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Ci scrive Giuseppe Corongiu: “Attenti alle trappole! La ratifica della Carte europea delle lingue minoritarie potrebbe trasformarsi in beffa per il sardo. Ecco come”

Ricevo e molto volentieri pubblico questa riflessione dell’amico Giuseppe Corongiu sulle insidie che si nascondono dietro la ratifica della Carta Europea delle Lingue regionali e minoritarie, attesa prossimamente in Parlamento. Dopo i facili entusiasmi per la “bufala” della ratifica, bisogna stare attenti perché (come spiega bene Corongiu) lo Stato italiano dovrà decidere quale livello di tutela applicare alle sue lingue minoritarie. E in questo modo potrebbe depotenziare, di fatto, anche la storica legge 482 del 1999 che riconosce le 12 minoranze linguistiche in Italia. E’ necessario dunque tenere alta l’attenzione, per impedire che attraverso la ratifica della Carta si arrivi, paradossalmente, alla mortificazione dell’uso della lingua sarda.

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La presunta “ratifica” della Carta Europea delle Lingue regionali e minoritarie di qualche settimana fa, nonostante qualche scivolone di interpretazione procedurale e l’ottimismo ingiustificato dell’ufficio stampa del Governo di Roma, ha scatenato una nuova ondata di interesse per la questione mai sopita, e però mai esaltata, della nostra lingua “regionale”. Tutto sommato, anche se la vicenda politico-giuridica è ancora da definire, è stato un fatto positivo proprio per questo afflato di nuovo affetto per la questione linguistica sarda. Quando si accendono i riflettori su questa vecchia ferita che non vuole rimarginarsi, è sempre un bene. Perché per il resto, poi, la vita quotidiana di chi si occupa di politica linguistica in Sardegna, è grama tra polemiche inutili, indifferenza diffusa e sufficienza di giudizio e di impegno.

Conoscendo la natura rispettosamente deferente del senso comune dei sardi, anche della classe dirigente, nei confronti delle gerarchie e dei profili istituzionali, soprattutto romani, non c’era dubbio sul fatto che una presa di posizione, anche se minima, da parte del Consiglio dei Ministri, avrebbe provocato una nuova e superiore sensibilità nei confronti della politica linguistica della lingua sarda, tema solitamente ritenuto non prioritario nell’agenda politico-giornalistico-sociale. Sensibilità, purtroppo, a volte, effimera. A torto, secondo me, ma si sa il mio è un parere di parte di una professionalità giudicata, e ritenuta da alcuni, troppo “militante”. Qualsiasi cosa ciò voglia dire di un tecnico professionista in un settore spesso poco scandagliato da quelli che contano veramente.

E’ così è stato. Il Governo Romano compie un piccolo e tardivo passo in avanti nel riconoscimento di diritto (perché di fatto la questione è molto controversa) per la lingua sarda (e quella catalana di Alghero) e ciò provoca un moto di entusiasmo, un rinnovato interesse e la ripresa di infinite discussioni. Speriamo che non segua il silenzio e l’inerzia, soprattutto degli intellettuali, anche quelli solo italofoni e italografi, quelli che dovrebbero denunciare i soprusi culturali, ma che sul rischio che la nostra lingua si estingua spesso preferiscono tacere. In genere, infatti, sul merito della politica linguistica non si parla. Si sbraita invece spesso per offendere gli operatori che, come è noto, sono solo <incompetenti, ignoranti e imbroglioni interessati al denaro più che alla vicenda linguistica e culturale>. Più volte, in questi anni, abbiamo sentito questa accusa. Non suffragata da prove, ma si sa, gli stereotipi viaggiano automuniti. In mezzo alle varie banalità da “bar dello sport” colpisce però soprattutto il silenzio reiterato dei media, o la sordina malcelata (che è lo stesso), di quelli che potrebbero dettare l’agenda politica, ma che non ritengono la questione “rilevante”. Il più delle volte.

Come sa chiunque la ratifica dei trattati sopranazionali è competenza del Parlamento per cui, il Governo, anche volendolo e dichiarandolo non avrebbe potuto mai ratificare la Carta, come annunciato in prima battuta da un fallace comunicato stampa. In realtà l’esecutivo guidato da Mario Monti ha semplicemente approvato un disegno di legge che sarà poi discusso, e forse approvato, dalle Camere. Un avanzamento,  certo, anche importante, ma non la tanto strombazzata “ratifica” che è ancora di là da venire. E chissà se verrà nell’ultimo scampolo di questa legislatura,  condannando di fatto l’Italia a essere, insieme alle ultranazionaliste  Francia e Grecia (leggere a questo proposito le opere del friulano William Cisilino), gli unici stati nazionali dell’area europea occidentale a non garantire un minimo di tutela reale alle  proprie minoranze. Pessima compagnia.

E certo, per gli italiani e i sardi, questo atteggiamento antiliberale della Repubblica, che nega nei fatti un diritto collettivo riconosciuto mondialmente, quello alla difesa della propria lingua, non è un qualcosa di cui vantarsi.

Anche il fatto che il Governo, nel comunicato del 9 marzo, abbia messo le mani avanti, sostenendo che si trattava solo di una formalità, visto che nel 1999 si era approvata la legge 482/99 che riconosceva dodici lingue minoritarie, non è esattamente condivisibile. La legge 482, anche se è stata uno strumento importantissimo, già da diversi anni langue nell’assenza, o nella estrema leggerezza, per non dire inconsistenza, di dotazioni finanziarie sufficienti. Per l’annualità 2012, il Dipartimento degli Affari Regionali, ha stanziato per le 12 lingue riconosciute la “bellezza” di 1 milione e 700 mila euro (più o meno il costo del contributo a un artigiano per la realizzazione di un capannone in un’are industriale non troppo importante). Nel 2001, tempi d’oro, si viaggiava sui 10 milioni di euro. Inoltre, il livello di protezione delle lingue assicurato dalla legge non è certo quello massimo che ci si aspetterebbe. Nessun obbligo, nessuna tutela reale, nessuna efficacia pianificativa linguistica. Solamente, la possibilità di tutelare con azioni limitate “a progetto” e mirate la lingua nella scuola, all’università, nelle amministrazioni pubbliche, nei media. La Rai, per dirne una, si è sempre rifiutata, nonostante la legge, di sostenere e produrre in proprio i programmi radiotelevisivi. E questo nonostante obblighi precisi derivanti da norme del Contratto di Servizio. Quel poco che si fa, viene a fatto a spese delle Regioni e in orari quasi inaccessibili. E senza controlli sulla qualità e sugli obiettivi reali di rivitalizzazione linguistica (che è cosa diversa dalla folclorizzazione e museificazione della lingua).

In realtà, stante la tradizione italiana monolingue e avversa a qualsiasi tipo di multilinguismo, le uniche lingue ”altre” realmente tutelate in Italia sono quelle protette da trattati internazionali imposti alla Repubblica all’indomani della sconfitta dell’ultimo conflitto mondiale. Tedesco in provincia di Bolzano, francese in Valle d’Aosta e Sloveno in Friuli (anche se gli sloveni hanno dovuto aspettare fino al 2001 per vedere approvata una legge sull’istruzione bilingue). Ladini e francoprovenzali, in Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta, hanno beneficiato di rimbalzo delle maggiori tutele di queste lingue minoritarie “privilegiate” perché confinanti con grandi potenze.

Per gli altri, soprattutto per sardi e friulani, che parlano le lingue più importanti e diffuse in un vasto territorio “regionale”, la vita è sempre stata grama. La stessa 482 non distingue tra piccole lingue d’enclave e lingue regionali-nazionali e parla indistintamente di minoranze linguistiche storiche. Fino alla recente sentenza della Corte Costituzionale del 2009 che, cassando alcune parti di una legge regionale friulana del 2007, ha ribadito alcuni paletti limitativi alle Regioni, in particolare in materia di istruzione scolastica in lingua minoritaria. Sostanzialmente lo Stato, riconosce che l’istruzione “in lingua” si può fare, ma avoca a se la competenza di legiferare in materia sull’ordinamento scolastico e blocca ogni iniziativa regionale sulla questione. Allo stesso tempo però non legifera, e non interviene concretamente, nel senso di migliorare la 482 (che sul tema è evasiva e barocca) e quindi di fatto blocca le 12 lingue sul limite della soglia principale delle autonomie scolastiche. Un piede è dentro, ma l’altro è fuori. Precarietà ed episodicità sono la conseguenza.

Di fatto lo Stato ha un atteggiamento ipocrita. Fa finta di preoccuparsi delle minoranze per non incorrere in sanzioni o censure europee, ma vieta alle Regioni di legiferare sul proprio territorio con la scusa di “difendere” l’autonomia sacrosanta delle istituzioni scolastiche. In assenza di previsioni specifiche statutarie, le istituzioni regionali, anche ad autonomia speciale, devono inchinarsi alla supremazia della potestà statale che nella riforma del titolo V non ha incluso al devoluzione di tale competenza.

A questo impasse, il Consiglio regionale sardo, facendo tesoro dell’esperienza friulana, aveva reagito giustamente e intelligentemente con la legge 3 del 2009, mai impugnata dal Governo, che ha introdotto la possibilità di insegnare il sardo in orario curricolare. Una “furbizia” legislativa che sfruttava l’unico spiraglio giuridico esistente.  Sempre “a progetto”, sempre con limiti ordinativi e finanziari, ma con il merito di aver fatto entrare il sardo a scuola dalla porta principale, senza relegarlo ai “laboratori” pomeridiani. Novanta scuole hanno usufruito di questa legge, ma certo, una misura di questo genere è una buona trovata di amministrazione creativa, riempie un vuoto momentaneo, ma non basta e non può essere considerata un approdo definitivo.

Il vero traguardo per le 12 lingue riconosciute dalla 482/99 dovrebbe essere una nuova legge dello Stato, sul modello di quella slovena del 2001, che consenta l’educazione completa bilingue nei territori di riferimento delimitati. Oppure una modifica Costituzionale, o dei rispettivi Statuti sardo e friulano, che consenta di approvare una legge quadro regionale con effetti concreti sulle autonomie scolastiche.

Nel frattempo, ci si chiede, la questione della Ratifica della Carta è decisiva e rilevante? Alcuni pensano di no. Io credo di si, soprattutto se il livello di protezione per il sardo fosse innalzato rispetto alla 482/99. Cosa difficile, ma non impossibile.

Per capire bene il problema, facciamo un poco di cronistoria. Certo è un po’ faticoso, ma la fatica aiuta a informarsi e a informare bene. Uno dei problemi della politica linguistica è proprio l’annosa mancanza e penuria di tecnici competenti, relegati quasi sempre al ruolo di comparse. Pertanto prevalgono gli ideologismi e i pressapochismi. Se, infatti, l’argomento non vale la pena, non è in agenda,  perché coltivare figure professionalmente significative e invece non fidarsi dei soliti filologi museificatori bipolari, degli esperti di folclore o degli ultimi arrivati pensionati e dopolavoristi? Già, perché?

Si è detto che Il Consiglio dei Ministri nella recente seduta del 9 marzo scorso ha approvato un disegno di legge con il quale si intende proporre al Parlamento il testo della Carta Europea delle lingue regionali o Minoritarie del Consiglio d’Europa (adottata a Strasburgo il 05.11.1992, entrata in vigore il 1° marzo 1998) che lo Stato italiano, dopo lunga attesa, si appresta a ratificare dopo averla sottoscritta.

Il testo del disegno di legge, che ancora mentre si scrive non è pubblico, andrà in visione e discussione alle due Camere per la definitiva approvazione. Prima del passaggio alla Camere, il testo sarà visionato dal Quirinale. Il 4 aprile alla Camera, cominceranno le audizioni della commissione competente. Si parte da due proposte quelle di Zeller e Mecacci. Non essendo pacifica la ratifica, e neppure il contenuto del provvedimento legislativo, sarebbe opportuna una vigilanza costruttiva della Regione, e dei Parlamentari sardi,  al massimo livello istituzionale, sull’iter del provvedimento.  Con azioni concrete e incisive.

A questo proposito, a mio parere, il Presidente della Regione Ugo Cappellacci, in quanto rappresentante istituzionale del popolo sardo, bene ha fatto a sollecitare l’attenzione di deputati e senatori al fine di vigilare sull’approvazione della Carta. E bene hanno fatto alcuni parlamentari sardi, a rispondere all’appello e a dichiarasi disponibili. Cosi come si capisce che altri sono sensibili al problema.

L’attuazione della Carta, infatti, potrebbe essere molto importante per la Regione Autonoma della Sardegna, perché, dal momento in cui il Parlamento la dovesse ratificare, lo Stato sarebbe obbligato a garantire il livello di protezione minima delle lingue regionali o minoritarie, e garantire obbligatoriamente, pena l’intervento sanzionatorio dell’Europa, tutta una serie di misure di promozione e tutela a scuola, nella pubblica amministrazione, nei media, nella RAI, nell’economia, nel sociale e nelle università.

Questo solleciterebbe anche, da parte dello Stato, un obbligo a congrui interventi finanziari a sostegno delle politiche linguistiche della Regione o degli Enti locali come già in parte si fa grazie alla legge statale 482/99.

Già in passato, il Parlamento con un disegno di legge, approvato dalla Camera dei Deputati il 16 ottobre 2003, aveva previsto la ratifica della Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie, dopo aver già effettuato con la legge del 15 dicembre del 1999 n. 482 (art. 2) il riconoscimento delle minoranze linguistiche storiche esistenti su tutto il territorio statale, dando così attuazione all’art. 6 della Costituzione. Per la Sardegna, con la legge citata, venivano individuate e legittimate due minoranze linguistiche storiche: il sardo e il catalano di Alghero.

Nel 2007, l’identico iter veniva riproposto con una nuova approvazione da parte della Camera dei Deputati, ma il provvedimento veniva affossato al Senato in particolare per l’opposizione e la netta contrarietà della Lega. Da allora, il disegno di legge non era stato più riproposto fino alla riunione del Consiglio dei Ministri del 9 marzo u.s., in particolare per le pressioni esercitate dalla CONFEMILI, organizzazione storica delle minoranze linguistiche italiane, presieduta da Domenico Morelli.

Non vi è dubbio che l’adozione di questa Carta rappresenti un passo molto importante nella tutela delle lingue minoritarie presenti su tutto il territorio, ma la sua efficacia dipenderà dalle misure di salvaguardia che il Parlamento indicherà al momento della ratifica. Per tale motivo si intende richiamare l’attenzione sul meccanismo di attuazione previsto dalla stessa Carta, la quale in considerazione delle condizioni specifiche e delle tradizioni storiche proprie di ciascuna regione dei Paesi d’Europa, ha previsto che gli Stati siano liberi, al momento della ratifica, di individuare, non solo le lingue oggetto di tutela, ma anche le misure da adottare per la loro salvaguardia.

L’unico vincolo per gli Stati ratificanti (art. 2 della Carta) è quello di assicurare l’applicazione di almeno trentacinque paragrafi scelti tra le disposizioni della Parte III della Convenzione. Nel testo finale, quindi, in assenza di sorveglianza politica costruttiva potrebbe emergere la cruda realtà di una lingua sarda che non solo non conferma o estende le sue norme di tutela, e quindi i suoi ambiti di utilizzo, ma anzi rischia di perderne la gran parte. Tutto ciò pensiamo non per cattiva volontà o insipienza, ma per una difficoltà intrinseca del meccanismo previsto per la ratifica della Carta che può sicuramente trarre in inganno più d’uno. Ed è utile dunque esserne informati.

Il documento approvato dall’Unione Europea prevede infatti, una serie di livelli e ipotesi di protezione e garanzie per le lingue, lasciando poi liberi gli Stati di scegliere il grado di tutela nei diversi settori dell’amministrazione pubblica, dell’istruzione, della giustizia, dell’economia e della sanità. Va da sé che, per assicurare l’istruzione nella lingua minoritaria o assicurare una parte rilevante dell’istruzione nella relativa lingua, così come per assicurare la diffusione e l’uso della lingua minoritaria nella vita pubblica ossia nei rapporti con la pubblica amministrazione, davanti all’autorità giudiziaria o nello svolgimento di un’attività economica,  sia necessario che in legge venga scelto un livello di protezione “alto” e non “basso”. Una scelta di protezione di livello “basso” potrebbe comportare anche un arretramento rispetto alle conquiste fatte con la legge 482/99.

E ci sono voci a Roma, negli ambienti ben informati, che sostengono, che per il sardo e friulano si stai preparando una “trappola” di questo genere. Come del resto si era già tentato anche in passato, nel 2007. Insomma, una beffa scontata dopo il prevedibile e spontaneo giubilo.

Certo, la legge 482 sarebbe comunque in vigore e sarebbero fatte salve le norme più favorevoli, ma un abbassamento “ideale” del livello di protezione del sardo (o del friulano o delle altre lingue) potrebbe rendere inefficace l’uso della Carta quale strumento di diritto per richiamare l’Italia ai suoi obblighi di tutela in sede europea. Anzi, ipocritamente l’Italia, in questa sciagurata ipotesi, potrebbe anche sostenere la paradossale ipotesi di tutelare le “sue” lingue anche oltre i limiti imposti della Carta.

Il solito fariseismo italico in materia di protezione linguistica.

Innalzare il livello di protezione nella Carta, invece, potrebbe creare le condizioni in un prossimo vicinissimo futuro per l’approvazione di leggi più favorevoli per la tutela, in particolare per quella scolastica delle lingue minoritarie. Vale la pena cogliere la palla al balzo? Sfruttare l’occasione invece che lasciarla correre? Si convinceranno la classe dirigente sarda, l’opinione pubblica, il ceto medio istruito della splendida risorsa che ha la Sardegna nel possedere una lingua propria (insieme ad altre) e che formidabile arma di identificazione comunitaria questa possa diventare?

La risposta a chi legge. Il parere di chi scrive credo sia noto.

Io credo che sia utile dunque vigilare a ogni livello  nella speranza di assecondare costruttivamente l’iter del Parlamento cercando di far valere le proprie ragioni in materia di protezione linguistica, in accordo con le altre minoranze. In ciò non ci aiuterà l’atteggiamento antiliberale di fatto, se non di principio, della Repubblica, che ancora fino al 15 dicembre 1999, non aveva fatto altro che proseguire la politica linguistica di glotto-genocidio del Regime fascista e del Regno sabaudo. Del resto, la protezione delle minoranze linguistiche interne riconosciute è una questione di rispetto dei diritti civili e della diversità. L’Italia non può sottrarsi, così come l’Europa dovrà pretendere, oltre  che al rispetto della regolarità dei  bilanci, anche a quello delle salvaguardia delle lingue riconosciute e presenti sul suo territorio.

Farsi “audire” dalle commissione competenti sarebbe utile. Anche delle semplici interrogazioni o interpellanze parlamentari sul contenuto dei disegno di legge e sul livello di protezione assegnato al sardo potrebbero essere efficaci. Anche l’attenzione al e dal Parlamento Europeo.

Il riconoscimento effettivo di minoranza linguistico-nazionale per la Sardegna, tutelato dal Consiglio d’Europa e dalla ratifica della Carta, anche in considerazione dell’applicazione per la Sardegna della “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali”, potrebbe essere propedeutico anche alla problematica dei seggi rappresentativi dedicati della Sardegna al Parlamento Europeo, al di là dell’annosa questione della ridefinizione dei collegi elettorali e di una legge statale, anche quella, che potrebbe essere modificata per intervento europeo su violazione accertata dei trattati.

Basta volerlo: la volontà dei popoli, assecondata dalle élite che contano, muove la storia. E salva le lingue che sono patrimonio di tutti. E salva la dignità di ognuno.

                              Giuseppe Corongiu          

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13 Comments

  1. Comenti eus a fai nos cun totu custu qualunquismu!
    A ogna modu chi ddi poni manu custu guvernu teneus feti de timiri… economisteddus politicantis chi no bint prus atesu de unu pramu de nasu… D’ant a sciri ita est una lingua!!!
    Raju!

  2. pisenti says:

    SARDOS CUSTA EST S’ORA
    17 marzo 1861: il giorno del grande inganno! L´atteso passaggio del Regno di Sardegna in Regno d´Italia non avviene nonostante il disegno di legge fosse pronto. Centocinquant´anni dopo, tra le celebrazioni e le contestazioni contro lo Stato unitario, gli storici negano che un siffatto passaggio legislativo fosse mai stato predisposto. Sarà un giovane studioso a scoprire che il mancato mutamento fu dovuto all´interferenza dello Stato Pontificio…Nell´anno 2011 a Firenze – capitale della Repubblica di Sardegna – il giovane studioso Austinu Moro scopre come nel lontano 17 marzo 1861 le trame dello Stato della Chiesa fanno fallire il sogno di politici e di élites intellettuali di cancellare il Regno sardo e far nascere quello italiano. A guidarlo nella ricerca è non solo il relatore della sua tesi ma soprattutto il diario del suo trisavolo e omonimo, sbarcato a Torino, allora capitale del Regno, come insegnante. Nel marzo del 1861, quando il parlamento subalpino stava per trasformare lo Stato sardo in Stato italiano, il Regno di Sardegna in Regno d´Italia, Vittorio Emanuele II re di Sardegna in re d´Italia, lo Stato Pontificio intervenne per cambiare il corso della Storia. La grave ingerenza di uno Stato estero negli affari interni della Sardegna influenzò le scelte dei suoi rappresentanti politici. Lo Stato continuò a essere sardo e non italiano non per libera scelta, ma per l´irresistibile ricatto di una potenza straniera. Un romanzo di fantapolitica che ci fa riflettere sugli avvenimenti storici che hanno determinato l´Unità d´Italia
    Savvreschida de sa vida

  3. Assurdo says:

    Rispondo a tutti quelli che, irritati, hanno risposto al mio post: sto conducendo una ricerca sui blog, ed in particolare sul fenomeno dei troll (secondo l’accezione del termine in uso su internet). Il mio messaggio era volutamente provocatorio e tendente a verificare il numero di persone che abboccavano alla provocazione. In effetti, in questo thread, ci sono cascati in pochi ma probabilmente dipende da fatto che non ha destato grande interesse, al contrario di altri su questo blog. Forse ho sbagliato bersaglio. Mi scuso se vi ho “usati” e vi ringrazio per il contributo.

  4. Alessandro Mongili says:

    E’ vero signor Assurdo, con tutti i problemi che abbiamo in Sardegna non è il caso di occuparci di coste, patrimonio archeologico, eventi culturali, Teatro lirico, disabilità, matrimonio omosessuale, divorzio veloce, adozione ai single, educazione democratica, bambini e forme di educazione domestica, ma solo di “quello che è veramente importante”, come ha detto l’onorevole D’Alema, intendendo probabilmente quello che interessa lui e altri Assurdi simili.
    Le consiglio, carissimo signor Assurdo, di capire quanto sia rilevante la cosa per i Sardi che lei probabilmente non frequenta, guardandosi i dati della ricerca sociolinguistica del 2006/2007 (googli “Le lingue dei sardi” e si scarichi il pdf gratis, anzi de badas).

  5. Giuseppe Corongiu says:

    Bravo Angioi, tu si che hai capito tutto…chitssà quale elemosina si nasconde dietro il rivendicare un diritto che l’Europa ci riconosce. Continua così, ripeti gli slogan che hai sentito dai tuoi capi.

  6. Mario Carboni says:

    In effetti motivi di preoccupazione esistono in quanto la ratifica e il suo deposito secondo le regole previste dal trattato prevedono la possibilità di allegare o una lettera o una o più note a verbale con precisazioni o interpretazioni unilaterali da parte dello Stato ratificante sia su questioni di spirito generale che su interpretazioni restrittive o anche critiche e di concreta non accettazione di parti o singoli articoli del trattato.
    Ciò è possibile sia nella fase di deposito dello strumento d’accettazione ovvero di firma che nella fase di deposito dello strumento di tatifica che appunto dipende dalla legge approvata dal Parlamento di ciascun paese.
    Nel sito del Consiglio d’Europa è possibile leggere le posizioni degli Stati suoi componenti.
    Tipica dichiarazione negativa è quella della Repubblica francese che appunto non ha ancora nè firmato nè ratificato la Carta….

    …….Declaration contained in the full powers handed to the Secretary General at the time of signature of the instrument, on 7 May 1999 – Or. Fr.

    France intends to make the following declaration in its instrument of ratification of the European Charter for Regional or Minority Languages:

    1. In so far as the aim of the Charter is not to recognise or protect minorities but to promote the European language heritage, and as the use of the term “groups” of speakers does not grant collective rights to speakers of regional or minority languages, the French Government interprets this instrument in a manner compatible with the Preamble to the Constitution, which ensures the equality of all citizens before the law and recognises only the French people, composed of all citizens, without distinction as to origin, race or religion.

    2. The French Government interprets Article 7-1, paragraph d, and Articles 9 and 10 as posing a general principle which is not in conflict with Article 2 of the Constitution, pursuant to which the use of the French language is mandatory on all public-law corporations and private individuals in the exercise of a public service function, as well as on individuals in their relations with public administrations and services.

    3. The French Government interprets Article 7-1, paragraph f, and Article 8 to mean that they preserve the optional nature of the teaching and study of regional or minority languages, as well as of the history and culture which is reflected by them, and that the purpose of this teaching is not to remove from pupils enrolled in schools on the national territory the rights and obligations applicable to all those attending establishments providing the public education service or associated therewith.

    4. The French Government interprets Article 9-3 as not opposing the possible use only of the official French version, which is legally authoritative, of statutory texts made available in the regional or minority languages, by public-law corporations and private individuals in the exercise of a public service function, as well as by individuals in their relations with public administrations and services.
    Déclaration ci-dessus relative aux articles : 1, 10, 7, 8, 9….

    Non si può quindi escludee che anche il Parlamento italiano ci riservi brutte sorprese..

    Quindi massima mobilitazione e pressione da parte di chi è portatore di legittimi interessi dei sardi, siano essi partiti, movimenti o associazioni.
    Credo che sia il caso, recependo il suggerimento, che Su comitadu pro sa limba sarda richieda d’essere convocato e sentito da parte della Commissione che ha in carico il DDl del Governo per la ratifica

    Mario Carboni

  7. Angioy says:

    Hai ragione assurdo,dobbiamo andare tutti a Roma a chiedere l’elemosina,cosi’ risolveremo tutti i problemi!

  8. Giuseppe Corongiu says:

    E’ vero, rinchiudeteci tutti in manicomio, insieme a questi insulsi di Parlamento e Governo che vogliono ratificare la Carta. La Sardegna sarà più ricca e felice.

  9. Assurdo says:

    Ma con tutti i problemi che ci sono in Sardegna bisogna proprio perdere tempo e soldi con queste idiozie della lingua sarda? Ma roba da matti!

    • nanni falconi says:

      Cun totu sos probremas chi amus in sardigna bi cheret puru chi unu legat tzertos cummentos chei custu pro s’atzolare sa vida. Roba de macos!

    • Con tutti i problemi che ha la lingua sarda bisogna proprio perdere ancora tempo e soldi in idiozie vere?

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