lo è prevalentemente per ragioni di credibilità oltre che di scarsa rappresentatività. Forse ancora più negativo del Suo (il che è tutto dire!), se non altro perché io, a differenza Sua, sono convintamente indipendentista per una serie articolata di ragioni che non sto qui ad esporLe.

        Però, da Suo estimatore che La segue e La apprezza su “ArcheoloGGia NuraGGica”, ho il timore che Lei, stando dietro alle puttanate di singoli indipendentisti nazional-socialisti (sic) e/o nazional-linguisti, abbia maturato dei pregiudizi nei confronti dell’opzione indipendentista, tali da farLe smarrire la capacità di un giudizio intellettualmente onesto nei confronti del tema specifico relazionato all’attuale contesto geopolitico globale. (Per esempio, se mi consente, “indipendentismo = localismo” nel suo caso credo che sia più un pregiudizio che un luogo comune).

        L’opzione indipendentista è fondamentalmente un’opzione politica, ed essendo certamente la politica l’arte del possibile, in quanto fatta sostanzialmente di scelte, non ha senso chiedersi se sia praticabile. Ha senso chiedersi in che modo lo sia ed eventualmente ha senso scegliere di non praticarla.

        Perché la volontà politica contraria all’indipendenza è assolutamente legittima, ma riesce ad essere credibile soltanto se non si fonda sulla supposta incredibiltà e sulla delegittimazione dell’opzione a cui vuole contrapporsi. Infatti, il fatto che gli indipendentisti sardi non siano credibili, non rende automaticamente incredibile l’opzione indipendentista.

        Credo che i suoi pregiudizi vadano al di là della legittima contrarietà a tale opzione, altrimenti non saprei come spiegarmi il perché, quando leggo un suo scritto, nella sostanza mi trovo quasi sempre d’accordo con Lei. Eppure io sono indipendentista e Lei no.

        Altrettanto cordialmente

        Mario Garzia

      • Gentile Garzia,
        mi scusi il ritardo (non avevo visto il commento). Potrebbe anche essere che le mie idee siano guidate da pregiudizi e luoghi comuni (io penso di no, ovviamente, ma non spetta a me dirlo) ma ci tengo a farle notare che la mia avversione per l’idea indipendentista è guidata da due concetti semplicissimi (lo dico senza alcuna ironia, io tendo ad essere un minimalista):
        1) a mio avviso, nelle attuali condizioni, gli isolani non avrebbero nulla da guadagnare e molto da perdere dalla secessione (attendo che qualcuno mi dica con un paio di numeri che non è così); ad esempio, la Lega potrebbe avere ragione nel volere la secessione sulla base della forza industriale del nord-est (opinabile, per carità, ma qualcosa di vero c’è); al contrario penso che l’Isola abbia tutto da guadagnare associandosi ad uno stato forte e capace di azioni coordinate (ma noi non siamo quelli di Fortza Paris?)
        2) non credo all’esistenza di un’identità collettiva (e, anche su questo, aspetto che qualcuno mi dica che non è così; ne ho discusso con parecchia gente e non ho ancora ottenuto una risposta convincente); né ad una particolare specificità della condizione insulare (cioè non diversa da altre specificità di altre regioni); ci sono oggettive difficoltà legate alla condizione geografica, ovvio, ma tutto di ferma qui. Paradossalmente, l’idea indipendentista tenderebbe ad acuire (oggettivamente) la condizione di lontananza geografica.

        Che poi mi diverta a prendere per il culo le macchiette indipendentiste sarde è verissimo, ma mi deve dare atto che sono quelle che fanno notizia e talvolta catturano voti che vengono reputati strategici da più parti politiche (non sono io che ho portato un Manichedda al governo della Regione, né che inseguo Muledda per un’eventuale allenaza in vista delle elezioni!).

        « il fatto che gli indipendentisti sardi non siano credibili, non rende automaticamente incredibile l’opzione indipendentista.»
        Su questa frase chiudo, perché è carina: sarebbe come dire che è inutile sputtanare i socialisti perché sono nipoti di Craxi… certo, è verissimo, in linea di principio, e infatti ho amato Lombardi (che è stato l’artefice delle battaglie civili di cui si sono appropriati i Radicali) ma è difficile scovare un socialista decente e parlarne, soprattutto di fronte a tutti quelli indecenti di cui non si può fare a meno di prender nota.
        Di chi vuole che parli, di Garzia (che tra l’altro è spesso d’accordo con me ma col quale non condivido l’indipendentismo) o delle scemenze di chi è stato blandito a destra e a manca (ad esempio Sale)?
        Cordialmente,

      • Gentile Ainis

        Vede? Lei parla di socialisti non di socialismo. E continua a parlare di indipendentisti, non di indipendentismo. Il fatto che i socialisti italiani siano dei ladroni non rende automaticamente da ladrocinio l’opzione socialista, così come, ribadisco, il fatto che gli indipendentisti sardi non siano credibili, non rende automaticamente incredibile l’opzione indipendentista. Detto ciò, per quanto difficile, cercherò di rispondere in maniera minimalista alle sue due obiezioni.

        1) Lei parla di «attuali condizioni», ma io non ho parlato a caso di indipendentismo come «processo». Nessun indipendentista serio in Sardegna (sono rari ma ci sono e Le assicuro che io, dopo aver detto e scritto a mia volta qualche puttanata, lo sono diventato), parla di fare l’indipendenza della Sardegna dall’oggi al domani. Si tratta appunto di un processo politico (quindi fatto di scelte) che potrebbe richiedere anche diversi decenni. La Scozia tra massimo cinque anni sarà indipendente, ma non lo sarà mica da un giorno all’altro. Per raggiungere quell’obiettivo hanno cominciato a lavorarci sopra almeno 25 anni fa. In ogni caso se Le può interessare Le posso inviare qualche documento di uno studioso che ha fatto un po’ di calcoli approssimativi della situazione attuale.

        Lei mi cita la Lega e io ci vado a nozze, visto che la penso esattamente come Maroni (ma in realtà la pensano così anche tantissimi studiosi di geopolitica) quando al Corriere della Sera dichiara: «gli Stati-nazione non contano più nulla. Non governano né i confini, né la moneta, né la politica estera; ora, con il fiscal compact, non governeranno neppure più le finanze. E anche la burocrazia di Bruxelles è in crisi. Noi non siamo antieuropeisti, ma neoeuropeisti: dall’Europa a 27 Stati si deve passare all’Europa delle macroregioni. Una sarà la Padania». Un’altra sarà la Sardegna.

        E a questo punto mi perdoni l’autocitazione tratta da un commento che ho scritto per Sardegna Quotidiano: «L’idea dell’anacronismo [dell’indipendentismo], nasce probabilmente da una visione erronea del processo di globalizzazione, che in realtà non è soltanto un processo di cessione di pezzi di sovranità verso entità sovranazionali da parte degli Stati-nazione, ma anche verso enti territoriali a essi subordinati. Una cessione lenta, ma inevitabile perché necessaria ad affrontare le sfide della globalizzazione, per le quali gli attuali Stati-nazione di concezione ottocentesca (quelli si anacronistici!), sembrano essere assolutamente inadatti».

        Mi creda, non esiste più nessuno «stato forte» inteso come Stato-nazione a cui associarsi e se esiste certamente questo non è l’Italia, che tra l’altro non mi è mai sembrato tanto «capace di azioni coordinate» anche quando aveva molta più sovranità di oggi. E poi, mi scusi: Le pare che noi sardi possiamo eventualmente scegliere di associarci alla Germania? Questo si che è impossibile! Noi sardi non abbiamo nemmeno la libertà di fare delle scelte di politica industriale (di cui abbiamo un fottuto bisogno), perché non sono di competenza della Regione, ma dello Stato. Che mi pare evidente ha sempre avuto interessi diversi dai nostri. Vedi Piano di Rinascita e servitù militari.

        L’unico «Stato forte capace di azioni coordinate» a cui la Sardegna può verosimilmente aspirare ad associarsi è l’Europa unita in uno Stato federale come gli Stati Uniti e non in questa inutile se non dannosa confederazione monetaria. E comunque no: io non sono quello di Fortza Paris. Non me lo dica più che mi viene da vomitare!

        2) Perdoni il mio essere diretto: chi se ne frega dell’identità collettiva. Sono molto più egoisticamente interessato alla sopravvivenza mia e dei miei cari e forse anche un pochino altruisticamente alla gente che abita quest’Isola. Si figuri quindi quanto mi può interessare la presunta identità collettiva italiana e la sua unità.

        Per il resto vorrei farLe notare che lo Stato delle Hawaii è di gran lunga più lontano dal continente americano e dallo «Stato forte capace di azioni coordinate» a cui è associato, di quanto non lo sia la Sardegna dall’Europa. Ditemi dove devo firmare.

        Cordialmente

        Mario Garzia

      • Gentile Garzia,
        il fatto che si possa discutere con un socialista (o con un indipendentista) non significa essere d’accordo. Lei mi faceva notare che parlo degli indipendentisti pagliacci (o viceversa), quindi le ho fatto l’esempio dei socialisti per spiegarle i motivi per cui parlo dei pagliacci e non di Lombardi.(non sono né socialista né indipendentista).
        Sul merito, non vedo perché dovrei pensare all’indipendentismo se non c’è ragione per farlo e lei non me ne dice neppure una, ammettendo che dal punto di vista economico è una sciocchezza. Sarà anche un processo, ma non vedo perché dovrei procedere se non conviene e se non ci sono altri motivi.

        Le risparmio la Scozia (ma le Hawai no, le dico dopo), ma questo: «Noi sardi non abbiamo nemmeno la libertà di fare delle scelte di politica industriale (di cui abbiamo un fottuto bisogno), perché non sono di competenza della Regione, ma dello Stato.» è del tutto falso. E’ vero invece che abbiamo buttato via i soldi quando li abbiamo avuti.
        Il resto del suo discorso scende poco sul pratico: condivido la necessità di una politica industriale ma la vedo durissima senza un ambito nazionale sufficientemente ampio cui riferirla (lasci stare la citazione da Maroni, che predica la fine degli stati nazione, poi propone la nazione padana, per favore almeno citi qualcuno di presentabile). Il mio riferimento ad uno stato forte significa che per avere un’economia dignitosa bisogna riferirsi ad un ambito nazionale che permetta il raggiungimento di una sufficiente diversificazione (in senso lato, intendendo un volano nazionale se le cose non vanno bene: senza una copertura del genere in Sardegna l’industria non ha senso, e senza l’industria ci vedremmo ridotti alla fame peggio di quanto non siamo adesso).
        Quando lei mi dirà (o chiunque altro) come può fare a sostentarsi uno stato indipendente con il mare di mezzo (sostenendo una struttura statale in grado di garantire i requisiti minimi di vivibilità che ci aspettiamo) allora ne discuteremo. Io non la vedo e soprattutto non la trovo nei suoi ragionamenti.
        Veniamo alle Hawai: vivono (pochissimo) di turismo e ricevono un sacco di grana dal governo federale (ma proprio un sacco). Senza i soldi federali (che sono il corrispettivo della presenza delle basi strategiche USA) gli abitanti del luogo non potrebbero garantirsi il livello di vita che mantengono (se proprio deve fare un esempio, scelga qualcos’altro).
        «Sono molto più egoisticamente interessato alla sopravvivenza mia e dei miei cari e forse anche un pochino altruisticamente alla gente che abita quest’Isola» Anch’io! Proprio per questo l’indipendenza mi pare (in tutta evidenza) una sciocchezza.
        «servitù militari» Verissimo, e che si aspettava? La Sardegna ha vissuto facendosi pagare la condizione di piattaforma strategica. Vediamo di essere chiari: per vivere bisogna domandarsi cosa si possa vendere di ciò che si possiede: c’è chi ha risorse naturali (noi no), chi ha know-how (noi no), chi prodotti che vale la pena esportare (noi no, per ora, se non in minima parte, guardi la composizione del reddito regionale). Quello avevamo e l’abbiamo alienato in cambio di un sacco di soldi. Avremmo dovuto farli fruttare e ce li siamo sputtanati (lasci stare chi ci ha guadagnato e chi no: i sardi ricchi ci sono e come!).
        Termino con «Fortza Paris». Era solo una battuta, non pensavo minimamente al movimento politico (questo le dice quanto poco sia indipendentista). “L’unione fa la forza” è uno slogan che mi sento di condividere: secondo me se la piantiamo con le menate e ci mettiamo d0accordo con i nostri concittadini (italiani) è molto meglio. la prossima volta che facciouna battuta le mando il Malox.
        Sulla possibile associazione all’’Europa Unita, preferisco evitare di litigare: è talmente campata per aria che non ne vale la pena (ma ha visto com’è finita la Grecia? Pensa davvero che la Sardegna potrebbe contare qualcosa?? Andiamo, su, che c’è di meglio!).
        Cordialmente,

      • Tratto dalla rivista di Geopolitica Limes del febbraio 2011 – Franciscu Sedda

        «All’indipendentismo è sempre stata associata una strana idea di azzeramento. Come se in Sardegna, una volta divenuti Stato europeo, non servissero l’assistenza sanitaria, le forze dell’ordine, la guardia di finanza, la pubblica amministrazione, la magistratura. La verità è che tutto servirà nella futura Repubblica di Sardegna ma tutto andrà ripensato, riformato o reinventato, per portarlo a misura dei sardi e della Sardegna. In tal senso il nuovo indipendentismo dinamico che sta scuotendo i sardi può far suo, come slogan, il primo principio della termodinamica: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Ma per progettare questo futuro converrà partire dal presente.

        Oggi il bilancio a disposizione della Regione Sardegna ammonta a circa 7,5 miliardi di euro e copre tutti i costi (la sola sanità pesa per un 50%) eccetto l’istruzione, le funzioni amministartive statali, la sicurezza, la magistratura, i contratti di programma (con cui lo Stato ha finanziato imprese non sarde che versavano quasi sempre le proprie tasse fuori), il welfare e una parte delle infrastrutture locali, su cui da anni Roma non investe praticamente nulla. Le pensioni non vanno conteggiate perché sono contributi che i lavoratori sardi hanno già versato e che dunque, in caso di indipendenza, tocca all Stato italiano continuare a pagare. Potrebbe uno Stato sardo già oggi farsi carico di queste spese, che secondo alcuni esperti ammonterebbero in totale a circa 13-14 miliardi?

        Consideriamo intanto che la Sardegna lascia allo stato 3/10 di Irpef, 1/10 di Iva, 1/10 di accise e altre tasse minori per un totale di circa 1,5 miliardi. Ma soprattutto consideriamo che la quota di accise derivante dai prodotti energetici è assolutamente sottostimata. Prendiamo il caso eclatante dei prodotti petroliferi e dunque della Saras, una delle più grandi industrie della Sardegna. Nonostante la produzione ricada completamente sul territorio sardo, la maggior parte delle accise vengono versate fuori di esso, dove sono localizzati i depositi commerciali. La perdita stimata per la Sardegna è di circa 2,5 miliardi l’anno. Una quantità enorme di soldi, con la quale si arriverebbe a un bilancio di 11,5 miliardi.

        Consideriamo tuttavia che una Sardegna indipendente dentro l’Europa avrebbe accesso a una quota maggiore di fondi strutturali, che oggi assommano a circa 400 milioni. Si aggiunga poi che uno Stato sardo riscuoterebbe per sé una serie di introiti (concessione delle frequenze eccetera) che oggi spettano allo Stato italiano. Per non parlare del fatto che non si troverebbe gravato di quell’immane debito pubblico (e dei rispettivi interessi) che nell’ultima finanziaria pesava per il 18% del bilancio italiano e nemmeno sarebbe costretto (o almeno si spera) alle pessime performance contro l’evasione fiscale.
        A conti fatti, si sarebbe ancora leggermente sotto la quota dei 14 miliardi di euro. Tuttavia, ci sono due cose che andrebbero immediatamente considerate. La prima è che tra il 1991 e il 2003 lo Stato italiano, trattenendo indebitamente le tasse versate dai sardi, ha maturato nei confronti della Sardegna un debito certificato di circa 10 miliardi (la cosidetta «vertenza entrate»), che consentirebbe alla Sardegna di non indebitarsi a sua volta.

        In secondo luogo, questo ragionamento non mette in conto alcuna reale politica economica. Si appoggia cioè sui dati e sulle performance economiche di una politica italiana e autonomista fallimentare, a tratti rapace e comunque assolutamente avulsa dagli interessi della Sardegna, dalle forze sane del suo tessuto produttivo, dalle sue risorse economiche da valorizzare o su cui investire.

        Nonostante l’energia prodotta in eccesso ma pagata il doppio; i parchi eolici spuntati come funghi e realizzati prendendo per la gola le amministrazioni locali con contratti capestro; l’alto tasso di risparmio privato a fronte di un sistema creditizio ostile e distante dal tessuto produttivo; una riscossione crediti a tratti selvaggia, una burocrazia elefantiaca, costi di produzione più alti del 15% più alti rispetto ad altre regioni; ebbene nonostante tutto ciò, oggi la Sardegna tira (malamente) avanti come Regione a statuto speciale e farebbe altrettanto, o forse meglio, come Stato indipendente.

        Cosa potrebbe fare se un grande potere collettivo di trasformazione socioeconomica, collegato all’acquisizione di una piena autodeterminazione nazionale, ridesse voglia di fare e fiducia alle persone, gestisse meglio l’esistente, ripensasse daccapo il sistema fiscale, rimettesse in moto il tessuto produttivo, individuasse delle linee strategiche connaturate alle potenzialità del territorio? In attesa di rispondere a queste domande, sempre più persone sono impegnate o disponibili a impegnarsi per costruire una Repubblica di Sardegna politicamente libera, economicamente prospera, socialmente giusta, moralmente degna».

      • Gentile Garzia,
        prima di risponderle una premessa: non possiamo continuare ad occupare il blog di Biolchini per le nostre beghe (se pure ci fossero). Siamo clamorosamente OT. Se ne ha voglia, scriva qualcosa da qualche parte (nel nostro blog o nel suo) poi passiamo i prossimi cinque anni a litigare piacevolmente senza disturbare nessuno e magari ci scrive anche Mongili con suo cugino (il prof Mainstream).
        L’intervento di Sedda è, in tutta evidenza, del tutto campato per aria. Lei sa com’è strutturato il reddito sardo? 25% (in realtà meno e in calo) produzione industriale, 75% resto (dai servizi in poi). Se considera il debito pubblico (secondo lei se lo tiene Roma se ci separiamo?) mi spiega come fa? Glielo paga Sedda? Emettiamo SardoBond? Li compra il Banco di Sardegna prendendo a prestito soldi dalla BCE? Secondo lei glieli danno se non c’è la possibilità di onorarli? E quale sarebeb lo spread tra i Sardo Bond e i Bund tedeschi, 800.000? Avanti, per favore, non diciamo sciocchezze: in questo momento (e per un lungo futuro) un posto che non ha risorse, ha poca gente, non ha industria (né opportunità di averne senza un forte impegno pubblico, altro che storie) non ha alcuna possibilità di reggersi senza un aiuto forte di una comunità più ampia.
        Il fatto è che non è con le sciocchezze di Franciscu (gran brava persona che vive in un mondo tutto suo) che si risolvono i problemi. Se una via d’uscita c’è (ma non è mica detto, sa? Guardi la grecia e, tra breve, la tanto decantata Spagna) risiede nella capacità di chiedere un intervento statale, dando però in cambio una classe dirigente capace di gestirlo, ed è qui che arriviamo al dunque! I nostri politici sono una delusione (ma Sedda è peggio, perché non ha la minima iodea delle sciocchezze enormi che dice!).
        Alla fine mi lasci ridere: la battuta di Sedda sullo stato Italiano che continua a pagare le pensioni dopo la secessione è meglio dei LaPola: mi chiedo da dove l’abbia presa, davvero carina. Sedda non è l’unico capace di scrivere una sceneggaitura per Zelig su Limes, ma di certo è uno dei più bravi.
        Cordialmente,

      • Gentile Ainis

        Fin dal principio ho intrapreso questo scambio con Lei senza mai avere l’ambizione di “convertirLa” all’indipendentismo. Però ammetto di avere avuto la presunzione di credere di poterLa convincere a riconoscere dignità politica all’opzione indipendentista, senza per questo necessariamente condividerla.

        In realtà sono stato un ingenuo, per una ragione molto semplice: Lei non esiste. O meglio, non esiste nella maniera in cui Lei si presenta. Quello che esiste è una persona colta e intelligente rimasta ostaggio del personaggio che ha creato e dietro il quale si nasconde anche al di fuori dal contesto per il quale è stato creato.

        Personaggio che trovo geniale e che in “ArcheoloGGia NuraGGica” è di un’efficacia senza pari, ma che non ha alcuna ragione di esistere in un contesto di confronto come il blog di Biolchini.

        Accetto quindi il consiglio di liberare il campo, onde evitare di sentirmi ridicolo nel prendere sul serio un personaggio di fantasia e rispondere nel dettaglio e in maniera circostanziata ai suoi interventi in questo blog.

        Anche perché mi troverei costretto a ripetere delle cose che ho già detto e che il Suo personaggio scientemente ignora, allo scopo ogni volta di riazzerare l’argomento daccapo per neutralizzare l’interlocutore.

        Il Suo personaggio è creato per esigenze diverse dal confronto, infatti è caratterizzato dall’argomentazione “ad hominem”, che per altro è tipica della peggiore politica da talk show della Seconda Repubblica.

        (Ora, mi permetta di prendere in prestito una delle caratteristiche del Suo personaggio che è quella di salire in cattedra per impartire una lezione all’interlocutore).

        Secondo la Teoria dell’argomentazione un argomento si dice “ad hominem”, quando non è diretto a confutare una determinata tesi, ma a criticare o screditare chi la sostiene.

        Sempre la stessa Teoria distingue tre tipi di argomento “ad hominem”:

        – ingiurioso, che si ha quando l’argomenro contiene un attacco frontale alla persona che sostiene una certa tesi. Questo argomento è fallace in quanto la scarsa affidabilità di chi propone un argomento non implica che l’argomento stesso sia debole. (Esempio: «Il fatto è che non è con le sciocchezze di Franciscu (gran brava persona che vive in un mondo tutto suo) che si risolvono i problemi»);

        – circostanziato, che si verifica quando l’argomento è mirato a sottolineare una contraddizione tra la tesi criticata e il comportamento della persona che la sostiene. Questo argomento è fallace in quanto il fatto che chi propone un argomento non metta in pratica ciò che predica non implica che l’argomento stesso sia debole. (Esempio: «lasci stare la citazione da Maroni, che predica la fine degli stati nazione, poi propone la nazione padana, per favore almeno citi qualcuno di presentabile»);

        – l’avvelenamento del pozzo, che è una strategia argomentativa tesa a negare a qualcuno il diritto di esprimersi su un ben preciso argomento, in virtù della sua appartenenza a un determinato gruppo o al fatto di trovarsi in una certa condizione. Questa strategia è fallace perché è impossibile stabilire a priori che una persona proporrà un argomento cattivo senza aver ascoltato e valutato l’argomento stesso e solo per il fatto che fa parte (o ha fatto parte) di un determinato gruppo. (Esempio: azzerare ogni volta l’argomento è un modo di non ascoltarlo e valutarlo, che deriva chiaramente dal pregiudizio nei confronti dell’indipendentismo e quindi della mia “condizione” di indipendentista).

        L’avvelenamento del pozzo a sua volta si divide in tre tipi:

        1 – Accusa di pregiudizio, che è una strategia mirata a screditare una tesi negando obiettività a chi la sostiene e risulta fallace perché la forza di un’argomentazione va valutata indipendentemente dai pregiudizi, veri o presunti, di chi la propone;

        2 – Accusa di interesse, che è una strategia mirata a screditare una tesi affermando che il suo propugnatore non è disinteressato e risulta fallace perché la forza di un’argomentazione va valutata indipendentemente dalle finalità e dall’interesse del proponente;

        3 – Accusa di incompetenza, che mira a screditare una tesi negando a chi la sostiene la competenza o l’esperienza necessaria per dire la propria e risulta fallace perché la forza di un’argomentazione va valutata a prescindere dalla competenza o dall’esperienza del proponente.

        (Di esempi di questi tre tipi di avvelenamento del pozzo ce ne sono a bizzeffe nei Suoi interventi in vari post di questo blog).

        In ogni caso se ha voglia di esercitarsi nell’arte in cui il Suo personaggio è maestro, nel link che segue trova un mio ragionamento che, per altro, è perfettamente on topic rispetto all’argomento trattato da Biolchini.

        Cordialmente e con immutata stima per il personaggio (ma anche per la mente di chi lo ha partorito)

        Mario Garzia

        http://www.cagliarifornia.eu/2012/04/o-indipendenza-o-morte-per-fame-perche.html

      • gentarrubia says:

        fa piacere che qualcun altro abbia forrogato un po’ nella Rete per capire chi è Gabriele Ainis dopo aver inutilmente cercato di discutere…

        http://vitobiolchini.wordpress.com/2012/03/21/buon-compleanno-rossella-aspettando-la-liberazione-luniversita-di-cagliari-organizza-una-giornata-di-studio-sul-popolo-sahrawi/

      • Gentile Garzia (e gentarrubia),
        guardi che lei (voi) non è (siete) il (i) primo (primi). A corto di argomenti, ci hanno provato in molti, ad esempio Pintore (da cui è nato tutto; recentemente anche Mongili).
        Pintore mi ha ingiunto di non scrivere più nel suo blog (e a quanto vedo altri ambirebbero a non avermi più tra le scatole) Mongili pensa che io sia un suo collega che gli vuol male (Nota per Mongili: si tratta di una mia opinione personale, altrimenti mi manda il mainstream e mi morde)!
        Piuttosto che perdere tempo (inutilmente) a dare un volto all’inafferrabile Ainis, potrebbe gentilmente pensare a farsi due conti e valutare le sciocchezze dette da Sedda? Guardi che scrivere su Limes non impone che i lettori assumano dosi massicce di economia “a tipo Zelig&Colorado Café”.
        Faccia due conti, no? Si domandi, ad esempio, come farebbe la Sardegna a sostenere la propria quota di debito pubblico ereditata dopo la secessione (emette ShardanaBond?). Le pare una presa per il culo? Un argomento non rilevante? E che dire della composizione del reddito sardo in cui meno di un quarto proviene da attività produttive? Almeno si rende conto di cosa significa?
        Mi permetta: si rende conto che lei sfugge i problemi (veri, occupoandosi di chi sia io) e si affida a un Sedda che dimostra chiaramente di non avere la minima idea di come sia strutturata l’economia di un paese?
        In definitiva: parliamo dell’economia da Zelig di Sedda o di cose serie? Le pare che non gliene abbia sottoposto almeno un paio?
        Quanto al fatto che lei occupi il suo tempo nell’esegesi del nostro blog, la ringrazio (anche per i complimenti) ma proprio da Biolchini potremmo parlare di cose serie, non le pare? Mi dice del debito o no? Mi dice come fa un paese a sopravvivere con meno del 25% di produzione e il resto soldi (sempre gli stessi) che girano? E se la SARAS chiude (si ricordi che la SARAS è una fetta fondamentale di quel 25%, e non si metta a parlare di accise, come fa Sedda, per carità, legga prima da qualche parte chi le paga e dove nel caso di esportazione).
        Vuole un altro esempio? A marzo, il suo Sedda ha asserito (lo trova sull’Ugnone) che un buon esempio da seguire sia la Slovenia (a breve troverà un mio post sulla vicenda)!!
        Ma siamo matti? Ma secondo lei le pare ragionevole oppure Sedda vive in un altrove molto poco definito?
        Dai, per favore, piantiamola con l’esegesi di ArcheoloGGia NuraGGica e la multiforme personalità di Ainis (Biolchini ne avrà le palle piene!) e parliamo di cose serie.
        Cordialmente (sul serio),

        PS A forza di sentire queste cazzate sul fatto che non esisto, comincio a diventare trasparente e mi preoccupo: dovrò andare a Quartu da medico di Biolchini, oppure votare Grillo!

      • gentarrubia says:

        passa da Quartu per andare dal medico di Biolchini? la prende un po’ larga! ma, visto che c’è, controlli se hanno già messo i cartelli in LSC (Cellino è un benefattore della Sardegna!) per annunciare la prossima realizzazione del “kARALIS iS aRENAS”…

        Cordialmente

      • Una volta in questo blog sono stato censurato per aver scritto che il mio interlocutore mentiva sapendo di mentire. Sono contento che siano state allargate le maglie della censura, ma mi sorprende un po’ che oggi Biolchini consenta a un troll di interagire «con gli altri utenti tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l’obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi», per dirla con la definizione di troll fornita da Wikipedia.

        Perché se Gabriele Ainis nel suo blog è un personaggio adorabile, per le sue stesse caratteristiche nel blog degli altri diventa tecnicamente un troll. Un troll raffinato ma, visti i suoi obiettivi, pur sempre un troll. Quello che segue è un link dove si può trovare la descrizione dettagliata del personaggio “Gabriele Ainis”, fatta dal suo inventore (che a sua volta usa un nickname): http://boicheddusegurani.blogspot.it/2011/07/chi-e-gabriele-ainis.html#more

  8. Anzitutto se pensate che le politiche di conversione industriale possano essere elaborate e messe in pratica dai vari Giglio ( ma chini est?! ), i Passera e i Monti, – beh! – non cominciamo bene. Non è possibile importare modelli industriali altri, non adatti alla nostra realtà economica. Spetta alla classe dirigente sarda il ruolo chiave nel creare il modello piu adatto alla Sarroch e alla Sardegna di oggi. Buonsenso, competenza e tempismo. Saranno in grado i nostri ( sardi ) politici di coinvolgere i nostri migliori ricercatori e esperti del settore? Sapranno quando e come intervenire? …intanto 1) SARLUX continua a godere della priorità di dispaccimento e continua a produrre elettricità con scorie di lavorazione, ovvero TAR o FILTER-CAKE. 2) la sardegna non si è ancora dotata di una agenzia delle entrate, che comunque non potrebbe incassare le accise che vengono versate nei luoghi in cui i prodotti vengono stoccati enon in quelli in cui vengono prodotti. se servono soldi per investimenti, -beh!-, provvediamo a fare cassa. 3) CHI INQUINA PAGA, ribadire questo principio con una legge, statutaria o no.

  9. Marcus says:

    La Saras oggi rappresenta una buona percentuale dell’import-export sardo nonchè della produzione del PIL, dà lavoro diretto e indiretto a migliaia di persone. Se si considera solo il traffico marittimo generato a Porto Foxi si hanno circa 21 milioni di t/anno di prodotti e un movimento di oltre 6000 navi. E’ chiaro che non sarà così in eterno, per questo motivo occorre ripensare un futuro che non può essere solo di bonifiche e per rimanere sui numeri e per chi non ne fosse a conoscenza un impianto TAF (trattamento acque di falda) non offre più di 20-30 posti di lavoro stabili. A ruota chiuderebbero la Polimeri Europa e forse la Air Liquide, altre centinaia di posti di lavoro qualificati. Diciamo che l’intero apparato industriale del sud Sardegna verrebbe smantellato e non c’è albergo o fattoria che potrebbe sostituire una tale fonte di reddito, l’errore è stato fatto 50 anni fa, quando è stato scelto questo modello di sviluppo, oggi sarebbe troppo semplicistico affermare che l’agricoltura (qualla superassistita?) o il turismo (quello delle seconde case?) potrebbero sostituire l’industria senza creare contraccolpi mortali all’economia dell’Isola.

    • Sovjet says:

      Vero, ma sulle cose fatte 50anni fa non possiamo intervenire. Questo ci pone nelle condizioni di non poter controllare né il passato e neppure il presente, dal momento che questo dipende da scelte già fatte. Non possiamo fare più nulla per noi, ma forse qualcosa per i nostri nipoti sì, perché fra 50anni – come succede a noi oggi – si avranno ancora le coseguenze delle scelte (o non scelte) fatte oggi.

  10. Sovjet says:

    Io mi pongo un’altra domanda: e se domani invece che chiudere la Saras esplodesse? Cosa succederebbe? È un’ipotesi meno possibile del disastro di Fukushima?
    Siccome le ipotesi, nei calcoli vanno tutte valutate, potrebbe essere interessante mettere anche questa sul piatto.

    • Acronotau says:

      Visti gli incidenti che periodicamente succedono in quella fabbrica, mi sembra meno improbabile che il maremoto a Fukushima…

    • Gentile Sovjet,
      esplodere no (intendo tutta la raffineria). C’è la possibilità di incendi (peraltro mitigata dai sistemi di sicurezza). Quanto all’impatto di una raffineria in fiamme rispetto ad un evento come Fukujima direi che non sono neppure lontanamente confrontabili (a parte gli esiti immediati, sono le problematiche a medio, lungo, lunghissimo termine che fanno la differenza).
      Se poi si intende discutere della possibilità di migliorare il rapporto con l’ambiente e di convertire su lavorazioni meno impattanti, questo è un altro problema, sebbene, se parliamo di chimica, non è che la chimica “verde” sia meno impattante di quella di altri colori…(guardi questo, vecchiotto ma rende l’idea: http://exxworks.wordpress.com/2011/06/15/chimica-verde-in-sardegna-gli-intellettuali-discutono-sulla-denominazione-precisa-in-lsc/)
      Ciò non significa abbassare la guardia ed evitare di richiedere una continua evoluzione in termini di sostenibilità ambientale, sia chiaro, ma il problema rimane soprattutto uno: l’intensità occupazionale e il reddito generato dalle attività industriali sono, al momento, insostituibili.
      Cordialmente,

      • Sovjet says:

        Gentile Ainis, la mia naturalmente era soprattutto una provocazione, da qui l’utilizzo del termine “esplodere”. Così per dire che ci possono essere cose ancora più gravi della chiusura di un’industria (che per altro mi pare abbia già nei suoi piani la chiusura). Resta il fatto che un grave incidente alla raffineria comprometterebbe tutta l’area, che qualche importanza dal punto di vista turistico ce l’ha. Non so valutare con esattezza, ma mi piacerebbe saperlo.
        Sulla chimica verde non ho approfondito (colpa mia), ma devo dire che mi suona un po’ ossimorico. Ma l’aggettivo “verde” serve proprio per questo: basta accostarlo a qualsiasi sostantivo et volilà s’immaginano prati verdi e acque incontaminate. Potenza delle parole!
        Sul fatto che il problema risieda nell’intensità occupazionale siamo d’accordo. Sul fatto che tale intensità possa essere garantita da attività industriali che hanno altrove il loro centro strategico mi sembra un confidare troppo nella buona sorte. Inoltre, dovremmo dare anche noi un contributo alla salvezza del pianeta iniziando a ragionare in termini maggiormente compatibili con la scarsità delle risorse. Come essere ugualmente felici (o anche di più, visto che la felicità non pare esattamente tratto caratteristico della società in cui viviamo) ma con modelli di consumo più rispettosi dei livelli di rigenerazione delle risorse naturali? Questa è la domanda. Credo che saremo per forza costretti ad immaginarci qualcosa di diverso da quello stiamo vivendo, organizzarci per fare di più con meno (a questo dovrebbe servire la tecnologia, piuttosto che a bruciare posti di lavoro), uscire dalla ruota per criceti del consumo ad ogni costo.
        È semplice? No. Ma, da ottimista della volontà, se questo sarà il nostro obiettivo qualche risposta la troveremo. Come succede quando pensiamo di comprare un’auto nuova: prima pensavamo che non ve ne fossero in giro, ma concentrata l’attenzione sul modello, ne vediamo una ad ogni angolo! Speriamo che il nostro cervello funzioni così anche per garantire il futuro alla specie…

      • Gentile Sovjet,

        «organizzarci per fare di più con meno (a questo dovrebbe servire la tecnologia, piuttosto che a bruciare posti di lavoro)»
        Perfettamente d’accordo, la tecnologia serve esattamente a questo (e per questo è nata) e penso che, se usata nei dovuti modi, ci darà una grossa mano (se nel frattempo non succede altro…). Ci stanno lavorando in un sacco di posti (intendo lavorando seriamente: negli USA ci investono un sacco di denari, come in Germania, Francia, Cina…)

        Che la raffineria sia potenzialmente pericolosa, direi proprio di sì (ma io sottolineavo la differenza con un incidente nucleare, concettualmente diverso e molto più pericoloso).

        Infine un passo che mi incuriosisce: «Sul fatto che tale intensità possa essere garantita da attività industriali che hanno altrove il loro centro strategico mi sembra un confidare troppo nella buona sorte»
        Già, è vero, il problema è però un altro: come facciamo (essendo un milione e mezzo) a far sì che non sia così? Il problema è dare un senso ad «altrove», per questo insisto sul fatto che l’indipendenza sarebbe una sciocchezza; bisogna far sì che l’altrove sia più ampio del perimetro dell’isola e la comprenda. Come dice lei? Ah, sì: «È semplice? No. Ma, da ottimista della volontà, se questo sarà il nostro obiettivo qualche risposta la troveremo»
        Cordialmente,

  11. Vito ma gli illustri partecipanti sindacalisti ecc… che erano al convegno ce l’avevano una qualche idea di cosa fare, o si sono limitati a dire che bisogna fare qualcosa e in fretta ?

  12. pietro says:

    Forse è il caso di prendere in seria considerazione le teoria della ‘Decrescita’. (che non vuol dire ‘sottosviluppo’).
    I processi di deindustrializzazione sarebbe meglio governarli e non subirli.
    Bisogna prendere atto che il ‘mercato’ ha deciso la nostra ‘eslusione’ in quanto consideriamo ‘diritti’ quelli che in realtà sono dei privilegi (legge 300/70) e abbiamo quindi perso la ‘competizione globale’.
    Leggi cosa pensano i cinesi di noi europei: http://www.byoblu.com/post/2012/04/12/Avremo-le-palle-a-mandorla.aspx#continue

  13. Se chiude, siamo nella merda

  14. pabblobabol says:

    “Non immaginatevi di riconvertire l’area con alberghi e strutture turistiche, perché prima servirebbero cent’anni per bonificare”.

    Esatto: le bonifiche! E perchè, per bonificare non servono operai?
    O dobbiamo continuare a devastarci il territorio? Del fatto che la Sardegna ha il primato degli ettari contaminati (quasi il doppio della Campania) non ne parla mai nessuno. Soprattutto i sindacalisti.

    • Stefano reloaded says:

      Chi le paga le bonifiche?

      • Acronotau says:

        …chi inquina. o almeno così dovrebbe essere.
        Se la Saras chiude, deve mettere nel conto anche che deve bonificare.
        Imporre queste condizioni, è il ruolo che dovrebbe assumere la politica. a Moratti che ha investito e a chi investirà poi.

        “…se no ci rimane solo inquinamento e disoccupazione”

    • pabblobabol says:

      Le industrie che inquinano, esiste una precisa normativa europea su questo tema. E per farla applicare si sequestrano preventivamente i beni delle aziende che devono pagare le bonifiche. E’ ora di finirla di dare credito – e soldi – a questa gente.
      Ma avete presente come funziona la Sarlux? Azienda che fattura milioni di euro grazie ai soldi delle nostre bollette?
      Come se non bastasse ora, dopo aver devastato il sud-ovest della Sardegna questi signori puntano a trasformare il nostro territorio in una gruviera: ad Arborea, nel Medio Campidano, nel Golfo di Oristano e nel Golfo di Cagliari.
      E i sindacati sempre lì pronti a dare una mano.

    • Gabriele Ainis says:

      Gentile pabblobabol,
      le bonifiche sono sacrosante. Finite che siano, che facciamo? Non crede che sarebbe il caso di pensarci fin da subito?
      Cordialmente,

      • pabblobabol says:

        Certo, cominciamo a pensare a che fare, e nel mentre bonifichiamo. Se non vogliamo che quei 445mila ettari contaminati continuino ad allargarsi.

      • Gentile babblobabol,
        vuole bonificare prima di chiudere la SARAS?
        Cordialmente,

      • pabblobabol says:

        Gentile Gabriele,
        ma lei vuole bonificare?

      • Gentile babblobabol,
        sì, certo, una volta capito cosa sia necessario bonificare (e dopo che gli impianti non ci siano più). Attualmente SARAS lavora osservando le leggi in vigore in tema di inquinamento (se così non fosse non potrebbe operare, oppure gli enti preposti al controllo non fanno il proprio mestiere). Il termine “bonificare” indica il ripristino di una condizione reputata “non inquinata” compatibile con quello che vuol farci sopra. La cosa migliore sarebbe usare la medesima area per altri insediamenti industriali meno impattanti.
        Tenga conto anche di un’altra cosa: il “chi inquina paga” è uno slogan corretto (in linea di principio). Quando però si va sul pratico non è che sia così semplice (tutt’altro). Fino ad ora, in genere, gli oneri di bonifica si riversano spesso sulla comunità. Mi piacerebbe un parere del prof Pubusa in merito.
        Cordialmente,

      • Stefano reloaded says:

        Esatto.
        Una cosa è la grammatica, altra cosa è la pratica.

  15. siamo sicuri che il futuro dovrà essere per forza industria? A me questa storia del dover salvaguardare 50 anni di esperienza industriale sembra una grossissima stupidaggine.
    Le raffinerie (e tutta l’industria pesante) si costruiscono dove conviene logisticamente, l’esperienza la si importa per alcuni anni e la si trapianta. Le materie prime e la manodopera a minor costo no.
    In Sardegna l’unica alternativa all’industria pesante è smetterla di fare industria pesante.
    Vorrei poter trovare qualcuno che facesse questo semplice calcolo: somma dei finanziamenti e delle sovvenzioni pubbliche per mantenere in agonia Ottana, Arbatax, PortoTorres, Portovesme, i siti estrattivi, diviso numero degli operai di questi poli. Giusto per sapere quanto sarebbe costato riformare ognuno di questi UOMINI in attività lavorative in sintonia con territorio, tradizioni, salute e sostenibilità.

    • Gentile alecc,
      «attività lavorative in sintonia con territorio, tradizioni, salute e sostenibilità»
      Si offende se uso il suo lessico? Questa (detta così) «sembra una grossissima stupidaggine» (anzi, detto fuori dai denti, lo è!).
      Nessuno vuole «salvaguardare 50 anni di esperienza industriale» come dice lei, bensì difendere il diritto ad avere un’attività industriale di dimensioni almeno medie, altrimenti finiamo di nuovo con la balla del turismo e dell’agricoltura (entrambe falsamente non impattanti sul territorio, tra l’altro) oppure il miraggio della produzione di energia «pulita», che sono strutturalmente incapaci di sostenere un livello di vita che garantisca i diritti fondamentali che ci aspettiamo dalla società (istruzione e salute prima di tutto).
      Oppure, se mi sbaglio, il che è possibilissimo, provi ad elencare quali sarebbero le «attività lavorative in sintonia con territorio, tradizioni, salute e sostenibilità» che permettono di sostenere ospedali e scuole (queste ultime pessime, è vero, ma si può sempre peggiorare).
      Cordialmente,

      • Gentile Ainis
        la frase di Alec che lei cita non è uno slogan. Dietro c’è un’idea di progresso, verso cui tutti i cervelli che si arrovellano in tale materia, tendono e mirano. Certo non è cosa facile, altrimenti non si starebbe a parlarne in continuazione in tutto il pianeta. Sarà una rivoluzione (!). Anzi no: sarà una evoluzione.
        Per vederla già realizzata basta sono un poco di fantasia (io ce l’ho già bella chiara in testa). Il freno maggiore per me sono le persone che purtroppo questa visione non ce l’hanno, e non si sforzano neanche un pochino per provare a scorgerla.

      • Gabriele Ainis says:

        Gentile Ale Sestu,
        mica scherzo! Ammetto di essere ignorante (e poco fantasioso): mi farebbe lei un elenco delle «attività lavorative in sintonia con territorio, tradizioni, salute e sostenibilità»?
        Cordialmente,

      • Ma certo

        1. Sistema integrato di raccolta e riciclo rifiuti sul modello di Vedelago (hanno modificato una tecnologia tedesca e utilizzano macchinari che frantumano i rifiuti che normalmente finiscono all’inceneritore; si produce un granulato plastico di diverse dimensioni che viene utilizzato da piccole imprese per produrre oggetti diversissimi. viene utilizzato anche in edilizia in sostituzione alla sabbia di cava: producono pignatte più leggere e più resistenti. A vedelago raccolgono i rifiuti differenziati di una popolazione di 80000 persone circa, fanno un riciclo al 95% e hanno creato un indotto di 7000 posti di lavoro circa).

        2. Produzione e costruzione di hardware e strutture per energia rinnovabile (i pannelli che si producono adesso sono parecchio impattanti perché usano materie prime rare. si è calcolato che non ci sono abbastanza materie prime per la costruzione del numero di pannelli tale da sostenere il consumo globale di energia elettrica giornaliera. per questo si stanno studiando nuovi pannelli fatti con materie povere che hanno una resa inferiore ma che costano 1000 volte meno. un prototipo lo stanno facendo alla facoltà di fisica di cagliari. penso che si arriverà in breve tempo ad una soluzione accettabile. una volta che le rinnovabili saranno più economiche si deve riformare la rete elettrica: da un modello centrifugo da grandi centrali verso le piccole abitazioni -> ad una rete di microcentrali interconnesse sul modello della rete internet. si chiama democratizzazione dell’energia. Se crolla il consumo delle fonti fossili, crolla anche il prezzo perché si allontana il “picco” che è una specie di orizzonte degli eventi nei consumi. Si incrocia questo sistema con quello che stanno sperimentando in westfalia dove hanno installato altre microcentrali domestiche che vanno a energia fossile e vengono utilizzate da remoto in caso di emergenza; usano una tecnologia sviluppata per la fiat e emigrata in germania perché qui non la hanno capita)

        3. La sardegna è piena di endemismi (rarità botaniche). nel mio paesino si è scoperta una molecola estratta dall’elicriso che ha potente attività antiinfiammatoria. adesso il brevetto è stato comprato da una multinazionale farmaceutica e si sta pensando di avviare un’industria di coltivazione dell’elicriso (il principio attivo si trova in concentrazioni maggiori solo nelle piante del gennargentu) e di estrazione e lavorazione dell’estratto.

        4. Agricoltura sostenibile sull’esempio del progetto “adotta il tuo orto”

        5. Pacchetti turistici personalizzabili (questa non ve la spiego perché me la sto pensando questo periodo. comunque si punta su un turismo di piccoli numeri, non di massa, spalmato su tutto il territorio durante tutto l’anno)

        Ora faccia uno sforzo anche lei, gentile Ainis. Provi a rispondere con un paio di idee utili anche lei: è così che evolve la specie. Se si dice sempre NONONO, si finisce con l’estinguersi.

      • L'altro anonimo says:

        Concordo su tutto ed i miei complimenti per le belle idee. Spero che si riesca a metterle in pratica, per il bene di tutti!

      • la ringrazio. aggiungo che per metterle in pratica non si può più fare affidamento su terze persone ipotetiche. bisogna che ognuno di noi faccia la propria parte, per quello che può. anche lei: esca dall’anonimato e faccia un po’ di politica !

      • Acronotau says:

        Ale Sestu, assolutamente interessanti le tue idee, ma si sta parlando della Saras. tu faresti queste cose al posto della Saras?
        L’agricoltura sostenibile al posto della Saras? (tra l’altro, finchè in Sardegna l’agricoltura sostenibile e biologica sarà monopolio di una sola “cooperativa”, com’è stato finora, la vedo difficile…)

      • ma certo che no, ma che domande ! l’agricoltura si fa in zone fertili e non avvelenate.
        se chiudesse la saras prima di tutto smantellerei tutte le strutture metalliche per riciclarle, poi la riempirei di pannelli fotovoltaici. normalmente sono contrario all’utilizzo del terreno per impianti fotovoltaici: andrebbero costruiti sui tetti (il terreno è prezioso). però quel terreno è talmente avvelenato che non credo sia più recuperabile.
        i capannoni poi possono essere ridestinati in vari modi

      • Gentile Ale Sestu,
        adesso provi (se non le chiedo troppo) a pensare se le attività che lei ha elencato possano sostituire il reddito della SARAS. Le è mai passato per la mente che le attività che propone lei sono (se va benissimo) di mera sopravvivenza (ma in genere vivono di sovvenzioni)? Salvo una, l’HW per i pannelli solari, paradossalmente la meno adatta di tutte perché non riuscirebbe mai a proporre un prodotto a prezzi inferiori rispetto alla concorrenza asiatica (provi a leggere la targhetta del suo computer e veda un po’ dove lo fanno).
        A parte il suo lodevole sforzo, il problema vero è che anche la classe dirigente sogna ad occhi aperti come fa lei, con la differenza che lei è autorizzato a farlo (e un po’ la invidio) ma politici&C non dovrebbero.
        In bocca al lupo con il suo turismo personalizzabile ma soprattutto con l’elicriso.
        Cordialmente,
        PS per il riciclo le suggerisco un pomeriggio passato in rete a vedere i numeri veri.

      • non c’è bisogno di girare in rete.
        quando è necessaria una dose di verità rivelata, basta rivolgersi a lei.

        cordialmente

      • Gentile Ale Sestu,
        purtroppo con le battute non si risolvono i problemi, altrimenti Pili e Cappellacci ce li ricorderemmo come gli uomini politici migliori del secondo millennio e lei potrebbe ragionevolmente aspirare al posto di Passera (rigorosamente maschile).
        @Anonimo sottostante.
        Che io possa dire emerite cazzate è verissimo, però potrebbe anche essere interessante dire quali e perché: non è che una cazzate ne mandi via un’altra, come i chiodi.
        Cordialmente,

      • Anonimo says:

        Dalle argomentazioni da lei portate avanti non mi pare che sia un grande esperto del mercato delle energie rinnovabili.
        I suoi ragionamenti rieccheggiano quelli di chi pensava che avremmo raggiunto nel 2020 i livelli di produzione raggiunti nel 2010.
        Non si può pontificare su tutto, ogni tanto è bene astenersi.

      • Avere una attività industriale non è un diritto, bensì una possibilità che oggi ci è preclusa perché il mercato ci taglia fuori. L’unico diritto (purtroppo negato ai più) e quello di avere un lavoro.
        Che promuovere turismo e agricoltura sia una balla lo dice lei. Che siano strutturalmente incapaci…. lo dobbiamo alla mancanza di una classe imprenditoriale con le palle e la totale assenza di una classe politica capace di creare le strutture adeguate per questo tipo di attività molto meno impattanti e inquinanti. L’industria pesante in Sardegna è morta, e noi ci stiamo dissanguando per cercare di far resuscitare un morto. Ma nessun politico lo dirà mai, perché il loro obiettivo è quello di mettere una pezza sinché stanno sulla poltrona.
        E ora passiamo a individuare le attività: filiera del vino, filiera dell’olio d’oliva, filiera del tonno, filiera dei prodotti caseari, promozione delle eccellenze agroalimentari (zafferano, carciofo, carni pregiate, ecc.); promozione del territorio secondo modelli innovativi di turismo culturale; massicci investimenti nei campi della ricerca medico-scientifica (sfogliatevi qualsiasi numero dell’Almanacco di Cagliari per scoprire cosa tutto si fa nelle nostre facoltà e pensate cosa si potrebbe fare se girasse qualche soldo); manifatture e artigianato di alta qualità.
        Certo, se si fanno cose mediocri si sta fuori dal mercato anche con il pane. Ma lo spirito con cui inquadrare la mia visioni è lo stesso per il quale mai e poi mai si riuscirà a costruire una Ferrari (che considero artigianato tecnologico e non industria pesante) in Cina, e mai e poi mai uno spicchio d’aglio cinese avrà il gusto di uno sardo.
        Tutto questo logicamente va fatto con progetti a medio-lungo termine e soprattutto da investitori-imprenditori che abbiano la pazienza di accogliere i frutti col tempo. Volere tutto subito è uno sbaglio.
        E se queste le chiama stupidaggini più dell’ipotizzare una resurrezione dell’industria pesante, la invito a farsi una passeggiata a Ottana o nel lungomare tra Sarroch e Villa d’Orri (se ci riesce).

      • Gentile alecc,
        ho visto per caso il suo commento, né so quando è stato scritto. È un peccato perché esprime molto bene uno dei motivi per i quali, con buona probabilità, non ne verremo a capo (nel senso che finiremo in una crisi di cui, a mio avviso, ancora non si percepisce la portata): perché, purtroppo, parte rilevante della classe dirigente isolana ha le idee confuse come le sue (e come il buon Ale Sestu, ad esempio).
        Non sto a spiegarle perché le cose che elenca lei sono improponibili per la produzione di un reddito capace di sostenere le esigenze di una popolazione abituata a un tenore di vita di tipo «occidentale», dovrebbe pensarci da sé studiando un pochino (guardi, tanto per darle un’idea, anche Sovjet, di SEL, non un tecnocrate iperliberista, conviene con me sul punto). Lei può anche inventarsi un carciofo DOP (lodevolissimo, intendiamoci) ma che poi il carciofo e il basilico (e tutto il resto che dice lei) siano in grado di sostenere scuole, ospedali, università, biblioteche, è una pia illusione.
        Lo dico in altro modo: piuttosto che sognare (guardi che non è proibito, è bellissimo, intendiamoci) provi a mettere due numeri su un foglio di carta (o un foglio elettronico) e provi a vedere: 1) quanti carciofi (detto come sineddoche, ovviamente) deve coltivare per avere un livello occupazionale come quello della SARAS; 2) quanto territorio deve occupare (e non mi dica che un campo di carciofi è ecologico perché è una balla!); 3) che tipo di organizzazione sociale e territoriale ne deriva.
        Poi a lei potrà anche piacere una società piena di carciofi che non ha i soldi per curare una malformazione cardiaca (che sarebbe il risultato dei numeretti che le suggerisco di mettere su un foglio) ma a me, sinceramente, no!
        Ricordo adesso che ne parlavo proprio con Deliperi: certamente ha senso valorizzare le produzioni locali (ovvio!) ma pensare di non avere un’industria è folle (proiv a fare due conti, seriamente, se ne ha voglia).
        Cordialmente,
        PS – Non ci crederà, ma probabilmente Ottana la conosco quanto lei (io credo molto meglio).

  16. bilanciaguasta says:

    se domani, all’improvviso, chiudesse la Saras?!!!
    tre miei carissimi amici rimarrebbero senza lavoro…

  17. Gentile Biolchini,
    verissimo! SARAS è destinata a chiudere come ALCOA (ha già rischiato di farlo in un recente passato, per spostare gli impianti in Spagna). Non perché sia un’industria “sbagliata” ma perché le industrie hanno un ciclo vitale: nascono, vivono, muoiono (e devono essere rimpiazzate, come gli esseri umani).
    Fare in fretta? Sì, siamo già in ritardo di almeno trent’anni (da quando la politica ha smesso di tentare una programmazione e un indirizzo). Siamo in grado?
    No, ma non perché c’è Cappellacci. Soru non ha fatto di meglio e neppure chi c’è stato prima di lui. Per avere un’idea basta guardare l’agonia di ALCOA (c’è qualcuno tra maggioranza e opposizioni che propone qualcosa di sensato?).
    Perché non siamo in grado?
    Perché la nostra società non esprime imprenditoria e ciò accade perché negli ultimi decenni imprenditore è stato sinonimo di frullatore di soldi pubblici (così come i politici sono stati solo gestori della spesa). Quelli c’erano da prendere (i soldi) ed era molto più facile combattere alla RAS che non sul mercato.
    Vorrei dire anche due parole sul mondo intellettuale (ad esempio su Pruna) ma evito, altrimenti lei si incazza e io pure.
    Ne usciamo?
    Solo se ci mettiamo d’accordo tutti e la piantiamo di dedicarci alle scemenze: se ci sono i soldi, allora si può anche fare della LSC il motore dello sviluppo (perché no?, a lei piace andare alla partita e io amo il cinema, altri ameranno sentirsi Joyce scrivendo in sardo) ma se i quattrini latitano meglio dedicarsi alle cose serie.
    Personalmente (e potrebbe essere un’enormità) ritengo l’unica via d’uscita un intervento urgente dello stato, che dovrebbe mandarci un pezzetto di una qualche grande azienda a media tecnologia (partecipata: ad esempio Finmeccanica; in USA, patria del liberismo, si sono comprati la FIAT con i soldi pubblici: perchè noi no?). Diciamo anche un’altra cosa: domandiamoci se dobbiamo fare gli schizzinosi, perché (ad esempio) Finmeccanica è un colosso che va benissimo (salvo le ruberie per finanziare i partiti) ma produce sistemi d’arma.
    Infine: visto che spesso sono lontano (ad esempio adesso) mi illudo di poter vedere le cose con un certo distacco. Sarà una cazzata enorme, ma non mi pare che in Sardegna ci sia una consapevolezza precisa della gravità del momento. Non c’è neppure da queste parti (a cavallo tra Piemonte e Lombardia) ma sull’Isola mi pare peggio: che davvero ci possa essere qualcuno che vuole l’Indipendenza è talmente folle che sembra quasi una barzelletta. Così come vedo i partiti prepararsi alle elezioni facendo leva sull’autonomia!
    Cordialmente,

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