Politica / Sardegna

Mi scrive Gianfranco Murtas: ” Il sardismo che oggi compie 90 anni è altra cosa da quello delle origini, ma Maninchedda è una speranza per i quattro mori”

Il mio amico Gianfranco Murtas, studioso appassionato oltre che della Chiesa sarda e della Massoneria, anche delle vicende legate a illustri esponenti del Partito Sardo d’Azione, mi regala questa riflessione in occasione dei 90 anni del partito fondato da Lussu. Espone anche un giudizio sul consigliere regionale Paolo Maninchedda. L’articolo apre a molte considerazioni e mi riservo di intervenire alla fine del dibattito.

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Caro Vito,
nel mezzo delle grandi questioni discusse circa la cattiva politica e la cattiva legislazione/amministrazione che impazzano nel bel Paese e nel mezzo delle inquietanti vicende di guerra, di rivolgimenti nelle relazioni estere e di paura per le malattie delle centrali atomiche – materie tutte che giustamente hanno preso l’opinione pubblica –, uno spazio, almeno sulla nostra stampa, è stato recentemente riservato alla circostanza di calendario del 90° di fondazione del Partito Sardo d’Azione. E dunque per quel tanto di cure che ho riservato lungo molti anni, con amore di democratico, a quella formazione (e che in parte, e non banalmente, hanno coinvolto anche te, Vito, nella più giovane età) mi sento in obbligo di esprimere qualche considerazione, in libertà e senza pretesa alcuna di cattedra. Per arrivare ad una conclusione che anticipo: che onestà vorrebbe si dichiarasse che il Partito Sardo di oggi, così come per certi e diversi aspetti nei due decenni precedenti (quelli dell’ubriacatura nazionalitaria), è altra cosa rispetto a quella che fu pensata all’indomani della grande guerra e attraverso le complicate fasi del Movimento dei combattenti, e anche rispetto a quella che fu dopo ancora, nel contrasto al fascismo e nella costruzione e nel consolidamento della Repubblica.

Perché quando si vede la nobile bandiera dei quattro mori – che in tante copertine ho proposto nel nesso con il tricolore italiano, perché alludeva alla feconda relazione istituzionale e politica fra Sardegna e Italia (e poi, meglio, Repubblica italiana) – sempre più allineata ai simboli della screditata politica della destra di cartapesta, senza ideali e senza morale, mercantile e populista ben si capisce – se si vuole capire – che il salto è compiuto. Legittimo sul piano delle facoltà esercitate da organi dirigenti eletti da cittadini militanti nell’associazione detta politica, incredibile e impossibile sul piano della coerenza ideale ad una storia.

Lo svilimento etico che ha preso anche tanta parte dell’area progressista (o sedicente tale), ma radicata comunque nei riferimenti valoriali antichi – il 25 aprile parla sempre a certuni e non ad altri, e così il 1° maggio – non esime dal guardare ad un Partito Sardo fattosi interno soltanto a logiche di potere e privatosi così da solo di energie contestative volte però, sempre in positivo, ai grandi progetti.

Si pensi alla carta di Macomer del 1920, vigilia della fondazione del  partito, si pensi ai ponti cercati con i partiti autonomisti della penisola (e il loro ripudio quando l’involuzione fascista cambiò lo scenario),  si pensi ai rimandi mazziniano-cattaneani sul quotidiano “Il Solco”, si pensi alle elezioni proporzionali del 1919 e del 1921 – ora finalmente con Lussu parlamentare – ed a quelle estreme del 1924, con l’intervista di Lussu raccolta per la prima pagina della Voce Repubblicana da un giovane come Cesare Pintus. Pintus, il mazziniano di Giustizia e libertà convocato alla galera fascista, alla tubercolosi, alla esclusione dall’albo professionale, fino al riscatto della sindacatura democratica di Cagliari martoriata, a regime sconfitto, e fino anche alla morte prematura sopraggiunta per tanta concentrazione di fatiche. Che storia, se la si confronta con quella del politburo del Partito Sardo di questi anni. Perché le diverse contingenze storiche non autorizzano a rovesciare l’orientamento degli ideali, la tensione alla politica bella, la disponibilità al sacrificio per una causa che non fa guadagnare né denaro né assessorati né segreterie particolari.

E ripenso all’impegno faticoso e rischioso nei nuclei catacombali di Giustizia e libertà (ecco il nome di Anselmo Contu) , al carcere e poi al confino per taluni (13 anni a Francesco Fancello!), al carcere e alla clandestinità per altri (valgano i nomi di Graziella Sechi e di Dino Giacobbe), alla militanza nell’esercito repubblicano in Spagna fino al sacrificio della vita (gloria di Giuseppe Zuddas nell’episodio di Monte Pelato), alle testimonianze antifasciste di uomini e donne come Pietro Mastino, Luigi Oggiano e Gonario Pinna, come Marianna Bussalai e Mariangela Maccioni esuli in patria!

E ripenso al dibattito vivace del congresso della ripresa nel luglio 1944 (un anno prima della liberazione dell’Alta Italia dai nazi-fascisti!) e al patto federale con il Partito d’Azione, all’impegno di Mastino in due governi nazionali (Parri e De Gasperi), di Luigi Battista Puggioni nella Consulta nazionale che anticipò il voto del 2 giugno 1946 (eletto in quota azionista), di Emilio Lussu nella Costituente: perché l’obiettivo di tutti erala Repubblicaitaliana, democratica ed  autonomistica.

E ripenso a Titino Melis deputato per due legislature repubblicane, e al motto finale dei suoi discorsi: “Con cuore di sardo e di italiano… per l’unità vera della Patria…”. Con tutti i discorsi parlamentari (e anche quelli consiliari alla Regione e al Comune di Cagliari) di Giovanni Battista Melis – sono 800 pagine – tu sai che di lui, rinchiuso in una prigione fascista a soli 23 anni, insieme con UgoLa Malfa, ho pubblicato anche le memorie inedite: quelle  che, appunto, tu stesso presentasti in una affollata assemblea  cui intervennero, offrendo il contributo di una parola illuminante, uomini come Mario Melis e Antonio Romagnino.  Eri giovanissimo,  poco più che ventenne, e sapesti trovare motivi di sequela ideale, al di là della stretta militanza civile o politica che ognuno ha scelto per sé, fra quella gioventù esposta al rischio di oppressione e cattività e quella dell’oggi (o già degli anni che si chiamavano “edonistici”, fra ’80 e ’90) tempestata da crisi valoriali nel rinseccamento delle prospettive di vita adulta, professionale e civica.

Il sardismo per l’Italia nello slancio di una Europa federale. Il sardismo democratico – ché soltanto democratico e progressista può essere e che tale fu anche negli anni in cui aveva un senso parlare di interclassismo della sua base e dirigenza –, e il sardismo per l’Italia come già nel 1920 l’intese Camillo Bellieni, il primo fondatore e teorico del PSd’A, che forse pochi di quelli che oggi parlano “a nome” del sardismo hanno mai letto: il sardismo che amava il tricolore per quel che il tricolore significava di storia condivisa, di vita sacrificata con i proletari delle altre regioni incontrati nelle trincee della grande guerra che fu la guerra della unità nazionale, perché assorbì realizzandoli i sogni degli irredenti!

Non è storia di libri, questa, e i 90 anni di storia del PSd’A come i 150 della unità territoriale della maggior patria, in coincidenza fra di loro, non sono letteratura per il tempo perso. E’ storia di menti e di sentimenti, è rappresentazione di vicende e di testimonianze partecipative che coscienze limpide potrebbero onorare con il sacrificio dello studio, della proposta  e della gratuità, invece che imbellettare del nulla, occupando gli sgabelli offerti loro, come una lenza ai pescetti, dal partito dell’amore e dagli altri fantasmi che vagolano, imbrogliando, fra il bar e l’aula del Consiglio regionale.

Penso in ultimo, in queste meste riflessioni, a Paolo Maninchedda, che credo sia il meglio – per onestà intellettuale e schiena dritta – che si trovi nel palazzo pur degli sprechi, ove ogni consigliere regionale, per la paga che si è dato a carico delle casse pubbliche, attribuisce a sé un merito sociale pari almeno a dieci volte quello di un insegnante che è chiamato a formare, nelle aule scalcinate, i nuovi cittadini.

Egli non è di cultura sardista, non ha nulla a che fare con Bellieni e con Lussu, con Titino Melis e Piero Soggiu, né con quel Mario Melis il quale, nel rapporto fiduciario, di simpatia e infine amicizia che ci legò negli ultimi quindici anni prima della morte, riconobbe a tanta fatica di ricerca e scrittura che avevo portato al tavolo della riflessione attuale il valore di un contributo fondamentale per rimettere ordine fra totalitarismi nazionalitari e sgrammaticature indipendentiste, non supportate neppure da alcuna competenza amministrativa degli eletti nel consiglierato allegro del  1984-85…

Ma forse la sua estraneità (di Maninchedda, dico) alla cultura antica dei sardisti – a meno che non ve ne sia nell’albero delle sue ascendenze familiari – può anche essere un bene, e perfino un ottimo, per il sardismo d’oggi e di domani. Perché se altri dei suoi compagni, di debole sentimento come lo certificano le presidenze garantite purchessia e le improbabili candidature perfino conla Lega del razzismo nordico, trascinano se stessi  e le claque lungo i vialetti dell’opportunismo senza respiro, egli che al sardismo è pervenuto, con spiccata sensibilità storica, dopo tanto studio ed esperienza a largo spettro, non può perdersi  in alcun bla bla autoreferenziale né delle rimasticature passatiste né nelle fantasie noviste senza ancoraggi, e neppure nei ritagli di vacue specialità rispetto ai vari Irs come rispetto a Sardigna Nazione. Il sardismo che mi piacerebbe egli potesse e volesse interpretare, innovando ma non alterando e tanto meno tradendo quello delle raichinas, è il sardismo “concretista” o “problemista” che il PSd’A bellieniano trasse da Salvemini e grazie al quale divenne quel protagonista della  storia nuova, nei primi anni ’20, da meritare la citazione di Piero Gobetti, prossimo al martirio.

Dentro una cornice che recupera le idealità della pur minoritaria cultura democratica italiana – cultura di sinistra riformatrice e non dottrinaria, che dalla Sardegna attraverso Tuveri ed Asproni raggiunge il Mazzini sempre attuale della Giovine Italia e della Giovine Europa ed il Cattaneo del Politecnico e delle proiezioni federalistiche -, c’è tanto da ripensare il sardismo adulto che interloquisce con chiunque altro nel dibattito sulla riforma costituzionale della Repubblica, ma inizia già qui… dalla moralità organizzativa e finanziaria delle istituzioni territoriali, del Consiglio regionale, dei gruppi consiliari, e guarda alla qualità della produzione legislativa che qui prende forma il più spesso confusa. Il filologo di valore, l’intellettuale dalla schiena dritta, il politico che non mercanteggia la sua indipendenza pur nella lealtà ai sodali del sentimento, sappia che è lui – nuovo sardista – a dare le ultime residue speranze ai sardisti antichi e oso dire autentici (fra i quali, per fraternità repubblicana, sono anch’io, con mille testimonianze, fin dalla mia adolescenza).

Gianfranco Murtas

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17 Comments

  1. Serve tutto, e pure ai lettori prima che agli stessi protagonisti di una discussione.

  2. A me interessa il dibattito e i dibattiti servono. Alcuni di questi giorni: http://gianfrancopintore.blogspot.com/2011/04/una-replica-maninchedda-e-lupinu-sul.html Oppure: http://www.sanatzione.eu/2011/04/patacche-dimportazione-lindipendentismo-sardo-di-giulietto-chiesa/ Senza dibattiti come questi oggi l’indipendentismo sarebbe ancora indietro. Ognuno fornisce il suo contributo alle discussioni su vari temi. Il silenzio invece è sempre il primo elemento che ha avvantaggiato i conservatori.

    • Daniele Addis says:

      Ma anche a me, e infatti abbiamo dibattuto. Non mi interessano i dibattiti ad oltranza, quelli in cui per non accettare che la si pensi semplicemente in maniera diversa si tirano cose fuori che non c’entrano nulla, aprendo mille fronti che al dibattito non servono.

  3. Ho già argomentato le mie posizioni ed ampiamente sul nostro portale da sempre. Io continuo a ritenere che la contrapposizione tra sigle nazionaliste impegnate in competizioni elettorali sia inutile, e che sia utile solo la contestazione al centralismo (purché accompagnata da un progetto politico). Caratteristiche ancora lontane….Quì non si tratta di puntare a 10 per ottenere almeno 8 come dici tu, si tratta solo che esiste un dannoso anti-autonomismo ed un anti-sardismo che ha precise radici storiche e ideologiche e che poco hanno a che vedere con il principio di cui parli. E con gente che continua a frazionarsi spacciando la cosa per “pluralismo” faccio fatica a credere che il suo puntare al massimo si tramuterà in una strategia vincente…Senza andare troppo lontano, basta guardare la politica di un SVP rispetto a quella nostrana….Il livello di coesione e di progettualità è ben diverso: e con esso il rispetto dell’autonomia e la richiesta di maggiori competenze…

  4. Daniele Addis says:

    Ma guarda un po’, però dici che non sei ossessionato, ma figuriamoci… a qualsiasi argomento ci attacchi sempre le solite cose sulla bandiera. Sta di fatto che, anche per via di quella storia, diverse persone che prima indipendentiste non erano si sono avvicinate all’indipendentismo, ma per te il fatto che non sia successo nel modo che piace a te na va bene. I sardi vorranno essere indipendentisti con la bandiera dei 4 mori e smetteranno di affiancarla a quella italiana? Vada per la bandiera dei 4 mori. Nella tua idea liberalissima evidentemente non c’è spazio per chi ne preferisce altre, ma sono problemi tuoi.
    Per quanto riguarda il resto, il mio discorso è semplice: se di fronte all’umiliazione delle istanze autonomiste non tiri fuori l’indipendentismo, non sei un’autonomista credibile, lo sei solo di facciata e ti servi di quella parola solo in maniera populista per ottenere i voti del popolo; oppure sei un illuso e pure poco sveglio (che è pure peggio dell’essere un finto autonomista che almeno sà di star dicendo delle cavolate). E questo vale oggi come valeva 100 anni fa, perché è quello che fanno ed hanno sempre fatto i veri autonomisti in tutto il mondo.
    Poi tu immagino che preferisca partire per la tangente prendendotela con tutti coloro che non si adeguano alla perfezione al tuo verbo e tirando fuori chissà quali contingenze storiche, ma è un problema tuo evidentemente.

  5. Daniele, l’indipendentismo, ma anche la comprensione di ciò che sarebbe dovuto essere un vero autonomismo, è un fenomeno recente nella storia dell’isola. Non di un secolo fa. O per stare in epoca repubblicana, non vorrai paragonare un Paolo Dettori con il presente? Sono situazioni diverse. Il percorso per la sovranità è un processo che va costruito giorno per giorno. Tu pensa che in questa fase embrionale ci furono addirittura persone che, nonostante i problemi ben più urgenti per i Sardi, divisero i movimenti indipendentisti persino sulle bandiere (ne parlo al “passato”). Magari sai a cosa mi riferisco.
    Io credo che servirà ancora tempo prima che il nazionalismo Sardo superi le divisioni e le etichette e comprenda che certe polemiche e certe letture del nostro contesto vanno adeguate ai tempi ed aggiornate. E come sai, non mi limito a criticare il ProgReS.

  6. Appunto, non ci vuole chissà che a capire che non è il livello demografico dello Stato centrale a qualificare l’efficacia o meno dell’azione politica di un dato movimento autonomista o indipendentista….

    • Daniele Addis says:

      Quindi tu ritieni possibile che dalla Sardegna si sia in gradi di imporre una svolta federalista allo stato centrale, così come sempre auspicato dagli autonomisti sardi. Accomodati, non sei solo, avete solo alle spalle 150 anni di fallimenti, ma mica sono abbastanza per giudicare. Ma veramente, ti serve che ti spieghi il concetto con un disegnino?

  7. Paranoie su Sedda? L’ha detta lui la tua stessa frase il 29 gennaio nel corso di un convegno con i Rossomori sull’indipendenza a Cagliari.

    • Daniele Addis says:

      Guarda, io lo dico da un po’ di tempo, non avevo bisogno di aspettare Sedda. Certo che lo dice pure lui e lo dicono anche tanti altri visto che è una cosa che non richiede queste grandi capacità intellettive. Ci potresti arrivare persino tu, pensa. Vabbè, se lo ritieni un pensiero la cui primogenitura sia da attribuire a Sedda fai pure…

  8. Daniele, il nazionalismo austriaco presente a Bolzano (e minore di quello Sardo) non mi pare così timido e moribondo nei confronti del centralismo di istituzioni italiane che rappresentano oltre 60 milioni di abitanti. Ci sono condizioni storiche, politiche e sociali diverse da caso a caso. La storiella del peso demografico quindi la può raccontare l’abile Franciscu Sedda per alimentare la propaganda anti-autonomista della sua base, ma nella realtà le cose sono più complesse e non riguardano l’istituto dell’autonomia in se ma gli operatori che hanno usato e male tale istituto (per ragioni anch’esse storiche e ideologiche varie che non sto ad elencare). Nella nostra pubblicazione in corso di lavorazione si parlerà anche delle principali dinamiche che hanno rallentato il nazionalismo Sardo e che vanno oltre il singolo PSD’AZ: si tratta della nascita della dualizzazione storica in Sardegna tra autonomismo ed indipendentismo ma anche del contesto socio-politico in cui si sono perpetuate tali dinamiche, nel cuore della guerra fredda e della divisione dell’epoca bipolare. Noi siamo il prodotto di quanto seminato nel ‘900. In Sardegna ormai le etichette sono spazzatura inflazionata ed usata a sproposito, qualsiasi percorso per la sovranità avverrà sempre e comunque (quando vi saranno le condizioni politiche idonee per farlo) in modo graduale, ragion per cui le forze riformiste dell’indipendentismo e dell’autonomismo dovranno ragionare sull’utilità di un progetto politico meno frammentato rispetto al presente e che oggi invece viene spacciato come “ricchezza e pluralismo”. Diversamente si rimarrà nelle nicchie autoreferenziali per poi crescere lentamente al ritmo di una scissione ogni 5/10 anni….

    E’ vero che il PSD’AZ ha perso da tempo una sua centralità politica su talune specifiche materie, ma è anche vero che allo stato attuale non ci sarebbe indipendentismo senza sardismo e viceversa. In attesa di nuovi progetti politici, è innegabile che il PSD’AZ stia nuovamente rilanciando specifiche tematiche, a loro volta sostenute anche dal resto dell’indipendentismo, irrobustendo così il complesso del nazionalismo Sardo che è giunto persino ad influenzare i principali partiti del bipolarismo italiano nell’isola. C’è dunque un processo in corso, e l’esito positivo di questo processo non dipendenderà sicuramente dalla contrapposizione ma dalla collaborazione. Le resistenze a quest’ultima necessità oggi arrivano ancora da una parte dell’indipendentismo.

    • Daniele Addis says:

      Il nazionalismo austriaco presente a Bolzano un giorno si e l’altro pure parla di indipendenza o distacco dall’Italia, non ha certo paura di rimanere senza e non aspetta certo che l’Italia diventi uno stato civile e federale. Il succo del mio discorso era questo, ma come al solito cogli ogni occasione per attaccarti alle tue paranoie su Sedda, anche dove non c’entra una mazza (come se senza di lui uno non potesse arrivare a fare questo elementare ragionamento).
      Fino a quando l’autonomismo dirà che la Sardegna senza l’Italia non ce la potrebbe fare non ci sarà alcuna possibilità di dialogo con l’indipendentismo per il semplice fatto che l’autonomismo non è nemmeno autonomista, è semplicemente una macchietta ridicola senza alcuna credibilità, in quanto è funzionale all’unionismo italiano.

  9. Antinori says:

    Novant’anni. A quell’età si arriva difficilmente ma si muore facilmente.

  10. Michele Atzori says:

    Il partiro sardo d’azione,dopo 90 anni,si avvia stancamente ad esaurire la sua spinta ideologica,sono orami 20 anni che il partito non produce più idee.Il sardismo è ormai entrato con la sua ideologia nei discorsi e nelle logiche di tutti i partiti,facile sentire Mario Floris parlare di Sardismo e autonomia,Muro Pili fa spesso riferimenti al sardismo,il pd e in genere la sinistra cita spesso lussu,bellieni,e ne usa frequentemente i concetti.Si è compiuto il sogno di bellieni,fare in modo che i sardi attraverso il sardismo diventassero a tutti gli effetti italiani,e per il tricolore si adoperassero,cercando un storia condivisa.
    Essendo diventati tutti i partiti sardisti,l’originale non si distingue più,ciondala elettoralmente a destra o a sinistra,alleandosi con chi in quel momento promette più poltrone,ha tradito la fiducia dei sardi,che gradualmente si stanno allontanando dal partito.presto i funerali

  11. Daniele Addis says:

    Interessanti considerazioni… il Psd’Az ha sostanzialmente fallito, almeno in questi primi 90 anni (lo spiega bene questa pubblicazione “Explaining Failure: the Highs and Lows of Sardinian Nationalism” http://www.informaworld.com/smpp/content~content=a917921495 ) eppure lo si invita a rifare gli stessi errori. Voleva che l’Italia assumesse un assetto federale ed ha fallito (come è logico, bastava prendersi una cartina geografica e farsi due conti sul peso specifico della popolazione sarda rispetto a quella italiana per capire che il tentativo era destinato a fallire, ma vabbè). Ha aspettato 60 anni per iniziare a prendere in considerazione l’indipendenza e l’ha fatto in modo piuttosto blando e contraddittorio. In virtù del pragmatismo si è alleato un po’ con tutti, ma fatico a considerare pragmatiche delle scelte che hanno portato solo all’occupazione di poltrone e ben pochi risultati concreti o apprezzabili.

    Poi vabbè, sorvoliamo sulla solita pappetta nazionalista strappalacrime che rievoca il risorgimento o la resistenza, come se tutto quello che c’era prima non contasse una mazza… ma poi, dopo tutta questa sviolinata tricolore, si va a prendere come esempio Maninchedda, che tra tutti i sardisti è quello che parla di più di indipendenza. Fatico a trovare il filo logico.

    Di sottofondo si intuisce la solita litania che vorrebbe far credere che gli indipendentisti sono solo idealisti propugnatori di qualcosa di non realizzabile (volere che un’isola dotata di territorio, lingua, cultura e storia differente divenga uno stato indipendente infatti viene classificata come utopia), mentre i discorsi della sinistra autoproclamatasi depositaria delle virtù universali e predicante equità sociale, onestà e bontà all’interno della struttura italiana sostanzialmente immobile (e la sinistra a questo immobilismo ha contribuito e continua a contribuire enormemente) vengono considerati da fior di pensatori che amano parlarsi addosso come estremamente pragmatici.

    • Pili Giuseppe says:

      Grazie Gianfranco mi è piaciuto il ricordo da parte tua per i nostri 90 anni ho avuto la fortuna di
      aver visto passare nella mia modesta casa tutte le persone che tu hai nominato da Titino , Mario,Giovanni Battista,non posso dimenticare lo zio il Prof.Paolo Pili,mio Padrino nonchè cugino Francesco noto ( Cici )Lasio quanto hanno creduto lottato per questo partito. Ormai io non più giovane chissà se vedrò rivvivere iveri originali ideali.Ideali quanto mai attuali.quanto
      avevo creduto nel giovane caro nipote Claudio Cugusi che voglio un mondo di bene.Grazie Gianfranco grazie grazie.

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