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Caso Videolina: la libertà di informazione schiacciata tra caccia alle streghe, giornalisti deboli ed editori mannari

A parole la libertà di stampa piace a tutti. A parole. Perché poi nei fatti, in un modo o in un altro, la libertà di stampa subisce attacchi quotidiani anche da chi (perfino in buona fede) si erge a suo strenuo difensore.

Non voglio parlare in questo caso di Berlusconi e del centrodestra: do per scontato che possiate immaginare come la penso. Quello che mi spaventa è, per entrare subito nel merito della crisi di Videolina e delle altre tv locali sarde, chi si straccia le vesti perché le imprese editoriali private prendono soldi dalla Regione.

Una cosa deve essere chiara a tutti: nessuna tv oggi in Sardegna (dalla migliore alla peggiore), nessuna per andare avanti può fare a meno delle risorse pubbliche, erogate sotto forma di contributi statali, pubblicità istituzionale, bandi, progetti di comunicazione su eventi finanziati ad hoc. Nessuna. Questo è un dato di fatto che non può essere eluso: senza risorse pubbliche le tv private chiudono. Si deve certamente ragionare sul come e sul quanto le singole tv ricevono, ma fare una crociata contro il finanziamento pubblico è folle. Mi ripeto: la libertà di stampa esiste se ci sono gli organi di stampa. Pensare che la libertà di stampa cresca tagliando le risorse pubbliche è demenziale.

Una parentesi: uno dei lasciti velenosi dell’èra Soru è questa idea che prendere i soldi dalla Regione sia un peccato mortale. Che piaccia o no, molte leggi consentono alle imprese di ricevere risorse dalle amministrazioni pubbliche. Per quale motivo solo le imprese editoriali (che sono imprese esattamente come le altre) debbano stare completamente sul mercato è una di quelle stupidaggini che danneggia la libertà di stampa, e che paradossalmente arriva più spesso dalla sinistra che non dalla destra. Soru ha alimentato un clima da caccia alle streghe, e ancora oggi per molti sprovveduti adoratori del suo verbo chi prende soldi dalla Regione o dallo Stato deve finire al rogo.

Un altro elemento non eludibile è la crisi straordinaria che ha colpito le tv. E’ vero che tutte le imprese editoriali soffrono (i giornali pagano la concorrenza di internet, le radio la rarefazione del mercato pubblicitario), ma le emittenti locali rischiano di essere spazzate via dal digitale terrestre. Il fatto che molte di esse (tra cui Videolina) pensassero di poter approfittare del nuovo sistema e invece ne vengono travolte, può generare in qualcuno il senso di una sarcastica rivincita, ma non cambia i termini della questione. La crisi è reale, non è inventata, e tocca da vicino tutto il sistema dell’informazione locale televisiva in Italia.

Ogni ragionamento che prescinde da questi due elementi (l’impossibilità di fare a meno delle risorse pubbliche e la crisi straordinaria provocata dal digitale terrestre) nega la realtà e non porta da nessuna parte.

E’ vero però che Videolina non è una televisione qualunque. E che anche questa giunta regionale non è una giunta qualunque. Al mio precedente articolo sono state avanzate molte obiezioni. Penso che Giovanni le abbia sintetizzate bene. Dunque analizziamole assieme.

Primo: è incredibile che si diano soldi a società che non hanno saputo adeguarsi al mercato quando alle spalle hanno il maggior colosso dell’informazione sarda.
La delibera è rivolta a tutte le tv sarde, non solo a Videolina. Paradossalmente, il provvedimento serve più a tutte le altre (che non hanno alle spalle l’Unione Sarda) che non all’emittente di viale Marconi, che non rischia certo di chiudere. Adeguarsi al mercato non è semplice, soprattutto quando il mercato non esiste o viene stravolto dal digitale terrestre. Diversa è la valutazione che possiamo fare della qualità dei programmi e dell’informazione, ma qui entreremmo in un campo minato. Una cosa è certa: Zuncheddu è un pessimo editore. La crisi di Videolina è stata aggravata da scelte discutibili, se non errate e autolesionistiche. Una proposta: condizioniamo l’erogazione degli aiuti ad un piano di stabilizzazione o di assunzione di nuovo personale o di nuove professionalità. Siano risorse per un rilancio, non per tamponare un’emergenza.

Secondo: è incredibile che i soldi li debba distribuire un ex dipendente (ex solo perché è diventato assessore al Lavoro) del padrone del colosso dell’informazione sarda.
Parole sante: Franco Manca, prima di diventare assessore, è stato a capo del fantomatico Centro Studi Unione Sarda. Con quanta obiettività e indipendenza di giudizio si siederà ora davanti al suo ex datore di lavoro? Sarebbe più corretto e opportuno che a gestire questa vertenza fosse l’assessore Milia (nelle sue competenze c’è peraltro anche l’informazione). Sarà questa una richiesta avanzata dal sidancato dei giornalisti e dall’opposizione?

Terzo: non si può pensare che mentre i dipendenti di Epolis perdono la loro Cigs (perché questo è successo in questi giorni, puoi facilmente informarti) mamma Regione arrivi a coprire i buchi di un’azienda che comunque permette ancora ai suoi dipendenti di avere la busta paga a fine mese.
Intanto stai disinformando, perché i dipendenti di Epolis non hanno perso la Cigs. Inoltre, la delibera sulle tv non impedisce alla Regione di affrontare il caso di Epolis. A meno che l’amministrazione non dica che le risorse sono limitate e che bisogna scegliere: e allora io sto dalla parte di chi il lavoro lo ha perso già. A portare alla Regione il caso Epolis deve essere ora il sindacato dei giornalisti, che dovrebbe subordinare il confronto su questa delibera all’apertura contestuale di un tavolo che riguarda i cassintegrati di Epolis. Lo farà?

Quarto: non è ammissibile che il sindacato sia così celere nel richiedere soluzioni, che vengono altrettanto celermente trovate, mentre nel caso del Sardegna hanno solo fatto da cerimoniere al funerale. E qui non si vuole andare ad approfondire un discorso sulle parentele sindacali, che di certo conosci.
E certo che le conosco! Il nostro presidente, Francesco Birocchi, è il padre di Stefano Birocchi, collega di Videolina. E’ da tanti anni che molti giornalisti (e io sono tra questi) pensano che questa parentela limiti l’azione del sindacato, perché pone il suo presidente, anche solo ipoteticamente, in una condizione difficile nei confronti di Zuncheddu (Stefano è stato per anni precario). Forse non è così, ma sarebbe meglio non arrivare a pensare che il sindacato faccia sconti al gruppo Unione Sarda perché il suo presidente regionale teme per lo stipendio del figlio. In ogni caso, lo scorso anno Francesco Birocchi è stato rieletto alla guida dell’Associazione della Stampa Sarda: evidentemente ai giornalisti andava bene così.

Su Epolis però non penso che il sindacato abbia fatto solo da cerimoniere al funerale delle testate. A fronte di situazione oggettivamente difficile, la Fnsi mi sembra si sia impegnata a fondo. A mancare è stata la politica: mentre Il Sardegna chiudeva, Cappellacci e Pili si battevamo perché Videolina finisse sul tasto nove del telecomando, ovviamente in nome della libertà di stampa, della democrazia e del pluralismo: ridicoli.

Quinto: ti invito a scorrere l’elenco dei componenti del Cda de L’Unione Editoriale e quello dei curatori fallimentari di Epolis, forse c’è un caso di omonimia. O forse non solo.
Se anche lo facessi? Epolis è fallita per un complotto? Non penso. Certo, Zuncheddu non avrà fatto nulla per consentire alla Regione di salvare Il Sardegna. Ma qui torniamo alla debolezza della politica: dov’era il centrosinistra? Te lo dico io dov’era: a prendere soldi da Zuncheddu che ha sponsorizzato la Festa Nazionale dell’Unità al Bastione di Cagliari.

Sesto: vero, le emittenti sono circa venti. Ma chi ha dubbi sul fatto che la bistecca abbia già un piatto di destinazione, così come il contorno e le briciole?
Nessuno. Però le regole sono tutte ancora da scrivere. Se si vigila è anche possibile che a Videolina alla fine questo provvedimento non convenga. Perché sarebbe inaccettabile che a beneficiarne fosse esclusivamente la società e non i lavoratori.

Settimo: siamo di fronte a uno scandalo bello e buono, assuefatti in una regione dove si inaugurano piazzette coi nomi più disparati….
Il fatto che si inizia a parlarne significa che lo scandalo può essere ancora evitato. Si discute troppo di informazione in generale e poco di informazione locale. Capisco che le cose possano anche essere collegate, ma non è possibile che nessuno organizzi un dibattito pubblico sullo stato delle tv locali o sull’editoria sarda in generale? Che poi la Regione sia pesantemente condizionata da Zuncheddu non è un mistero. Ma ognuno fa il suo mestiere. Per cui mi chiedo: dov’è l’opposizione? Dov’è il centrosinistra? Hai mai sentito qualcuno criticare Zuncheddu? E su piazza l’Unione Sarda, perché la Nuova Sardegna non ha scritto una riga? Chi ha deciso e perché che quella non era una notizia?

Le mie risposte a Giovanni si basano su una speranza: che il sindacato dei giornalisti e l’opposizione non facciano sconti e non subiscano passivamente le “ragioni” di Zuncheddu. Gli strumenti per farlo ci sono, perché, ad una lettura più attenta, la delibera mostra delle crepe inquietanti.

Ce lo ha spiegato bene Orzocco in un suo post. State concentrati che è molto tecnico.

La delibera interviene nel settore delicato dell’informazione ex lege 1 del 2009, art. 3 comma 12. Dalle motivazioni poste in premessa, sembrerebbe che la legge preveda uno specifico ed esclusivo intervento per l’informazione.
Dice infatti l’Assessore del lavoro, che è veramente difficile pensare imparziale rispetto al gruppo Unione: “In questo ambito la Regione, con la L.R. 14.5.2009, n. 1, art. 3, comma 12, aveva già inteso riservare all’intero settore della comunicazione e dell’informazione, in accertato stato di crisi, interventi non solo finanziari atti a contenere ed in prospettiva a superare gli effetti economici e sociali, nella considerazione degli effetti negativi che il venir meno della pluralità dell’informazione produce in un sistema democratico, per quanto maturo e consolidato”.

Invece, il comma 12, fortemente voluto a suo tempo dai sindacati, riguardava interventi sull’intero sistema produttivo sardo. Ecco il testo:

“L’articolo 6, lettera b), della legge regionale n. 3 del 2008 è così modificato: dopo le parole “crisi occupazionale” sono aggiunte le seguenti: “e per il mantenimento dei livelli occupazionali in specifici settori dell’attività produttiva manifatturiera e dei servizi culturali, della ricerca e dell’innovazione, della comunicazione e dell’informazione in accertato stato di crisi. I progetti sono approvati nell’ambito del Piano regionale per i servizi, le politiche del lavoro e l’occupazione di cui all’articolo 13 della legge regionale n. 20 del 2005.

Si tratta insomma di interventi di politiche attive del lavoro che comprendono anche il mondo dell’informazione e della comunicazione (ma allora si pensava agli espulsi dai call center e ai dipendenti, per i servizi culturali, delle cooperative che gestiscono le biblioteche).

Il restringimento della norma a un settore e poi a un’azienda, esporrà molto l’assessore del lavoro a gravi responsabilità. Soprattutto laddove egli non dovesse limitarsi a predisporre piani per i lavoratori, ma anche a predisporre interventi finanziari, di cui parla la delibera ma non la legge.

L’altra legge citata è la legge 1 del 2011 all’art. 6, l’articolo voluto dai sindacati per il Piano Straordinario del Lavoro con una capienza di 65 milioni di euro. Ma si tratta sempre e solo di interventi per i lavoratori non per le società.

A questo punto è d’obbligo una domanda: e i cassintegrati de Il Sardegna dove sono? Perché non si parla di lavoratori ma di rischio di chiusura delle società?
L’unico modo per un intervento organico nel settore dell’informazione che tuteli precariato e cassintegrati e non miliardari è una disciplina specifica.

Avete capito? C’è il rischio enorme che la delibera, così per come è scritta, consenta a Zuncheddu, editore mannaro, di pagarsi i debiti di Videolina senza essere costretto a garantire il mantenimento o anche l’innalzamento dei livelli occupazionali, e tutto questo a scapito dei cassintegrati dei call center e delle cooperative culturali!

Bisogna vigilare, non c’è che dire.

Un’ultima considerazione: tutte le imprese editoriali sono in crisi. Per evitare di fare figli e figliastri, non sarebbe il caso di intervenire rifinanziando nuovamente la legge 22 sull’editoria? Con il collegato alla Finanziaria siamo ancora in tempo.

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14 Comments

  1. bobore says:

    Caro Ivan, hai ragione su quasi tutto se non che il tuo ragionamento su Epolis dimostra come si è agito in Sardegna contro Epolis. Mi spiego meglio e consentimi una premessa: acclarate le responsabilità e se vogliamo dirla tutta anche l’incapacità di soci, manager e pure, se si vuole essere più realisti del re, anche dei giornalisti, resta il fatto che Epolis era un quotidiano nazionale con diciannove edizioni che aveva la sede centrale in Sardegna. In Sardegna, a Cagliari in particolare, è stato visto, invece, solo come un concorrente dell’Unione. In realtà non lo è mai stato. Per tante ragioni. Ma questa ragione: stare in mezzo ai piedi, anche se di striscio, a Zuncheddu & Co., è bastata per accelerare una tempesta sindacal-tribunalesca che meriterebbe una rilettura più attenta da parte di tanti. Cito due curiosità: sgombero della sede a tempo di record e nomina del dottor Grauso (quello che dopo due anni ha lasciato con 40 milioni di debiti) custode giudiziario dei beni; tra i curatori nominati dal tribunale c’è un consulente dell’Unione Sarda, nonché ex sindaco di Arbatax 2000 (ti ricorda niente?); e tante altre coincidenze che un giorno potrebbero disegnare un quadro diverso da quello che fino ad oggi si è dipinto. Se Epolis non avesse avuto la sede centrale a Cagliari con tutta probabilità sarebbe ancora in piedi. Non è un caso che la testata di Bari e quella del Friuli siano in mano ai soci locali e la prima esce regolarmente già dallo scorso dicembre. La difesa della Sardegna per l’unico quotidiano nazionale che aveva sede nell’Isola è stata inadeguata almeno quanto la compagine societaria di Epolis. Diciamo pure che è stata inesistente e forse condizionata da qualche interesse convergente. Ma piano piano i nodi vengono al pettine. Il tempo è galantuomo e dietro la solidarietà di facciata incomincia a emergere (gratta, gratta) qualche retroscena interessante e qualche incrocio significante.
    Quanto a Metro poi, ti ricordo che per le edizioni di Cagliari e Sassari ha in organico solo due redattori e anche a tempo determinato. Come dire un giornale senza giornalisti è un volantino della pubblicità.
    In ultima analisi: il problema della delibera di Cappellacci per la crisi delle tv sarde (avvallata dal sindacato dei giornalisti e bocciata dai confederali) al di là delle disquisizioni tecniche ha un vizio d’origine, non può essere proposta dall’assessore al lavoro che lavora per unione editoriale. Ma sugli aiuti alle tv concordo con Vito: meglio sostenere l’informazione che bruciarla. Se si fosse fatto anche con Epolis forse di questa delibera non ne parlerebbe solo il blog dell’amico Vito.

    • caro Bobore,

      la tua analisi è molto accurata e piena di spunti interessanti. Aggiungo 2 elementi che possono dare qualche informazione in + e un mio parere sulla vicenda del fu E polis Sardegna.

      Premesso che non conosco 1 quotidiano in Italia con i conti in utile senza finanziamenti pubblici (tranne appunto Il Fatto Quotidiano). Anche Il Giornale, Libero, per non parlare del Corriere, sono carichi di debiti e vengono tenuti in piedi per ragioni politiche e di controllo dell’informazione.

      E polis era stato venduto da Grauso a Rigotti, riconducibile al nostro beneamato (si fa per dire!!).
      Alla guida di Publiepolis inizialmente compare Dell’Utri.

      Il quotidiano si riempie di pubblicità mediaset (la legge sull’editoria vietaVa il possesso TV – quotidiani, le infiltrazioni di capitali erano necessarie).

      La Redazione non si è piegata alla nuova linea di centro destra, con direttore berlusconiano e redazione di sinistra e giornale sclerotico.

      Da qui in avanti sono miei pareri non provati:

      1 – Dell’Utri va via perchè un giornale che non aiuta politicamente non serve.
      2 – B. lo lascia fallire perchè un giornale che non aiuta politicamente non serve.

      I debiti li fanno tutti i giornali, ma i giornalisti delle altre testate si sono piegati, quelli di e polis no.

      • bobore says:

        Caro Ivan mi sembra una ricostruzione un po’ romanzesca. Vedere il beneamato in ogni dove è uno sport nazionale ma la suggestione di vederlo partecipe dei destini di epolis è quantomeno azzardata. Se così fosse stato epolis sarebbe ancora in giro nei bar e nelle edicole. La redazione non si è piegata? Ti chiedo: a chi doveva piegarsi? E poi ti dico: quale redazione? Quella di Cagliari? Oppure quella lombarda o quella veneta o quella campana? Ti ricordo che facevano tutti il telelavoro. Dell’Utri se ne è andato da epolis per andare con Dnew di farina e santanché. Sai chi erano i direttori? I due fratelli di cui non ricordo il nome (forse Cinciripini?) che si spacciavano di sinistra e che fino a quando c’era Grauso erano al timone di Epolis insieme a Gianni Melis.

      • non direi romanzesca, gli elementi su cui mi baso sono:

        – improvvisa invasione di pubblicità mediaset nel quotidiano
        -direttore filo berlusconiano
        -Dell’Utri in Publiepolis
        -Rigotti che dichiara che epolis sarà uno strumento dei circoli del buon governo

        non credo che sia dietrologia, mi sembra abbastanza evidente.
        dietro la fondazione chi c’è? chi c’è tra i soci fondatori?

  2. Palmiro says:

    Io non credo che il gruppo Zuncheddu debba avere soldi dalla regione, visto che ragiona in modo puramente clientelare. Vogliamo parlare della gestione della “nuova” redazione romana dell’Unione, con la figlia del direttore del giornale e la figlia del sindaco di Cagliari in “gita premio”?

  3. >>>Una proposta: condizioniamo l’erogazione degli aiuti ad un piano di stabilizzazione o di assunzione di nuovo personale o di nuove professionalità.

    Boh, non sono d’accordo, si sa come va a finire, assume per avere finanziamento pubblico e si finisce con lottizzazioni.

    Epolis ha avuto una gestione non economica (obiettivo era fare la guerra a L’Unione e fare politica) che ha comportato un giornale con troppe pagine.

    Bisogna guardare ai modelli che funzionano: Metro, nei free press, (giornale leggero, articoli sintetici, poche pagine)

    Il Fatto Quotidiano (che non prende finanziamenti pubblici) che ha basato tutto sugli abbonamenti privati facendo un giornale che da alcune notizie che non da nessun altro (quello che deve fare un quotidiano).

    Quello che sta facendo La 7 che ha triplicato l’audience, facendo un giornale diverso da tutti gil altri ormai monopolizzati

  4. Massimo M. says:

    Amen.

    CRISI TV: CGIL-CISL-UIL A REGIONE, NO A USO FONDI PIANO LAVORO
    (AGI) – Cagliari, 28 feb. – Dalle segreterie regionale di Cgil, Cisl e Uil arriva il no alla Giunta Cappellcci sull’impiego delle risorse previste nell’articolo 6 della finanziaria 2011 (piano straordinario per il lavoro) “per scopi diversi da quelli per cui sono destinate”. Il riferimento e’ a un delibera sulla crisi del settore dell’emittenza televisiva approvata il 22 febbraio scorso.
    Ricordando che ‘ in corso un confronto con l’esecutivo su strumenti e modalita’ del piano, i sindacati esprimono preoccupazione “di fronte ai continui tentativi del governo regionale di annacquare e utilizzare quelle risorse per finalita’, pur legittime, come gli interventi di sostegno all’occupazione in aziende in difficolta’, ma sostanzialmente diverse da quelle straordinarie per cui sono state rivendicate e conquistate dal sindacato e, poi, prestabilite nell’ultima legge finanziaria regionale”.
    “E’ accaduto due settimane fa quando e’ stato ipotizzato il ricorso ai fondi dell’art. 6 per sostenere le imprese di pulizia degli appalti della Regione, vertenza che merita senza dubbio d’essere risolta con opportune misure per garantire il servizio e i lavoratori”, scrivono in una nota i segretari regionali Michele Carrus (Cgil), Giovanni Matta (Cisl) e Francesca Ticca (Uil). “Sembra ripetersi ora un’analoga situazione di fronte alla crisi dell’emittenza locale in Sardegna, settore importante che merita anch’esso interventi di sostegno all’occupazione”. “Il 14 dicembre scorso i sindacati di categoria”, ricordano gli esponenti di Cgil, Cisl e Uil, “hanno siglato, congiuntamente alle associazioni della stampa sarda e degli editori televisivi, un protocollo d’intesa presso l’assessorato regionale del Lavoro finalizzato al riconoscimento dello stato di crisi delle emittenti locali, causata in gran parte dai modi e dai tempi con cui la legge ‘Gasparri’ ha imposto la digitalizzazione del segnale radiotelevisivo. Il protocollo si propone di consentire interventi di difesa dell’occupazione e di sostegno al reddito dei lavoratori, che saranno interessati anche da progetti di formazione e riqualificazione professionale, attraverso le procedure di confronto sindacale che dovranno aprirsi azienda per azienda sui piani che ciascuna predisporra’ per superare le difficolta’ e rilanciare l’attivita’”.
    I sindacati si dicono, percio’, stupiti e contrariati dalla delibera con cui il 22 febbraio scorso la Giunta ipotizza, in riferimento al protocollo, “di utilizzare per la crisi del settore le risorse dell’art. 6 dell’ultima finanziaria regionale, e cioe’ il Piano straordinario per il lavoro”.

  5. F.Birocchi says:

    Caro Vito, non so se “tutte” le TV prenderanno soldi. Li avranno quelle che saranno in grado di elaborare progetti di riorganizzazione e di rilancio finalizzati al mantenimento dei posti di lavoro. Ci sarà nei prossimi giorni un tavolo tecnico all’Assessorato regionale al lavoro per verificare tempi e modi. Penso che anche i sindacati (giornalisti e confederali) saranno chiamati a partecipare. Vedremo.
    L’Assostampa ha chiesto un’audizione alla Commissione Bilancio del Consiglio regionale proprio per chiedere il rilancio della legge 22 nell’ambito del Collegato alla Finanziaria. Saremo auditi venerdì prossimo.
    Il Consiglio regionale ha eletto il 19 gennaio scorso i 5 componenti del Corecom: Antonio Ghiani (presidente) Angelino Attene, Barbara Marilotti, Claudia Onnis e Luigi Vacca. La presidente del Consiglio li ha nominati con decreto del 21 febbraio scorso.
    L’Ordine dei giornalisti una casta intoccabile? Quello che sta accadendo in questi anni in Italia credo dimostri esattamente il contrario.

  6. Qualcuno sa che fine ha fatto il CoReCom (istituito con legge regionale del 28 luglio 2008) il cui bando (del settembre 2008) pare in preda a un interminabile travaglio?

  7. Lucida says:

    Ah……. L’informazione esiste!
    Anche la collaborazione.
    Sacrosanta.
    Finalmente.
    Grazie.

  8. F.Birocchi says:

    Caro Vito, sto seguendo con grande interesse il dibattito sullo stato di crisi dell’emittenza privata in corso sul tuo blog e vorrei fare alcune precisazioni, spero utili.
    Il Consiglio regionale ampliò, nella legge di bilancio 2009 (quasi due anni fa), lo spazio di applicazione delle “norme in materia di promozione dell’occupazione, sicurezza e qualità del lavoro”, anche “al mantenimento dei livelli occupazionali in specifici settori dell’attività produttiva manifatturiera e dei servizi culturali, della ricerca e dell’innovazione, della comunicazione e dell’informazione in accertato stato di crisi”.
    Quella norma, legata dunque al mantenimento dei posti di lavoro, nata con consenso bipartisan, fu accolta positivamente dall’Associazione della stampa che, in quel periodo affrontava la vertenza a “Sardegna 1”, con minacce di licenziamenti, taglio degli stipendi, ecc.
    L’editore di “Sardegna 1” tuttavia non volle accedere alle provvidenze previste dalla legge, perché esse prevedevano lo stato di crisi e lui non voleva dichiararlo (così almeno ci disse).
    La dichiarazione dello stato di crisi del settore dell’emittenza privata da parte della Regione richiesta da FRT (federazione radio televisioni private) dovrebbe consentire ora di superare quell’ostacolo e di utilizzare le risorse regionali previste dalle leggi esistenti e che altre imprese in altri settori già utilizzano in modo del tutto trasparente.
    D’altra parte lo stato di crisi dell’emittenza privata in Sardegna credo sia difficilmente negabile. Lo dimostrano i bilanci, lo dimostra il ricorso alla cassa integrazione in deroga richiesta per 15 giornalisti dalle emittenti Cinquestelle Sardegna di Olbia e Antenna 1 di Sassari (il 30% dei giornalisti contrattualizzati nel settore in Sardegna).
    Fra tanti aspetti negativi c’è quello, indubbiamente positivo, che neanche un posto di lavoro è andato finora perduto.
    Le cause, a mio parere, sono (in sintesi) almeno tre:
    1) la contrazione del mercato pubblicitario (dovuto alla crisi generale);
    2) l’introduzione del “digitale terrestre” (difficoltà di sintonizzazione e moltiplicazione dei canali con frazionamento dell’audience);
    3) insufficiente reazione delle aziende (specie quelle più piccole) sia sul piano dei programmi che dell’impegno nella raccolta pubblicitaria.
    Sulla qualità dell’informazione (e quindi sul lavoro dei colleghi) l’Associazione della stampa ha deciso di non intervenire e anch’io mi attengo a questa regola. Non mi sognerei mai, comunque, di pensare che un organo di informazione debba chiudere perché non ne condivido la linea politica o editoriale.
    La competenza degli assessorati la stabiliscono le leggi. Conosco da molti anni l’assessore al lavoro, che è anche iscritto all’Ordine dei giornalisti, e nutro la massima stima e fiducia nei suoi confronti. D’altra parte le leggi prevedono procedure precise e trasparenti.
    Respingo con forza l’accusa di aver “fatto da cerimoniere al funerale di E Polis”. Il sindacato è sempre stato accanto ai colleghi e la categoria pagherà salato (con gli strumenti della solidarietà che i giornalisti alimentano di tasca propria) il conto dei danni prodotti da una gestione sciagurata. I colleghi, per fortuna, non perderanno affatto la cassa integrazione, visto che i curatori fallimentari (su richiesta del sindacato) hanno deciso di chiederne la proroga.
    Da ultimo parentele e incompatibilità. Il mio lavoro all’Assostampa non è certo solitario. In questi anni ci sono state vertenze, anche difficili, praticamente in tutte le redazioni sarde e le abbiamo affrontate sempre assieme e d’accordo con i colleghi interessati. Non ho mai pensato di essere indispensabile. Se qualcuno è intenzionato a candidarsi alla presidenza dell’Associazione della stampa si faccia pure avanti, anche subito. E, se avrà il consenso dei colleghi, non sarò certo io ad ostacolarlo.
    Con stima e simpatia, Francesco Birocchi

    • Luigi P. says:

      Noto con piacere che nessuno di Voi (Birocchi compreso) è sfiorato dal pensiero che l’ordine dei gionalisti non è una casta intoccabile mah!

    • Caro Francesco, grazie per il tuo intervento che fa chiarezza su molti punti e stimola un dibattito che non trova purtroppo spazi in cui svilupparsi. Concordo inoltre sul fatto che il sindacato (a livello regionale e nazionale) si è speso moltissimo su EPolis.
      Detto questo, se non ho capito male tutte le tv prenderanno soldi anche di fatto se non hanno messo nessuno in cassa integrazione (a parte Cinquestelle). E allora come si fa a credere che i soldi aiuteranno l’occupazione e non invece direttamente la società, abbattendo i loro debiti? Non è una distinzione da poco! Non c’è il rischio che Videolina e Sardegna Uno prendano un sacco di soldi senza che le loro società editrici siano “costrette”, ad esempio, a stabilizzare qualche precario? Che garanzia chiederà il sindacato perché questi soldi non ripianino semplicemente i debiti o finiscano nel calderone dei costi di gestioni, anziché aiutare i colleghi? Non è molto più semplice e meno rischioso intervenire con la legge 22 piutotsto che con un provvedimento che rischia di essere “ad personam”? E per altre imprese editoriali in difficoltà, il sindacato cosa chiederà?

      • Caro Vito trovo difficoltà a capire. I soldi si debbono dare si o no? A chi? Perché? Lo strumento ipotizzato è giusto? Francesco Birocchi dice che il consiglio regionale nel 2009 “ampliò”, io insisto nel dire che STRAVOLSE la legge del 2008 che prevedeva aiuti ai lavoratori non alle imprese. E sia detto per inciso: Manca è tuttora presidente del centro studi unione sarda.

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